al volante della macchina da scrivere

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vechciopat4

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si, d’accordo, ero distratto, ho bruciato lo stop,

e il tizio ha dovuto fare un’inchiodata al limite,

l’ho visto fremere, agitarsi, infuriarsi, bestemmiare,

così mi sono scusato con la mano, ma lui mi si è affiancato con rabbia,

urlandomi testa di, vai a fare in, vai a prenderlo in, poi mi ha superato,

e allora ho visto l’adesivo sul lunotto: vettura di cortesia;

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gli occhi delle macchine una volta erano enormi, rotondi, spesso tristi,

poi rettangolari, inespressivi, e quindi trapezoidali, ammiccanti,

oggi potrebbero essere piccolissimi, quasi invisibili, ma poi l’auto

sembrerebbe cieca, e allora si sono rimessi a farli grandi, come occhi;

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lo psicanalista junghiano al bar mi parlava di regressus ad uterum,

l’abitacolo dell’auto come bozzolo, cuccia, cocoon, ventre materno,

io intanto pensavo alle tette da balia, che non si vedono più, le tette da latte;

poi lui ha finito parlando di “uomini avvinghiati ore e ore dentro gusci di latta”

e io, serio: “ha ragione, dottore, abbiamo sempre bisogno di essere allattati”;

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usare la BMW cabrio della fidanzata Bergamo Bene come fosse mia,

potevo anche accettarlo, ma indossare quelle ridicole Car Shoe suole puntinate che quell’anno erano un must, questo no, e mentre discutevamo, ed eravamo

a un tavolino della Marianna, ecco arrivare rombando una Ferrari cabrio,

e un biondo al volante che balza fuori atletico: è Claudio Caniggia, a piedi nudi!

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da decenni il vecchio parroco non si muoveva dal paesino, quel giorno

lo accompagnai a Milano in macchina, e sulla A4, vedendo un furgone di edili superare furiosamente a destra un’auto blu, mi disse: magut non è dialetto,

Mag-Ut è latino, è “magister ut” abbreviato, colui che sa e fa di più, un maestro,

mentre il ministro, “minister ut”, è quello che sa e fa il minimo, cioè un Min-Ut;

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a volte fanno swish swish, a volte flap flap, a volte scretch scretch, i tergicristalli

sembrano tutti uguali, ma sono tutti impercettibilmente diversi, e costosi,

cambiarli è facilissimo, una mollettina e una forcina, un lavoro da un minuto,

ma dopo mezz’ora di bestemmie torni là, e il benzinaio sorride, ti aspettava;

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correre nel corridoio del treno in partenza, in direzione contraria alla marcia,

e salutare una persona attraverso i finestrini, che diventano fotogrammi, e così uscire da una stazione e da una città come da un film, e iniziarne un altro;

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in accelerazione ti senti leggero, lasci tutto alle spalle, l’origine, il passato,

ma è soltanto in certe frenate al limite che fai il pieno di adrenalina

e percepisci la concretezza drammatica della relazione tra te e il mondo;

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vogliamo cantare la velocità, inneggiare all’uomo che tiene il volante,

disprezzare la donna, esaltare l’insonnia, distruggere i musei e le biblioteche:

zitto zitto il Manifesto di Marinetti, e non quello di Marx, è diventato realtà.

(tratto da “Breviario di un vecchio patentato”, fotoromanzo d’autore, testi by Leone Belotti foto by Virgilio Fidanza, edito da Lubrina a margine della mostra “Mezzo corpo immagine” in corso a Brescia, Wavegallery. Prezzo di copertina €20, alcune copie autografate ancora  disponibili in Calepio Press, contact info@calepiopress.it) 

memorie di un vetero patentato

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andare in giro in macchina, per qualsiasi ragione,

è sempre stata la mia unica vera attività intellettuale,

un’attività ormai trentennale, d’abitacolo mobile,

sia per lavoro, di fretta, col nervoso e lo stress,

ma anche senza motivo, a zonzo, in total relax;

dopo una vita al volante, a un certo punto metti la retro, ti guardi indietro,

di tutte le cose viste, percepite, assorbite, ti resta una maglia fitta,

un archivio senza ordine, stratificato, confuso, indistinto,

soltanto rimettendoti lì, al posto di guida, per strada,

nel flusso del traffico, riprende vita il flusso di coscienza;

sempre in cerca di qualche linfa, come uno zombie,

fuori ci sarà qualcosa, fuori di me, al di là del parabrezza,

ci sarà un mondo, una strada, un incrocio, esseri umani e architetture,

tracce di vita e cose gettate fuori, che restano come punteggiatura

sui margini non transitabili della carreggiata;

il mio primo parabrezza, rimediato da una lambretta, nel garage del nonno,

montato sul manubrio della saltafoss con elogiabile spirito d’iniziativa puberale:

mi aggiravo nei dintorni dei capannoni pedalando furiosamente,

a volte si trovavano dei giornalini porno gettati da qualche camionista;

primo giorno con la patente, prima  guida da solo, primo incidente,

il curvone delle piscine preso allegro, decisamente allegro, senza paura,

per un attimo ti senti il campione del mondo Rally, su Lancia Stratos Alitalia,

l’istante dopo il mondo ti va a rovescio, l’orizzonte un’elica di biplano,

e sei un neopatentato ribaltato nella 127 color becco d’oca di tua madre;

il deflettore, insuperato capolavoro di tecnologia funzionale,

ti permetteva di fumare tenendo la sigaretta praticamente fuori dall’abitacolo,

sviluppavi un’abilità digitale particolare, con la sigaretta già accesa

dovevi premere un pulsante a molla, ruotare un maniglino e spingere convinto

per vincere la forza sigillante delle guarnizioni di una volta, e tutto in sincronia,

e con armonia, tenendo la sigaretta in asse, per non scrollare la cenere;

in certe strade secondarie, comunali, intercomunali, sconnesse,

ti ritrovi dietro a un trattore del dopoguerra, arancione, a 15km/h,

guidato  da un vecchiaccio in giacca di fustagno, pacificamente tetro,

il grosso sedere saldato al sedile spartano, in lamiera forata, arrugginito,

archetipo dello sgabello che hai in studio, scintillante di design;

anonimi fossati, che ad Aprile vedevi lussureggiare gravidi d’acqua,

e di notte, d’inverno, con la nebbia e il ghiaccio, temevi t’inghiottissero

a un certo punto, nella stagione dei lavori in corso, spariscono,

diventano marciapiedi, o posti auto riservati per i clienti dei negozi

che nel frattempo sono spuntati, dove prima spuntava il granoturco;

quei viadotti tutto cemento, sembravano usciti da un disegno di Sant’Elia,

li aggredivi a tavoletta al volante dell’Alfetta 1800, con la super 98 ottani,

e con gioia demente buttavi il pacchetto di Marlboro fuori dal finestrino:

adesso guidi una Lexus ibrida, elettrica e metano, e non superi i 50,

c’è l’autovelox,  e nemmeno la cicca delle superlight butteresti fuori,

e il viadotto è penosamente vecchio, triste, fragile, sembra più piccolo,

con le nervature d’acciaio arrugginite sotto l’intonaco sgretolato; (continua)

fine prima puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanzahttp://www.virgiliofidanza.it/