movida si movida no

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movidaS

[…] almeno fino ad oggi, ciascuno di noi può ancora muoversi liberamente, e qualsiasi ora, all’interno degli spazi pubblici della città (naturalmente quelli accessibili).

[…]  se io voglio andare a fare due passi in città alle quattro di notte nessuno me lo può vietare. Naturalmente dovrò evitare di urlare o urinare sotto casa […]

Nel caso del Borgo assistiamo a un fenomeno dove più individui, liberamente, decidono di frequentare la stessa zona; magari perché hanno avuto la stessa idea o, più in generale, perché a loro modo trovano tutti molto interessante e piacevole frequentare la stessa area.

[…] Le attività commerciali si dislocano nello spazio secondo principi economici; banalmente, secondo il principio di domanda e offerta. Le attività commerciali però non sono un soggetto pensante. […] se in una determinata area assistiamo ad un processo di “agglomerazione” è perché, anche se nessuno in particolare lo ha previsto, diverse persone (imprenditori e clienti), attraverso decisioni individuali, hanno via via creato spontaneamente un ambiente a loro consono. […]

Il comune dispone di regole che disciplinano minuziosamente ciò che si può fare e ciò che non si può fare nello spazio. Ad esempio: i proprietari dei bar devono chiudere entro le due di notte, non possono servire da bere in bicchieri o bottiglie di vetro e devono tenere il volume della musica sotto un determinato limite. Oppure: ai cittadini non è permesso di sostare in mezzo alla strada ostacolando la circolazione delle autovetture, non possono urinare nello spazio pubblico e non devono gettare rifiuti per strada.

Le regole, per loro natura, vertono sempre sui comportamenti dei singoli cittadini o gruppi di cittadini costituiti formalmente. Al di fuori di queste due categorie è impossibile imporre regole comportamentali su soggetti non esistenti giuridicamente.

Supponiamo per un attimo che tutte le regole che ho citato vengano rispettate diligentemente. Con tutta probabilità avremmo ancora dei problemi derivati dalla somma di tutte le azioni dei singoli che coabitano lo stesso posto (un esempio lampante è il rumore prodotto dalla  somma di tutte le voci dei frequentatori del Borgo). Ma come facciamo a dire che qualcuno ha infranto le regole? […]

Il tema generale, nel caso del Borgo Santa Caterina, riguarda come, in che modo e se il comune deve agire di fronte a fenomeni urbana di natura spontanea che producono degli effetti imprevisti (positivi per qualcuno, ad esempio per chi si reca alla sera per fare una passeggiata, e negativi per qualcun altro, come per coloro che li vi abitano e vorrebbero dormire).

[…] possono essere prese grossomodo due posizioni contrastanti: da una parte si possono negare o combattere, dall’altra  tali processi possono essere accettati e promossi.

[…] Immaginiamo che il comune voglia risolvere la situazione attraverso delle azioni che puntano a limitare gli effetti negativi della “movida” del Borgo.

[…] Soluzione 1: anticipare la chiusura dei locali. In questo caso il comune potrebbe agire mediante un provvedimento di natura spaziale (attraverso una specifica zonizzazione) dove, ad esempio, obbliga gli esercenti della zona a chiudere a mezzanotte invece che alle due (soluzione che recentemente ho più volte ho sentito citare). A mio modo di vedere questo provvedimento sarebbe assolutamente ingiusto per chiari motivi di parità di trattamento. Perché nel Borgo i locali devono chiudere a mezzanotte e non alle due come in tutte le altre parti della città?

Se mai si decidesse di ridurre l’apertura dei locali, per ovvi problemi di equità, tale decisione dovrebbe riguardare l’intera città.

Soluzione 2: evitare la concentrazione delle persone. […] Se il problema è la troppa concentrazione di persone nello stesso luogo, si potrebbe pensare di introdurre una specifica limitazione relativa al numero massimo di persone concentrate nello stesso posto (ad esempio, dopo mezzanotte si potrebbe vietare il formarsi di gruppi di persone superiori a dieci unità e, magari, prevedere che tra i vari gruppi si debba tenere una certa distanza). Naturalmente sono ironico, ma credo che qualcuno in questo strano mondo ci abbia già pensato.

Soluzione 3: ridurre il numero di locali. […]  le licenze sono ormai libere (fortunatamente) ed è quasi sempre possibile convertire un bar in uno studio professionale, una gioielleria in una gelateria e un negozio di pompe funebri in un’erboristeria. […] Se si prende per un attimo sul serio quest’ultima possibilità, è giusto sapere che gli effetti potrebbero essere perversi se non  addirittura regressivi (ad esempio si rischierebbe una museificazione del Borgo, oppure si creerebbe una sorta di “monopolio” innalzando drasticamente i prezzi del mercato immobiliare).

[…] Proviamo ad immaginare invece che il comune reputi la “specializzazione” del Borgo come zona della “movida” cittadina un’occasione importante […]

Soluzione 1: assecondare il processo mediante progetti sullo spazio pubblico. Visto che il Borgo si sta aprendo a questa nuova vocazione, il comune potrebbe anche ritenere auspicabile una  rivisitazione dello spazio pubblico in modo da rendere l’area sempre più piacevole. Come? Ad esempio rivendendo la larghezza dei marciapiedi, inserendo nuove sedute, chiudendo sempre più spesso la strada al traffico, inserendo nuovi cestini, ma anche prevedendo nuovi servigi igienici pubblici e gratuiti e etc. […]

Soluzione 2: incentivare nuovi investimenti privati. Un’ulteriore soluzione potrebbe essere quella di incentivare economicamente l’apertura di nuovi locali mediante bandi o concorsi.  Il comune di Bergamo ha recentemente promosso un bando per la “valorizzazione” di ambiti ritenuti degradati (via Quarenghi, via Moroni, via san Bernardino etc.) attraverso incentivi pubblici di 15.000 euro per l’apertura di nuove attività artigianali.  Perché in alcune zone si deve incentivare la rigenerazione e in altre no? Sulla base  di quale criterio? Perché via Moroni si ed, ad esempio, via Gabriele Rosa a Boccaleone no? […]

Soluzione 3: non intervenire. […] Se consideriamo “il non intervento” come una delle possibili soluzioni, chi deve decidere lascerà che sia il gruppo di interesse più forte a prevalere sugli altri e, a mio modo di vedere, questo è grossomodo ciò che sta accadendo proprio nel caso del Borgo.

Il comitato dei residenti ha iniziato a raccogliere alcune firme. I commercianti non sono rimasti a guardare e si sono coalizzati per difendersi. Nel frattempo l’opinione pubblica si è sviluppata e il caso è uscito dalle “mura” cittadine. Grazie anche ai numerosi articoli prodotti recentemente, il caso del Borgo è diventato celebre e la sua utenza è aumentata ulteriormente (forse anche per la molta pubblicità involontaria prodotta da alcuni giornali locali). Insomma, si è creata una maggioranza netta che, facilmente, nel caso in cui si decidesse di non intervenire, prevarrà sui residenti della zona. Ma è giusto che la maggioranza decida e schiacci la volontà delle minoranze? […]

[…] la città è un sistema molto più complesso di ciò che noi tendiamo a credere. Andando al sodo, personalmente credo che fino ad oggi non sia ancora stata trattata una questione a mio avviso centrale: la città cambia.

[…]  la città non è un oggetto controllabile in toto e spesso assistiamo a  processi imprevedibili che possono piacere o non piacere. Ciò che conta osservare però è che tutti questi processi spontanei, dietro al loro apparente disordine, nascondono sempre un proprio equilibrio dettato da scelte individuali.

[…] possiamo concepire la città come un sistema complesso che comprende il concetto di imprevedibilità. […] il concetto di adattabilità: la città è di per sé è un oggetto vivente che cambia continuamente. Le sue varie parti mutano e cambiano perché le persone al suo interno sono soggetti viventi diversi fra loro, con vari interessi che si esprimono nello spazio.

La città  si adatta nel tempo. Il Borgo ha subito e sta subendo una profonda metamorfosi. Sono cambiate le persone che lo frequentano, le attività, i valori immobiliari e altri aspetti ancora, ma sempre e soltanto perché gli interessi e le opportunità cambiano insieme alle persone, e perché le persone liberamente agiscono nello spazio.

I nuovi abitanti del Borgo, quelli che oggi decidono di andarci a vivere, oppure quelli che decidono di aprire nuove attività, lo fanno volontariamente perché amano questa nuova atmosfera. Allo stesso tempo però altri abitanti invece ne rimpiangono il passato e magari decideranno di andarsene lasciando il posto a coloro che stanno per arrivare. Questo non è altro che un processo di sostituzione (qualcuno potrebbe chiamarlo gentrification).

Come direbbe Jane Jacobs questa è la città, perché la città cambia ed è il frutto della diversità intrinseca presente in ciascuno di noi che si riflette nello spazio. La città si adatta, e si adatta sempre rispecchiando una micro-razionalità affascinante e profonda che il più delle volte sfugge all’osservatore distratto.

(estratto da “Il borgo che cambia” by Stefano Cozzolino,  dottorando in Pianificazione Urbana al Politecnico di Milano, professor assistant per il  corso di Land Use Ethics and Law) > per leggere la versione integrale scrivi a stefano.cozzolino@polimi.it

 

 

la turbo fiaba accademia carrara

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nuova esilarante puntata della turbofiaba “Accademia Carrara” su l’eco di oggi:

sunto delle puntate precedenti: edificio solidissimo, tra i massimi musei d’arte italiani, la Pinacoteca dell’Accademia Carrara è chiusa da giungo 2008 per “lavori di messa a norma impianti” che dovevano durare sei mesi, massimo nove,

ma ogni sei mesi da orami 7 anni si annuncia trionfalmente che la data di apertura slitterà di sei mesi (per fare i lavori meglio), e al contempo si annuncia trionfalmente qualche altra spesa collaterale (come il nuovo sito, il nuovo logo, etc)

puntata di oggi: l’eco annuncia la riapertura per marzo 2015 (vedi articolo) ma nel titolo dell’articolo stesso siamo già slittati a maggio 2015!

In questi lapsus, l’eco rivela la presenza di Dio.

Nell’articolo, da sbellicarsi, da “opera comique” le dichiarazioni triumph di sindaco e assess. Nemmeno hitler a berlino o napo3 a parigi si sono lasciati andare così quando hanno rifatto la città in pochi anni!

Autorevoli voci dall’interno riferiscono invece cose scabrosissime: ad esempio che le pareti sono state trattate in modo tale che risulta impossibile appendere quadri alle pareti! Tutto da rifare!

Intanto i totem cultura BG2019 (100 in città, a 500 euro l’uno, dicunt) scaduti da sei mesi, sono stati sostituiti dai nuovi totem EXPO 2015, altrettanto insensati (pubblicizzano un museo chiuso) con lo slogan che mi sembra invece perfetto: “Accademia Carrara – Una storia che racconterai”

Su questo, non ci piove. Come ho detto, il titolo è: “la turbofiaba Accademia Carrara”

Nelle ph. reuters-postini qui sopra e qui sotto: l’eco di oggi e il totem di domani

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quel cane del grafico

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caalepioLion2014

dalle remote lande della terra di obliquid,

Benedetto Zonca mi manda un lavoro fatto dal suo cane, il Pepe lab (lab sta per labrador, già art director di alcune pubblicazioni Calepio Press)

L’esercitazione prevedeva la realizzazione del restyling del logo Calepio Press.

La lavorazione ha seguito questo procedimento:

dopo che l’operatore umano (lo Zonca) ha pre-selezionato alcune immagini di “leone ruggente”, il Pepe lab, dotato di mouse sottozampa wireless, ha selezionato l’immagine da utilizzare;

lo stesso procedimento si è ripetuto per scegliere il carattere tipografico, e lo sfondo.

Questa tecnica di lavorazione, presto una app, denominata “quel cane del grafico”, risulta perfetta per chi desideri una grafica veramente bestiale.

Per lavori bestiali by Pepe lab, contact l’operatore umano benedetto@obliquid.it

bergamo terrazza dell’umanità

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BGterrazzaUmanità

bergamo terrazza dell’umanità significa comprendere e valorizzare la vera risorsa, il vero cuore della città d’arte sostenibile,

lo spettacolare  scenario delle mura venete, assurdamente inutilmente dannosamente utilizzate come strada asfaltata,

sacrificando così, per il privilegio di 1000 mezzi meccanici, la possibilità d’incantare 100.000 esseri umani,

e innescare una rivoluzione di benessere diffuso:

via l’asfalto dal viale delle mura, via le auto, una grande terrazza-parco piena di vita, persone, tavolini, bancarelle, spettacoli, botteghe,

una terrazza sull’umanità, attrazione incantata, città sospesa, completamente senz’auto, come una venezia di terraferma,

un nuovo volto al segno matrice, una rivoluzione in 5 anni,

via il catrame, via i motori, via le telecamere, via i posti auto,

ripristino delle scalette, dei sentieri, dei fontanili, dei giardini,

apertura di punti d’accesso e risalita non invasivi, ascensori, scale mobili,

costruzione di uno scenario gioioso, attrattivo, fantastico, fatto di gazebo liberty, bancarelle mobili, teatrini erranti, localini, banchetti, arene, serre, ristorantini, verande,

il viale delle mura è il vero patrimonio, la vera sfida,

trasformarlo in un locus fantastique, il vero progetto, il vero futuro,

il cardine della città d’arte eco-sostenibile,

tutto quello che serve è immaginazione e coraggio, un certo coraggio,

e non sono certo le telecamere a dartelo: ma gli esempi, e la mente lucida.

Bilbao era una città morta, poi qualcuno ha avuto il coraggio di immaginare un grande museo d’arte contemporanea,

oggi Bilbao grazie a quel coraggio è diventata una fiorente capitale del turismo culturale, e tutti applaudono Bilbao, ma non basta, serve il coraggio di alzarsi e dire e dare la mossa logica: “le mura venete saranno il nostro guggenheim!”

(nota: città alta oggi ha 2.000 abitanti,  fino a non molti anni fa ne aveva 7.000, espulsi i residenti nativi, gli artigiani, le botteghe storiche,

inaccessibile economicamente per studenti, artisti, studiosi, musicisti,

il numero di seconde case è triplicato, sta diventando un borgo inanimato di case chiuse di lusso per vip col pass, è questa la vera zavorra che sta facendo affondare un patrimonio secolare,

è decisivo chiudere totalmente questo gioiello di città alle auto, unico modo per allontanare la zavorra, e aprirla totalmente all’umanità viaggiante, che non ambisce al possesso immobiliare ma a soggiornare, vivere, lavorare e creare benessere,

si, immaginiamo di creare 5000 posti di lavoro in città alta, non all’oriocenterport, e altrettanti posti letto per chi vuole lavorare, studiare, soggiornare o vacanzare in una città d’arte modello, in una vera isola pedonale, senza macchine, piena di gente viva, non di case morte, che è un’altra vita)

 

Borgo Santa Caterina amarcord

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Caro amico, storie sul borgo te ne racconto quante ne vuoi, storie di amori improbabili, di liti condominiali, storie di baristi, di ciclisti, di studenti, di vedove di guerra, di miliardari e morti di fame, cocainomani e cubiste, di muratori e tabaccai,

storie di artisti falliti e botteghe che chiudono, di impiegate di banca e vecchi sporcaccioni, storie che nascono sul pavé, negli androni, per le scale, nei cortili, tra i gatti, sui tetti, in mezzo ai comignoli, storie di luna piena e di una certa aria di Parigi che dorme,

storie di quell’ora della notte nel borgo con il silenzio e la magia, dopo le tre, quando tacciono i frequentatori di locali, i fidanzati che litigano, gli ubriachi, e fino alle quattro e mezza, quando cominciano a passare i furgoni dei lattai, e dai portoni infreddoliti escono quelli che si alzano all’alba, e vanno a lavorare, e incrociano quelli che tornano a casa, dopo aver passato la notte fuori, e a volte si salutano,

è stato proprio sui tetti di notte che ho fatto amicizia con Brutus, un quadrupede felino e tigrato, che da un camino mi guardava dentro nella mia finestra nel mio letto, e mi chiedeva “Chi sei? Cosa ci fai qui?”, casualmente io avevo nel frigorifero due etti di fegato, li ho divisi con lui, nudi e crudi.

Siamo stati insieme tre anni. Lui di giorno dormiva nel mio letto, io di notte lo seguivo sui suoi tetti, i tetti del borgo.

Una bella sera, seguendo Brutus, arrivo in zona Celestini, dove c’è una casa completamente rifatta, la prima che hanno messo a posto, con la pietra, gli ottoni, i legni, gli impianti a norma, il finto pozzo.

Brutus si faceva una gattina di razza probabilmente troppo giovane per lui, io vedo questa biondina nel suo monolocale vetrodesign, le parlo della forza antica del borgo, le chiedo cosa ci fai nel borgo, il borgo è un concetto medioevale, una congregazione, un mestiere, una chiusura, le dico: il borgo non fa per me, il borgo vuol dire arroccarsi, stare appesi con le unghie, un’attività da crostacei, una vita di scogliera, da cozze, mitilli, molluschi, lo vedi, lo capisci, questi bottegai sono ex bancarelle appese fuori dalle mura, giù da Sant’Agostino, gente che vuol stare avvinghiata a città alta,

intanto si sentivano degli spari, uno, due colpi secchi, proprio detonazioni da arma da fuoco, ma vicini, prossimi, mi sporgo, mi allungo, guardo, chiamo, vedo lo “zio”, un marocchino più vecchio degli altri, già sui quaranta, uno degli extra storici del borgo, è lì fuori da una finestra con una pistola fumante in mano, mi dice “no, volevo vedere se funsiona”,

poi vedo il gatto Brutus che passa come niente fosse con il piccione steso dallo zio tra le grinfie, se lo trascinava in giro sporcando di sangue il parquet, la biondina diceva «E’ tutto così suggestivo», io le guardavo il tanga leopardato che faceva capolino dal jeans paillettato, dalla strada si sentivano le invocazioni alla luna di un pittore spagnolo che aveva la mania del Cristo de la mala muerte, cose così, poi all’alba camminavi per il borgo te e il tuo gatto, aspettavi che aprisse qualcuno per fare colazione,

c’erano questi bar veramente marci che nemmeno alla Bovisa, c’era il bar tabacchi prima della chiesa con una vecchia coppia di meridionali che si ostinava a mantenere il dialetto del paese; c’era la pasticceria di fronte alla chiesa, con due fratelli, uno calvo e l’altro no, da trent’anni in gara di freddure tra loro e con i loro clienti;

c’era il biliardo più avanti, la torrefazione, l’altra pasticceria, quella di marito e moglie, e così via, tra l’uno e l’altro botteghe sprangate, negozi di alimentari senza futuro, una merceria, il calzolaio, la drogheria con profumi + insetticidi + pistole e fucili per bambini, e anche stanzette fredde e umide con dentro un obiettore con tre peli di barba e fuori una targa “lega protezione dei cani randagi” o “per la salvezza degli uccelli da polenta e uccelli”, cose del genere,

certi giorni ti pareva di essere in Bulgaria, vedevi in giro solo facce tristi, attività in fallimento, marciapiedi sporchi, hanno cominciato i bar a rinnovarsi, i primi ad arrivare i Divina, dalla val Cavallina, idee chiare, in dieci anni di lavoro costante hanno fatto uscire il sommerso: questa città è una delle capitali del movimento gay, e il Borgo è uno dei punti caldi di ritrovo per tutta la conurbazione,

subito dopo sono arrivati i Reef, dalla Brianza, oggi affollato ritrovo di studenti, ma che fatica i primi anni, questi bravi ragazzi forse gli sembrava un po’ troppo andare direttamente dall’oratorio al pub, gli unici che si fermavano a bere erano una specie di Rodolfo Valentino che vendeva scarpe dall’altra parte della strada, e un immigrato toscano, di mestiere antiquario, e un pappa russo, che girava tutti i bar del borgo con due o tre cavallone per volta, anche lui altissimo, sempre vestito di pelle nera, occhio da killer, sparito da anni, o forse sparato,

poi c’erano le cagnette, le chiamavamo così con i miei amici maschilisti islamici, le due cagnette nere e le due cagnette bionde, le cagnette nere gestivano il Tamara, con i divani di pelle nera, e le cagnette bionde gestivano la torrefazione, più avanti, con le tappezzerie a fiori, tu a seconda dell’umore andavi da queste o da quelle a far colazione, il cappuccino lo facevano bene tutte e quattro, ma di umore anche loro erano imprevedibili, o erano inverse e ti sbattevano la tazzina sul banco, o erano solari e ti davano anche il cioccolatino, col caffè, sparite anche loro, le cagnette,

quindici anni fa io ero l’unico bianco del borgo, oggi sono l’unico povero, proprio così, quando sono arrivato nel borgo le case te le tiravano dietro, le vecchie case come le vecchie motociclette e anche come i vecchi esseri umani se gli vuoi bene e gli parli hanno un sacco di cose da dirti, e soddisfazioni anche, e senso di stare al mondo, e segreti, e piaceri, o dispiaceri,

per dire: la prima persona che ho conosciuto era il mio vicino, un ultraottantenne che subito dopo aver parlato tre minuti del tempo è andato indietro nel tempo e ha tirato fuori dei giornali degli anni Quaranta, roba della X Mas, «tu che sei giovane..» mi diceva. «Sempre stato fascista!», e ho recitato il “Memento audere semper”. Gli sono scesi i lucciconi. Mi ha fatto un discorso che tutti questi negher non sono cattiva gente, basta trattarli nel modo giusto. La notte ho sentito un po’ di casino. Il giorno dopo era morto, commento della vecchia della porta accanto: «era un bel po’ che doveva morire».

e così, morto lui, al momento del crollo del muro di Berlino, nel coacervo di case del borgo costruite una sull’altra negli ultimi quattro secoli, io ero l’unico bianco, oggi sono l’unico povero, gli extracomunitari sono spariti tutti, senegalesi, marocchini, tunisini, algerini, peruviani, ecuadoregni, brasiliani, c’era un bel mix di gioventù nordafrica e sudamerica che si era stanziato a vivere qui, nel borgo, dov’erano rimaste solo vecchiette abbonate a Famiglia Cristiana che ricevevano visite frequenti solo dagli agenti immobiliari, come sempre un po’ troppo sorridenti, e nervosi,

alla fine si sono trovati una sera nel salone dell’oratorio, i boss del mattone, ognuno aveva i suoi rapporti dei suoi galoppini, erano unanimi, le vecchiette del borgo , a differenza dei vecchietti maschi, godevano di buona salute, anche le ottuagenarie avevano davanti prospettive decennali,

tanto valeva far venire gli extracomunitari che con la loro presenza producono questo miracolo di rendere il triplo degli affittuari bianchi e di far scendere i prezzi delle case da acquistare e ristrutturare appena morte le vecchiette proprietarie, questa è la vita immobiliare del borgo, il suo sangue, il borgo non è un’arteria, è una vena, fa sangue, ha un suo ricambio, un ciclo di speculazione,

oggi il borgo ha sangue nuovo, pelle fresca, ha rifatto il look, via i calcinacci, via le case fatiscenti, i cortili colorati, la biancheria appesa, la musica a tutto volume, gli accoltellamenti sul ballatoio, via i fili elettrici scoperti, oggi è tutto un bell’intonaco giallo polenta o rosso mattone o verde ulivo, tutto un videocitofono, un travi a vista, un bilocalizzare, e così sono arrivati i singles, i professionisti, i perbene, i rampanti, ma questo processo è durato dieci anni, e nel mentre c’è stato da divertirsi,

c’era questo muratore con una Giulia verde del 74, per anni qualsiasi lavoro nel borgo lui lo trasformava in un lavoretto, e poi ci bevevi sopra, ti pioveva in casa, e lui metteva una bella lastra di eternit, ti si era otturato lo scarico, e lui tirava due colpi di piccozza e lo allargava, ti camminavano i topi in cortile, e lui metteva le trappole,

adesso il new look del borgo è quasi completo, hanno cominciato dalle fogne, un bell’esempio di lavori spostamento terra, ti alzavi la mattina la strada non c’era più, fuori dal portone avevi il tuo ponticello, eri a Venezia, tornavi a mezzogiorno lo scavo era progredito di duecento metri, la sera era chiuso, tutto rifatto, le fogne, le condutture, i rubinetti del gas, dell’acqua, la luce, tutto nuovo, e intanto le case, le botteghe, rinnovare, via il marciume, avanti il new marketing, l’equo solidale, il biologico, l’etnico, ma intanto l’etnico vero, la presenza umana, non c’è più,

adesso nel borgo ci sono le botteghe di arredamento indiano e afgano e afrotirolese ma non ci sono più extracomunitari, gli interni delle case sono lindi e lustri, le vecchiette sono morte quasi tutte, quasi ogni giorno la chiesa è listata per una delle mie nonne che va a farsi il viaggio in Mercedes, arriverà il nuovo arredo urbano, l’isola pedonale, il granito, la segnaletica design, e insieme alle vecchiette e agli extracomunitari sono spariti anche i gatti, è sparito anche Brutus e tutti i suoi amici, adesso di notte la luna del borgo fa proprio silenzio,

quel che resta del borgo, che gli dà continuità, sono queste famiglie di bottegai storici, il formaggiaio col figlio simpatico, il coltellinaio col figlio ciclista, il fruttivendolo e il salumiere con le mogli colonnello, mamma Vittoria che da una vita con marito figli e nipoti è una certezza per tutti i caffeinomani, tabagisti e totoscommetitori che passano in piazzale Oberdan, la bionda francese che vende occhiali, il ferramenta accanto alla chiesa, le panetterie, l’intimo del borgo, e i pazzi del borgo,

la camminatrice occhialuta, il pittore barbuto, i due innamorati che hanno l’aspetto di rifiuti umani eppure vanno avanti e indietro tutto il giorno abbracciati a sbaciuccharsi e a dirsi ti amo, e tanti altri del genere, perché ce n’è tanti di pazzi nel borgo, non è che sia il borgo in sé che manda fuori di testa le persone, è chiaro, è la mancanza d’amore, solo che nel borgo, il fatto di essere un po’ tutti fuori di testa, lo vedi meglio,

le anime morte vogliono finiture di pregio e sicurezza nelle strade, è chiaro, devono custodire i loro ghiaccioli, guai se si sgelano, vogliono case d’epoca e botteghe di qualità, qual è la differenza tra un centro commerciale e un borgo, mi chiedo, non basterebbe costruire tanti bei bilocali con vista sopra l’oriocenter?

I delinquenti, gli ubriaconi, i malati di mente, i commercianti tirchi, le prostitute, gli spacciatori, le donne pazze, alcolizzate, i pittori falliti, gli scrittori in crisi, i fotografi senza studio, le ballerine, le studentesse d’arte, le vecchie innamorate del Duce, i barboni, gli skin che si radono, i punk che non si lavano, è chiaro che tutta questa gente è incompatibile con il nuovo arredo urbano,

l’anima, il sangue del borgo non può più permettersi il caro prezzi del borgo, e dire che questo caro prezzi viene proprio da lì, dal fatto di essere un borgo, di avere un’anima, che bella roba, ma il meccanismo è chiaro, non è nuovo, è così in tutto, dall’abbigliamento alla musica agli immobili, è la creazione del valore nella società dello spettacolo, fame di emozioni, di show, di real-tv, andare dove c’è vita, e mettere tutto in naftalina, imbottigliare, conservare, marmellate, distillati, capricci,

i bravi ragazzi del centro per anni sono venuti a fare vita notturna nel borgo, gli sembrava di essere a New York, Casablanca, Londra, a seconda degli interessi, droga, sesso, chiacchiere, nel borgo trovavi tutto questo, nei sottotetti, in mansarde, io li vedevo questi bravi ragazzi felici come bambini con un po’ di proibito, e anche le brave ragazze, la brave figlie modello con la loro pochette e il tailleurino giusto, intere notti a cantare ubriache fradicie nella casbah del borgo o a raccontarti tutte la loro dorata solitudine dopo una canna o una riga, e a mangiare con appetito il cous cous cucinato dal padrone di casa con dentro carne di scarto, loro che a casa non toccano neanche il controfiletto,

ho visto queste scene, ho visto che anche i bravi ragazzi vogliono la vita, ma già il giorno dopo, quando li incontri sul Sentierone, gli manca il coraggio di salutarti. Eppure hanno passato la notte con te a dirti che non erano mai stati così bene e tutte quelle cose sentimentali che in famiglia o tra di loro non riescono a dire.

testo by Leone Belotti 1999 per Bergamo Blog; titolo orig. “Borgo S.Caterina 1989-1999”,  

imago: Borgo Santa Caterina fine anni 50, achivio fotografico Sestini.

banda larga

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PaciPacianaTemp

Paci Paciana era un oste della Val Brembana. Illetterato, di poche parole, e quelle poche in dialetto.  La memoria delle sue gesta, delle sue risposte, si è tramandata per via orale di generazione in generazione.

La sua storia di fuorilegge nasce da un torto ingiustamente subito. Inizia una guerra personale al potere, ai ricchi, ai nobili, ai gendarmi. Imprendibile, Pacì Paciana appare e scompare in un baleno, come un angelo vendicatore.

Detratto il necessario alla sua vita di bandito, divide il bottino delle sue rapine quotidiane  in tanti piccoli “gruzzoli” che poi distribuisce alle famiglie bisognose.

Diventa un personaggio leggendario per come si fa beffe della “sbirraglia”. E intanto assume quasi un ruolo di “protettore” dei più deboli. Si rivolgono a lui per comporre liti come fosse un giudice, o per chiedere permessi, pareri, favori.

Per tutti è “ol padrù de la al brembana”. Un ruolo che gli pesa, e gli procura amarezza.  Lo schiavo è quello che aspetta qualcuno a liberarlo.

Il cerchio si sta chiudendo. Innumerevoli le delazioni, i tranelli cui sfugge, finché una sera lo sorprendono al ponte di Sedrina.  Se un uomo non è disponibile a rischiare la vita per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o lui non vale nulla.

Si getta nel Brembo, lo danno per morto certo, e invece riesce a mettersi in salvo. Il prefetto mette sulla sua testa una taglia di 200 zecchini d’oro, se vivo, o 60, se morto.

Sarà un amico a tradirlo, sparandogli alla schiena, e consegnando la sua testa al prefetto, che la farà appendere alla ghigliottina della Fara a Bergamo Alta, in pasto ai corvi, a segnare la fine dei banditi. E’ il 6 agosto del 1806. Ma quello che ami veramente, la libertà, sarà la tua vera eredità, e non ti sarà strappata.


Oggi lo spirito Paci Paciana rivive nella comunità hacker.

Prima degli hacker ci fu l’epoca dei phreaker (phone freak):  John T. Draper, più noto come Captain Crunch, in seguito autore del word processor per Apple, è il phreaker più famoso della storia. Già da ragazzino aveva creato un blue box per telefonare gratis.

Celebre la sua intrusione telefonica alla Casa Bianca, ai tempi di Nixon, dopo aver scoperto la password (Olympus) per parlare direttamente con il presidente.

Draper: “Olympus, per favore” Operatore: “Un attimo, per favore…”

Nixon: “Che succede?”

Draper: “Signor Presidente, è in atto una crisi qui, a Los Angeles”

Nixon: “Che tipo di crisi?”

Draper: “Siamo senza carta igienica, Signor Presidente.”

Poi vennero Richard Greenblatt, fondatore della prima comunità hacker al MIT e

Richard Stallman, ideatore del concetto di copyleft (il primo software che “liberò” fu quello della stampante Xerox del Mit), quindi Eric S.Raymond “inventore” dell’open source e Ward Cunningham creatore del concetto di Wiki.

Ma la figura di riferimento del movimento hacker è forse Loyd Blankenship, autore del Manifesto Hacker: «Noi facciamo uso di un servizio già esistente che non costerebbe nulla se non fosse controllato da approfittatori ingordi, e voi ci chiamate criminali.

Noi esploriamo…e ci chiamate criminali. Noi cerchiamo conoscenza…e ci chiamate criminali. Noi esistiamo senza colore di pelle, nazionalità, credi religiosi e ci chiamate criminali.

Voi costruite bombe atomiche, finanziate guerre, uccidete, ingannate e mentite e cercate di farci credere che lo fate per il nostro bene, e poi siamo noi i criminali»

ndr: i corsivi, inseriti in spirito hacker, sono citazioni tratte dalle opere di E.Pound.

testo by Leone Belotti per CTRL magazine. Imago della cover by Studio Temp.

CTRL magazine n.48 on line: http://www.ctrlmagazine.it/

 

 

la cagnara elettorale è cominciata

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VOLA1-1

mentre il fox terrier Gori vince senza abbaiare le primarie flop del centrosn (con meno di 1500 voti, cioè poco più dell’1% dell’elettorato)

e il buldogg Tentorio si sfrega le zampe (e da voci di corridoio centrods sono stati già assegnati i posti degli 8 assessori… ma a 25 persone!)

i randagi 5stelle dilagano nelle piazze con volantini latranti, radical-pop d’altri tempi, mix tra cobas e lega delle origini,

resi “attractive-aggressive” da un curioso marchio “muovi Bergamo” che ha una qualche eco pugilistica, e dal facile penta-refrain: 5 cittadini qualunque con 5 grammi di sale in zucca e Bergamo torna a essere una città 5 stelle.

La cagnara elettorale è cominciata!

by by bau bau

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UpperDogLayOut2

… giorni mesi e anni di vita bella semplice all’aperto o al calduccio, seguendo il ritmo delle stagioni dell’anno e della vita, giocando abbaiando e rincorrendoci,

… e poi, quando il bipede è fuori, buttarsi di nascosto sul divano a fare una pennichella acciambellati,

sempre aspettando con grande piacere quei momenti quei gesti quei rumori di ciotole che significano sbobba e delizia.

Perché la vita di un cane è questo, godersela con sentimento e filosofia, finché ce n’è, perché poi il nemico arriva, lo sappiamo, la fine non è mai lieta,

questo vale anche per il padronato umano, il nemico arriva sempre, e si porta via il nostro amore, per sempre, noi lo sappiamo, in un guaito c’è tutto questo.

Dove sei? Guardo la tua ciotola vuota, e sento ancora il tuo odore.

Sei parte di me, stupido cagnetto, dove credi di andare?

Un giorno ti ritroverò, cosa credi, e allora correremo ancora insieme sui grandi prati in fiore.

l’ecoccodrillo di bergamo

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CoccodrillAmericano

L’ecoccodrillo è un anfibio vorace che vive nella pagina dei morti de l’eco, la pagina che dà da vivere al giornale.

In data 31 gennaio l’eco scrive: custodire la memoria è una delle missioni che L’Eco di Bergamo ha nelle sue corde. Abbiamo ragionato a lungo per trovare modi e spazi per continuare a interpretare il senso della morte. Molti sono, infatti, le trasformazioni in atto nella società. Abbiamo rilevato come si ricorra, ad esempio, ai social network per annunciare la scomparsa.

Hanno convocato gli operatori delle pompe funebri e annunciato tutte queste novità, tra cui la sezione «Le parole che ti direi» dedicata alle famiglie e agli amici che desiderano lasciare impresso un pensiero della persona cara.

Si aggiungerà «L’ultimo saluto alle ceneri» con l’annuncio, attraverso le pompe funebri, del giorno e dell’orario in cui verranno inumate o tumulate. Infine, con «La memoria sul web» verrà attivata una sezione sul sito internet dove poter consultare l’archivio.

Alleluia! Ci sono arrivati. Sono almeno dieci anni che lo dico: il futuro dei defunti è on line.

In ritardo di dieci anni, il sistema ti segue (vedi nota a fondo pag).

Beh, lo ammettono anche, che ci hanno ragionato a lungo.

Tra le “novità”, il servizio coccodrillo: “Le parole che ti direi”, che era proprio il lavoro che ho sempre sognato, scrivere coccodrilli per L’Eco di Bergamo, ma purtroppo non mi hanno mai preso (nonostante la mia esperienza come… ghost writer).

Oggi questo nuovo servizio si chiama “Le parole che ti direi”, per informazioni e costi del servizio telefonare allo 035.358.777 che a guardare bene  è lo stesso numero del servizio necrologie e partecipazioni al lutto 035.35.87.77 (nella foto qui sotto: in alto a destra e in basso a destra)

necro-nonna_3

(sono questi i veri misteri imperscrutabili de l’eco di bergamo: quando in un’inserzione auto-pubblicitaria ti mette lo stesso numero di telefono scritto come se fossero due numeri diversi, uno e trino, è voluto, è geniale, è ragionato a lungo, ha un senso ultra-terreno-comunicazionale,

oppure è opera della provvidenza, o di uno stagista ottenebrato dalla fame, o di un team alla viva il parroco? Non potrai mai saperlo).

In cerca di risposte, facendo una ricerca, arrivi sul blog personale del direttore marketing de l’eco, un manzoniano dichiarato che confida ai suoi 25 lettori di essere l’autore del coccodrillo di lancio della rubrica “le parole che ti direi”, su sua nonna.

Il mio pezzo lo trovate in fondo a pagina 40, all’interno della nuova rubrica “Le parole che ti direi”, che offre spazio alle famiglie e agli amici per ricordare i loro cari in occasione nell’anniversario (trigesimo, anno) della scomparsa.

Pochi giorni dopo, sempre sul suo blog: dopo il ricordo di mia nonna Nella, è oggi la volta di mio nonno Umberto, l’altro ramo della famiglia.

Come dicevo, l’ecoccodrillo è un anfibio vorace.

Ma a me non basta. Mi informerò per chiedere se possibile avere un servizio anteprima di coccodrillo live, cioè io vorrei leggere il mio coccodrillo se crepassi oggi,

per questo sì che pagherei, e anche gli aggiornamenti.

(nota “sono dieci anni che lo dico..”: appena nata Facebook già pensavo alla Facebook dei morti, e alla pagina de l’eco.

In un sussulto d’impresa anni fa avevo anche comprato il dominio YouDie e pubblicato il progetto nel blog bamboostudio (oggi…defunto).

Un commercialista buddista si era dimostrato interessato a realizzare il progetto.

Già prima della crisi a quelli di QuiBergamo ho proposto di mettere in copertina il morto del mese.

A Percassi ho proposto pubblicamente di trasformare l’Oriocenter nel Kilometro Nero, il nuovo iper-cimitero (vedi la performance di Clusone “Macabre Dance”, con Athos Mazzoleni e Mattia Dal Bello, visible su vimeo o youtube)

L’ultima evoluzione del mio pensatoio sul tema on line/off live è la nuova professione “prefica digitale”, questo mese nella rubrica fantamarketing di CTRL magazine, freepress nei posti giusti , o visible su Issue,

frase vincente della “prefica digitale”: se oggi abbiamo giornali che campano sulla pagina dei morti, domani avremo giornali web che camperanno sulla pagina web dei morti.

 

 

stampato a 4 zampe

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BergamoProgress

Stampato a 4 zampe il giornalino “impresentabile” del Comune di Bergamo,

dopo 5 anni, in vista delle elezioni, ecco che la giunta si scopre editore col nobile intento di informare la cittadinanza,

e così mettono in piedi una redazione di 4 persone (con i nomi stampati 2 volte, nel colophon e in quarta di copertina, perché quando fai un lavoro così pregiato meglio farlo sapere in giro)

per fare un’orribile pubblicazione patinata stampata da cani e progettata peggio, dove troviamo una misera e sgrammaticata letterina di Tentorio (dove il nostro si lamenta con Roma ladrona che “ci impedisce di usare i nostri soldi” causa patto di stabilità)

poi abbiamo le foto della giunta, ripetute due volte (in seconda e in quarta di copertina, meglio farsi vedere bene)

poi gli auguri di buon anno (al primo febbraio!)

e per il resto 12 pagine terrificanti di mega-calendario photo-berghem 4 stagioni, da mezzo metro di lato, per aspiranti suicidi, con disegnato il buco per appenderlo e altre amenità, come la stampa su due tipi di carta diversa (giusto, Dicembre è più freddo di Agosto, ci vuole carta più pesante!).

Essendo la terra dei tipografi (tra l’altro) fa veramente impressione questo obbrobrio firmato dal Comune,

in fede mia conosco quasi tutti gli stampatori bergamaschi, nessuno avrebbe stampato una porcata del genere:

e infatti l’hanno stampato…a Roma!

Bravo Tentorio, fai bene a lamentarti di Roma ladrona:

ma è un tuo amico lo stampatore di Roma, o sei stato obbligato dal patto di stabilità?