una ragazza per l’estate

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Per sei mesi era stata la mia amante, sempre con quell’aria di domandarmi… non so, forse tutto. Era bella, silenziosa e irrequieta, con un viso d’amore vagamente sofferente e arrendevole. Il mio passato era così pesante che avevo deciso di fare la felicità di una creatura, almeno.

Miseria, discredito, debiti. Si fa di tutto, novelle per rotocalchi, traduzioni, il soggetto per un film idiota, articoli; aver la testa vuota, il cuore morto, e disonorarsi, scrivere, che cosa non ha importanza, ma scrivere, e pagare, pagare ancora, elemosinare l’anticipo e ingoiare la vergogna: “Il vostro ingegno, che apprezziamo sempre…”. E mi toccava ringraziare. Disgraziato!

Gettavo nervosamente la sigaretta appena accesa, oppure fingevo crisi nervose e di sfiducia verso l’umanità, tanto per chiudermi in camera, e lei raddoppiava la dedizione, infantilmente ostinato, allora me la prendevo vicino, e mi dedicavo a lavori forzati di erotismo in cui il mio disinteresse era tale da lasciarmi sempre la lucidità necessaria al raggiungimento di successi sbalorditivi.

L’esaurimento nervoso mi aveva ingrassato di un leggero grasso malsano, i muscoli mi s’inflaccidivano, la carnagione tendeva al grigiastro. “Un invertebrato, ecco che cosa sei, un verme pallido”, pensavo, scivolando all’indietro; lei gridava, pareva pazza: risalivo… Un gran grido, un lungo silenzio, poi i suoi grandi occhi che mi fissavano, io già temevo di dover subire qui complimenti tecnici, invece, respirando appena, sforzandosi di osare, aveva detto: “Sai cos’è che mi piace di te?” “Dimmi” “La tua nostalgia”.

Ho preso la sua mano e siamo restati là, zitti, tristi. Mi aveva rivelato quel che accadeva. Io sono debole, e temo; temo sempre di restare solo, di aver paura, di parer miserando: me ne rendo conto quando una donna mi guarda; vorrei un po’ do comprensione ponderata, e lei indovina: non è che i mie occhi si accendano, si illuminano; ascolto musiche angeliche, cori di voci bianche, la interesso, si china su di me, mi toccherà…

E quando si dona so che è proprio vero, e sono contento di sentirmi sicuro; le mie labbra e i miei gesti la ringraziano con tremori tardivi, l’amo, crede che l’ami.

(Tratto da: Maurice Claudel, Una ragazza per l’estate, 1959. Imago: Pascale Petit, interprete dell’omonimo film. Prima lettura: estate 1999. Rilettura: stasera. Rileggere è un po’ come ritornare in un posto,  o con una donna, rischi la delusione, l’estraneità, le cose cambiano, gli anni passano, ma rischi anche di ritrovare, riprendere possesso, e finalmente, anni dopo, capire te stesso.)

 

 

 

10 verità scomode sui p…..i

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Biennale

A margine del convegno “malinconia erotica maschile” tenutosi a Torre Boldone a cura dell’Associazione Nuovo Maschio, nel corso del quale sono stati pubblicati i dati relativi alle abitudini erotiche degli italiani, frutto di una ricerca quinquennale, è emerso, come dato più interessante, il ribaltamento avvenuto negli ultimi decenni tra cunnilingus e fellatio,

per cui se nella generazione precedente nove uomini su dieci non praticavano il cunnilingus, ma pretendevano la fellatio, a seguito della “liberazione sessuale” abbiamo oggi una generazione di uomini che pratica il cunnilingus, mentre l’attività di fellatio, esclusi i rapporti mercenari, si è drasticamente ridotta, specie all’interno della vita di coppia.

Dal dibattito è emerso un vero e proprio decalogo, un manifesto di denuncia delle 10 verità scomode sulla fellatio, che qui pubblichiamo con riserva, per dovere di cronaca:

Nove coppie su dieci sono infelici, e la causa di tutto è che lei non fa p…..i, è questa la prima verità.

Una relazione sessuale senza rapporti orali è impersonale, meccanica, bestiale, triste, destinata a estinguersi, è questa la seconda verità.

Un uomo non è una bestia da sfogare, un p…..o non è un bisogno fisiologico, un p…..o  è intimità sublime, è questa la terza verità.

Una donna che si sente umiliata nel fare p…..i  è doppiamente vittima dei condizionamenti, perché in realtà è l’uomo ad essere umiliato dal rifiuto, è questa la quarta verità.

Un p…..o fatto con amore vale più di mille belle parole, e risolve qualsiasi incomprensione, è questa la quinta verità.

Una donna veramente libera dai condizionamenti adora prenderlo in bocca, come l’uomo adora leccargliela, è questa la sesta verità.

Una donna complessata e passiva può superare ogni suo problema dicendogli: non so fare i p…..i, ma voglio provare a essere sco..ta in bocca, è questa la settima verità.

Una donna che tiene spom…ato regolarmente il suo uomo, non si sentirà mai trascurata, incompresa, non amata, è questa l’ottava verità.

Nove donne su dieci non hanno fantasia e non fanno i p…..i, e le due cose sono intimamente connesse, è questa la nona verità.

Un ca..o pulito, caldo, vivo tra le tue labbra è la bacchetta magica che cerchi invano altrove, e ti farà sentire una fata dotata di poteri magici, è questa la verità finale, amica mia.

bobos invisible hall

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L’altra sera sono stato in un locale che non c’è, dove non c’erano un centinaio di persone, e una ventina di musicisti (con qualche nome di fama) non si sono alternati sul palco, in total free&friendly jam session.

Un seminterrato senza insegna (invisible), garage condominiale open-space in disuso, con tre grandi aree comunicanti: la zona social drink&food, la concert hall e la sala fumatori-giochi d’epoca (freccette, calcio balilla).

Probabilmente assemblato e smontato in poche ore (rave party docet), tutto spartano, naked, sedute e tavolini hand-made ex pallet, pavimento cemento, alle pareti vecchie locandine di vecchi film di culto, tipo jack volò sul nido, in original version.

Però: i caloriferi nuovi e funzionanti, le uscite di sicurezza veramente tali, il servizio bar impeccabile, l’area fumatori dotata di aspiratore.

Tutto abusivo, cioè: festa privata. Wittgenstein-deduction: il privato è abusivo. Fare festa è abusivo. Un luogo dove gira gente ma non soldi è abusivo. Però trovo assessori, dirigenti pubblici, politici, opinion leader. Tutti rigorosamente bobos.

Bobos sta per bohemienne-bourgeois, indica la grande tribù 40enni dual band, di giorno regimental, di notte underground,

un asset tipico della X generation, la progenie senza ideali e senza palle, fatalmente fottuta dalla boom generation che l’ha preceduta (e generata), i decantati sessantottini, ormai sessantottenni e dunque pensionabili, eppure incollati alle poltrone come vecchi democristiani, se non di più;

quando diciamo bobos, parliamo di quarantenni più o meno integrati/e sul lato sociale, professionale; e più o meno disintegrati/e sul versante privato, personale;

integrati ma spesso non realizzati, relegati, e “delfinati” dai senior democrisantottini di cui sopra;

disintegrati ma non distrutti, anzi, pluri-consapevoli, con l’io-diviso ma l’inconscio moltiplicato e il super-ego in modalità visibile;

con lavori, titoli, impieghi e incarichi statement; e vite dissolute, sport estremi, relazioni tormentate, passioni insanabili, aspirazioni purissime e vizi inconfessabili.

Di fatto adottano o adattano un metodo sovversivo, da centro sociale autogestito (e senza nemmeno chiedere il conributo-elemosina…) a un target “la meglio gioventù 2.0”, con vocazione next upper class e orizzonti di sostenibilità easy, bla bla car e smart city.

Lo spirito, l’humus, il pathos a ben guardare i corpi, le prossimità, le conversazioni è anarco-libertario ma con garbo, un dionisiaco in slow motion, un mood relax & enjoy che sembra la versione “less is more” del vecchio peace &love, ma senza fronzoli, senza moine, senza politica,

e senza tutte quelle formalità da locale pubblico, come se in effetti tutti i problemi d’immagine e comunicazione derivassero dall’absurdum di “spendere per divertirsi”.

Anche da nudi (intendo: spogliati del ruolo sociale, professionale) e in ebbrezza questi good fellas sono educati, gentili, puliti.

Il bar è free, ma nessuno esagera, nessuno molesta le bargirls.

C’è qualcosa di piacevole nell’aria, una leggerezza, ma anche un alone di malinconia erotica.

Un consulente aziendale (ma è un politologo prestato al marketing) mi cita Ibsen: quando noi morti ci destiamo, ci rendiamo conto di non aver mai vissuto. Buono.

Ex ragazzine liceali, ormai anta, ma tirate a lucido e perfettamente funzionanti, pezzi unici fuori produzione, belle e desiderabili, come motocross d’epoca. Ammirevoli, e pronte a ruggire.

Ti avvicini, ci parli, e ti dicono: ero incinta, sono stati i mesi più belli della mia vita, sentivo un’energia, un amore, ma poi ho perso il bambino. E le guardi le scarpe da 600 euro, eccitanti. E pensi: ecco la differenza rispetto al liceo, allora bastavano le Superga.

I maschietti american college, camicia bianca, blazer navy o giacca fashion tra il barocco e il finto-clochard, e anche qualche golfino sulle spalle, evergreen del maschio mammone no sexy.

Anche loro, ci parli, gli chiedi, ti dicono: mi sento una merda, e con gli occhi umidi ti raccontano dell’amico di una vita, che non aveva nessun problema, e invece si è suicidato.

Poi sale sul palco un duetto fantastico, lui zazzera, lei caschetto, e sparano una bomba di zucchero eseguita a regola d’arte, Lionel Ritchie e Diana Ross, il nostro amore senza fine, endless love, e scatta la regressio ad juventutem, ai primi anni Ottanta, al primo amore di tutta la generazione. Troppo.

Uscendo, un’efelide grissinesca tacco 14 e ventre rientrante, con qualche problema a salire le irte scale, mi si avvinghia al fortebraccio.

Le chiedo: che cosa resterà di questi anni Ottanta? Sulle note che provengono da sotto, mi risponde: i Pink Floyd.

 

 

montelungo fiato corto

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montelungo

Se questa è la riqualificazione urbana, dalla caserma al casermone, no grazie, mi tengo le aree dismesse.

Parliamo di un’area strategica completamente travisata, di un’opportunità che ha generato un mostro.

La Montelungo doveva essere il cuore del “passante verde”, ne parliamo da anni, un vero progetto urbanistico, non edilizio, per dare volto e funzione nuova alla città, in grado di unire città alta e bassa, Carrara e Sentierone, borghi orientali e occidentali, realizzabile aprendo porte, recinzioni, abbattendo muri…

Gori parlava di “rammendo” urbano, ed effettivamente qui si trattava di “cucire” e confezionare il parco-passante verde (S.Agostino/Carrara > orti S.Tomaso > parco Suardi > parco/cascina urbana Montelungo > parco Marenzi e Caprotti > Sentierone) per cui tu cittadino o turista potresti attraversare e vivere Bergamo Bassa a piedi seguendo un vero percorso-giardino d’arte, dalla Carrara al Sentierone, facendo tappa in S.Spirito e S.Bartolomeo ad ammirare i capolavori del Lotto (e non solo);

Il punto nevralgico, la ex-Montelungo, come tutti ripetiamo da anni, è da aprire, abbattere, piantumare, riqualificare come cascina urbana, non ri-edificare in mega-volumetria “casermone” ex Germania Est;

il progetto doveva essere un progetto di apertura, con soluzioni esemplari, bio-architettura, sostenibilità, mercato agricolo urbano, e invece qui abbiamo un progetto chiuso, una colata di cemento circondariale, del tutto fuori luogo e fuori tempo;

l’unico vero intervento – se proprio si vuole aprire un cantiere – sarebbe interrare il tratto di strada che oggi separa il Parco Suardi dall’area Montelungo (o in alternativa by passarla con strutture aeree pedonali);

doveva essere il polmone verde di città bassa, il tratto d’unione in grado di connettere e rivitalizzare l’area Carrara e il centro Piacentiniano,  e di unire i borghi s.caterina – palazzo – pignolo  con i borghi s.alessandro-leonardo, e non solo,

doveva essere il ring cultura/città bassa connesso al ring mura/città alta, il percorso sopra e sotto le mura venete,

insieme, dovevano essere i due polmoni della città d’arte sostenibile;

invece, nel polmone verde di città bassa si vuole costruire un ecomostro,

mentre il polmone verde di città alta, il parco fara-rocca, l’acropoli della città, è stato devastato, contaminato e poi abbandonato come una discarica da 8 anni (e a spese dei cittadini!).

Questi due polmoni, cruciali per dare aria, respiro, connessione di percorsi pedonali città alta-bassa, cultura e turismo, sono e saranno soffocati da colate di cemento.

Fiato corto. Manca l’aria.

Prendiamo atto di questo: la giunta degli architetti, la città degli architetti, molti dei quali paesaggisti, a cui si chiedeva di aprire la città con un parco/cascina/percorso, ha indetto un concorso-archistar per costruire un carcere di cemento.

La cui unica evidente utilità potrebbe essere richiuderci dentro tutti quelli che l’hanno concepito, e buttare via la chiave.

 

sold & sold out

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Gori-Pesenti

Siamo la città dei muratori, e abbiamo dismesso la materia prima, il cemento.  E questo mentre l’Europa lancia una strategia neo-industriale.

E non abbiamo capito niente di quello che sarebbe successo alla prima azienda bergamasca (ex).

Abbiamo ascoltato e creduto quello che ci hanno detto, le scene che hanno fatto.

Nei mesi precedenti la vendita c’è stato tutto un fiorire di iniziative virtuose e bei discorsi, all’I.lab, al km rosso, incontri con grandi architetti (Renzo Piano), con studenti, con università prestigiose, si parla di città sostenibile, di Bg 2035, di orti urbani, di progetto Rifo per riqualificare le aree dismesse;

e sempre in queste occasioni vedevi insieme questi due superfighi della città, Giorgio e Carlo, d’amore e d’accordo,

Carlo: «Le nostre città e il nostro territorio hanno bisogno di grandi interventi di riqualificazione. Una rinascita che cambi in meglio le realtà urbane, le periferie in particolare, e la vita stessa delle persone che le vivono. È un tema profondamente innervato nel sociale Quartieri più sostenibili, più belli, più vivibili, contribuendo alla rinascita. Economica e sociale di intere città. Noi ci sentiamo in prima linea su questo fronte, insieme a molte altre imprese italiane».

Giorgio: «Il recupero e la restituzione di aree dismesse e periferiche sono elementi centrali anche nell’azione amministrativa di una media città storica italiana come Bergamo, scelta anche come «caso studio» del progetto di ricerca Bergamo 2.035 condotto da Università di Bergamo e Harvard University con il supporto della Fondazione italcementi».

A partire da luglio, con la notizia della vendita, è ancora un fiorire di “come siamo bravi”, “come siamo coraggiosi”:

Carlo: «L’accordo raggiunto oggi, rappresenta sia per Italcementi che per HeidelbergCement la soluzione ottimale in termini di sviluppi futuri e creazione di valore, ben superiori a quelli che avrebbero potuto raggiungere le due società singolarmente».

Alla domanda sul futuro dei lavoratori, risponde di aver avuto tutte le rassicurazioni del caso dalla nuova proprietà: Italcementi ha già un grado di efficientamento superiore, per cui non sarà necessario tagliare il personale.

A quell’epoca mentre tutti i media osannavano Calepio Press pubblicava un post dal titolo “Italcementi sapendo di mentire”.

Giorgio, 5 ottobre: «Ho ragionato sulla vicenda Italcementi con ammirazione per la capacità lucida di cogliere l’opportunità di uscire da un settore maturo per portare nuove risorse in settori più promettenti»

12 ottobre, arriva “come uno schiaffo alla città” (L’Eco di Bergamo) la notizia che i nuovi padroni tedeschi lasceranno a casa 1080 persone, più di 400 nella sede storica di Bergamo.

Adesso i sindacati strillano (ma a luglio dov’erano? In ferie?) e Giorgio promette che si darà da fare per trattare a nome delle città, in qualità di sindaco, mentre Carlo understatement (!) non ha niente da dire.

La voce della verità, questo giro, è nelle parole dell’ex sindacoTentorio: «Ottenere a posteriori ciò che non era stato stabilito nel contratto originario non sarà facile. Se la politica, la tanto odiata politica, e i sindacati fossero stati maggiormente coinvolti queste clausole potevano essere inserite. Non è stato informato nessuno e ora la posizione della realtà bergamasca è molto debole, in una condizione di sudditanza, con il rimpianto che una grande realtà bergamasca non sia più tale».

Alla fine la vicenda Italcementi ci lascia con un’unica sensazione certa: quella di essere stati presi in giro da leader non all’altezza delle questioni reali, e paurosamente non aggiornati sulle reali dinamiche economiche del prossimo futuro.

Il fatto è che le favole sulla rivoluzione digitale sono già vecchie.

Di soli servizi e tecnologia non si vive, è questa la lezione: bisogna tornare a produrre in Europa se vogliamo realmente creare un modello sostenibile,

piaccia o no, il progetto/strategia futura dell’UE si chiama RISE, che sta per Renaissance of Industry for a Sustineable Europe,

e in quest’ottica ci sono settori che non si possono mollare a nessun costo: energia, alimentare, edilizia!  Cose che i nostri veci pre-digitale sapevano già.

 

in gamba

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inevitabile, nella mia condizione: in 70 giorni ho contato oltre 200 battute “in gamba!” fatte da amici, o anche gente incontrata per strada.

Portare in giro una gamba rotta è come avere il cane, la gente ti chiede che razza è, quanto ha, si sente libera di parlarti,

questo forse è dovuto anche alla visibilità scenografica della mio gamba-attrezzata, con tecnologia a vista tipo reggicalze composta da cinghia portalibri verde militare che assicura il tutore a un cinturone di cuoio allacciato obliquo in vita, pistolero style

(questa tecnologia permette al tutore di restare in posizione, senza bisogno di stringerlo troppo, e soffocare cute e carni)

ma quello che più attira attenzione e commenti è la funzione porta-oggetti:

il problema degli stampellati è che non hanno le mani libere, dunque hanno bisogno di avere a portata prensile gli oggetti di uso quotidiano.

Parliamo in realtà del problema maschile del rifiuto della borsetta, anche in versione borsello maschile, o marsupio-tracolla;

come mi ha spiegato una volta in treno una top-commessa di Prada-Milano, mentre la borsetta viene naturale alle donne, essendo un contenitore-metafora della vagina che accoglie nell’intimità (nei suoi vari tagli, dalla shopping alla pochette), gli uomini, abituati alla presenza di attributi esterni, preferiscono tenere tutto in tasca (chiavi, telefono, portafogli) cioè a portata di mano, e sguainabile, come gli attributi.

Io ho effettivamente provato per alcuni giorni a usare un marsupio a tracolla, ma con effetti psicologici inaccettabili, sia di regressione all’infanzia – quando mettevo la cintura di pelle nera di mio padre a tracolla sul pigiama per diventare Zorro – e sia di auto-percezione come turista-pacifista gay, e d’altra parte ho sempre reputato il marsupio a tracolla inadatto, inelegante per i tipi fisici come me, dotati di bogetta.

Non prendendo nemmeno in considerazione l’idea del marsupio in vita,

ho così cominciato a usare il tutore come contenitore, come portaoggetti, sfruttando le numerose cinghie come ancoraggi.

Nella foto, in gamba:

> occhiali da vista Bugatti con microchip-memoria nelle stanghette, avuti in cambio di una recensione che non ho mai scritto, in uso da 10 anni,

> il telefono Nokia, che pure ha fatto il decennale

> in giallo, due classici dell’industrial design, l’evidenziatore Stabilo  e l’accendino Bic.

> in blu prussia, penna Lamy avuta in cambio di una recensione che non ho ancora scritto

> sull’esterno polpaccio, due punture anti-trombo (19 battute tematiche) che devo farmi ogni 24h per prevenire problemi di trombosi.

fuori gamba:

> portacenere glass union jack  (fumo di londra!), da amica cantante,

> libro “a mano armata”, biografia di Giusva Fioravanti, da amico bergamo bene città alta,

> catalogo mostra Boldini, da bella donna che sembra un ritratto di Boldini

> tavolino florian by baleri-baroli, avuto in cambio di una recensione che non ho mai scritto (più di 20 anni fa, estensibile a pressione, e funziona ancora: e come mi disse un gigante del pensiero tecnico “se qualcosa funziona ancora, è sicuramente fuori produzione”)

> alla base di tutto, pavimento floreal 1899, miracolosamente scampato negli ultimi decenni ai grandi virus di ristrutturazione design (open space e parquet).

fuori foto:

> nella mano destra, libro di F.Pessoa “una sola moltitudine”, con illuminazione, non visibile, sul sentimento della moltitudine, che è simile e speculare alla solitudine, e colpisce i misantropi costretti alla compagnia umana.

(photo Riganti)

 

 

50 sfumature di promessi sposi

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Quello che pochi sanno, è che il Manzoni, oltre che ricchissimo di famiglia e amicissimo del potere, quale che fosse (francesi, austriaci, piemontesi, e lui diventava repubblicano, mitteleuropeo, italianista) era soprattutto un sessuofobico della peggior specie, morboso come un cattolico, bigotto come un calvinista.

Per rendersene conto basta leggere senza paraocchi i brani  sulla Monaca di Monza, l’unica donna  non frigida de I Promessi Sposi, il romanzo che il Manzoni stesso, divenuto Ministro dell’Istruzione del neonato Regno d’Italia, impose come testo obbligatorio in tutte le scuole del regno: un abuso di potere che incredibilmente si protrae ancor oggi!  Ecco che cos’è la famosa ironia del Manzoni!

Ma con la Monaca di Monza (Gertrude, ispirata a un personaggio realmente esistito, Marianna de Leyva, 1575-1650) il Manzoni perde il controllo, e rivela il suo lato oscuro.

Fin dalla prima cosa che dice su di lei, vediamo la condanna (e l’attrazione):

Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista  un’impressione di bellezza sbattuta, sfiorita, direi quasi scomposta.

Subito dopo, si focalizza su occhi e labbra: due occhi neri neri si fissavano in viso alle persone, come un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio. Le labbra spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei e vivi, pieni d’espressione e di mistero.

Descritto l’aspetto, passa a raccontarne tutta la storia di bambina predestinata al convento sino al fatto che segna la sua condanna: quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovane, scellerato di professione. Allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.

Ci siamo, da questo punto in poi il peccato e il piacere sono indissolubilmente legati:

provò una contentezza viva, nel vuoto uggioso dell’animo suo s’era venuta a infondere un’occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; divenne tutto a un tratto più regolare, più tranquilla, smessi gli scherni e il brontolio, si mostrò anzi più carezzevole e manierosa.

Si noti il maschilismo darwinista, per cui la donna è creatura che “ha bisogno” del sesso. Si noti la pornografia velata (in quel vuoto s’infonde qualcosa di forte, continuo e potente!) che uno psicanalista riconoscerebbe da quel “direi quasi” ripetuto, come un lapsus. Andando avanti, l’unico problema è capire se il nostro ci sia o ci faccia, cioè se quando scrive che il delitto è un padrone rigido e inflessibile l’allusione porno sia voluta, o inconscia.

L’ultimo brano, con Gertrude che “coccola” Lucia prima di consegnarla a tradimento agli sgherri di Don Rodrigo, “direi quasi” che non lascia dubbi:

Gertrude, ritirata con Lucia nel suo parlatorio privato, le faceva più carezze dell’ordinario, e Lucia le riceveva e le contraccambiava con tenerezza crescente: come la pecora, tremolando senza timore sotto la mano del pastore che la palpa e la strascina mollemente, si volta  a leccar quella mano; e non sa che, fuori della stalla, l’aspetta il macellaio, a cui il pastore l’ha venduta un momento prima.

Capisci perchè poi gli italiani leggono 50 sfumature di grigio? La cattiva pornografia l’hanno appresa nella scuola dell’obbligo.

(testo by Leone – imago by Studio Temp – tratto da l’Osservatore Elaviano n.4, periodico del Birrificio Elav –   tutte le citazioni sono tratte da I promessi Sposi, le prime due da cap.9, la terza da cap.10, le ultime due da cap.20 )

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LeoneZoppo

Martedi 22 giugno, h20.15 

Avendo per  scenario città alta e colli, il campo di calcio Imiberg in  S.Lucia è il posto ideale per segnare un gol che per quanto mi riguarda passerà alla storia come l’ultimo gol del Belotti: cross dalla trequarti, tutti i grulli sul primo palo, io venendo da dietro arrivo solo allo stacco, è una palla alta, ma voglio schiacciarla con forza a terra, devo saltare più in alto che posso… e a quel punto il campo Imiberg, del quale io avevo sparlato nei miei post polemici su Imiberg e Formigoni company, si vendica, con la sua eccezionale elasticità… sento un rumore secco, uno schiocco di frusta, un male no word al ginocchio, penso che qualcuno mi abbia tirato un calcio diretto. In ogni caso spizzico il pallone, che finisce in rete, mentre io finisco a terra urlando.

Mi guardo la gamba. Al posto della rotula, al posto del ginocchio, c’è carne piatta, liscia, come fosse il dietro del ginocchio, come se qualcuno l’avesse appiattito con una martellata. La mia rotula destra è risalita a metà coscia, come una spallina sotto pelle. Compagni e avversari si fanno intorno, guardano, vedono, girano la testa, uno mi sembra abbia conati di vomito. Raddrizzo a mano la gamba, ormai inerte, e assume un aspetto meno impressionante.

Arriva il 118, una bella rossina mi consola nel viaggio, dai finestrini alti dell’ambulanza intuisco un tramonto infuocato.

Al pronto soccorso dopo qualche ora di attesa mi fanno le lastre, mi danno la diagnosi (mi è saltato di netto il tendine rotuleo, che sarebbe l’elastico che tiene il ginocchio, e probabilmente anche l’osso che lo tiene, è successo nel fare il salto, nel caricare per lo stacco aereo) un simpatico dottorino mi dice: esattamente quello che è successo a Ronaldo, il classico infortunio del grande campione, adesso ricoveriamo, domani non facciamo niente, giovedì ti operano, sabato sei a casa.

Io cagasotto rispondo: se domani non mi fate niente, vengo domani. Si, così perdi il letto, e devi rifare la coda al pronto soccorso. Va bene, ma adesso devo andare a casa. Prendo la scusa di un lavoro improrogabile che devo fare nella notte. Mi mette una steccatura rigida. La mia compagna mi accompagna a casa.

Mercoledì 23 giugno

Dopo aver lavorato quasi tutta la notte per mantener fede alla mia scusa, mi sveglio nel mio letto, e mi ritrovo l’amico B. in casa, tutto sorridente, che mi dice: andiamo, e mi porge due stampelle che mi ha appena comprato. Con le stampelle, percorro 40 metri, nella mia via c’è un negozio di ortopedia, e acquisto un bel tutore rigido-regolabile. Il tizio del negozio mi taglia la steccatura e mi mette il tutore.

La sera torno al pronto soccorso. Sette ore d’attesa, alla tv ci sono gli europei under 21 e il mio omonimo Belotti fa un gol fantastico (buon sangue non mente). Mi appisolo in sedia a rotelle, alle 3 di notte mi ritrovo spinto in reparto, ricoverato in camera con un centauro immobilizzato, malridotto, con madre che lo veglia, e lo sveglia, russando più di noi due maschi feriti messi insieme (ha lavorato tre decenni in fonderia! Massimo rispetto).

Giovedì 24 giugno

Luci accese, personale delle pulizie, infermiere, termometro, puntura, prelievo, pressione, pastiglia, elettrocardiogramma, rifacimento letti, giro dei medici, nuovo giro delle infermiere: sono entrato nella catena di lavorazione ospitaliera.

Un’infermiera simpaty al mio compagno di stanza: cos’hai fatto? Incidente in moto? Dovrebbero lasciarle guidare solo ai professionisti le moto!

Tra le 11 e mezzogiorno è l’ora ideale per imboscarsi, riesco a montare su una carrozzella (c’è un racket tra i 30 ricoverati e le 3 carrozzelle disponibili) e via in zona fumatori. Faccio due parole con una specie di Jessica Rabbit in vestaglia di raso e ciabattine floreal, basta un niente tra degenti e scatta la solidarietà, e quasi le lacrime. Ma io ho sempre avuto il dono (o la disgrazia) di ascoltare le persone.  La sera mi dicono: da mezzanotte digiuno, domani ti operano.

Sul telefonino (che compie 10 anni: un Nokia scarafone con ancora registrata la prima telefonata, 24 giugno 2005!) trovo 30 sms di amici, parenti, collaboratori, rispondo a tutti grazie, non rompetemi, non venite, non chiamate, vi amo, appena esco pubblico il diario.

Venerdì

Tutto il giorno a digiuno, ogni passo che senti pensi: ci siamo, sono venuti a prendermi. Alle cinque di sera mi dicono: niente, è arrivata una bambina grave in elicottero, ti operiamo domani.

Sabato

Idem come sopra, e ancora a un certo punto arriva una bambina grave in elicottero. Però, queste bambine. Lunedì ti faremo la risonanza, l’operazione martedi, forse (se non arrivano bambine).

Domenica

Turismo ospitaliero, in pausa pranzo ho ospiti alla Marianna, dopo mangiato visita alla chiesa, una specie di Mecca Bianca, mi piace molto, mi piacciono anche le opere del Ferdi FF. Fuori dalla chiesa due parole col tossico di turno che mi dice di vedere la madonna, gli offro due euro.

In zona fumatori sento una compagna di sventura, con gamba ingessata, che racconta al telefono di come il marito le abbia sparato, e abbia sparato anche ai figli, mancandoli, però distruggendo la moquette.

Lunedì

Andiamo, mi dice l’infermiera simpaty: e dove, a ballare? No, in sala operatoria. Cazzo. In sala operatoria tutti simpatici e buona musica.  Bisogna inserire anche un cerchiaggio metallico, cioè girar del fil di ferro intorno alla rotula.

Purtroppo a un certo punto perdono qualcosa nel ginocchio, bisogna sgarugare, arriva il radiologo, seguo la ricerca in diretta dallo schermo, alla fine ce la fanno, nonostante l’inconveniente mi hanno sempre dato grande fiducia e serenità, veramente un bel team. Ma la notte la pago, dolore di bestia, conto i minuti fino all’alba, quando pietosamente mi antidolorificano.

Martedì

Ok, andiamo a fare la risonanza magnetica. Ma mi hanno già operato. Ah, ti hanno già operato? Allora niente risonanza magnetica. Passo la giornata in dormiveglia, in attesa che qualcuno mi dica qualcosa.

Quando apro gli occhi mi trovo due camici verdi, due donne, belle signore 50/60, cazzo, sembrano due primari. Ci racconti tutto, mi dicono. E io parto e racconto tutto, il trauma, i sintomi, l’operazione. Stanno mute, e mi sorridono. Cosa mi dite, allora? No, noi soprattutto ascoltiamo, siamo volontarie di un’opera pia per dare conforto ai malati soli.

Mercoledì

Mi faccio in carrozzella tutta l’hospital street fino alla Marianna, la gente ti guarda ansimare, gli unici che mi danno una spinta sono un africano all’andata e un marocchino al ritorno. Gente che sa cosa vuol dire aver bisogno di una mano.

Alla Marianna non possono dare alcolici ai degenti. Mi tocca corrompere la prima bella ragazza che vedo. In zona fumatori due parole con una compagna di sventura, bella donna maratoneta 40/50, ricoverata per una frattura semplice, ma proprio nel dimettersi è volata con le stampelle sul pavimento appena tirato a cera, e ha fatto il danno grosso.

La notte non dormo, mi piazzo a leggere nella hall del reparto, sui divanetti pelle nera tipo show room, giusto  sotto il ritratto di San Matteo Rota, e gli dedico la preghiera della rotula. A mezzanotte due genitori indiani o pakistani mi raccontano del loro bimbo di 5 anni, le due gambe spezzate sotto una macchina, prometto di andarlo a trovare la mattina.

Giovedì

Il bambino paki ha un sorriso gigantesco. Più che altro è lui a tirar su di morale noialtri adulti occidentali. A mezzogiorno mi dicono: possiamo dimetterti, devi solo  parlare con la fisioterapista poi puoi andare. Il mio compagno di stanza in questi otto giorni ha fatto 3 operazioni, adesso riesce a stare sulla sedia a rotelle. Sua sorella e sua madre mitiche.

Arriva la fisioterapista e parliamo per dieci minuti del libro che ho sul comodino, lei l’ha letto e trovato molto bello. E il ginocchio? Ne parleremo alla visita di controllo. Poi mi dimettono.

La mia compagna viene a prendermi. Ho davanti due mesi immobile, tre di stampelle, un anno di riabilitazione. Ci voleva una cosa così per mettere finalmente a prova la forza di volontà. Prima di andare a casa, ci fermiamo a Bg birra a berne una molto luppolata. Cazzo, veramente buona, che cos’è? Mi dicono il nome di una birra che non mi era mai piaciuta. Le cose cambiano con le esperienze (e con le astinenze!).

(ph: il Belotti dopo 7h di pronto soccorso)

10 piccoli interventi per Bergamo

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BGaltaNorthSided

(pagina di appunti ritrovata dalla donna delle pulizie nei corridoi di Palazzo Frizzoni, si invita il consigliere o l’assessore che l’avesse perduta a reclamarne la paternità)

Egregi colleghi, ecco la lista dei 10 piccoli interventi per Bergamo da realizzare con minima spesa e massima resa per fare più bella e accessibile la ns. città:

1)    Bg automobile, appena arrivi a Bergamo dall’autostrada, il brutto traliccio nero dell’orologio, questione annosa, cosa ci vuole per toglierlo? Anche lo sponsor si è tolto, dalla vergogna. Monito alla dismissione dell’inquinamento pubblicitario (pannelli, totem, etc)

2)    Bg automobile, soluzione del pastrocchio viabilistico autostrada/asse interurbano con l’apertura di una nuova uscita autostradale Bergamo Bassa (aeroporto, oriocenter, stadio, valli) mentre l’attuale rimarrebbe come uscita Bergamo Alta (ospedale, città alta, colli)

3)    Bg ciclabile, portiamo le Bigi pubbliche in città alta, sulle mura e sui colli.

4)    Bg ciclabile, dalla stazione di Bergamo la ciclabile della Val Seriana dista duecento inaccessibili metri: sfido chiunque non conosca la città a trovare l’inizio della pista in via David, eppure nell’area ex magazzini generali non manca certo lo spazio per completare la connessione. Questo è solo l’esempio di molti tratti di ciclabili non connesse tra di loro.

5)    Bg pedonale, sistemiamo definitivamente il Sentierone per le manifestazioni fieristiche: attualmente brutti tendoni di plastica o brutte bancarelle-bungalow: invece, pensiamo a come utilizzare, ampliare, estendere, proteggere, rendere funzionale il sistema dei portici piacentiniani, portici in realtà mai usati per quello che sono: è sotto i portici che si crea la vita di una città, guardiamo altre città, pensiamo a bancarelle sotto i portici, a tende che coprano i marciapiedi, in modo da rendere sensato il sistema piacentiniano, o altrimenti abbattiamolo!  Ma evitiamo i tendoni di plastica che trasformano il Sentierone in un “non luogo” qualsiasi.

6)    Bg pedonale, connettiamo l’area musei-gallerie d’arte Carrara-Gamec con il Sentierone, realizzando con interventi minimali il “passante verde” ciclo-pedonale: dal cortile Gamec ingresso diretto al parco Suardi (un cancello da aprire!) dal Parco Suardi alla Monte Lungo (un sovrappasso pedonale) e da questa attraverso i Parchi Marenzi e Caprotti siamo in Via Tasso-Sentierone-Piazza Pontida.

7)    Bg alta, le Mura Venete: imprescindibile  realizzare, cioè aprire, l’anello pedonale completo ai piedi delle mura. Attualmente il percorso sul versante nord c’è già, c’è sempre stato (anche se pochissime persone l’hanno mai percorso (da Colle Aperto giù dal colle fino a porta S.Lorenzo,  e seguendo le mura fino a sotto lo spalto di S.Agostino) mentre sul versante che affaccia a meridione, si tratta di aprire un percorso tra le porte S.Agostino e S.Giacomo (dove inizia via Tre Armi che riporta a Colle Aperto)

8)    Bg alta, la Rocca: aprire l’anello pedonale super-panoramico circum-rocca, un sentiero che corre ai piedi Rocca,  sopra il parco Moroni e l’ex Parco Faunistico (da quanti anni in abbandono dopo la frana/scandalo del maledetto Locatelli parking? Già ormai l’area è diventata un vero e proprio terzo paesaggio) con accessi dalla Fara, dal Pozzo Bianco, da via delle Rocca e dal convento di San Francesco (scaletta del condannato, accesso diretto Mercato Fieno-Rocca)

9)    Bg alta, eco-logistica della consegna merci: oggi le vie medievali e piazza Vecchia sono occupate da grossi furgoni (spesso diesel!)  che squalificano l’aria, lo spazio e l’esperienza “città d’arte”. Definiamo un’area d’interscambio logistica e logica (es. zona Baioni, o vecchio Ospedale) dove tutte le consegne per città alta siano raccolte da una flotta di veicoli ad hoc, piccoli, elettrici, non inquinanti, non invadenti, che siano vettori di qualità urbana, e non deturpatori del centro storico.

10) Bg alta, Seminario, apertura al pubblico passaggio dell’area nevralgica del Seminario, il colle di S.Giovanni: due cancelli da aprire, e via Arena si connette a Colle Aperto e Piazza Mascheroni, creando la possibilità di percorsi (oggi limitati alla Corsarola avanti e indietro) e migliorando la vivibilità della città.

Imago: Bergamo Alta vista da Nord, con sentiero e parco sotto le mura.

Bergamough

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UniOfBg

c’è qualcosa che non funziona nella Bergamo Experience, e rende poco credibili eventi come il Donizetti Pride e il Palma Shopping Tour,

si tratta di una parola fuori luogo, ricorrente, che troviamo nello slogan ufficiale – Bergamo Italian Masterpiece – ma anche nel forum Bergamo Pubblic Space, nell’iniziativa Bergamo Cashless City, nel progetto Bergamo 2035 Smart City e perfino nell’ente promotore, la University of Bergamo;

questa parola fuori luogo, stonata, è la parola Bergamo: tutti gli slogan citati vengono ridicolizzati da questa parola italianizzante, provincializzante;

per cui, a parere degli esperti, il problema potrebbe essere risolto solo con una scelta coraggiosa, una mutazione grafologica, da Bergamo a Bergamough,

una grafia più importante, per un risultato linguisticamente coerente;

la pronuncia non si discosterebbe dall’attuale, se non per un finale più corposo e rotondo, in grado di dare alla città una suggestione e un sound nobile, internazionale, simile a Marlboro, contrazione moderna dell’originario Marlborough,

sicché tra 20 o 30 anni, quando tutti avranno imparato a dire Bergamough, potremo fare come la Marlboro, e lanciare la versione alleggerita, Bergamo Light, la città che si è fumata il cervello.