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All’epoca in cui si è “rinchiusa” nelle mura, nel 1550, Bergamo Alta aveva 40.000 abitanti. Nel 1950 ne aveva 8000. Oggi ne ha 2000. Come città, è praticamente morta. Come città d’arte, non sta benissimo.
Le città d’arte che pensano di poter vivere facilmente di turismo, molto facilmente poi ne muoiono, vuoi per eccesso, o per carenza:
la bulimia turistica è conclamata quando in un dato luogo esistono solo attività turistiche e di fatto l’unica cosa autentica da vedere è la massa stessa dei turisti;
ne sono colpiti i grandi centri storici come Roma o Venezia, ma anche cittadine d’arte come San Gimignano, Gubbio, Orvieto, Volterra,
l’anoressia turistica, all’opposto, uccide tutti quei centri pur ricchissimi di arte, storia, architettura, e autenticità, ma poverissimi di notorietà, spirito e strutture d’accoglienza.
Bergamo Alta è sia bulimica che anoressica, a zone,
soffre di bulimia la nervatura urbana centrale, l’asse “corsarola” via colleoni/via gombito che collega la cittadella a piazza vecchia e al mercato delle scarpe, ingozzata di turisti, negozi, bar, boutique;
soffrono invece di anoressia, spopolate, totalmente prive di negozi, bar, persone, le direttrici laterali: sia la “dorsale” via boccola, vagine, tassis, solata, rocca, che la “ventrale” via arena, donizetti, s.giacomo; con le piazze angelini, lavatoio, rosate ridotte a parcheggi, cioè dormitori per mezzi meccanici;
ma anche il settore occidentale, che è zona preti (seminario, curia) e il quartiere orientale, presidiato dalle suore (conventi in zona rocca, fara, arena e donizetti) è città morta, chiusa, piena di case vuote, di spazi chiusi, di edifici e stanze disabitate.
Questo a causa di proprietari seconde case assenteisti, come a venezia, ma in gran parte per la presenza del grande immobiliarista, la curia:
parliamo tanto di città alta come di una questione civica, ci si scontra tra destra e sinistra, tra residenti e non residenti, tra commercianti e intellettuali, e così facendo facciamo finta tutti insieme di non vedere, di non sapere, che il senso, la crisi di città alta è una questione cattolica, di civiltà cattolica, di proprietà cattolica,
evidentemente ogni apertura e rinnovamento di Bergamo Alta deve coinvolgere riguardare sovvertire in primo luogo queste aree, questi soggetti (preti, suore, curia) queste strutture (seminari, conventi) che per numero, estensione, qualità e potenzialità ricettiva valgono nell’insieme 10 volte le strutture d’accoglienza laiche (alberghi, pensioni e b&b).
Occorre un grande terremoto dello spirito per riportare alla vita le risorse della città morta, del cattolicesimo possidente, bigotto, tetro,
c’è un solo soggetto, un solo uomo che oggi con un solo gesto può fare il miracolo di liberare la città dalla cappa cattolica e aprirla ai nuovi fermenti, ed è il papa,
questo gesto esemplare chiaramente sarà quello di aprire per sempre, abbattere, il cancello del Seminario in via Arena,
e riaprire la pubblica via e restituire alla comunità tutta l’enorme area della città proibita, e le sue connessioni su colle aperto, cittadella, mascheroni e salvecchio.
La zona più elevata della città tornerà ad essere il quartiere pubblico per eccellenza, come era in origine, quando via arena portava all’arena romana, distrutta nell’800 proprio dalla curia per costruirci sopra il seminario,
e questo mastodontico seminario, oggi vuoto e sterile, se aperto e convertito in ostello internazionale, potrà accogliere studenti, artisti, musicisti, viaggiatori, ed essere l’avamposto della riqualificazione della città come vera città d’arte e cultura,
in questo modo, aprendosi, condividendo e ospitando, la chiesa, la curia potrà dire di svolgere il suo vero ruolo, ecumenico, d’accoglienza,
e la parola “cattolico” riprenderà il suo significato autentico, originario, di “universale, aperto a tutti, accogliente”.
A quel punto non sarebbe più così vergognosa l’etichetta di città cattolica.
Se il clero apre le sue case, esce dal suo isolamento, tutta la città si apre ed esce dal suo isolamento. Una rivoluzione, uno scenario impensabile per la curia bergamasca.
Ma non per quella romana.