l’advertising “ménage à trois” (m3)
imperversa in tv nelle due classiche possibilità:
1) per una società di antennisti abbiamo lui, lei e l’altra
(Belen, quella che ti monta la connessione, mentre la Piccinini è quella che salta)
2) per una casa farmaceutica invece abbiamo lei, lui e l’altro
(quello che passava di lì, come il mal di testa, in capsula).
Lo spot con la Belen, per usare il linguaggio tecnico degli art director di successo,
è chiaramente “uno spot di figa”, destinato al maschio idiota,
mentre lo spot della capsula è uno “spot del cazzo”, destinato alla femmina isterica.
Insieme, il maschio idiota e la femmina isterica, per gli investitori,
rappresentano la coppia campione della società italiana,
che tira avanti a tv e pastiglie, sognando un’amante (che faccia girare la testa).
Lo spot del mal di testa è prodotto dall’agenzia Testa.
Lo spot del trio Belen ha prodotto 30.000 nuovi clienti in 3 mesi.
La domanda tragica è: un popolo ha la pubblicità che si merita?
Come abbiamo potuto ridurci a un livello di aspirazioni così basse?
La pubblicità nasce per vendere automobili (ed altro) come promessa di libertà.
Ma la libertà che viene offerta oggi in Italia insieme all’auto è agghiacciante:
“poi sei libero di restituirla” (per uscire dal tunnel delle rate).
Del resto, la rivoluzione proposta alle nuove generazione è un conto in banca,
mentre gli idoli del calcio consigliano ai ragazzini il gioco d’azzardo on line,
le grandi firme della moda esaltano fragranze che sanno di mercificazione sessuale
e i comici più irriverenti sono stati assunti dalle compagnie telefoniche
per irridere e dileggiare intellettuali, artisti e operai.
La dittatura non si costruisce, e nemmeno si abbatte, in pochi giorni.
Occorrono alcuni anni, ingenti risorse, e molti collaboratori.
Sean Blazer per adv zero/Calepio Press