Chi è nato in una famiglia operaia o popolare
fin da bambino ha vissuto il cibo come crescita, come quantità,
come materia prima da ingurgitare per soddisfare l’amore protettivo.
Poi, raggiunta l’età adulta e un modesto benessere,
per mutare la quantità in qualità, la sazietà in piacere
e sentirsi ancorato al materialismo dell’origine,
si dedica alla cucina domestica e diventa Chef,
manipola tradizione e innovazione, natura e religione,
identità femminile e maschile, territori e recinti linguistici
con carni, pesci, verdure, paste e spezie,
diventa un propagandista dell’ideologia del cibo.
L’alimento, il cibo, è informazione e nello stesso tempo energia
che può essere trasmessa per comunicare valori e rafforzare la percezione di benessere.
La sua qualità intrinseca e le sue valenze simboliche possono essere utilizzate
per trasformarlo in veicolo di contenuti intangibili e immateriali
così, finalmente, è data l’opportunità a nullatenenti di tutte le età,
di ogni sesso, religione e colore
di potersi liberare dal bisogno
e nutrirsi di pensiero commestibile.
Ammettiamolo: il pensiero rivoluzionario è confluito nel cibo
grazie ad un esercito di ex rivoluzionari che sono diventati Chef.
Hic Rhodus hic salta
B.Horn
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