2 soci 2 case history

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LeaP1869

Poter scrivere la vera storia di un prodotto, un marchio, un’azienda sarebbe un grande passo avanti nell’ecologia di comunicazione,

la case history 100% autentica non esiste, è come per i vangeli, ci sono quelli approvati, e quelli apocrifi,

se l’azienda è nuova e non ha una case history, la devi inventare,

se l’azienda è vecchia per rinnovarla si comincia riscrivendo la case history,

se i soci sono due, abbiamo sempre almeno due case history:

come nel caso esemplare della salsa di Lea e Perrins che qui sveliamo:

bottiglino etichetta arancione, indispensabile per fare il Bloody Mary,

è un curioso antenato della food globalization che oggi potrebbe riciclarsi come food vintage, o forse anche come prodotto del commercio equo-solidale,

con quella lista degli ingredienti che sembra un viaggio dell’800 con la compagnia delle indie orientali:

si parte dalla vecchia europa (cipolle inglesi, scalogno olandese, aglio francese, acciughe spagnole, aceto italiano)

e dopo tre anni d’invecchiamento si (r)aggiunge il nuovo mondo, l’africa e l’oriente (canna da zucchero dei caraibi, chiodi di garofano africani, peperoncino cinese, tamarindo indiano)

La versione ufficiale della storia della salsa worcester dice che John Lea e Wil Perrins erano due farmacisti di Worcester

che nel 1835 partorirono con totale serendipity il monstrum nel tentativo di riprodurre una salsa indiana provata sotto le armi in giovinezza nel Bengala:

l’intruglio realizzato era orribile, lo dimenticarono in cantina, e dopo tre anni lo ritrovarono fantastico, e lo misero in produzione e in commercio.

Tuttavia, guardando la lista degli ingredienti, risulta piuttosto accreditata anche la versione non autorizzata della case history Lea&Perrins:

la versione apocrifa  mi è stata raccontata da un “ancient mariner” in una taverna nei pressi dello storico stabilimento nel 1988: tutti conoscono la versione di Perrins, il prudente Perrins, ma io so anche la versione di Lea, l’incosciente Lea, che la raccontò al nonno di mio nonno

la versione di Lea  parte dal fatto (appurato) che Lea&Perrins oltre che farmacisti erano armatori, e la nave di loro proprietà caricava spezie sulla rotta delle indie:

un bel giorno il cuoco di bordo, per vendicarsi della ciurma che non apprezzava le sue minestre, ebbe l’idea di usare per fare il brodo della zuppa il secchio di acqua sporca che il mozzo aveva utilizzato per lavare certi barili (che avevano contenuto tamarindo, acciughe, etc):

il risultato fu sensazionale, e i due armatori-farmacisti, saputa la vicenda, si misero a replicare e vendere l’intruglio come insaporitore per minestre, carni e bloody mary.

Con ogni probabilità, esistono ingredienti di verità in entrambe le case history.

Oggi, dopo quasi 200 anni di presenza sul mercato, la salsa Worcester LeaP.  è ancora molto diffusa nei paesi wasp, poco usata in quelli latini, dove ha un target di nicchia,

essendo molto amata da individui soggetti a perversioni alimentari di vario tipo:

cito un barman della bassa, già creatore del Dirty Martini Long (cocktail martini con acqua di salamoia delle olive) che ha recentemente creato il Mary Naked (50% LeaP + 50%vodka, niente pomodoro)

quindi una signora ultraottantenne, ospite di una casa di riposo, che mi ha rivelato di farsi “prima di andare a dormire, per equilibrare l’acidità” uno shoot 50% aceto vino rosso (no balsamico!) e 50% LeaP

e infine un ex pizzaiolo che mi ha confidato “uno schizzo di LeaP” nella passata, e “se sei alla ricerca del tempo perduto, ritrovi il sapore della pizza catarì degli anni di piombo”.

(imago: ad Lea&Perrins 1869)

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 12

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12 case history writing

il biografo aziendale

Se proprio vuoi essere pagato per scrivere romanzi, l’opportunità più concreta è diventare uno scrittore di case history,  biografie aziendali,

non devi far altro che considerare l’azienda come un romanzo, tutti i generi risultano utili, dal romanzo di formazione alla saga familiare (dal mitico fondatore ai nipotini-mecenati).

Tutto può iniziare dalla classica paginetta che ti chiedono per la brochure o il sito, chi siamo,  la nostra storia.

Quella deve essere l’occasione per colpire al cuore l’imprenditore facendoti raccontare la sua storia e riscrivendola con belle parole, con richiami al quadro della grande storia, dandogli senso e dignità

e aprendo la strada, a seconda dell’età e delle aspettative del committente, a un volume sulla storia dell’azienda (tenere d’occhio i centenari) o a un libro autobiografico di memorie d’impresa.

Importante fargli capire che lavori come loro, produzione, consegna, tempistica,

dopo avergli dato un assaggio deve scattare il progetto con preventivo, gli devi promettere un libro firmato da lui in 2-3 mesi, con incontri-interviste settimanali o mensili, 30% anticipo e saldo alla consegna.

Gli inconvenienti, chiaramente, sono all’ordine del giorno.

Mi è successo, ad esempio, dopo aver intervistato per due mesi un riservato e ricchissimo signore, di quelli mitici, che hanno iniziato a lavorare a 12 anni e per una serie di motivi (boom economico) si sono ritrovati dapprima a mettersi in proprio, poi col cognato e il fratello, poi con un dipendente, poi cinque, poi venti, poi il capannone, e in breve alla soglia dei settanta si ritrovano plutocrati, a guidare società per azioni con sedi in mezzo mondo,

mi è capitato, dicevo, che una volta consegnatogli il suo libro, con la sua storia, con le sue parole, questo signore, leggendolo, sia entrato in una crisi d’identità tale per cui non ha più voluto vedermi, né stampare il libro,

e abbia invece cominciato ad andare dallo psicologo.

Questo succedeva diversi anni fa.

Crisi.

In ogni caso, il momento giusto per l’entrata in scena del biografo aziendale è al cambio generazionale.

Bisogna capire subito la situazione: se i figli vogliono giubilare il boss, il libro è l’occasione perfetta per togliere dai piedi il vecchio; se invece il boss è saldo e i figli un po’ ciula, il libro è lo strumento ideale per mettere le cose in chiaro e rimettere i bamboccioni scalpitanti al loro posto.

Sbagliare mossa o referente, dire la cosa sbagliata alla persona sbagliata – e succede facilmente perché ogni azienda/famiglia è sempre una dinasty con un magma di faide e invidie sotto la patina della grande favola,  ti pregiudica  il lavoro, indipendentemente dalle tue capacità.

C’è poi il caso dell’imprenditore senza figli che ti dice: si, mi piacerebbe, lo farei se avessi figli e nipoti:

devi essere pronto a ribattere: un motivo in più per lasciare ai posteri nero su bianco la propria eredità morale, la propria storia.

C’è il caso dell’imprenditore che dice: ne avrei non uno, ma dieci di libri da scrivere su quello che ho visto nel mio ramo.

Gli dirai: cominciamo dalle radici.

C’è quello che dice: mi piacerebbe, ma non ho nessuna storia da raccontare, ho iniziato trent’anni fa a fare guarnizioni per frigoriferi, e per trent’anni non ho fatto altro.

Gli dirai: ha mai pensato che ognuna delle guarnizioni da lei prodotte è entrata in una casa dove una famiglia ogni giorno ha aperto quel frigo, se raccontassimo la storia di una sola di queste guarnizioni avremmo già un romanzo sulla vita italiana, grazie a lei.

Il caso più difficile, non raro, è l’imprenditore che a questo punto con gli occhi lucidi ti dice: sì, ho sempre sognato di scrivere un libro, ma non le mie memorie, a chi importano, invece vorrei scrivere un libro su….

Devi bloccarlo, prima che continui a parlare.

Il vero pericolo è lavorare gratis.

Già lo fai per te stesso, vorrebbero che lo facessi anche per loro, che del resto ti danno gratis l’idea.

Loro non vogliono fare un libro per guadagnare dei soldi, ma per amore dell’arte, eventualmente i proventi li diamo in beneficenza,

e chiaramente vorrebbero da te lo stesso approccio.

La risposta giusta sarebbe: bellissima idea cavaliere, la capisco,

pensi che io scrivendo libri da una vita ho sempre avuto il sogno di guidare un’azienda,

allora facciamo così, per i prossimi sei mesi mentre lei si dedica a tempo pieno e gratis al romanzo, io nel frattempo le guido l’impresa e incasso utili e dividendi al posto suo,

potremmo scambiarci anche la casa e la macchina, per realizzare fino in fondo questo sogno.

Gli metti sul tavolo le chiavi della tua Fiesta, e prendi quelle della sua Cayenne.

C’è stato anche uno che mi ha detto: affare fatto!

Solo che il Cayenne era della banca, l’azienda perdeva centomila euro al mese,

e alla villa la governante ucraina venticinquenne specializzata in sado-maso era abituata a essere salariata in contanti tutti i venerdì sera,

tutte cose che io non ero preparato a fronteggiare,

abituato il venerdì sera a stare con tenere fidanzate lombarde

che mi portano fuori a cena pagando loro e facendomi anche il pieno della Fiesta.

(imago: Lee Iacocca, manager anni 70 della Chrisler, italo-americano, autore di una delle più leggibili autobio del settore manager-industria,  sottogenere solitamente al top della noia)