Va bene, mi hai provocato, ti racconto la mia vera storia, poi ci penserai due volte prima di darmi del povero bastardo cagasotto.
Mi chiamo Otto e sono un lupetto bastardo.
Il mio primo ricordo è una mano umana che mi prende dalla cesta e mi infila in un sacco di juta insieme ai miei sette fratelli
per poi tirarci fuori dopo una mezz’ora in un campo gelato per ammazzarci a bastonate
prima uno poi l’altro poi il terzo poi il quarto il quinto il sesto e il settimo mentre io per pura fortuna mi infilavo nel buco di una talpa.
Fuori nel mondo crudele sentivo questa voce di uomo che gridava: erano otto, ne ho ammazzati sette, dove sei numero Otto? Dove sei scappato, Otto?
Questo è stato il mio battesimo.
Nel buco della talpa sono rimasto per sette giorni, mangiando i ranocchietti e le lumachine che la vecchia talpa padrona di casa mi metteva davanti al muso. Le erano morti recentemente i suoi due talpini.
All’età di due mesi, mentre facevo le mie prime piccole escursioni fuori dal mio bozzolo di cane-talpa, sono stato preso e portato via da due tipi, il tipo e la tipa, i quali tra di loro si chiamavano proprio così: ehi tipo, scusa tipa.
Sono stato con loro un paio d’anni in una mansarda in un vecchio quartiere. Poi loro si sono lasciati. Lui l’ha mollata. Non ti reggo più, tipa. Io sono rimasto con lei.
Le prime sere non faceva che tenermi abbracciato, piangere, e dire: bastardo.
Poi c’è stato un periodo in cui si è messa a bere. Da ubriaca, mi prendeva a calci e mi diceva: bastardo.
Effettivamente lei non mi ha mai voluto bene. E’ con lui che io mi divertivo. E’ con lui che mi capivo.
Ma un cane non si sceglie il suo padrone.
Un povero bastardo deve prendere quel che viene.
tratto da “upper dog – le avventure di Otto e Bea – Calepio Press 2008 – disegno di http://www.jennifergandossi.it/home.html