47 TFIC – 18 mission impossibile

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 ark16

18 Mission impossible

il writer-agente speciale 007

Chiamo mission impossible i lavori in extremis, da fare con  il conto alla rovescia, con remunerazione  adeguata ai risultati, dove la missione è rifare, ribaltare completamente in poche ore un lavoro sbagliato, prodotto da un team o una grande agenzia nel corso di mesi.

Qualche esempio.

Siamo nell’aprile del 2005, mancano cinque giorni alle elezioni regionali, e io sto ancora dormendo quando mi telefona Vania Russo, titolare di una piccola agenzia pubblicitaria.

Mi dice che la sua segretaria (ragazza bionda bellissima dal carattere durissimo, una vera ariana val brembana doc) vuole vedermi con urgenza.

Questa Ivana si è innamorata di un simpatico imprenditore/politico, tale Giosuè Frosio, mobiliere (arredobagno) e sindaco verde (verde padania) della Val Imagna, il quale si è candidato alle elezioni per il Pirellone.

Nella lista dei candidati occupa un ruolo di outsider, il suo compito è quello di portare al partito quel migliaio di voti sicuri del paese di cui è sindaco. Per essere eletti occorrono sette/ottomila preferenze.

Mi mostra la campagna elettorale del candidato Frosio (fotografie, volantini, santini) e vedo che abbiamo un candidato “impresentabile”: brutte le foto, sgrammaticato e insignificante il testo del volantino.

Gli dico di chiamarmi la prossima volta, quando ha intenzione di essere eletto, perché da quello che ha fatto sinora deduco che sta concorrendo per sport.

Servirebbe un miracolo, ma Ivana crede al miracolo, ha miracolosamente trovato una serie di spazi radiofonici last minute ed è convinta che io potrei fare il miracolo inventando e registrando degli spot vincenti, il tutto in poche ore, perché la programmazione inizia la sera stessa.

Avendo fame, accetto comunque di andare a pranzo con Ivana e il candidato Frosio, e devo ammettere che mi è anche simpatico, un po’ sbruffone, mi fa fare il giro della Valle Imagna sul Bmw cabrio aperto anche se siamo a inizio aprile e in montagna, così mi metto al suo livello e gli propongo un patto da creativo sbruffone:

realizzerò i comunicati radio per lui, ma mi deve dare carta bianca assoluta su contenuti e creatività, in cambio mi pagherà, e subito, solo se verrà eletto. Accetta subito.

Sono già le quattro, ho circa tre ore, per prima cosa bevo tre Tennent’s, poi chiamo l’amico Pianetti, gli dico di farsi prestare un registratore decente da qualcuno dei suoi amici musicisti e gli dò appuntamento in una pasticceria di Colognola.

Al banco c’è una signora gentile con la figlia avvenente, nel retro-laboratorio il padre-padrone che inizia a bestemmiare coi suoi apprendisti pasticceri quando c’è ancora buio. Sarà il mio speaker. In mezz’ora gli faccio registrare (buona la prima) i tre spot che ho scritto su un tovagliolo di carta bevendo le Tennent’s.

1) Teeee, belo!Anderesét in ndoè te ades? a otà chi?
ta set bergamasch a te, com a me, a nsé capes sobet noter, o no?
e agliura: VOTA LEGA! SCRIF SO FROSIO! HET CAPIT?

2) Scolta! Go dom a inte seconcc per contatela su: comincia a contai, e intant che ta contet, CAPESELA! VOTA LEGA! SCRIF SO FROSIO! HET CAPIT?

3) Te, oregia! Rampa fo la crisi, che an se amò in temp! Salta fo macarù! Fa andà i manine VOTA LEGA!  SCRIF SO FROSIO! HET CAPIT?

Per chi non masticasse la lingua e il genere, qualche spiegazione.

La prima cosa è la captatio benevolentiae, un’operazione che nella comunicazione dialettale orobica, impregnata di cultura del lavoro, è più che altro una captatio malevolentiae gridata con astio:
Teeee, belo! Scolta! Te, oregia!
Viene poi il punto della questione, una domanda in forma minacciosa:

Dove andresti adesso? A votare chi? Ho solo venti secondi per contartela su!

Quindi l’ordine abbaiato con fuoco: comincia a contare, e mentre conti, capiscila! Rampa fuori dalla crisi che siamo ancora a tempo! Salta fuori, maccarone, fai andare le mani! VOTA LEGA!  SCRIVI FROSIO! HAI CAPITO?

I tre comunicati radio sono destinati a Radio Zeta, una radio con un pubblico “popolare”, che trasmette musica anni sessanta, liscio e mazurke comprese.

La strategia è quella di rivolgersi “emotivamente” a chi già vota Lega per ottenere la preferenza, dunque comunicati in lingua dialettale, con tono e contenuto quotidiano, ricalcando forme tipiche di dialogo, la comunicazione secca, coattiva, “senza tanti discorsi” e “pane al pane”.

È una strategia in primo luogo musicale: considerando gli altri comunicati radio, seri e monotoni, il nostro deve risaltare per differenza e varietà tonale.

Ogni venti minuti viene trasmesso un comunicato, l’idea è quella di creare un refrain, un motivetto, un’aspettativa e un meccanismo seriale, con i tre comunicati che si alternano nel ciclo orario.

Si tratta di un’operazione di comunicazione “o la va o la spacca”, mirata a scardinare le convenzioni di genere.

Il genere comunicati radio elettorali è solitamente segnato da una specie di contraddizione, incomprensione, tra il cliente e il creativo, che non è mai libero di creare, anzi, gli viene chiesto di ingessare, rendere formale il discorso “perché la politica è una cosa seria, ci vuole rispetto” (parlo per esperienze precedenti, con grandi agenzie nazionali, per deputati di destra, centro, sinistra).

Diciamo questo: a prescindere dallo schieramento politico, la prima preoccupazione del candidato è sempre quella di non prendere in giro l’elettorato, o meglio, di non dare a intendere che sta prendendo in giro l’elettorato.

Viceversa, l’elettorato sa benissimo “che è tutta una presa in giro”.

L’operazione Frosio gioca proprio questa carta: si mette dalla parte dell’elettorato, e nel dichiarare smaccatamente di essere una presa in giro costruisce la propria credibilità e distrugge l’apparente credibilità degli altri comunicati.

La vera forza del messaggio, chiaramente, è la lingua. Questo parla come noi. Così per tre giorni Radio Zeta martella la bassa e le valli con queste tre perle.

Si va a votare. Al termine delle operazioni di scrutinio, il candidato Frosio risulta eletto con 7000 preferenze, subito dietro al capolista Belotti, mio omonimo, appoggiato dalla curva dell’Atalanta, che ne ottiene 10.000. La comunicazione è stata efficace.

Ma il consigliere Frosio non mi telefona entusiasta appena sa la notizia.

Non mi fa i complimenti. Non mi risponde al telefono. Vengo a sapere che è stato eletto leggendo il giornale.

Purtroppo, come spesso accade dopo un’applicazione creativa particolarmente performante, si è verificata un’eterogenesi dei fini.

Il consigliere Frosio, invece di capire l’importanza della comunicazione che l’ha proiettato da 1000 a 7000 preferenze in tre giorni, capisce l’importanza di sé, comincia ad atteggiarsi a uomo politico, si compra un gessato, si sforza di parlare a bassa voce e in italiano, cose che non sa fare, cerca cioè di trasformarsi nell’opposto dell’immagine che è risultata vincente.

Non accetta il ruolo di rospo della politica, crede di essere diventato un principe.

Devo andare ad affrontarlo a muso duro in pubblico per farmi dare il dovuto.

Dopo una discussione mitica, con i suoi fedelissimi pronti a farmi a pezzi, ottengo 3/4 di quanto pattuito, più qualche insulto presto dimenticato, più un senso di colpa cresciuto nel tempo, più una storia da raccontare un giorno agli amici.

Crisi.

imago: architetture sospese by J.Gandossi

47 TFIC – 17 naming

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ark14

17 The naming specialist

in principio era il verbo

A un certo punto, mi ritrovo a dover lasciare il rosa causa infortunio sul lavoro: essendo stato “mollato” dalla tipa (dopo dieci anni di sesso-fuga d’amore- due cuori e una capanna – l’attico a rate – la moto nuova – un certo imborghesimento) in piena crisi da maschio abbandonato anche solo l’idea di scriver la parola “ti amo” mi fa venire il voltastomaco;

così in cerca di scritture “senza passione”, che non richiedano “il cuore”, comincio a  lavorare all’architettura narrativa di videogame e cd-multimediali, non è per niente semplice.

Poi mi viene offerto di lavorare alla Thompson, la grande agenzia, come copy senior del below the line, che sarebbe una sezione della catena di produzione creativa.

E’ il sogno di tutti, stipendio sicuro, carriera, soldi, gratificazioni sociali.

Ma devi fare una vita da caserma, devi vivere lì, in questa location eccitante che ti porterà a depressione sicura.

Come sempre succede, quando rifiuti un posto sicuro non ti preoccupi perché hai molti lavori free-lance, ma puntualmente questi lavori spariscono e ti ritrovi pentito e piagnone.

Com’è, come non è, dopo aver rifiutato questa proposta-Thompson, passo veramente un paio d’anni in depressione, tutto il giorno a letto a fumare le Marlboro Lights, spendo tutto quello che avevo, vendo la casa, spendo tutto, alle banche chiedo mutui specifici come scrittore in crisi d’ispirazione, non li ottengo, così mi tocca alzarmi e andare a cercare lavoro.

Chi mi aiuta in questi momenti di crisi nera? Forse qualche fondazione europea? Qualche assessorato comunale alla cultura? Nessuno.

Crisi.

Poi trovo un vecchio art director scoppiato, A.T., uno dei “padri” della pubblicità italiana.

Sue citazioni preferite:

“L’immaginetta della Madonna è la base della pubblicità”

“La pubblicità è il vangelo del dio denaro”

“Nel paradiso terrestre il sesso serpeggia ovunque”

“Il quieto vivere è meglio della lotta sociale”

“Il lavoro base è la costruzione del super-io”

“La psiche è come il maiale, non si butta niente”.

Questo vecchio art in passato mi ha chiamato qualche volta per lavori di “”naming”, cioè trovare il nome a qualche nuovo prodotto, più tutta la salsa semiologica intorno, un lavoro che ti rende mille-duemila euro, e cinque volte a lui che, magari dopo aver corretto un po’ la salsa, “vende” il tutto alla grande agenzia, la quale a sua volta gli mette intorno la sua salsa e fattura al cliente il quadruplo del costo.

Sia chiaro che alla fine tu vedi i mille euro solo se viene scelto il tuo nome.

La grande agenzia ha magari in giro tre o quattro sub-fornitori di creatività i quali hanno in giro altrettanti copy.

L’agenzia non fa altro che scegliere e convincere il cliente, o il dirigente markentig dell’azienda cliente. Incassa ventimila, paga cinquemila al vecchio art che paga mille a te, mentre gli altri diciannove creativi in proprio hanno lavorato gratis, sperato invano, e quando va bene hanno preso un “rimborso” di cento o duecento euro.

Effettivamente tu alla fine, tra vocabolari e settimane enigmistiche e frittura della salsa, hai lavorato un paio di giorni.

Il dirigente-art ha svolto un po’ di lavoro di psiche, dovendoti dare gli input e dovendoti “caricare”, e dovendo poi anche “persuadere” l’agenzia.

L’account dell’agenzia fa identico lavoro, caricare l’art e scaricare sul cliente.

Morale, mi chiama questo vecchio art, e mi dice: c’è da fare il lavoro base per un cliente che opera sul mercato della politica.

Bisogna sapere che questo art director ha iniziato a fare il pubblicitario alla fine degli anni Cinquanta, dopo la chiusura dei bordelli, spiegando alle prime lucciole di posizionarsi sul lato destro dei sensi unici in uscita.

Oggi non sa usare un computer e quasi nemmeno un telefonino, però è riuscito a convincere De Michelis ad andare dal barbiere e a rimettersi in politica.

Così scrivo un po’ di slogan politici per il nuovo PSI, ma soprattutto faccio il copy per  enti che una volta si chiamavano sindacati e oggi hanno come missione base quella di far pagare le tasse ai lavoratori (precari).

Crisi.

Viene un momento, nel corso della carriera dell’aspirante writer, nel quale ci si rende conto di essere, da un punto di vista professionale, nella stessa situazione di una prostituta di lusso, tutti vogliono venire a letto con re, ma nessuno vuole sposarti.

Questo ti duole, perché professionalmente parlando continui a credere nell’amore, e sogni un matrimonio d’amore, e continui a sperare di incontrare il tuo Adriano Olivetti, e diventare un big letteratura-industria.

Crisi.

imago “architetture sospese” by J.Gandossi

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 11

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Pierina

11 Paraletteratura cattolica

Le opportunità dell’iconografia cristiana

Un grande art che mi ha fatto da magister (oltre che farmi lavorare con lui per alcune agenzie storiche) il primo giorno nella grande agenzia mi ha detto:

adesso ti porto in un posto dove ti terrò una lezione sostitutiva dei 4 anni di scienze della comunicazione o similari.

Mi ha portato in una chiesa.

Tra una bestemmia e l’altra, mi ha detto: l’immaginetta della Madonna è la base della pubblicità, qualsiasi foto pubblicitaria si basa sull’arte sacra, qualsiasi spot non è altro che il remake della scena di Adamo ed Eva, dove tu, il pubblicitario, fai la parte del serpente.

Nelle vite dei santi ci sono già tutti i miracoli del nuovo rasoio, del nuovo detersivo, della nuova sottoveste.

Ti serve un nuovo eroe, un testimonail ideale? Cerca il santo giusto, riportalo in vita, efficacia garantita.

Nell’iconografia sacra, composizione, taglio immagine, toni, uso della luce c’è già tutta la pubblicità di moda. D’accordo.

Quello che non ho ancora capito, e che lui si è sempre rifiutato di spiegarmi (lo capirai da solo) è come mai questo ricchissimo patrimonio narrativo-iconografico, sia oggi così poco e male utilizzato dall’azienda in questione (la chiesa).

Mi spiego. Fino al Sette-Ottocento l’iconografia sacra è stata il media-linguaggio leader,  continuamente rinnovato. Con l’arrivo dei linguaggi laici, dell’arte laica, dell’immagine laica, dagli impressionisti in poi fino alla pubblicità, alla fotografia, alla tv e al web, il linguaggio del messaggio-azienda cattolico ha smesso di evolversi.

La mia domanda è: perché l’immagine cattolica è così vecchia, triste, perché le immaginette sono ancora quelle degli anni Cinquanta, perché qualsiasi cosa dal bollettino parrocchiale ai paramenti sacri è rimasta ferma a un gusto superato, poco attraente?

Sono convinto che rinnovare il linguaggio arte sacra-immagine coordinata del leader di mercato religioso – la chiesa cattolica – sia una dei pochi grossi business di comunicazione rimasti.

Ogni volta che mi capita di lavorare per qualche azienda del gruppo Vaticano ci provo.

Così, quando un editore cattolico mi chiede testi e idee per un libro fotografico sulle chiese barocche della diocesi, propongo e realizzo un format inedito, una specie di foto-romanzo devozionale di gusto contemporaneo

(cos’altro sono i servizi moda di Vogue dove un’allucinata anoressica seminuda si aggira con espressione mistica in qualche location straniante?).

Le immagini delle diverse basiliche illustrano brevi “romanzi paralleli” che hanno questo schema: il narratore è un peccatore che in prima persona, in flusso di coscienza-preghiera, tra i banchi della chiesa, confronta le vite dei santi del posto e la sua vita di peccatore moderno.

Il libro viene pubblicato e dato in omaggio a decine di migliaia di persone (non ricordo se correntisti di una certa banca o abbonati di un certo giornale o entrambe le cose).

Vengo a sapere che piace molto al segretario del vescovo, un po’ meno al vescovo.

Accetto di scrivere testi per un Museo Diocesano, ho un mio tavolo nel centro studi che fa parte della struttura, ma dopo due giorni nella cripta circondato da memento mori sono già sessualmente frustrato come quelli che ci vivono da vent’anni.

Esco a bere un caffè e quando rientro scrivo: “Malattie stagionali primaverili/ la città comincia a pullulare di donne mozzafiato e tu soffri d’asma: raffreddore da figa”.

Fine della mia esperienza di Church-writer. E pensare che ero già diventato papista, e propugnavo la Chiesa come committente di ogni opera della spirito.

Crisi.

In seguito, in varie occasioni ho proposto a fotografi amici, sempre in cerca di temi per un calendario fotografico, di realizzare un calendario (con modelle, location, abiti e truccatori) di sante e santi da riscoprire, adatti ai tempi.

Più d’uno si è molto eccitato all’idea, che poi non ha avuto seguito. Troppo difficile.

Crisi.

Più recentemente con Athos Mazzoleni e Mattia Dal Bello, per far vedere questa mia idea dell’attinenza tra arte sacra e fotografia di moda, ho creato una performance e un video dal titolo “Macabre Dance 2011” (visibile in http://vimeo.com/34066507) dove un affresco capolavoro d’arte sacro-funeraria medievale (la Danza Macabra di Clusone) viene affiancato da affissioni di pubblicità moda, con effetto di doppia perversione, per cui le pitture sacre paiono sexy mentre i modelli delle griffe si rivelano macabri.

L’abbiamo mandato al premio arte Laguna, sezione video-art, alla selezione finale la giuria si è divisa, niente premio.

Crisi.

Nel contesto barocco delle basilica, però, mi viene una nuova idea. Creare un gruppetto di musica pop, i cattogay, che sono tre chierichetti, con incenso, campanellino e smorzacandele, che canticchiano un motivetto tecno-dance che ha come testo: mi pento e mi dolgo, o Gesù d’amore acceso, non ti avessi mai offeso, e altri catto-haiku.

Lo proponiamo a Gian Franco Bortolotti, già produttore di hit dance come “Touch me” con la sua etichetta “media records”.

A Bortolotti l’idea piace, mi chiede di scrivere il testo definitivo mentre lui cerca gli interpreti adatti. Sul più bello un giorno leggiamo sul Corriere: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati”, recita Madonna nel suo nuovo album in un brano-confiteor che si intitola non a caso «I’ m a sinner» («Sono una peccatrice»). Il disco esce il 26 marzo in tutto il mondo. Promette faville, anzi di più, visto che ha totalizzato il più alto numero di prenotazioni della storia di iTunes.

Fine del progetto “mi pento e mi dolgo”.

Crisi.

Dopo quest’ulteriore delusione, ho scavalcato il fosso, mi sono immedesimato nel prossimo papa, Leone XIV, e ho scritto un’enciclica, la Rerum Novissimarum, versione turbo della Rerum Novarum ottocentesca di LeoneXIII, sorta di manifesto degli indignati cattolici, in opposizione al conservatorismo destrorso di Papa Razzi.

Chi poteva prevedere di essere scavalcato dalla realtà, e ritrovarsi un vero papa super-sovversivo come il mitico Cecco della Pampa?

Crisi.

(imago: Anima Virgo-Pierina Morosini by Athos Mazzoleni,

prove d’immaginetta per NaturalMente2013)