dei tragici effetti dell’imitazione servile

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(in esclusiva per Calepio Press, un intervento di Pakati Tumulti) 

Ascoltavo Petrini parlare tempo fa in modo convincente del commerciante del futuro come di una figura chiave, strategica, del mondo sostenibile, autentico; un soggetto capace di garantire personalmente la bontà del prodotto, dalla terra alla tavola; e anche un comunicatore pro consapevolezza ed evoluzione dei consumatori.

Oggi faccio un giro in centro a Bergamo e vedo diverse attività commerciali che esibiscono piccole pseudo-Christate. Sul web leggo che ai commercianti sono state forniti “oltre 2 mila metri di pellicola plastica che per tonalità richiama il materiale utilizzato per rivestire le passerelle a pelo d’acqua: l’invito è quello di impacchettare le vetrine o creare piccoli allestimenti che evochino l’evento sul Sebino”.

Il problema è che non puoi evocare proprio un bel niente con “una tonalità che richiama” quella vera. Sei già destinato al disastro in partenza.  La pulizia formale è nulla senza la pulizia interiore. Senza l’onestà della sostanza, non potrai mai creare una forma attraente.

Quello che tutti pensano, vedendo queste vetrine, è: pecoroni, siamo dei pecoroni, nessuno di noi avrebbe dato credito a questo povero Christo se fosse entrato in un negozio, con quel suo aspetto da pensionato sociale. Adesso invece che sappiamo chi è siamo pronti al totale servilismo psicologico ed estetico, cioè il peggior servizio che si possa fare a un artista.

Così si svaluta il senso dell’intervento Floating Piers, così fai diventare questo gesto una banale confezione regalo, un pacchettino luccicante.

Bisogna capire che l’arte, specie l’arte contemporanea, non ha la funzione di dilettare con la rappresentazione del bello, ma di scandalizzare, colpire, denunciare, significare, provocare, scatenare crisi di coscienza, e anche di rigetto. Il senso di Christo sul paesaggio è una dimostrazione di impatto 100, l’opposto dell’impatto zero, lo stravolgimento totale dato da un solo grande intervento scombussolante e senza alcuna prospettiva futura. Come certe notti d’amore.

Tu questo non lo puoi capire, tu capisci solo che puoi usare questa cosa come una decorazione.  Hai una concezione decorativa dell’arte,  e forse anche della vita in generale.

Ma Christo si è vendicato, e ti ha riversato contro i suoi stessi nastrini.

La colonna dei portici, inguainata nel simil passerella, è patetica. Angoscianti sono le donne-manichino impacchettate e legate al piedistallo.

I coni di gelato. Io prendo un cono di gelato in gelateria perché mi fa schifo il gelato plastificato industriale. E tu mi metti i coni nella plastica.

Nulla sveglia un ricordo quanto un profumo, hai scritto sulla vetrina della profumeria. E davanti ci piazzi il portarifiuti impacchettato. Indimenticabile.

E cosa mi dice il micro-pacchettino nella vetrina della gioielleria? Mi dice: ma quale diamante, solo la plastica è per sempre!

Capisci adesso il tuo peccato, la tua arroganza? Tu hai pensato: cosa ci vuole, so bù a me, possiamo anche noi, impacchettare qualcosa, siamo anche noi artisti. Ecco i risultati. L’intervento non solo non è attraente, ma risulta per lo più repellente.

Ti squalifica culturalmente, perché ti presenta come uno che vuole palesemente cavalcare l’onda del momento, però senza mai aver messo piede su una tavola da surf.

Tu dovresti fare la guerra alla contraffazione, alle imitazioni servili, ma con questo gesto ti dichiari come imitatore, come impacchettatore, e non mi dice belle cose sulla tua autenticità,  sulla qualità dei tuoi prodotti: se il packaging è un’imitazione pretenziosa, come sarà il contenuto?

L’unico merito di questa vestizione, paradossalmente, è nel mettere a nudo la condizione di miseria spirituale del commerciante contemporaneo.  Dovrebbe essere il soggetto, l’esempio dell’essere attraenti. E invece indossa cose copiate, e di fatto non si sa vestire.

Per arrivare al commerciante evocato dal discorso di Petrini,  c’è davvero tanto da lavorare.

L’unico impacchettamento “artistico” capace di evocare Christo che un commerciante potrebbe fare – un gesto allo stesso tempo semplice ma sconvolgente, e non soltanto decorativo –  sarebbe quello di impacchettare il registratore di cassa, con tutto ciò che ne consegue…

(Pakati Tumulti è originario di un’antica famiglia di mercanti pakistani. Ha studiato ad Harvard ed alla Bocconi. Dopo aver lavorato per grandi società multinazionali, è oggi uno dei più autorevoli consulenti marketing del terzo settore. Lavora per enti non governativi e organizzazioni no profit tra Milano, Londra e New York)

fotografie (courtesy from CTRL) di Nicola Carrara,  http://www.nicolacarrara.photography

sullo stesso tema, vedi anche:  http://www.ctrlmagazine.it/christo-ci-ha-impacchettati-tutti-senso-di-the-floating-piers/

 

 

 

il fantasma del Sentierone

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Il centro piacentiniano è la cattiva coscienza della città, che si nutre tanto di ignoranza storica quanto di ipocrisia sociale.  Si parla di “centro piacentiniano” come se fosse un’opera di qualità, come fossero “le stanze di Raffaello”, ma basta guardare il ritratto dell’uomo per capire l’opera: pomposo, ingessato, vanesio, ridicolo, Piacentini è il vero volto servile del fascismo, e la sua opera occupa il Sentierone da quasi un secolo a esibire il volto servile della città.

Nel 1907, il 26enne architetto figlio d’arte (o di papà) Marcello Piacentini vince il concorso per il nuovo centro di Bergamo, che poi egli stesso realizzerà tra il 1922 e il 1926, in piena epoca di “sventramenti” dei centri cittadini per l’edificazione del modello di città fascio-monumentale, senza tenere in alcuna considerazione storia e senso del luogo.

Il Sentierone non nasce storicamente come area centrale, ma prende funzione nei secoli come zona connettiva, di incontro, di commercio tra i borghi storici, “discesi” come propaggini indipendenti dalle porte di città alta: da un lato Borgo S.Leonardo, che ha come suo centro Piazza Pontida, dall’altro Borgo Pignolo/Palazzo, che ha come suo centro Piazza S.Spirito. In mezzo, ecco quest’area vuota, che aveva nome di “prato di Sant’Alessandro”, solcato da un “sentierino” (tuttora visibile: è il filare di alberi tra S.Bartolomeo e l’inizio di via XX) divenuto poi “sentierone”, e quindi fiera della città, in seguito abbattuta, e quindi oggetto del concorso del 1907.

L’identità viva, di meeting point, “melting pot” dell’area viene totalmente travisata dalla retorica piacentiniana: basta leggere l’iscrizione sopra il quadriportico, “Civium commoditate et urbis ornamento”, cioè “per la comodità dei cittadini e a ornamento della città”. Difficile immaginare un intento più gretto, del tutto fuori luogo rispetto alla storia e al carattere della città e dei suoi abitanti: dinamici, spartani, poco inclini allo struscio e al salotto, che sono le funzioni disegnate dal giovane Piacentini, funzioni forse adatte a una città meridionale, mediterranea.

Ma mentre il nostro costruiva questo “pasticcio” di ispirazione Jugendstil e Art Nouveau, nell’architettura europea, e in quella fascista, avveniva una rivoluzione, che dalla Secessione viennese doveva condurre al Movimento Moderno, al rifiuto del decorativismo e a una nuova architettura, razionale, funzionale, moderna.

Questo passaggio lo vedi bene se confronti le due architetture “fasciste” di Bergamo centro: il Quadriportico/Sentierone di Piacentini e  Piazza/Palazzo della Libertà di Bergonzo. Tra le due opere ci sono poco più di 10 anni: ma sembrano un secolo!

Nel fascismo c’è sia un aspetto di servilismo/passatismo, succube e decorativo, che un aspetto di rivoluzione/futurismo, razionalista e moderno. Qui scatta l’ignoranza, la superficialità, che ci fa percepire come fascista l’opera di Bergonzo, che invece è autenticamente moderna, e non quella di Piacentini, che è ipocrita e  vetusta.

Vittime delle nostra ignoranza-ipocrisia, da 70 anni teniamo in naftalina l’edificio moderno, razionale, nato innovativo, e ci sforziamo da dare vita all’edificio vanitoso, agghindato, nato già vecchio. Sforzo inutile.

Il centro piacentiniano non è un’opera di qualità, non è funzionale: è un pastrocchio, opera giovanile e già vecchia di un tipico servo del regime, che “come architetto era già morto nel 1925” (parole di Zevi).

Facile chiedere di “revocare” la cittadinanza onoraria a Mussolini, ma se davvero si vuole togliere la patina, l’ipocrisia, l’ignoranza-arroganza vetero-fascista che soffoca la città nel suo stesso centro occorre affrontare il fantasma del Sentierone, cominciando con il guardarlo in faccia. La città ha bisogno di un’altra faccia, autentica, pulita, rispettosa della storia e dello spirito dei bergamaschi.

Alla città, agli architetti, alla giunta, all’immobiliare che ne detiene la proprietà: per cominciare, la soluzione più sensata, semplice, coraggiosa ed economica per ridare vita e funzione al centro di Bergamo è quella di abbattere, demolire, radere al suolo il cosiddetto centro Piacentiniano, cioè il quadriportico del Sentierone, Piazza Dante e Tribunale compresi.

Guardiamo la realtà. L’area chiede di tornare alla sua funzione storica di connessione tra i borghi: da un lato i borghi vivi, molto extracomunitari, e dall’altro i borghi autoctoni, pignolo/palazzo, più morti che vivi. Isole pedonali “isolate” tra loro, che non comunicano, separate e non unite da questo quadriportico falso, non funzionale. Basterebbe riportarlo all’origine, un prato, una piazza, anche un parcheggio avrebbe più capacità connettiva dell’attuale scatolone “comodità/ornamento”.

Siamo ridotti al punto che le persone vanno dove c’è parcheggio. All’Oriocenter c’è parcheggio. Un grande parcheggio centrale, e le persone verranno in centro, e gireranno a piedi per i borghi e le botteghe.

Immagina di radere al suolo il quadriportico, piazza Dante, il tribunale: avrai una grande area di ripensamento, dove il teatro Donizetti ottocentesco e il novecento di Palazzo della Libertà si guarderanno in faccia, senza ipocrisie di mezzo.

Quando hai la coscienza sporca, è inutile rifarsi il trucco, devi prendere coraggio, affrontare i fantasmi, e fare pulizia.

ieri sera sono uscito con David Bowie, Franz Kafka, Lady Stardust e altri 4 fantasmi più vecchi

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In morte di David Bowie, ho rimesso in funzione un vecchio giradischi, e ascoltato tutta la sera quel vecchio long playing, facendo fuori una bottiglia di vodka, davanti alla mia libreria,

sulle note della signorina polvere di stelle, ho riaperto i Dubliners di Joyce, ricordi David quel racconto intitolato “polvere”?

seguendo la polvere, mi sono ritrovato tra le mani la Bibbia, il Qoelet, polvere siamo e polvere torneremo (a questo punto ci sarebbe voluta la polverina bianca), tutto è vanità, vanità delle vanità,

e poi Change, la fantastica c c c c c c change, che mi fa chiudere di scatto il capitolo polvere, e mi fa venir giù dalla libreria il mio buon Franz, vecchia Europa, Mitteleuropa, con la sua Metamorfosi, è così David, tutto cambia, tutto è change, tutto è metamorfosi, un momento sei Dio, un momento dopo sei uno scarafaggio,

ormai ubriaco, in fase allucinatoria, eccomi a passeggio per Bergamo Centro con David e Franz, e curiosamente mi rendo conto di un fatto, grazie a Franz, alla sua passione per la pavimentazione stradale

(non avrei mai potuto scrivere il Castello senza l’eco dei miei passi sul vecchio lastricato praghese),

che mi notare come in più vie urbane, Borgo Palazzo, S.Tomaso, viale Roma, cioè quelle vie che dovrebbero essere il cardine della città pedonale, il lastricato storico, che siano cubetti di porfido o pietre serene, è ricoperto da una colata nero-scarafaggio di asfalto-catrame,

è una copertura provvisoria, dico,

e da quanto, mi chiede Franz, da anni, rispondo,

e a cosa serve, mi chiede, non lo so, rispondo,

e penso: tanti discorsi sulla smart city, sulla città d’arte, e non sappiamo nemmeno valorizzare la bellezza delle vie lastricate con pietra naturale.

Cambio scena, cambio canzone,

ci ritroviamo in un privè tra l’inferno e il purgatorio (è la Domus, in piazza Dante), con me, David e Franz adesso c’è il vecchio Ovidio, con le sue Metamorfosi in due volumi BUR,

arrivano le birre, le mediocri birre Otus, e io al primo sorso penso alla birra buona, e dico: datemi una mano, ragazzi, devo trovare un filo conduttore per il prossimo numero dell’Osservatore Elaviano (che è il fogliettone di letteratura luppolacea del birrificio Elav);

qual è il tuo problema, mi ha chiesto David, e io ho spiegato: nel prossimo numero dell’Osservatore Elaviano pubblicheremo 40 racconti brevi “raccolti” durante la Yule Fest Elav di fine anno,

i “racconti raccolti” sono il frutto di una performances che si chiama PWS, pub writing session, cioè: al pub raccontami una storia e io ne farò un racconto da pubblicare al pub (queste PWS le facciamo in squadra, con i writer del magazine CTRL)

bene, questi 40 racconti sono divisi in quattro temi/colore: bianco, storie fantasy; rosso, storie di gelosia; verde, storie di gioco e di sport; nero, storie/amarcord di persone che ci hanno lasciato;

quindi mi sono rivolto a Ovidio: mi serve un tema mitologico da mettere in copertina, mettiamo sempre figure mitologiche in copertina;

scusa, mi ha detto Kafka, ma non era meglio se prima stabilivi i personaggi mitologici guida, da mettere in copertina, e in base a quelli poi stabilivi i temi delle storie?

Ma David guardandomi e sorridendo ha detto: è un italiano!

Ho capito, ha risposto Kafka, ha bevuto la sua acqua, e poi ha dichiarato: il filo conduttore che stai cercando è il filo di Arianna.

E David: io sono Teseo, il Teseo bianco

A quel punto Ovidio, gasatissimo, è schizzato in piedi con le sue Metamorfosi tra le mani: Teseo rappresenta il bianco fantasy, se volete vi racconto tutte le sue imprese, ne ha fatte di tutti i colori, e tutte di genere fantastico, e se metti insieme tutti i colori ti viene il bianco, giusto?

David ha esclamato: the famous WhiteTeseo!

Poi, quasi cantando, sottovoce (traduco a braccio):

Teseo parte da Atene e veleggia per Creta con la mission Minotauro Killing,

deve entrare nel Labirinto e ammazzare il mostro mezzo uomo e mezzo toro;

ma ecco che appena arrivato a Creta si innamora della rossa Arianna, figlia di Minosse King,

lei ci sta, e se la godono un po’; lei ci sta, e se la godono un po’ (ritornello)

Dopo il ritornello, ecco l’acuto in puro stile bowie: Cazzo! La mission, devo andare a compiere la mission!

così Arianna gli dà un gomitolo di filo per poter entrare e uscire dal Labirinto senza perdersi;

al che David pare perdersi nel suo mondo, e resta incantato.

E allora Ovidio prende la parola e continua la storia: Teseo va, ammazza il Minotauro, torna…

David: ma ecco Arianna sola sulla spiaggia, ed ecco arrivare un gruppo di giovani atleti in festa, tra di loro come un principe c’è il giovane Bacco… Ovidio: e siamo al verde Bacco, il giocoso Bacco, il campestre Bacco…

Franz: si, e siamo al rosso gelosia, Arianna allegra e lasciva tra le braccia di Bacco, un palestrato beone piacione fannullone, senza cervello né carattere, tutto l’opposto di te, David, il coraggioso e creativo Teseo, che te ne torni ad Atene…

Ovidio: e sei talmente depresso che ti dimentichi di issare la vela bianca, e tuo padre Egeo, vedendo dalla torre arrivare la tua nave con la vela nera, deduce che sei morto, e per la disperazione si butta in mare, in quel mare che poi da lui prenderà nome di Egeo,

Franz: e siamo al nero-memory, che è poi il nero Minotauro.

A quel punto avevo i miei 4 personaggi mitologici di copertina, Teseo, Arianna, Bacco e il Minotauro, che rappresentano la fantasia, la passione, il gioco e la morte, che sono i temi dei racconti, abbinati ai colori bianco, rosso, verde e nero.

Un attimo dopo i miei amici stavano scomparendo e io mi risvegliavo davanti alla mia libreria.

Grazie amici, non so come ringraziarvi!

Grazie David, per avermi fatto rivedere certi vecchi amici come Franz e Ovidio;

grazie Ovidio per avermi fatto conoscere i tuoi vecchissimi amici Minotauro, Teseo, Arianna e Bacco, che ricordavo vagamente;

e grazie Franz per esserti prestato ad aiutarmi a strutturare l’Osservatore Elaviano, che onore,

e grazie a Gianni Canali per questa foto fatta a fine serata (la sfilata di Arianna!)

e grazie anche agli amici in carne e ossa, per non rompermi troppo quando decido di fare serata in casa con gente che sarà anche morta, ma ha sempre tante cose interessanti da raccontare.