animali da romanzo

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Shakespeare in Elav: esperienza fantastica, da raccontare.

L’occasione è stata la YULE FEST, assembramento di fine anno delle tribù dei pub/birrerie indipendenti

+ ii compagni d’avventura Matteo e Nicola (miei vicini di redazione di CTRL magazine)

+ il mitico cowboy Antonio del birrificio Elav, che alla pubblicazione del pianoB (idee vere per fare cultura, ricreare l’humus) aveva dato la sua disponibilità a ospitare iniziative di tal segno.

Idea nata da anni di esperienza, ma concretizzatasi in poche ore, con poche linee guida:

> Pub Writing Session significa ascoltare, trascrivere, mixare e pubblicare storie raccontate da sconosciuti davanti a una birra.

> il Pub Writer trasforma le storie sentite al pub in un romanzo corale,

in quanto scrittore di servizio non è un creativo, non è uno stilista, ma un artigiano anonimo, come i maestri pittori e scultori del medioevo,

l’opera che ne risulta non è d’autore, singolare, unica, ma plurale, comune, congiunta,

e dunque niente nome dello scrittore, né del “raccontatore”, ma tutta l’attenzione sulle storie, e non storie a piacere, di fantasia, letterarie, ma storie concrete, vere, capitate in questo 2013,

nello spirito della festa (YULE FEST è la festa nordica pagana di tributo al solstizio d’inverno, da cui ha origine il Natale cristiano) il tema scelto per la Pub Writing Session  “Shakesperare in Elav” è stato la fine/l’inizio: nelle 4 notti più lunghe dell’anno, si buttano fuori tutte le paure e gli incubi del vecchio anno, e si esprimono i sogni e i desideri del nuovo inizio;

perciò abbiamo fornito un “cartellone” delle storie da raccontare, 4 generi per 16 titoli proposti come una lista di birre tra cui scegliere:

> un storia da dimenticare

   una storia assurda -– sprofonderei – l’ammazzo – una pietra sopra

> una storia di sesso

   avevo bevuto – non così veloce – non può funzionare – chiamami

> una storia di soldi

 che pacco – soldi buttati – lo faccio per i soldi  – avendo i soldi

> una storia mai vista

   se rinasco – giuro lo faccio – neanche te lo immagini – una bella storia

L’unica “regola” è stata questa: storie brevi, 1000-3000 battute, cioè stampabili su un flyer e di produzione immediata (pronte in mezz’ora, tra racconto, trascrizione, edizione e distribuzione)

La Pub Writing Session ha preso vita con la collaborazione di tutta la redazione CTRL, una decina di writer coinvolti, così organizzati:

Resident Pub Writer: nella postazione-confessionale, costruita con 4 palllets, due seggiole e una panca/scrittoio, lo scrittore riceve “tet e tet” chi vuole raccontare una storia (min15-max30 minuti)

Insider Pub-Writer:  disseminati tra i tavoli, riconoscibili da un distintivo, distribuiscono le storie fresche di stampa, aiutano le persone a scrivere la propria storia, ascoltano e trascrivono sussurri e grida, mezze frasi,  storie di gruppo, conversazioni

Pub Writing Box: l’urna dove mettere la frase o la storia scritta direttamente da te

Pub Writing Editor: l’uomo alla stampante, che rapidamente riceve, rilegge, edita e stampa le storie.

Ne è uscita un’esperienza estrema, controtendenza, dal successo imprevisto.

In un contesto per nulla letterario, senza altri mezzi che qualche portatile e una stampante, abbiamo raccolto e pubblicato in 4 serate circa 150 storie “vere”,

come volevasi dimostrare, dove c’è buona birra, si trovano esemplari fantastici di maschi e femmine che in stato di grazia (non proprio sobri, ma nemmeno in ebbrezza molesta, diciamo alla seconda media) si rivelano animali da romanzo di prima scelta,

perché ti raccontano la storia così come l’hanno vissuta, il film, non le sensazioni e i ragionamenti che ti imbastiscono le o gli pseudo intellettuali da caffè letterario,

e tu rapido come una dattilografa scrivi tutto, ed è già tutto perfetto.

Alla Yule Fest vedevi in postazione il resident writer scrivere in diretta la storia di chi si sedeva davanti a lui,

la stessa cosa facevano disseminati in giro 5, 10 insider writer con portatile o notebook, mentre l’editor alla stampante sfornava le pagine di questo romanzo corale in progress,

e ovunque tra i tavoli persone intente a leggere, ed altre a scrivere a mano la propria storia sul retro, e a imbucarla nel box.

La pub writing session come spettacolo della scrittura, attrazione live, partecipata, è di fatto antica, ancestrale, cavernicola, rupestre;

evoca uno spazio protetto dove gli individui stanno raccolti attorno al fuoco, in prossimità fisica e intimità spirituale, a distanza d’alito;

nella caverna-pub la parola-voce diventa gesto-segno, incisione sulla roccia.

A mente fredda, si notano i caratteri dell’iniziativa:

> prima controtendenza: nell’epoca della creatività diffusa e del divismo di massa, tra scuole di scrittura e concorsi letterari, il pub writing è un’esperienza di scrittura non creativa, non d’autore, ma di servizio, d’ascolto e trascrizione, anonima.

> seconda controtendenza: nell’epoca del digitale e del web, il pub writing è la scrittura/lettura su carta, a voce, a mano, a distanza d’alito.

Dunque la scrittura come pratica sociale, fisica, manuale-orale, conviviale, a viva voce, frizzante, leggera, funziona,

e funziona lo scrittore come raccoglitore di brandelli di vita, e in seguito compositore di affreschi corali, texture che diventano il codice letterario di un luogo nel tempo,

e il pub il luogo deputato a pubblicare, come dice la parola.

Esperienza da replicare o testare in pub piccoli, in serate feriali, in modo stabile, continuativo, una sera la settimana, nel quadro di attività che rendono vivo l’humus culturale di una città.

La cosa che mi ha davvero stupito, oltre all’adesione del pubblico, è stata la disponibilità dei writer, liberati dalla responsabilità dell’autorialità, trasformati in un unico autore collettivo, capace di scrivere un romanzo-brogliaccio di 500 pagine in quattro notti.

Il vero lavoro editoriale adesso sarà quello di produrre una selezione delle meglio storie, per la pubblicazione rilegata, agile, in librino di 60-70 pagine,

e convincere il pub a pubblicare questo “polittico” come strumento di comunicazione, quasi a restituire ai propri clienti il distillato della grande bevuta di birra: lo “spirit”.

mia figlia in abiti succinti per 30 denari

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inabitsuccinti

(storia di Pietro M. raccolta da Nicola Fennino)

La cosa importante è che mia figlia sia felice. Che faccia il lavoro che le piace.

Forse se mia moglie fosse ancora viva le cose sarebbero andate per un altro verso.

Non ho mai sentito nessuno parlare d’amore come mia figlia. Dice che l’amore è una forza che ti strappa la pelle di dosso, che t’incendia gli occhi.

Una forza sovversiva: per questo i preti non si sposano. Una società fondata sull’amore non può esistere, sarebbe anarchia.

“Capisci, babbo, per questo la puttana è il mestiere più antico del mondo! Serve per coprire la mancanza d’amore, capisci? È il contratto sociale”.

Ecco, mia figlia è convinta che il suo lavoro sia una sorta di sacrificio.

Lei si spoglia, la si vede perfettamente in faccia – con quegli occhi verdi di sua madre – e degli sconosciuti la baciano, la schiaffeggiano come padri preoccupati con una bambina cattiva (lei dice che fanno piano, che è tutto doppiaggio), penetrano la sua carne senza pietà, senza passione.

La sua pelle bianca si chiazza di rosso: non è finta la sua pelle, la sua pelle non ragiona come il suo cervello, soltanto si fa rossa.

Al mare, da piccola, io e mia moglie la cospargevamo di crema, ogni ora bisognava rimetterne un nuovo strato, perché i bambini giocano, entrano in acqua, si rotolano sulla sabbia, mica si può pretendere che la crema gli resti incollata addosso.

Quando le spalmavo la crema sul faccino chiudeva gli occhi, storceva un poco le labbra; le baciavo i capelli, poi lei scappava verso il bagnasciuga: c’erano i suoi amichetti che l’aspettavano.

Ieri sera è tornata più tardi del solito; deve aver bevuto un paio di bicchierini, non sa nasconderlo. Ha iniziato con la solita solfa dei greci e dei romani e che anche loro avevano i loro spazi di follia, i loro riti sessuali assurdi eppure avevano creato delle società così ordinate… l’ho interrotta perché ero stanco e non riuscivo a seguirla.

Lei mi ha guardato.

“Pensavo a Giuda, babbo. Sì, quello degli apostoli. Pensa se non ci fosse stato Giuda. Come facevano a mettere in croce Gesù Cristo? E la resurrezione? E tutto il cristianesimo?

Pensa babbo, sono tutti intorno al tavolo: Gesù non è ancora risorto, è solo una persona molto convincente, è solo un paio di occhi che splendono più della media, a volte non si capisce neanche quello che dice;

Ma è toccato a Giuda, capisci? Doveva toccare a qualcuno per il bene di tutti”.


È rimasta qualche secondo in silenzio. Ci siamo guardati. I suoi occhi erano rossi, gonfi.

Ho abbracciato la mia bambina, non ho avuto parole, e ho bestemmiato Dio, perché mia moglie è morta, e non era lì, con me e con la nostra bambina.

(titolo orginale “Pietro”, riduzione 33% – da 1200 parole a 400 – by Leone Belotti editor 

versione originale by Nicola Fennino writer, pubblicata in

http://scrittoriprecari.wordpress.com/2012/04/26/confessioni-qualunque-1/#comment-2961

imago: “in abiti succinti”, immagine di copertina dell’omonimo blog  https://www.facebook.com/pages/In-abiti-succinti/191256350930780)