manhattan transfer

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New_York_2013_2053_0349

“i grattacieli dagli occhi di vetro osservano attenti, alle cinque della sera la primavera si eleva gigantesca, ci dà la pelle d’oca, una gola che urla palpitante,

gli ascensori piombano giù, uomini e donne cominciano a gocciolare come linfa giù dai grattacieli, e folle grigiastre sommergono la metropolitana e spariscono sotto terra, un fracasso atroce invade le strade,

mentre i banchieri rapaci, tornando dalle loro conferenze segrete, borbottando sui cuscini delle loro limousine, si lasciano rapire da strade sonore, su verso la 40esima strada, strade ruscellanti di luce frizzante, bianco-gin, giallo-whiski…”

Manhattan Transfer è grande il romanzo di New York,

scritto nel 1924 da John Dos Passos, scrittore militante (arrestato come organizzatore delle manifestazioni per Sacco e Vanzetti)

racconto corale, mix di linguaggi, struttura episodica, ritmo sincopato,

la prima vera innovazione della letteratura americana,

la nascita del jazz, della pubblicità, della metropoli,

un autore che avevo dimenticato, mi è tornato in mente in modalità “flash back” guardando il doppio lavoro, sincopato, foto e video, appena pubblicato da un amico fotografo sull’ansia di primavera a New York: http://giannicanali.com/blog-it/

 

Liceo 626 la sicurezza dell’ignoranza

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balenciagaKK

ho 30 anni e non sono una brava ragazza, sono meglio,

di famiglia operaia, grandi sacrifici, sempre stata la prima della classe, col sogno di insegnare, quoziente superiore, talento musicale, molto bella,

università massimo dei voti, e sempre lavorando, cameriera, baby-sitter, commessa,

finalmente il primo incarico di insegnante, liceo bene del centro,

lei è schifosamente giovane, mi accoglie il preside, non faccia l’errore di farsi amica degli studenti,  d’accordo,

contratto a termine da 500eu al mese, e la sera a servire i tavoli, dove vengono i miei studenti, non c’è problema,

poi mi chiama il vicepreside, mi dice che devo frequentare il corso sulla sicurezza, la 626, è obbligatorio, e non retribuito, ok,

mi ritrovo in un’aula con 30 “colleghi”, tutti 50enni di ruolo, e un tizio totalmente incapace di attirare l’attenzione che tiene questo corso,

tempo zero e la gente inizia a farsi i cazzi  suoi, prima velatamente, poi palesemente, uno corregge i compiti, l’altra messaggi con la figlia, uno legge la gazzetta, altri mettono le sedie in circolo e parlano di fatti loro,

peggio degli studenti, molto peggio,

il tizio parlava, nessuno lo ascoltava, col brusio era impossibile sentirlo, chiedo alla mia collega, mi dice non preoccuparti, è così,

resisto ancora una mezz’ora, poi non ce la faccio, e sbotto, mi alzo e dico: scusate ma cosa siamo qui a fare?

Silenzio. Tutti mi guardano. Interviene il vicepreside, guarda l’orologio: bene, qualcuno ha altre domande?

Uno chiede come si fa a capire dalle crepe dei muri se sono pericolanti. Un’altra chiede come si fa a sapere se la disposizione dei banchi è pericolosa in caso di evacuazione.

Il tizio non sa minimamente cosa rispondere, il vicepreside dice non tartassiamolo di domande tecniche, lui è qui per tenere il corso non può sapere tutto,

alla fine bisogna fare un test, lo faccio in cinque minuti, la collega mi chiede di passarglielo, lo copia, lo passa a tutti, lo copiano tutti mentre il vicepreside  e il tizio si girano dall’altra parte,

questi sono gli insegnanti di ruolo nella scuola, gente scazzatissima, nessuna passione, nessun interesse, totalmente incapaci, totalmente intoccabili,

da 20 anni fanno lo stesso identico programma, le stesse lezioni, gli alunni non li guardano nemmeno in faccia,

e io devo dire grazie se uno si mette in malattia, o aspettativa, o in maternità, per lavorare qualche mese,

e seguire gratis i corsi sulla sicurezza, con gente che grazie alla sicurezza del posto di lavoro può scandalosamente permettersi di fare malissimo il proprio lavoro, e affogare intere generazioni di studenti in un mare d’ignoranza,

sono loro il vero pericolo della scuola, questo genere d’insegnanti.

(imago: Keira Knightley in abito Balenciaga)

 

 

le strane parole del papa ai lavoratori della rai

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VaticanoII

incontrando i giornalisti della Rai, Papa Francesco ha raccomandato di mantenere alto il livello etico della professione e ha indicato, condannandoli, i 3 vizi capitali del giornalismo italiano: la disinformazione, la diffamazione e la calunnia.

Per un attimo abbiamo pensato fosse un scherzo, una parodia da Benigni, quando nei panni di Johnny Stecchino dice: “I problemi della Sicilia? L’Etna, la siccità e… il traffico!”

Invece parlava sul serio, e questo additare la diffamazione e la calunnia come mali supremi, in un’epoca e in un paese nel quale vige la dittatura di comunicazione dei grandi media controllati dalla politica e dalle lobby d’affari, somiglia tanto a un brutto invito alla prudenza, a non toccare i nomi noti, gli uomini di potere,

le istituzioni e le eminenze grigie che da decenni, supportati da schiere di avvocati ben pagati, stroncano sotto denunce per diffamazione e richiesta di danni morali per calunnia qualsiasi anelito di verità sociale, affossando ogni indagine  giornalistica o pubblicazione scomoda.

Forse il Papa non sa che oggi in Italia si può essere condannati per “diffamazione” anche per aver definito “pedofilo” un soggetto già condannato più volte per pedofilia…

Ci saremmo aspettati dal Papa tutto, meno la difesa della “onorabilità”. Forse è disinformato, o raggirato dai suoi stessi uomini di comunicazione…

A ben vedere, con queste parole effettivamente Papa Francesco ha mancato di rispetto a quanti (come Ilaria Alpi, della Rai) hanno perso la vita per scoprire e denunciare verità scomode (poi magari insabbiate da colleghi o superiori rispettosi del buon nome… dei grossi nomi!).

Avremmo preferito associare al livello etico della professione qualcosa di più autenticamente evangelico, e forte, come il coraggio della verità, la tutela dei deboli, la denuncia delle ingiustizie.

Quando Gesù sbatte fuori i mercanti dal tempio, cosa sta facendo, diffamazione semplice o aggravata? Calunnia? L’associazione esercenti di Gerusalemme l’ha poi denunciato?

Un giornalista che ha come prima preoccupazione evitare una denuncia per diffamazione, è già un servo del potere,

e in Italia di giornalisti e intellettuali del genere ne abbiamo già fin troppi, e da troppi anni,

e che Papa Francesco, proprio lui, non si sia accorto di questo, ci preoccupa,

e ci sembra molto strano, non ne capiamo il senso,

forse rivendica a sé, alla chiesa, il compito “scandaloso” della verità e della denuncia?

o forse sta dicendo che l’importante è non fare nomi?

Ci hai lasciati di stucco, grande padre, spiacevolmente di stucco!

(Imago: il Concilio Vaticano conferma il dogma dell’infallibilità papale)

il patto Berluscov-Renzintropp

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MolotovRibbentropStalin

prima dell’incontro Renzi-Berlusconi, la BaDante Anna F. aveva dichiarato: 

essendo polacca, so già a cosa serve l’incontro Renzi-Berlusconi:

così come il patto di “non aggressione” Molotov-Ribbentropp del 1939 è stato in realtà un patto di spartizione per cui l’Armata Rossa occupava i paesi baltici (Litu, Letto, Esto) e Hitler si prendeva la Polonia,

allo stesso modo oggi Berluscov e Renzintropp si spartiranno le terre di mezzo,

si tratta solo di capire chi da domani sarà baltico e chi polacco.

I piccoli partiti devono sparire, come i piccoli paesi, i piccoli proprietari e la piccola impresa individuale, su questo andranno oggi d’accordo il grande padrone della destra e il grande partito della sinistra.

Post scriptum: “con Berlconi c’è profonda intesa” ha dichiarato Renzi appena terminato l’incontro con Berlusconi

nedròt selvadeg dìga negot

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nedrot2

una volta in questa valle c’erano i pastori, e i tessitori,

poi sono arrivate le fabbriche, la ferrovia, le cave, il cemento,

poi sono arrivati gli sport invernali e le seconde case,

poi hanno abbandonato la ferrovia, le cave, le fabbriche,

è arrivata la plastica, le lavorazioni plastiche, le fibre artificiali,

e ad ogni piena del Serio ormai mi ritrovo a soffocare nei sacchetti di plastica,

poi è arrivata la crisi industriale, allora hanno cominciato a parlare di turismo,

hanno creato un nuovo ente per la promozione turistica, Promoserio,  hanno messo dei cartelli penosi con scritto “cinque terre della valgandino”, che fantasia,

ma l’ufficio del turismo Promoserio fa orari d’ufficio statale e la domenica è chiuso, tu pensa, come se un bar chiudesse in pausa pranzo,

hanno costruito la nuova strada, e il nuovo tram delle valli,

ma ormai la valle è un posto desolato di seconde case vuote e fabbriche chiuse,

il buon Percassi, dopo aver cementificato tutta la valle, azzerando l’identità di interi paesi a forza di villette e finiture di pregio (fatevi un giro a Onore) adesso vola con Alitalia, e le azioni salgono;

il tram delle valli arriva solo ad Albino, l’unica stazione al mondo che non ha nemmeno una tettoia,  e l’ultima corsa è alle nove di sera;

le fornaci, le dighe, i cementifici del secolo scorso potrebbero essere un fantastico parco di archeologia industriale (vedi il progetto su http://blog.bamboostudio.it/?p=2178) ma sono in abbandono;

giù in città ci si riempie la bocca di capitale della cultura, expo2015, food made in Italy e green economy,

ma se hai la fortuna di conoscere un contadino che ti vende una vera formaggella, devi stare attento come un delinquente a non imbatterti nella finanza, o nell’asl, perchè formaggelle e salami del contadino non sono a norma UE,

intanto la valle si è riempita di centri commerciali dove trovi formaggi olandesi e tedeschi a 3×2,

e se l’ultimo pastore della valle non sa più dove portare le pecore a pascolare e si suicida, sui giornali non trovi nemmeno la notizia…

E te diga negot, nedròt selvadeg, prima o poi arriveremo a capirlo:

come possiamo pensare di fare del turismo se, oltre ad essere per natura chiusi e inospitali, non siamo in grado di salvaguardare la nostra identità, i nostri beni storico-paesaggistici, la nostra terra, la nostra gente, e nemmeno di capirne il valore?

(imago: nedròt selvadeg, ovvero germano reale, alias anas platyrhynchos, specie murales-fluviales, località Ponte del Costone – Ponte Nossa, Valle Seriana, ph.  by J.Gandossi)

 

2 soci 2 case history

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LeaP1869

Poter scrivere la vera storia di un prodotto, un marchio, un’azienda sarebbe un grande passo avanti nell’ecologia di comunicazione,

la case history 100% autentica non esiste, è come per i vangeli, ci sono quelli approvati, e quelli apocrifi,

se l’azienda è nuova e non ha una case history, la devi inventare,

se l’azienda è vecchia per rinnovarla si comincia riscrivendo la case history,

se i soci sono due, abbiamo sempre almeno due case history:

come nel caso esemplare della salsa di Lea e Perrins che qui sveliamo:

bottiglino etichetta arancione, indispensabile per fare il Bloody Mary,

è un curioso antenato della food globalization che oggi potrebbe riciclarsi come food vintage, o forse anche come prodotto del commercio equo-solidale,

con quella lista degli ingredienti che sembra un viaggio dell’800 con la compagnia delle indie orientali:

si parte dalla vecchia europa (cipolle inglesi, scalogno olandese, aglio francese, acciughe spagnole, aceto italiano)

e dopo tre anni d’invecchiamento si (r)aggiunge il nuovo mondo, l’africa e l’oriente (canna da zucchero dei caraibi, chiodi di garofano africani, peperoncino cinese, tamarindo indiano)

La versione ufficiale della storia della salsa worcester dice che John Lea e Wil Perrins erano due farmacisti di Worcester

che nel 1835 partorirono con totale serendipity il monstrum nel tentativo di riprodurre una salsa indiana provata sotto le armi in giovinezza nel Bengala:

l’intruglio realizzato era orribile, lo dimenticarono in cantina, e dopo tre anni lo ritrovarono fantastico, e lo misero in produzione e in commercio.

Tuttavia, guardando la lista degli ingredienti, risulta piuttosto accreditata anche la versione non autorizzata della case history Lea&Perrins:

la versione apocrifa  mi è stata raccontata da un “ancient mariner” in una taverna nei pressi dello storico stabilimento nel 1988: tutti conoscono la versione di Perrins, il prudente Perrins, ma io so anche la versione di Lea, l’incosciente Lea, che la raccontò al nonno di mio nonno

la versione di Lea  parte dal fatto (appurato) che Lea&Perrins oltre che farmacisti erano armatori, e la nave di loro proprietà caricava spezie sulla rotta delle indie:

un bel giorno il cuoco di bordo, per vendicarsi della ciurma che non apprezzava le sue minestre, ebbe l’idea di usare per fare il brodo della zuppa il secchio di acqua sporca che il mozzo aveva utilizzato per lavare certi barili (che avevano contenuto tamarindo, acciughe, etc):

il risultato fu sensazionale, e i due armatori-farmacisti, saputa la vicenda, si misero a replicare e vendere l’intruglio come insaporitore per minestre, carni e bloody mary.

Con ogni probabilità, esistono ingredienti di verità in entrambe le case history.

Oggi, dopo quasi 200 anni di presenza sul mercato, la salsa Worcester LeaP.  è ancora molto diffusa nei paesi wasp, poco usata in quelli latini, dove ha un target di nicchia,

essendo molto amata da individui soggetti a perversioni alimentari di vario tipo:

cito un barman della bassa, già creatore del Dirty Martini Long (cocktail martini con acqua di salamoia delle olive) che ha recentemente creato il Mary Naked (50% LeaP + 50%vodka, niente pomodoro)

quindi una signora ultraottantenne, ospite di una casa di riposo, che mi ha rivelato di farsi “prima di andare a dormire, per equilibrare l’acidità” uno shoot 50% aceto vino rosso (no balsamico!) e 50% LeaP

e infine un ex pizzaiolo che mi ha confidato “uno schizzo di LeaP” nella passata, e “se sei alla ricerca del tempo perduto, ritrovi il sapore della pizza catarì degli anni di piombo”.

(imago: ad Lea&Perrins 1869)

1 strada in 2 libri

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play this post libro uno: stampato a Milano dall’editrice Ancora, “ragazza vuoi saperlo?” è un testo del 1957 in edizione 1970 con una grafica molto  pubblicitaria, ma è un remake delle “istruzioni per le giovani cristiane”: un oggetto di culto … Continue reading

ego sum pastor bonus et cognosco meas

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Reportage sulla dura vita di un pastore di pecore in Lombardia nel 2012

Candido Rossi, 45 anni, pastore di Casnigo, si è ucciso nei giorni scorsi.

Piero Annoni, autore della foto, in primavera scriveva:

La conduzione di un gregge non è mai stata tanto ricca di difficoltà, ostacoli ed imprevisti come mi racconta Candido Rossi, un pastore nativo di Casnigo ancora innamorato del suo lavoro nonostante tutti gli ostacoli posti dalla continua urbanizzazione ma pure da una miope quanto aggressiva burocrazia.

Oggi oltre alle preoccupazioni di sempre nel condurre e gestire un gregge, curarne la salute, trovare acquirenti, gestire gli occasionali aiutanti ve ne è una nuova, quotidiana, sempre più difficile da gestire: la ricerca di un appezzamento per nutrire le bestie.

Ogni giorno infatti il pastore deve lasciare il gregge alla ricerca di quei prati che non troverà più, occupati da nuovi edifici industriali, villette a schiera, strade e superstrade, svincoli e rotatorie. 

Uno stato d’ansia continuo che non ti aspetteresti certo di intravvedere tra le rughe di un uomo che conduce una vita sana, semplice, essenziale.

Cinque anni fa, sul sito degli alpini, c’era questa nota:

Il gregge di proprietà di Rossi Candido di Casnigo dovrebbe intervenire nella zona di Gandino come gli anni scorsi. Impiegate in alcune aree “a rischio” della bassa Valseriana, le “pecore antincendio” hanno contribuito negli anni a ridurre notevolmente il numero degli incendi che, in precedenza, si sviluppavano numerosi e che determinavano la percorrenza del fuoco, anno dopo anno, delle stesse superfici (mettendo anche in pericolo la stabilità stessa del suolo oltre che creando pericoli per la transitabilità delle vie di comunicazione con alcuni centri).

Oltre al numero di incendi è molto diminuita anche l’area interessata perché la rimozione della biomassa combustibile in alcune fasce “strategiche” (es. crinali)  fa si che si riduca, anche in presenza di vento, la propagazione del fuoco.

In questi anni le pecore hanno efficacemente contribuito anche al mantenimento della biodiversità e alla qualità e fruibilità del paesaggio.

A causa delle sempre meno risorse disponibili, la Comunità Montana Valseriana è riuscita a raggranellare solo il 50% della somma che gli altri anni riusciva ad erogare ad indennizzo delle perdite che subisce il pastore pascolando in zone così difficili come quelle dove si esplica il “pascolo di servizio” anti-incendio boschivo, spesso ripide e con scarsità di punti d’abbeverata.

Spiace constatare come iniziative efficaci per la cura del territorio, la protezione e il miglioramento ambientale si debbano confrontare con gravi difficoltà di finanziamento mentre si spendono centinaia di migliaia di euro per ….

Altro in rete su Candido Rossi non si trova.

Notizie sui suicidi, come è noto, su L’Eco di Bergamo non sono ammesse.

Sul manifesto delle affissioni funebri che comunica decesso e funerale è riportata una della tipiche “frasi ambigue” che gli “uffici stampa” della curia usano per far capire in modo ipocrita che si tratta di suicidio, senza dirlo: preghiamo perchè possa essere ammesso in paradiso.

A questa ipocrisia, e a conforto dei credenti e delle persone che lo conoscevano, rispondiamo con le parole del Vangelo di Giovanni:

IO SONO IL BUON PASTORE – IO SONO LA PORTA PER LE PECORE – CHI PASSERA’ DA QUESTA PORTA SARA’ SALVATO – POTRA’ ENTRARE E USCIRE E TROVARE VERDI PASCOLI

IL PADRE MI AMA PERCHE’ SACRIFICO LA MIA VITA – HO IL DIRITTO DI OFFRIRLA E RIPRENDERLA COME MI PARE – IL PADRE STESSO MI HA DATO QUESTO ORDINE

IN UN ALTRO OVILE HO ALTRE PECORE DA GUIDARE –

Vangelo di Giovanni, X, 1-21 (qui sotto, vulgata ufficiale vaticana e traduzione)

1 “ Amen, amen dico vobis: Qui non intrat per ostium in ovile ovium, sed ascendit aliunde, ille fur est et latro; 
2 qui autem intrat per ostium, pastor est ovium. 
3 Huic ostiarius aperit, et oves vocem eius audiunt, et proprias oves vocat nominatim et educit eas. 
4 Cum proprias omnes emiserit, ante eas vadit, et oves illum sequuntur, quia sciunt vocem eius; 
5 alienum autem non sequentur, sed fugient ab eo, quia non noverunt vocem alienorum ”. 
6 Hoc proverbium dixit eis Iesus; illi autem non cognoverunt quid esset, quod loquebatur eis.
7 Dixit ergo iterum Iesus: “ Amen, amen dico vobis: Ego sum ostium ovium. 
8 Omnes, quotquot venerunt ante me, fures sunt et latrones, sed non audierunt eos oves. 
9 Ego sum ostium; per me, si quis introierit, salvabitur et ingredietur et egredietur et pascua inveniet. 
10 Fur non venit, nisi ut furetur et mactet et perdat; ego veni, ut vitam habeant et abundantius habeant. 
11 Ego sum pastor bonus; bonus pastor animam suam ponit pro ovibus; 
12 mercennarius et, qui non est pastor, cuius non sunt oves propriae, videt lupum venientem et dimittit oves et fugit — et lupus rapit eas et dispergit — 
13 quia mercennarius est et non pertinet ad eum de ovibus. 
14 Ego sum pastor bonus et cognosco meas, et cognoscunt me meae, 
15 sicut cognoscit me Pater, et ego cognosco Patrem; et animam meam pono pro ovibus. 
16 Et alias oves habeo, quae non sunt ex hoc ovili, et illas oportet me adducere, et vocem meam audient et fient unus grex, unus pastor. 
17 Propterea me Pater diligit, quia ego pono animam meam, ut iterum sumam eam. 
18 Nemo tollit eam a me, sed ego pono eam a meipso. Potestatem habeo ponendi eam et potestatem habeo iterum sumendi eam. Hoc mandatum accepi a Patre meo ”.
19 Dissensio iterum facta est inter Iudaeos propter sermones hos. 
20 Dicebant autem multi ex ipsis: “ Daemonium habet et insanit! Quid eum auditis? ”. 
21 Alii dicebant: “ Haec verba non sunt daemonium habentis! Numquid daemonium potest caecorum oculos aperire? ”.

1« Chi non entra attraverso la porta dell’ovile, ma cerca d’intrufolarsi ad ogni costo, scavalcando il recinto, è un ladro. Il pastore, invece, entra per la porta. Il custode gli apre, le pecore sentono la sua voce e gli si avvicinano; egli le chiama per nome e le porta fuori. Le fa uscire tutte dall’ovile e cammina davanti a loro. Le pecore lo seguono, perché riconoscono la sua voce. Certamente non seguiranno un estraneo, anzi scapperanno, perché non ne riconoscono la voce ».

Quelli che ascoltavano questa parabola di Gesù, non riuscivano a capirne il significato. Gesù, allora, spiegò: « Per la verità, io sono la porta per le pecore. 8, 9 Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini, ma le pecore non li hanno ascoltati. Proprio così, io sono la porta. Chi passerà da questa porta, sarà salvato. Potrà entrare e uscire e trovare verdi pascoli. 10 Il ladro viene per rubare, ammazzare, distruggere. Io, invece, sono venuto per dar loro la vita in grande abbondanza.

11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. 12 Un dipendente, quando vede avvicinarsi un lupo, scappa a gambe levate e lascia le pecore indifese. Che gliene importa di loro? Non sono mica sue! Così il lupo assale il gregge, prende alcune pecore, mentre altre scappano. 13 È naturale che il dipendente se la dia a gambe, perché lavora per soldi e quindi le pecore non gli stanno a cuore.

14 Io, invece, sono il buon pastore, conosco le mie pecore e loro mi conoscono, 15 proprio come mio Padre conosce me ed io conosco lui; e per le pecore do la vita. 16 In un altro ovile ho altre pecore da guidare. Anch’esse daranno ascolto alla mia voce, e allora ci sarà un solo gregge con un solo pastore.

17 Il Padre mi ama, perché sacrifico la mia vita, per riprenderla poi di nuovo. 18 Nessuno può togliermela; sono io che la offro di mia iniziativa, perché ho il diritto e il potere di offrirla e riprenderla, quando mi pare. Il Padre stesso mi ha dato questo ordine ».

19 A queste parole, le opinioni dei Giudei sul conto di Gesù furono di nuovo contrastanti. 20 Molti di loro dicevano: « È indemoniato e pazzo, perché lo ascoltate? » 21 Altri invece dicevano: « Non ci sembra proprio indemoniato! Può, forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi? »

foto e citazione dal blog di Piero Annoni: http://lasteventphoto.wordpress.com/2012/03/07/greggi-urbani/

 

 

blu chimay rossa pagata 1981

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chimay

una sera di pochi giorni fa, prima di andare a fare una performance da pub writer a un festival della birra, mi fermo a trovare i miei,

mia madre sta facendo ordine nei vecchi armadi, mi mostra delle mie vecchie giacche destinate alla caritas, tra queste il mio piumino Dubin 1980, è un vintage perfetto, lo indosso subito,

mezz’ora dopo alla festa della birra il boss mi mette in mano una manciata di tappi da birra bianchi, valgono come gettoni per le consumazioni, mi riempio le tasche del Dubin vintage e comincio la mia performance,

gente mai vista si siede davanti a me, in 15 minuti mi racconta una storia, io la scrivo in simultanea, i mie soci la stampano e distribuiscono,

ad ogni storia stacco qualche minuto e vado al bancone a farmi una birra a gettone,

finché, verso la fine della serata, forse alla decima birra, il cow boy alla spina osserva il tappo che gli ho dato, se lo gira tra le mani, e ride,

con un tuffo al cuore lo riconosco, è blu chimay, è un flash-back saltato fuori dal vecchio Dubin,

serissimo, dico al cow boy:  non è un gettone qualsiasi quello che ti ho dato, ha una storia, adesso non posso raccontartela, ma è una bella storia, vale molto più di una birra rossa,

d’accordo, risponde lui porgendomi la birra, però mi devi una storia,

e siccome uno scrittore chiaramente è un uomo di parola, la storia è questa:

stazione-dogana di Strasburgo, doveva essere il 1981, per la prima volta sperimentavo l’Europa, in viaggio-comitiva-convegno con i giovani studenti comunisti,

io in coda al gruppo, e sbucata dal nulla al mio fianco ecco questa ragazza che mi parlava camminandomi vicino, addosso,

magrissima, ambrata, slavata, occhi grigi, un viso delizioso, indossava solo jeans e t-shirt, ed era inverno,

mi mostrava come fosse una moneta preziosa questo tappo di birra, mi guardava negli occhi, e mi diceva, in francese: blu chimay è una petit rouge  corposa e persistente,

io avevo sedici anni, lei ne dimostrava di più, ma ne aveva tredici,

diceva d’essere parisienne, diceva di essere scappata di casa da due giorni, suo padre insegnava alla sorbona, sua madre una “gran vacca” della moda,

se tu adesso compri questo tappo, e vieni con me, mi disse, ti racconto una storia,

le servivano i soldi per tornare a casa, e un istante dopo, non so come, ci stavamo baciando con passione, in mezzo alla calca,

mi aveva preso per mano, trascinandomi nella direzione opposta, a bere blu chimay in un pub dietro la stazione,

poi ubriachi ci eravamo ritrovati in una carrozza in disuso su un binario morto,

al termine della notte, prima di scappare via, stringendomi nella mano il tappo blu chimay, mi disse:

finché terrai questo, saremo marito e moglie, ma poi un giorno lo perderai, e allora ti lascerò per sempre, bastardo, e tutto il mio amore andrà al primo fortunato che lo troverà.

 

barzelletta da Canetti bastardi

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valie

volendo fare i bastardi citando Canetti, divertitevi a raccontare questa barzelletta da centro tavola, quando i vostri amici “gravemente sposati” vi invitano a cena:

una moglie si rivolge al grande psichiatra e psicanalista Carl Gustav Jung

dottore, mi aiuti, mio marito è impazzito, è convinto di essere una gallina

non si preoccupi signora, risponde Jung, glielo guarirò in due mesi di ricovero

ah! – esclama la donna – e intanto a casa come facciamo per le uova?

(barzelletta viennese d’epoca psicanalitica, dai diari di Elias Canetti.

Imago: Vienna 1968, la performer femminista Valie Export tiene al guinzaglio Peter Weibel, oggi guru dei new media)