barocco freddo

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alzano

Adesso c’è questa tendenza nel design e anche nella moda, questa moda del “barocco freddo”,

e io sarei uno dei caposcuola italiani di questo “barocco freddo”, e questo “barocco freddo” sarebbe una definizione che un giornalista mi ha messo in bocca,

io volevo solo dire che il barocco, nel Seicento come oggi, da sempre, è passione pura, sentimento pieno, sangue, umore, sudore, dolore, ecco, ma per esprimere queste cose, per non cadere nell’autocompiacimento, occorre raffreddare, congelare, bloccare, marmorizzare, sì, occorre dilatare l’istante creativo nella tecnica, in una tecnica sopraffina, nel lavoro, un lavoro di anni.

Poi le opere durano millenni.

Penso a queste cose come sempre mentre sono in macchina, mentre guido, in effetti io ormai penso solo mentre guido la macchina, mentre percorro queste arterie, queste moderne vie mercatorum, e penso poco, tre quarti d’ora, un’ora di macchina al massimo, aria condizionata, comfort,

e penso all’architetto Quadrio, partito da Milano, alla fine del Seicento, su questo mio stesso itinerario, l’architetto della fabbrica del Duomo di Milano chiamato a progettare la Basilica di Alzano, per strade sterrate, a cavallo, lungo le rogge, all’ombra di platani.

Penso a quand’ero studente d’Architettura, tutti volevano fare la Rivoluzione, io sognavo di progettare una cattedrale. Già allora, quando dicevo mi piace il barocco, mi guardavano male. Il barocco non era di sinistra.

Il termine barocco è un termine filosofico medievale. Barocco è un ragionamento,  un sillogismo formalmente perfetto ma sostanzialmente debole, vuoto.

Ma io so che questa debolezza non è debolezza, è complessità, questo vuoto è voragine, è apertura, è dubbio, è possibilità, è mistero, è travaglio. Per esempio: mi piace il mio lavoro, adoro la mia famiglia, e dunque sono un uomo felice.

E invece no. Il mio lavoro è fondamentalmente insensato, la mia famiglia mi sfugge, mia moglie, le mie figlie in certi momenti mi sembrano delle estranee, poi a volte io sento quest’adesione profonda con il creato, quest’intensità, mi sento l’anima viva, ma non mi succede con la mia famiglia, mi succede da solo, davanti a una tela, davanti a un’architettura, un progetto, uno schizzo, un paesaggio, un particolare, qualcosa che io sento perfetto, anche un mobile, un bicchiere.

Così mi fermo ad Alzano, dovrei visitare l’ex Italcementi,  la cattedrale del lavoro, e invece entro nella basilica barocca di San Martino, entro, alzo gli occhi, e mi siedo subito, come stordito, inebetito, come un bambino a bocca aperta, il naso all’insù: la volta è un libro aperto, è una grande narrazione, e questa cosiddetta Bibbia dei poveri è così ricca da togliere il fiato.

Eccomi qua, architetto milanese di chiara fama con la passione del barocco, degli stucchi, dei decori, eccomi a casa mia.

Ma con calma, mi dico, con calma, lusso e voluttà, guardare e capire, tre navate, due, quattro, sei, dodici colonne abbinate per sostenere la volta a tre campate e lì, tra le colonne e il cornicione ecco la Bibbia dei poveri, un fascione di statue, altorilievi, stucchi, festoni, vedo la Scienza, vedo l’Eternità, la Sapienza, la Giustizia,

lo sguardo corre al presbiterio, piccolo, soffocato, ritorna seguendo i marmi policromi del pavimento, si insinua nelle navate laterali, cinque campate, le cappelle, gli altari e poi, l’uno di fronte all’altra, i due gioielli: il pulpito e la Cappella del Rosario.

Forme geometriche, l’esagono pieno del pulpito sulla nave destra, l’ottagono vuoto della cappella sulla nave sinistra, forze estetiche che sfondano la pianta della Basilica, la aprono, la trasformano in una croce latina.

Mi fermo davanti al Pulpito, guardo le cariatidi, i telamoni, i quattro facchini scolpiti dal Fantoni che sorreggono il calice della Sapienza, che sforzo, che resa, non sono uomini, sono muscoli, sono fatica disumana, bestiale, corpi piegati all’imponderabile.

Guardo la riquadratura, la balaustra del pulpito, riconosco i materiali, il diaspro, il verde antico, il broccatello, il pavonazzatto, i lapislazzuli, il marmo nero, il portovenere.

Guardo il capocielo, il baldacchino, al centro c’è un incudine e martello, un’iscrizione dice: intrate et excitate. Perché non lo mettono anche sulle cattedre universitarie, mi chiedo.

Attraverso la navata centrale, mi lascio investire dalla geometria della cappella del Rosario, già prima, da fuori, osservando i volumi esterni, io vedevo quest’ottagono conficcato nel corpo di fabbrica, mi dicevo: è una scommessa, un azzardo, un ribaltamento.

Dentro, quattro sezioni verticali, la prima fatta di archi, occupati da tele,  (e che tele! Tintoretto, Cavagna, Appiani, Capella); la seconda aperta su grandi finestroni, la terza a spicchi convergenti con angeli in rilievo, la quarta, la volta, affrescata dall’Orelli con Maria in Gloria.

Fuori il sole si sta abbassando, una lama di luce gioca riflessi multipli, l’ottagono diventa un caleidoscopio, e mi rendo conto che tutta la cappella è patinata da una profusione di oro zecchino.

Chiedo di visitare le sagrestie. So che sono state da poco restaurate. Mi dice il conservatore: aprivamo i cassetti, era tutta segatura, facevamo un danno incredibile. E io penso: il barocco è consunzione, è tarlo, è polvere, è memento mori.

La prima sagrestia non è scultura, non è decorazione, non è intarsio: è architettura. Armadi come edifici. Rigore, ordine, serenità, pace. Spazi, volumi, linee, direttrici. Colori. Scansioni, cromatismi, contrappunti di luce. Tutto calcolato, logico, puntuale, simmetrico, giusto, preciso.

Poi guardi davanti a te, e sei attirato da quella porta.

La seconda sagrestia fa paura, ma proprio paura, fa paura lo scorcio che ne inquadri quando ancora sei nella prima, e vedi l’altare della seconda, al di là della porta,  intuisci il sacro, il luogo sacro, il tabernacolo, il pertugio.

La seconda sagrestia è una cappella monumentale, è una sintesi, è una microbasilica, è per pochi, è grandezza di cattedrale compressa in intimità volumetrica.

Io guardo il martirio di San non so chi, una puleggia gli srotola le budella, sì, il barocco è anche questo, è l’angoscia che esce, è un districare interiora, è una forza lucida, un urlo.

Non avere paura di esagerare, non avere paura di quello che c’è da raccontare.

E poi trasformare tutto questo in armonia in stile in bellezza in levità in leggerezza.

La terza sagrestia è lineare, serena, giocosa, è il relax, scene botaniche, floreali, luce, spazio, prospettiva.

Sì, certo, il barocco è anche questo, il barocco è lo stile naturale della pioggia, della sabbia, del vento, del fuoco che brucia, dei fiori che sbocciano, il barocco è una fioritura, il barocco è perla, è marmo, è lusso, è musica, è bombardamento, turbamento di sensi che va dritto al cervello, all’anima.

Una questione di calore, uno sbalzo, uno shock, il barocco è la composizione di uno shock, è fuoco, è gelo, è il massimo del sentimento comunicato con il massimo rigore, con perfetta pulizia formale, senza sbavature senza eccessi, il barocco è un’idea, una tentazione, una scommessa, questo è il barocco, è senso della morte, è voglia di vivere, è disperazione, depressione, nausea, elevazione, infantilismo, entusiasmo

Io viaggio, studio, lavoro, osservo, cerco emozioni sentimenti passioni idee progetti, non so che cosa, ma spesso resto duro, gelido, bloccato, mi chiedo che senso ha il lavoro, l’arte, la comunicazione, tutto, mi viene una noia, una nausea.

Alla base di tutto, anche degli edifici, delle architetture, ci sono i sentimenti, c’è la vita, la morte, il dolore.

Alla fine, l’immagine che mi resta, il sentimento che ho provato – e che ha dato senso a queste madonne di marmo –  l’ho provato per caso, fuori dalla Basilica, in macchina, fermo a un semaforo, sfogliando un volume di storia locale, acquistato  nell’uscire dal Museo, tanto per lasciare un obolo.

Sotto la vecchia foto di un aitante giovane degli anni Quaranta, la didascalia dice: Giorgio Paglia, di Nese, figlio della M.O. Guido Paglia caduto in Africa, dopo aver partecipato alla resistenza ai tedeschi in Roma, tornato in famiglia, si unì ai partigiani sui colli di Sovere.

Catturato il 17 Novembre 1944, rifiutò la grazia offertagli come figlio di una Medaglia d’Oro e fu fucilato il 21 Novembre, a Costa Volpino.

Sua madre ne raccolse il corpo, lo prese tra le sue braccia, lo caricò su un camion, e lo portò alla tomba di famiglia, dove gli diede sepoltura.

(by Leone Belotti 1999, pubblicato in “Tra terra e cielo”, ediz. Sesaab 2000, imago: Italcementi Alzano)

l’hanno detto in televisione

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svapo

mettiamo di essere onesti cittadini qualsiasi che credono nel progresso, nella tecnologia, e a quello che dicono in televisione,

un bel giorno arriva come un miracolo della tecnologia la sigaretta elettronica, portando con sé la massima promessa, tutto il piacere del vizio senza il minimo danno,

per sei mesi è un boom, negozi che spuntano come funghi, fatturati record, diffusione massiva, risultati straordinari nella lotta al fumo,

molte persone che conosciamo, di fatto, smettono di fumare,

dunque è vero, la tecnologia buona fa miracoli, crea un nuovo mercato e risolve positivamente un problema di salute pubblica,

è il progresso, e ci ritroviamo a credere, a sperare che presto arriverà l’auto col motore ad aria, o ad acqua, chimere che forse già esistono…

poi in televisione dicono che qualcuno, non un cretino, ma un onorevole, teme che la sigaretta elettronica possa essere nociva,

ed ecco farsi avanti un luminare della scienza medica, dell’istituto superiore di sanità,

scatta la crociata scientifica,  i massmedia  fanno a gara nello smontare il miracolo,

con tanto di analisi e test si certifica che la sigaretta elettronica è una bidonata, e pure nociva,

lo dicono in televisione,

lo stato interviene legiferando in tempo reale e la diabolica svaporella viene bandita, vietata, supertassata,

tutti quelli che l’hanno comprata, dei cretini,

gli altri, quelli che mai e poi mai, se la ridono,

l’humus spontaneo di nuove imprese, piccole società, partite iva, agenti, commercianti e venditori che era sorto viene falciato via,

la salute pubblica è stata tutelata,

i boss delle multinazionali del tabacco tirano un sospiro di sollievo,

gli straccioni sono stati espulsi dal mercato vergine che hanno inventato,

si può cominciare la seconda fase, come nulla fosse, dal momento che crediamo in massa a tutto quello che dicono in televisione (e d’altra parte i baroni del marketing, della politica e della sanità usano tutti la stessa arma, l’epidemologia, e le stesse truppe, i massmedia)

e siamo ai giorni nostri: dopo il bombardamento a reti unificate, è il momento dei marines, degli incursori di Striscia la Notizia e de Le Iene,  probabilmente le testate giornalistiche che godono di maggior credito nel pubblico,

e così ieri sera Le Iene rivelano agli italiani che effettivamente la sigaretta elettronica non è nociva in alcun modo, perlomeno nessuna di quelle con una marca, un negozio, un indirizzo,

le sostanze tossiche sono state trovate soltanto in alcuni campioni “generici” delle “essenze da svapo” privi di qualsiasi etichetta,

come dire che il vino è nocivo perchè a Montefiascone hanno trovato una bottiglia (senza etichetta) andata a male,

di fatto è questo che è successo,

resta da dire quello che in televisione non dicono, lo scenario reale dietro le quinte del potere e degli editti, forse difficile a credersi, ma tuttavia facilmente immaginabile:

le multinazionali del tabacco, farmaceutiche e della tecnologia, impreparate al successo del “miracolo”, hanno fatto fronte comune  per estirpare gli usurpatori,

ed ora in guerra o in combutta tra di loro decideranno velocemente chi, come e dove invaderà il mercato,

la sigaretta elettronica tornerà in grande stile, con sopra grandi marchi multinazionali,

in accordo con i monopoli di stato, e dotata di certificazioni sanitarie nazionali specificatamente studiate,

la diffusione sul mercato avverrà nei prossimi 3-5 anni,

mentre per l’auto ad acqua, immagino, ce ne vorranno quantomeno 20

 

agio randagio

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dolcezza1

sinceramente non mi ricordo quando ho fatto la scelta di vivere da randagio

ti ritrovi a vagare per strada con i sensi all’erta in cerca di un tozzo di pane

sai benissimo che in ogni istante ti potrebbero bastonare, investire, catturare, rinchiudere, torturare, uccidere

sei magro come un chiodo e hai paura anche della tua ombra

tuttavia te la godi tutta e fino in fondo, finché dura,

intendo l’unico agio che hai da randagio

la libertà

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sangiovanni2

immagino l’aereo biplano Ansaldo di Antonio Locatelli, quello vero, non un totem,

esposto come e dove si deve, in una bolla, cupola o piramide di vetro sullo spalto più alto delle mura, e in modo permanente,

a significare lo spirito bergheimer: capace di costruire mura dalle quali spiccare il volo!

Visibile dall’autostrada, un intervento di questo genere, costerebbe meno e avrebbe più effetto e significato  delle centinaia di effimeri totem disseminati in città.

il caccia/ricognitore A1, il primo aereo militare italiano, soprannominato Balilla come il ragazzino-intifada genovese che innescò la rivolta contro gli austriaci,

fu costruito dall’Ansaldo, progettato da Umberto di Savoia, collaudato da Francesco Baracca e portato a imprese folli dal mitico “bergheimer” Antonio Locatelli, 3 volte medaglia d’oro al valor militare, che infine lo donò alla città.

venduto in centinaia di esemplari all’aviazione polacca, greca, messicana, lettone, russa e utilizzato dall’aviazione sovietica fino al 1928,  

per decenni pezzo forte del museo storico della Rocca, attualmente “esiliato” al museo del falegname di Almenno, quello di Locatelli è uno dei 2 esemplari originali rimasti al mondo, oltre alla riproduzione fedele realizzata dagli americani ed esposta a New York. 

Sarebbe ora di farlo diventare il monumento “aereo” che la “città della cultura” dedica a tutti coloro che osano “spiccare il volo” per “volare più alto”.

Imago by Athos Mazzoleni – FoodForEyes

il paese della cuccagna

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Brueghel

per capire in che paese viviamo, si rifletta 3 minuti sulla vicenda della “guerra alle slot machines” in Lombardia, che sembra un racconto scritto a quattro mani da Pirandello e Tomasi di Lampedusa, con un apparente e illusorio lieto fine prima dell’assurdo e asperrimo finale:

in breve, con un’encomiabile erezione d’impegno civile L’Eco di Bergamo decide di dichiarare guerra alle ormai onnipresenti slot machine nei bar,

dopo 6 mesi di consensi  il 6 settembre la campagna d’opinione e sensibilizzazione diventa una mozione di legge nazionale per limitare le slot, e in Regione il 15 ottobre viene approvata una legge regionale promossa da Maroni con l’appoggio del Pd e di altri,

la nuova legge concede un bonus fiscale di €1000  (mille) per i gestori dei bar “pentiti” per ogni slot machine che viene “spenta”;

ed ecco il finale “assurdo”: esattamente 6 ore dopo la mozione di legge  la Sisal, la società pubblico-privata che distribuisce le slot nei bar e ne incassa i profitti, spedisce a tutti i bar d’Italia un “monstrum” giuridico – che pure l’attuale legislazione gli permette – ossia, in pratica, un “adeguamento automatico unilaterale del contratto”, con sua estensione a 9 anni,

e dulcis in fundo una una penale di €6000 (seimila) per ogni slot che viene “spenta”!

Dunque, caro barista, dopo 6 mesi di democrazia lo stato decide di abbonarti 1000 euro  per ogni slot che spegni, e dopo 6 ore la Sisal ti chiede una penale di 6000!

Risultato finale della prima guerra delle slot nei bar in Lombardia:

Sisal vs L’Eco/Maroni/Pd 6-1

L’analisi del bookmaker: la cosa interessante è questa: la Sisal è tra i principali e più munifici sponsor della fondazione Vedrò, il movimento politico trasversale catto-comunista da cui proviene Letta e metà del suo governo…

questo forse potrebbe spiegare la velocità della risposta Sisal:

scommetto che qualcuno, tra il comitato promotori e le commissioni che hanno scritto la legge,  attraverso la fondazione Vedrò, ha tenuto alacremente informato il management Sisal  sul testo di legge  in elaborazione…

secondo me c’è sotto il classico “spiù catolèch”… 

la quotazione che mi sento di proporre è 6 a 1

Il commento del docente di scienze politiche: quello che stupisce è non solo la velocità della risposta Sisal, ma la sua dittatorialità:

Sisal trasforma in carta traccia una legge dello stato, schiaccia come un insetto l’iniziativa di “buona democrazia” partita dal basso, e lo fa in poche ore.

Il messaggio politico lanciato da Sisal è perentorio, assertivo, coattivo, e costituisce de facto una auto-certificazione di potere assoluto,

Siamo nella fase ultima del degrado civile italiano: democrazia di facciata,  dittatura di fatto.

Questa piccola notizia “bonus 1000-malus 6000” è in realtà una spia, un segnale funesto per la democrazia italiana, e dovrebbe aprirci gli occhi su come i grandi monopoli finanziari pubblico-privati esercitano oggi il potere in Italia, facendosi palesemente beffe di leggi, istituzioni, movimenti e volontà dei cittadini.

Per avere più democrazia, in Lombardia, in altre epoche siamo stati capaci di fare il Risorgimento e la Resistenza,

oggi viviamo acquiescenti  nel paese della cuccagna,

un’élite di ottusi privilegiati dediti al lusso seduta su una massa informe di plebei tele-lobotomizzati dediti al gioco, o a qualche dipendenza,

con al suo interno un’esigua minoranza consapevole della realtà, ma sinceramente e irrimediabilmente pacifista,

siamo i sudditi ideali della finanza-parassitaria che si sta divorando interi ecosistemi e popolazioni,

siamo il sogno di ogni regime, la perfetta Sudditanza!

(imago: Il paese di cuccagna, Bruegel il Vecchio,1567, Alte Pinakotek, Monaco)