se vogliamo realmente parlare di pubblicità e pudore, dobbiamo spiegare la differenza tra adv assoluta e adv relativa:
un’inserzione apparentemente innocua e blandamente adulatoria (in assoluto) se posizionata (relativizzata) nel posto sbagliato, diventa stomachevole, offensiva, ripugnante;
un esempio di questi giorni: pagina di cronaca dell’autorevole quotidiano nazionale, da sinistra a destra 3 grandi titoli-immagine catturano la vista e la mente (e la pancia):
1) la donna-angelo Eleonora Cantamessa uccisa dai banditi-mostri;
2) la donna-sfregiata Lucia Anniibali deturpata dall’ex partner-mostro;
3) la donna-fata turchina Annabella, che risorge cambiando la vecchia pelliccia-mostro!
Sia sfogliata rapidamente, che letta integralmente, la pagina nell’insieme ha un effetto immediatamente grottesco: “Ti hanno uccisa o sfregiata? E tu cambia pelliccia!”
Come le bombe, la pubblicità colpisce dove cade, come un virus, o un propellente, agisce nel contesto, nel tessuto che la sorregge, che siano le sequenze di un film-contenitore, le piazze di una città o le pagine di un giornale.
I criteri con i quali vengono affiancate e di fatto associate notizie e promesse-slogan, informazioni e pubblicità, sono più importanti dei contenuti stessi, ai fini dell’effetto di comunicazione;
Dunque è piuttosto inutile che il gran giurì della pubblicità emetta sentenze primordiali, di facciata, giudicando se un’immagine o una frase è lesiva in assoluto, in vitro, in astratto;
qui non ci interessa giudicare le male intenzioni degli inserzionisti nel caso specifico (ma potrei mostrarne dieci al giorno)
o l’insensibilità o la malizia delle concessionarie che vendono gli spazi
o l’ignoranza delle redazioni (letterale: chi scrive gli articoli non sa con quale sponsor si accompagneranno)
o l’irresponsabilità di fatto dell’editore:
quello che non accettiamo è il risultato, l’effetto, la nemesi,
la pubblicità, accolta come cura per far vivere l’editoria d’informazione, è invece la malattia che la inquina e la fa morire.
Qualcuno ha scritto: “saper dosare pudore e crudeltà è l’arte dei poeti e dei pittori, la loro funzione sociale”.
Oggi questa “mission” è affidata agli uffici marketing, e ai loro bassi scopi, con i risultati che vediamo.
Se io fossi la donna uccisa, o la donna sfregiata, mi leverei furiosa dal letto, dalla tomba, a chieder danni e risarcimenti, e all’editore e all’inserzionista, da devolvere ad associazioni impegnate sul tema:
poiché l’unica finalità del raccontare e condividere la mia tragedia, è quella di sostenere le donne vittime di violenza, non il fatturato di una pellicceria.