quando ascoltavamo making movies

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avevamo 16 anni, i capelli lunghi e l’aria sempre inkaz,

ascoltavamo i dire straits, si andava in moto senza casco

e l’unica malattia incurabile a trasmissione sessuale era la vita

 

elegia dell’amor perduto

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Apro il frigorifero il mio frigorifero bello metallizzato alla moda e in fondo in basso a destra vedo un affarino bianco che mi risulta alieno è uno jogurt lo prendo in mano sull’etichetta a caratteri enormi la data di scadenza, sono passati quasi cinque mesi, e trovo questo jogurt che tu avevi preso per te, quando stavi con me, da me, e ti vedo, le tue labbra, la tua lingua, e sto fermo immobile con la portiera del frigorifero aperta, e questo jogurt in mano.

Spaesato devastato distrutto demolito esco di casa mi ritrovo sperduto in un paesaggio deserto con centinaia migliaia di bipedi che deambulano parlano esistono.

In poche settimane ho avuto più donne che pranzi, sono dimagrito, ero morbido, ora sono tutto nervi, tutto teso, verso chissà cosa, e non dormo,  e mi chiedo perché non dormo, perché in generale la gente non dorme, la gente che vive in questo sistema che ha questi valori queste suggestioni estetico erotiche che pure io pratico a piene mani ai massimi gradi vivendo attimi ore giornate come in un spot meglio che in uno spot, ma perché non riesco a dormire, mi chiedo.

Arriva l’estate, la prima estate senza di te, e sento arrivare la marea dei ricordi delle estati sempre in giro in moto la notte ovunque nel nostro piccolo mondo o anche nel vasto mondo quasi sempre ubriachi di voglia di vivere.

Ricordi quando in Corsica la moto non andava più eravamo io te la moto e una famigliola di capre in mezzo alla strada che ovviamente era una strada sperduta nell’interno boscoso montagnoso sentivamo il mare da qualche parte chissà dove e avevamo sonno eravamo stanchi faceva caldo così ci siamo sdraiati all’ombra ce ne siamo stati a riposare come sempre abbracciati la tua testa sul mio petto finché passato un po’ di tempo la moto è ripartita e da allora non ci sono più stati problemi.

Ricordi quell’altra volta in Grecia a nord a est al confine con la Turchia ci siamo accampati una sera vicino a un laghetto c’erano dei cavalli che ci guardavano montare la tenda poi la notte scese gelida la luna piena il cielo nitido e freddo non si dormiva avevamo bevuto troppo caffè turco tu hai cominciato a star male ad avere una congestione te ne stavi in riva al lago a tremare, ed io a stringerti forte, finché è arrivata l’alba ma il gelo della notte ci è rimasto addosso poi siamo arrivati in un villaggio baciato dal sole verso mezzogiorno finalmente il caldo ci ha fatto star meglio.

Ricordi quella baia sull’Oceano in Portogallo lasciavamo la moto sotto un albero scendevamo a piedi in mezzo ai rovi tu mi insegnavi le tecniche di discesa dalle pareti rocciose avevamo il nostro piccolo paradiso ci sdraiavamo poi al sole a leggere a guardare il mare io mi dilettavo a fare tuffi da rocce sempre più alte per il brivido per la vertigine di lanciarmi da cinque dieci anche quindici metri rischiando la vita e tu mi guardavi, io naturalmente dall’alto dei miei trampolini mortali vedevo il mare lontano sotto di me come un’ipotesi di morte felice vedevo in quell’acqua trasparente i tuoi occhi verdi la bellezza la luce della natura i colori le emozioni la pelle gli odori la vita tutto questo era un tuffo un lanciarsi a testa in giù.

Ricordi quando all’ombra di fiori di glicine al bar tucul sul piccolo promontorio tu leggevi “La disarmonia prestabilita” io su foglietti volanti elaboravo versi celebri  poi a passi tardi e lenti multas per gentes camminavamo al tramonto lungo la spiaggia andavamo a giocare a palettoni anche in acqua tiravamo sempre più forte tu hai sempre avuto un gran braccio in tutti gli sport da racchetta impiegavi un po’ a prendere confidenza con il terreno a recuperare il senso atletico del tuo corpo e poi eri una macchina spara lob.

Ricordi quella notte a Lisbona il ponte sul Tago le raffiche di vento l’asfalto viscido la paura di cadere solo per un attimo perché non c’era protezione perché avevamo violato le barriere dei lavori in corso ubriachi a centosettanta all’ora in moto su un ponte in una corsia chiusa ma libera senza ringhiere davvero pareva di correre su un arcobaleno su un ponte di luce nel buio della notte volando sul baratro d’acqua sotto di noi perché siamo sempre stati così ci siamo sempre buttati a capofitto nei pericoli, e poi così felici la notte di essere vivi insieme abbracciati.

Ricordi quando nei Paesi Baschi la Guardia Civil ci ha sequestrato la moto dopo mezz’ora di inseguimento sulla litoranea da San Sebastian a Laredo, i due sgherri con le loro Yamaha proprio non ci avrebbero mai presi, hanno chiamato l’elicottero hanno allestito un posto di blocco ci hanno fregati siamo rimasti sulla spiaggia di Laredo senza moto senza soldi senza documenti con una serie di imputazioni, attorno a noi l’industria turistica in piena attività noi completamente nei guai, ma che guai erano mai, eravamo insieme, non c’era alcuna paura, ricordi? Abbiamo mai avuto paura di qualcosa, tu ed io? No, mai, di niente e di nessuno.

Ricordi quel pomeriggio quell’estate noi due tra Siena e Firenze quando ci siamo arrampicati a nostro rischio e pericolo sulle mura di Monteriggioni naturalmente a che pro se non per omaggiare il padre della lingua italiana Dante Alighieri, ricordi quando io mi sono addormentato su un prato dietro una siepe nei giardini di Boboli tu non mi trovavi più, sei andata in una casa di Dio lì dietro a omaggiare il Pontormo io ti ho trovata in questa chiesa sola seduta nel primo banco tutta compresa come una beghina te ne stavi assorta a guardare i colori del Pontormo mi sono seduto al tuo fianco mi hai deliziato di uno dei tuoi sguardi di luce. Dormivamo allora di fronte a Palazzo Bartolommei a due passi da Santa Croce per due giorni ci siamo dedicati a Luca della Robbia la sera poi a piedi ubriachi di Tennent’s guardavamo l’Arno da Ponte Vecchio eravamo d’accordo con un anonimo che su un  muro della Loggia aveva scritto: W Bach padre il Kantor, creatore dell’universo.

Ricordi le migliaia di volte ma davvero migliaia che tu ed io siamo entrati in una sala cinematografica, abbiamo preso posto nelle due poltrone centrali della prima fila e poi ci siamo goduti il film come due infanti a occhi sbarrati a testa in su senza nessuna capoccia di bipede umano davanti a noi, ricordi quel film tedesco lungo ventisei ore che abbiamo goduto dal primo all’ultimo minuto, ricordi i cartoni animati, i filmoni, i filmetti, i filmini, i film d’avventura, d’azione, d’amore, i film italiani, i film in costume, i film musicali, i film francesi, inglesi, i film dei registi cattolici polacchi, i film iraniani turchi greci serbi spagnoli, i film assurdi giapponesi ungheresi i film insulsi i film campioni d’incassi noi abbiamo visto praticamente più di duecento film all’anno per dieci anni abbiamo visto di tutto, adesso sono tre mesi che non vado al cinema che ho il terrore di andare al cinema ci sono andato con V. con C. con S. e anche con G. e ogni volta sono stato malissimo mi sono sentito veramente disperato solo seduto in un cinema senza te accanto è chiaro che non andrò più al cinema in vita mia.

Ricordi i giri in macchina la notte a fumare una canna a parlare di tutto, ricordi i viaggi in macchina d’inverno a vedere qualche mostra in qualche città, ricordi il dibattito lungo ore che poi facevamo la notte tornando in autostrada fumando a proposito delle opere viste, ricordi quella volta a Cremona o forse a Crema quando il responsabile della mostra un parassita di lusso simpaticone ha avuto la cattiva idea di mettersi a parlare con noi e noi gli abbiamo detto quello che pensavamo chiari e diretti spiegandogli che se ormai il ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio è come il prezzemolo sui maccheroni la colpa è anche sua, e che questa non è una bella cosa, come non è una bella cosa organizzare mostre idiote dal titolo che suona bene come Il metodo e l’arte, Il pennello e la ragione, I paesaggi dell’anima e degl’intestini, cose del genere, divulgative, ma perché divulgare ciò che è nobile, ci siamo sempre chiesti, non è meglio  aspettare che uno si nobiliti da sé, se proprio?

Ricordi tornando in macchina da Ferrara per stradine secondarie tra i campi lungo gli argini dei fiumi mentre il sole scendeva ricordi quel che mi dicevi a proposito di Dosso Dossi, ricordi i colori di Dosso e ricordi i colori di quel tramonto? Ricordi la sbronza presa a Pavia dopo l’ubriacatura di Madonne del Bergognone, ricordi il mio entusiasmo puerile davanti al Battesimo nell’Incoronata, ricordi il mio entusiasmo quando mi dicesti: questo luogo, questa chiesa dipinta su questa tela, esiste, è a Lodi, ti porterò a vederla, e ricordi poi la notte in giro per la vasta pianura  padana a bere in locali simil west in mezzo al popolo bue che noi per anni abbiamo servito quando la nostra ideologia era quella di servire il popolo, ricordi poi l’alba sonnecchiando in macchina in mezzo a un campo in riva al Ticino, e la mattina cappuccio e brioche nel bar delle sciure a Lodi, e finalmente siamo entrati insieme nella chiesa dell’Incoronata?

Ma che tristezza ascoltare gli spot radiofonici veramente brutti e deprimenti anche questi sono momenti che con te erano belli spiritosi allegri sensati, ma che tristezza stamattina aprendo il giornale leggendo delle mostre che s’inaugurano a Lugano sul Borromini, a Venezia sui Bellini, che commozione vedere riprodotta l’immagine di quella Madonna del Bellini, la mia preferita, lo sai, che tristezza vedere stampata sul giornale come nella mia mente la piantina di San’Ivo, ricordi quando tu ed io a naso in su sotto la cupola di San’Ivo a Roma commentavamo i commenti del Bellori, gli aggettivi, gotico, barbaro, e insieme decidevamo che il Borromini era il vero genio inquieto, non il Bernini, così come l’avevamo deciso a proposito del Lotto, che tristezza chiedermi: con chi andrò a vedere queste mostre? Con chi vorrò andare?

Adesso devo introiettare questo meccanismo della vita randagia lo vedo in tutti quelli che stanno soli: si dice che si farà una cosa, e subito dopo non si ha più voglia di farla, e quindi si fa qualcos’altro o, meglio, non si fa niente.

Ho provato a sostituirti, ti ho sostituita con nove donne, due per parlare, tre per fare l’amore, una per andare in giro a zonzo, una per mangiare insieme, una per drogarmi e ubriacarmi, una per dormire, eppure non mi bastano, mi stancano e non mi bastano.

Torno a casa distrutto dalle mie peregrinazioni, mi sdraio a letto, l’angoscia mi viene giù dal soffitto e mi travolge come l’onda di una diga squarciata.

E finalmente mi sento me stesso.

Finalmente posso stare un po’ con te.

Solo la tua assenza mi dà pace.

(tratto da “Riduzione Uomo”, inedito, immagine by Lorenzo Mattotti)

 

quello che un uomo cerca in una donna

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Ma la vera violenza del desiderio, il vero fuoco di una passione che dura e che distrugge l’anima di un uomo, è la smania di identificarsi con la donna che ama. L’uomo vuole vedere con i suoi stessi occhi, toccare con lo stesso suo tatto, udire con le stesse orecchie, perdere la propria individualità, venire assorbito, venire sostenuto.

Perché, qualunque cosa si possa dire della relazione tra i sessi, non c’è uomo innamorato di una donna che non desideri ricorrere a lei per rinnovare il proprio coraggio, per vincere le proprie difficoltà. E sarà quella la molla prima del suo desiderio di lei.

Siamo tutti così impauriti, siamo tutti così soli – tutti abbiamo tanto bisogno di qualcosa che dall’esterno ci rassicuri sul valore della nostra esistenza.

Così, per una volta, se una tale passione arriva al godimento del suo bene, l’uomo otterrà ciò che vuole. Otterrà il sostegno morale, l’incoraggiamento, il sollievo di quel senso di solitudine, otterrà la certezza del proprio valore.

(da “Il buon soldato”, by Ford Madox Ford, 1915. Imago: Automat, by E. Hopper, 1927)

Dark Lady 1370-1420

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aspro core e selvaggio e cruda voglia

in dolce, umile, angelica figura

(Francesco Petrarca, Canzoniere, 1370)

A proposito di erotismo nella poesia medievale.

Aspro core. E selvaggio. E cruda voglia. Cruda voglia! Nascosta in dolce, umile e angelica figura. Forse la Beatrice di Dante sarà stata una donna angelo, ma la Laura del Petrarca certamente no.

Laura è stata la prima dark lady, la prima femme fatale, la prima donna irrisolta. Siamo all’attacco del sonetto 265 del Canzoniere. Che viene subito dopo la chiusa della canzone 264, che gli fa da apripista: e veggio il meglio et al peggior m’appiglio.

Donna Dark Lady, e maschio bipolare. Modernità del Petrarca, la vedi, la senti?

E come fai a dirmi che nel Medioevo gli artisti non “vedevano” l’erotismo come lo vediamo noi? Guarda questo disegno! (Pisanello, Trionfo della Lussuria, 1420).

Compagno di Banca

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IMG_20170323_184501 Dedicato a tutti i compagni bancari, agli impiegati, ai colletti bianchi col cuore a sinistra, che da sempre devono sopportare la facile ironia altrui, a cominciare da quella strofa di Venditti (“compagno di scuola, ti sei salvato, o sei finito in banca pure tu”).

Un’emozione che mi ha travolto per caso, facendo una ricerca storica di una noia mortale, leggendomi tutti i verbali dei Consigli d’Amministrazione della Banca Popolare di Bergamo dal 1869 ad oggi: finché un paragrafo mi ha improvvisamente trafitto con la forza di una pugnalata, di un pugno che demolisce i luoghi comuni.

Seduta del CdA dell’8 maggio 1945:

Consigliere Tadini: «…senza sfoggio di quella retorica che egli non ama, testimoniamo la nostra ammirazione al Dott. Agliardi, che ha saputo rimanere se non l’unico, uno dei rarissimi direttori di banca in Italia non tesserati al partito fascista…»

Chiede la parola il Dott. Agliardi: «Ringrazio, ma più di me, sono da ammirare e ricordare il capo ufficio Grassi, e i giovanissimi impiegati che rifiutarono di iscriversi al partito, e seppero resistere ad ogni persecuzione, contribuendo all’azione di resistenza e dando prova di grande ardimento, come Rodari, e di spirito di sacrificio, come Biava, Dell’Orto e Urio, caduti per piombo fascista».

Lavoravano in Banca! Gli eroi, i martiri della Resistenza al nazi-fascismo in città, erano impiegati della Popolare.  Da sempre sentiamo questi nomi di ragazzi trucidati giovanissimi, ci sono targhe commemorative in città, ma io mai avrei immaginato o saputo che fossero dei bancari, se non mi fossi imbattuto in questo verbale.

Compagno di Banca, non vergognarti del tuo lavoro, né dei tuoi ideali. Altri si devono vergognare.

(immagine: filiale della Banca Popolare di Dezzo di Scalve)

110&Lodi

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Settimana scorsa, mentre ero a bere in un fetido ritrovo di vecchi creativi, mi chiama al telefono Stefano Caserini, ingegnere del Politecnico, esperto in cambiamenti climatici.

A Mantova, quasi 30 anni fa, abbiamo vissuto un anno insieme, facendo il servizio civile nell’Azienda di Promozione Turistica. Eravamo due giovani scrittori, e abbiamo passato l’anno a lavorare utilmente a un libro, il Mantoverde, guida al turismo verde nel mantovano. Potremmo anche vantarci di aver avuto l’idea del festival letteratura, ma quello è un progetto di cui poi se ne sono occupati i grandi, e con un certo successo.

Tornando al presente, mi dice che si candida sindaco nella sua città, Lodi, con una lista civica espressione della sinistra ecologista. Mi chiede di trovargli un’idea per il nome della lista, o lo slogan.

I suoi compagni di lista, da quel che mi dice, sono tutti dei cervelloni: ricercatori, medici, architetti, bibliofili, pedagogisti. La loro ambizione è rendere Lodi una città modello di sostenibilità. Va bene.

Ordino un’altra birra, e per caso vedo un amico, grandissimo creativo, specialmente fuori ufficio. Gli chiedo: come si chiama una lista di cervelloni per le elezioni di Lodi? Al volo mi risponde: 110 e Lodi.

Prendo su, vado a trovare l’ingegnere e gliela spiego: il vostro punto di forza sono le competenze, vi unisce la cultura della sostenibilità applicata al vostro territorio. Presenterete un programma con 110 punti, da impaginare come un vecchio giornale in 11 pagine, più una copertina con la testata: 110 e Lodi, che è anche il nome della lista.

Dopo profonda riflessione della base politica, mi chiama, e dice: va bene, però sabato prossimo tu vieni alla conferenza stampa.  (così vediamo se ucciderti subito o tra due mesi).

(Ecco in che guai puoi finire rispondendo al telefono mentre bevi la tua birretta della sera).

Comunque, stamattina sono andato alla conferenza stampa. La presentazione è andata bene, e io sono ancora vivo.

Qui sotto, “La bella di Lodi”, con la giovane Stefania Sandrelli.

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dieci giri veloci e a casa

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Ieri sera, dopo tre ore in un’aula del km rosso a sentir parlare esperti marketing sul tema della creazione del valore, mi ritrovo sparato in A4, direzione Milano, in un bolide rosso.

“Dove ti porto adesso vedi lo spirito autentico della cosa” mi dice l’amico al volante. “La gente è stanca delle manifestazioni ufficiali”.

Uscita Lambrate, parcheggiamo su un’aiuola, entriamo nel Parco Lambro. Dall’oscurità arrivano voci concitate. Come zombie, da ogni direzione singoli, coppie, gruppetti di persone convergono verso una zona là in fondo.

Poi lampi di luci intermittenti, come lucciole. Fari di biciclette. Intravediamo l’assembramento. Scavalchiamo un fosso. Da un albero ci cade addosso una ragazzina con una macchina fotografica più grande di lei. Parla francese, ci chiede qualcosa.

Passa un’ambulanza a sirene spente, si ferma poco avanti, dove la gente si sta radunando. In mezzo alla stradina, 30 o 40 ciclisti sono pronti alla partenza. Un tipaccio che fa da direttore di gara sta gridando le istruzioni in stile bastardo: “Ricordatevi che siamo al limite, fate attenzione alle buche e niente spallate. Dieci giri, poi la premiazione al volo e tutti a casa, chiaro? Pronti? Via!”

Si chiamano Criterium, ma sono competizioni scriteriate, improvvisate, semiclandestine, con una particolarità: si usano biciclette a scatto fisso, e senza freni. Per rallentare eserciti sui pedali una forza opposta, cercando di pedalare all’indietro. Come un freno motore.  Oppure sollevi il retrotreno con un colpo di reni, così riesci a bloccare i pedali, e la ruota, e fai la curve derapando, o rallenti bruciando la gomma sull’asfalto.

Niente segnaletica, niente recinzioni, niente di niente. Solo una corsa incosciente in un percorso ad anello nelle stradine del parco. I concorrenti sono di ogni tipo: professionisti o ex della strada e della mountain bike, dilettanti, iron man, cani sciolti. L’amico mi indica alcuni corridori noti, con le bici senza insegne. Incontriamo due amici che lavorano nel settore delle gare ciclistiche tra Bergamo e Milano. Poi mi presenta altre persone, e anche i soci di un birrificio delle valli bresciane. Di me l’amico dice: “Lui è lo scrittore”. Come se dicesse “lui è basista”. Sembra che dobbiamo organizzare un colpo.

La gara dura una ventina di minuti. Passano in gruppo, velocissimi, incollati l’uno all’altro, un’unica massa rutilante, che sposta l’aria. Sfiorano gli alberi, ogni curva c’è il rischio caduta di gruppo.

In cielo, c’è la luna rossa. Il Lambro manda i suoi miasmi. Un cane con una luce verde sul collare. Sirene della polizia.

“Hai visto abbastanza?” mi chiede l’amico.

Torniamo in A4, direzione Bergamo. Dopo aver ascoltato a volume bomba “vivo da re” e “sultans of swing”  mi riporta dove mi ha preso, a Km rosso. Mi dice: “Vogliamo organizzarne una a Crespi d’Adda”.

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luoghi contro-significativi di Bergamo

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Sotto il Palazzo della Ragione, l’icona della Follia, Torquato Tasso.

Su di lui, il letterato bipolare, che con la liberata-conquistata porta all’esaurimento il concept furioso-innamorato, sappiamo tutto.

Il Palazzo della Ragione si chiamava Palazzo Vecchio – ed effettivamente è il più vecchio palazzo del comune d’Italia (1183) – e Piazza Vecchia si chiamava Piazza Nuova, mentre Piazza Vecchia era l’attuale Mercato-Scarpe. In seguito, quando Piazza Nuova ha preso il nome di Piazza Vecchia, la denominazione Piazza Nuova è passata a indicare l’attuale Piazza Mascheroni. Questo per stare nell’ambito della Ragione.

I pazzi sono loro, ci dice chiaramente il nostro Torquato.

Birreria Sentierone 1891

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Ingegner Giuseppe Murnigotti, chi era costui? Considerato l’inventore della motocicletta (Wikipedia), l’ingegner Giuseppe Murnigotti da Martinengo, nel 1879, cioè sei anni prima di Daimler, depositò il brevetto del prototipo del velocipede a motore, il cosiddetto motociclo.

Inventò poi una macchina per produrre il cemento e nuovi sistemi per sistemare le sponde dei fiumi. A Milano fondò l’ordine degli Ingegneri e convinse la città a trasformare la piazza d’armi in un parco (Sempione).

Pochi anni dopo, nel 1891, l’ingegner Murnigotti presentava in Comune il progetto-madre cui si deve la “invenzione” del centro di Bergamo bassa.

Il nostro ingegnere per primo ha la vision, l’idea del cono ottico;  intuisce, prevede e progetta il nuovo cardo-decumano e il nuovo foro della città lungo l’asse Sentierone-Ferdinandea (oggi Vittorio Emanuele) e disegna per Porta Nuova/Sentierone la funzione già di Piazza Vecchia: agorà, foro, salotto, passeggio, city finanziaria.

La richiesta era quella di risanare l’area della Fiera che, dopo essere stata per quasi mille anni l’anima del Sentierone, commercialmente “uccisa” dalla Ferrovia e dall’Unità d’Italia, era diventata una zona degradata.

Con questo progetto, il centro di Bergamo “trasloca” in città bassa. Fin troppo “preveggente”, il progetto Murnigotti 1891 sarà ripreso e modificato da diversi architetti, fino alla versione “pasticceria” realizzata dal Piacentini più di trent’anni dopo.

La cosa che oggi ci colpisce e incuriosisce, è che nel progetto 1891 il nostro Murnigotti prevedesse che un intero stabile, dove poi si è insediato il Balzer, fosse destinato a Birreria (v. legenda, edificio E: birreria).

Chissà che nel prossimo futuro, con il nuovo concorso per il rilancio dell’area, la E/birreria immaginata dall’ingegnere non possa finalmente rivelarsi di perfetta attualità, e contribuire a rivitalizzare il Sentierone. (E magari anche il Balzer!)

Noi che oggi siamo tutti luppolo-dipendenti, al tempo eravamo Balzer-addicted, adolescenti brufolosi divoratori di krapfen, di focaccine con la crema di pollo e di gelati molto cremosi con sopra una spessa corazza di cioccolato fuso a caldo, e tempestato di mandorle e nocciole…

L’astronomia d’impresa è una nuova scienza che considera le imprese come corpi celesti che si attraggono, si scontrano, danno vita a nuovi pianeti. Studiando le orbite e le traiettorie passate, si possono prevedere le congiunzioni astrali future. Oggi B è una stella cadente, avrebbe bisogno di incontrare un astro nascente.

Ora, 125 anni dopo, vedendo la dicitura E/birreria, quale birrificio bergamasco ci viene in mente che inizi per E? E prima di fondare il birrificio E, cosa faceva il futuro birra-fondaio? Lavorava al Balzer!

L’ingegnere ci vedeva molto lontano.

(immagini: progetto Murnigotti 1891)

 

San Valentino 1797

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orfeoeuridice

Io l’ho vista una sola volta, la perfezione che risplende al di sopra delle stelle, ciò che la nostra anima cerca e allontana sino alla fine dei nostri giorni, questa perfezione io l’ho sentita presente.

Era qui, questo essere supremo, nella sfera della natura umana e delle cose reali. L’ho vista, l’ho conosciuta.

Voi che cercate l’altezza e la perfezione nella profondità del sapere, nella foga dell’azione, nelle ombre del passato, nei labirinti del futuro, e vi aggirate tra le tombe e le stelle, conoscete il suo nome? Il nome di ciò che è uno e tutto?

Il suo nome è bellezza.

(Friedrich Holderlin, Iperione, 1797; imago: Rodin, Orfeo ed Euridice, 1893)