il vibratore di Heidegger

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VibratoreGigi

circa 30 anni fa, università statale di Milano, esame di filosofia teoretica, il professor Carlo Sini, dopo un’ora serrata su Heidegger, prende il libretto, e vedo che inizia a scrivere 30/trenta, poi si ferma, mi guarda pensieroso e mi chiede: ma infine di che cosa è privata, la vita privata?

Silenzio, suspense, eccitazione di studentesse accaldate e accalcate nell’angusta stanzetta. Di che cosa è privato, il privato?

Della pubblicità, rispondo. Il prof sorride, e aggiunge: cum laude. Momenti di gloria.

Oggi, con i social network, con facebook, quella risposta andrebbe rivista. La vita privata sta diventando sempre più oggetto di pubblicità.

Per esibire autenticità, si finisce fatalmente nell’ipocrisia: ipocrita significa attore, colui che recita una parte, e chi recita pubblicamente sé stesso è a tutti gli effetti un “autentico ipocrita”, che insegue la “pubblicità” come luogo privilegiato di verità.

Viceversa, quando l’ipocrisia era pubblica, dichiarata, riconoscibile, come nel caso dei vecchi regimi mass-mediatici palesemente ipocriti (catto-fascismo, catto-comunismo e catto-capitalismo pre società dello spettacolo) la verità viveva nel privato.

Si osservi oggi questa “pubblicità” totalmente ipocrita dove tutti i plus del prodotto sono perfettamente comunicati pur facendo finta che il prodotto non sia quello che è.

Oggi ci si sforza di esibire ciò che si vorrebbe essere, ieri si nascondeva ciò che si era davvero: e quel tipo di ipocrisia era forse meno impegnativa (in pubblico) e più appagante (in privato).

Ammetterlo non è semplice, perché l’ipocrisia di regime era il nostro nemico pubblico numero uno. Ma il prezzo da pagare per ridurre l’ipocrisia pubblica si è rivelato altissimo: rinunciare all’autenticità del privato.

Oggi probabilmente il prof. Sini chiede agli esaminandi: che cosa viene realmente pubblicato, nella pubblicità?

Facile: la vita privata.

se la Maresana fosse un vulcano

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BgcittàMorta

Solo se messa di fronte alla sua tragica realtà di città morta, sepolta,  Bergamo si darebbe una svegliata e inizierebbe a pensare, progettare e realizzare sul serio il proprio futuro.

Le idee, le possibilità per essere una città sensata, sostenibile e felice, ci sono: quello che manca è il coraggio,  la mentalità, lo spirito e la spinta, l’innesco.

Ma se la Maresana fosse un vulcano, ecco come potrebbe rinascere Bergamo dalle sue ceneri:

1) Bergamo Terrazza dell’Umanità, le mura luogo magico, sospeso, via l’asfalto dal Viale delle Mura, vero luogo d’attrazione, via le auto, via i megabus, corsia o binario per mezzi pubblici non invasivi, più punti di risalita easy (ascensori, scale mobili, scalette), sui bastioni liberati dall’asfalto locali, botteghe, spazi culturali, conviviali, ospitali. Sotto le mura, intorno alle mura: Parco delle Mura Venete e della Rocca: percorso ad anello, valore storico e paesaggistico, pedonale e ciclabile, e contestuale ricostituzione dell’area verde ex bosco faunistico/park-frana, da 5 anni cantiere abbandonato

2) Bergamo Città Aperta, accessibile, accogliente: la piazza della stazione è brutta perchè insensata, rappresenta la chiusura della città, occorre bypassarla sopra o sotto, prolungare, connettere il viale-cardine con aeroporto, autostrada, asse interurbano, e dotare questa nervatura delle infrastrutture logiche necessarie, parcheggi, piste ciclabili (da connettere) aree d’interscambio, percorsi pedonali e negli ex Magazzini Generali la cosa più logica: grande ostello/albergo popolare, per viaggiatori, studenti, famiglie, lavoratori.

3) Bergamo Città Giardino, creazione del “passante verde” pedonale per connettere Accademia Carrara e Sentierone via Parco Suardi e Parco Montelungo (da destinare a verde urbano); apertura delle rogge, dei cortili, piantumazione delle aree dismesse, frutteti e orti pubblici, destinazione del Lazzaretto a mensa popolare – fabbrica delle idee (progetto Mensa te!) trasformazione conventi ed ex caserme e ospedali (Astino, Montelungo, Riuniti)  in cascine urbane, creazione posti lavoro e posti di vita, produzioni alimentari e culturali.

(photo “si sale da bergamo bassa” by A.Corti)

parcheggiamo la notizia

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parcheggiogavazzeni

L’Eco di Bergamo annuncia l’apertura del nuovo parcheggio Humanitas-Gavazzeni in viale Europa,

sorvegliato da 20 telecamere, dotato di un impianto di illuminazione di design e arredo verde, con 50 noccioli di Costantinopoli e 20 aceri campestri, oltre ad arbusti e cespugli

per un tot di 328 posti auto “a prezzi calmierati”: 1 euro ogni 60 minuti (chissà se non fossero calmierati!).

«Con la realizzazione di questa opera – dice G. Fraizzoli, Ad di Humanitas-Gavazzeni – diamo il nostro contributo alla città per risolvere i problemi della viabilità di questa area ».

Però la notizia sarebbe stata più corretta e completa se L’Eco avesse riportato cosa la Humanitas-Gavazzeni ha avuto in cambio per questo parcheggio:

15.000 metri cubi edificabili per edilizia sanitaria privata, concessi dall’amministrazione Bruni nel 2007 con una delle sue celebri “variante di progetto in seguito a un accordo di programma” che ha permesso di modificare il piano regolatore, portando a 55.000 metri cubi gli originari 40.000. (fonte: http://associazionelaurora.myblog.it/)

E quindi, invece di parlare del contributo che Humanitas-Gavazzeni offre alla città, sarebbe più logico parlare del contributo che la città ha offerto alla Humanitas-Gavazzeni.

Humanitas-Gavazzeni tra l’altro dovrebbe anche aggiornare il proprio sito internet, nel quale compare ancora l’informazione ormai vecchia “parcheggio gratuito sull’adiacente viale Europa”:

e questa “dimenticanza” ci fa scattare un pensierino elementare: se le giunte sapessero fare veri “accordi di programma” otterrebbero il vero interesse della cittadinanza in tema di ospedali: il parcheggio gratuito (che ormai a noi sembra un’utopia, ma in altre città è realtà).

de cerebro sgarbi sine tentorio

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sgarbiTentorio

De cerebro Sgarbi sine tentorio in vano Bergomi loquendo pro Gamec Ubiqua:

il critico d’arte Sgarbi è venuto a Bergamo a  vedere una mostra e ha rilasciato dichiarazioni disinteressate e di un certo spessore culturale come:

“questa mostra  è talmente bella”

“nel corso di questi anni ho sempre visto i quadri della Carrara” (è chiusa da 5 anni)

“chiunque vinca, perfetta la Gamec ai Magazzini Generali” (progetto di Ubi banca)

“Gori è un sindaco da periferia, andrebbe bene per Bergamo Ovest”

“Tentorio è avvantaggiato perchè non lo conosco”

E si vede. Se Sgarbi avesse delle nozioni basilari di anatomia, oltre a comprendere meglio la storia dell’arte, non avrebbe mai detto una frase del genere, che di fatto mette a nudo l’origine dei suoi problemi:

il tentorio infatti è la membrana che separa il cervello dal cervelletto (Wikipedia).

a volte ritornano

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N70

La notizia circola da tre mesi, ad alcuni pare comica (a volte ritornano) e ad altri tragica (come si uccide l’informazione)

a Bergamo aprirà una nuova testata web di nome Bergamo Post, gravemente finanziata da Percassi Group (“il nostro successo è frutto dell’osservazione della realtà, unito al desiderio e all’ambizione di fare qualcosa di nuovo e di migliore”) e seriamente diretta da Ettore Ongis («Occorre il tempo per approfondire, se non si vuole gettare il cervello alle ortiche. Internet, per sua natura, non ha tempo di rielaborare le informazioni») ex direttore de L’Eco, già presidente del gruppo Imiberg, scuole cattoliche.

Nel 2009, l’allora direttore de L’Eco di Bergamo, così si confessava agli studenti del Mascheroni: «Non avevo le idee chiare su che cosa fare dopo l’università. Per fortuna è la vita che ha scelto per me. La mia prima esperienza da giornalista è  stata nel mondo della Rai. Alcuni dirigenti Rai vollero selezionare e reclutare dei giovani e venni assunto a Radiodue. Poco dopo entrai nella redazione de L’Eco di Bergamo e per così dire mi sistemai».

«Ho sempre pensato che non sia giusto imporre ai ragazzi la lettura dei giornali, nemmeno a scuola. Fino a venticinque anni la Gazzetta dello  Sport è il giornale più adeguato».

Un mito.

Sull’incontro Percassi-Ongis un amico, teorico della davantologia comica, approccio opposto alla dietrologia tragica (le cose sono lì davanti, da vedere, nella superficie delle cose la loro spiegazione)  ha detto: “ma quali lobby e finanza bianca! Piuttosto penso a  quella barzelletta milanese dove c’è un tipo un po’ ciula che chiama un suo amico un po’ ciula e gli chiede: non conosceresti qualcuno…si ma lo vuoi un po’ ciula ?”

Chi vede il lato comico,  pensa che ci sia del comico nel fare un giornale web con un direttore del cetaceo-cartaceo, e anche nell’avere la redazione e il budget per fare approfondimento sul web, e impiegarci tre mesi a partire.

Chi vede il tragico, invece, ha solo da scegliere:  partirei da un Gad Lerner del 2012, su MicroMega: «La confessione dell’imprenditore Pierluca Locatelli che ha pagato un milione e duecentomila euro la licenza per una discarica d’amianto, colpisce soprattutto per la destinazione della parte più cospicua di questa somma: la ristrutturazione “gratuita” della scuola paritaria Imiberg, 700 studenti e 100 docenti, fiore all’occhiello della “libertà d’insegnamento” lombarda.

Nel dicembre scorso Formigoni aveva inaugurato il suo centro sportivo lodandone la fisionomia esemplare, fiancheggiato dal giornalista ciellino Ettore Ongis che sovrintende alla sua gestione da quando il vescovo Francesco Beschi l’ha allontanato dalla direzione dell’Eco di Bergamo per liberare il giornale della curia dai vincoli eccessivi del gruppo di potere ciellino».

Per capire come un soggetto “troppo vincolato a cl per l’eco” possa ora vincolarsi al consumismo turbo capitalista del bell’antonio innominato, una pagina tratta da Sean Blazer, “Lo stile italiano”:

“l’informazione si uccide mettendo, o riportando, ai vertici dei media fidati yesmen molto ben pagati per garantire il massimo torpore d’opinione,

non la redditività editoriale, non la sostenibilità culturale, non la costruzione o la diffusione di una consapevolezza critica, ma proprio il suo esatto contrario, il massimo torpore d’opinione pubblica,

anche a costo di grandi perdite finanziarie, che saranno sostenute da imprese  impure, cioè non da editori puri, ma da super-imprenditori con interessi in settori diversi, che rappresentano il potere secolare, il braccio armato degli oligopoli bancari (quando non ne sono ostaggi)

nel mondo turbo capitalista l’informazione è controllata non attraverso la repressione ma con il finanziamento di testate opprimenti,

attraverso il controllo della pubblicità, in regime di monopolio od oligopolio, quei due o tre gruppi di potere associati escluderanno sia i professionisti che le testate indipendenti, o quelle comunque capaci di sostenibilità editoriale (cioè di stare in piedi per la qualità del prodotto realizzato)  e perciò doppiamente pericolose,

e d’altra parte invece si garantiranno introiti finanziamenti alle testate del gruppo, il che significa  che si darà il posto sicuro, prestigio, denaro e mille altri privilegi a un numero ristretto di direttori, capoccia, caporedattori e kapò,

non importa che sappiano scrivere, pensare, capire, comunicare, importante è che sappiano ammansire, riunire, condurre la redazione e i lettori come un gregge, come un curato fa con i suoi parrocchiani,

e al contempo si affameranno coloro che realmente lavorano, i giornalisti, i giovani freschi di laurea ed entusiasmo, o anche professionisti che da una vita fanno quel lavoro, tutti ridotti a vita a collaboratori esterni pagati una miseria, cioè il massimo della dipendenza, e il minimo della libertà di scrittura, che dovrebbe essere l’unico vero valore della professione”

Infine, per coloro, come me, per i quali  questa nuova notizia-onda, la  new ongis, tecnicamente una risacca,  è peggio che tragica, e cioè funebre (come un requiem all’informazione, alla professione, e allo spirito d’impresa editoriale)

propongo in spirito a volte ritornano  il post L’eco di un suicidio by Leone, dedicato a tutti i precari- aspiranti giornalisti, tratto dal blog estinto bamboostudio, pubblicato all’indomani del cambio di vertice alla direzione de L’Eco:

“Hai meno di trent’anni, sei cresciuto nella favola del Made in Italy, seguendo questa favola hai studiato Scienze della Comunicazione, ti sei laureato, hai cominciato a fare piccoli lavori nel mondo della comunicazione, dapprima gratis (per fare esperienza, curriculum) poi pagato quasi niente, senza alcun contratto, ma sei bravo, ci credi, tieni duro, il tuo lavoro consiste nell’incensare eventi mondani, prodotti di lusso, persone di successo, tu non hai in tasca nemmeno i soldi per comprare le sigarette, non importa, smetti di fumare, sei pronto a fare sacrifici.

Poi ti chiedono di aprire la partita iva, d’accordo, e ti chiedono di diventare commerciale, di vendere pubblicità, d’accordo, puoi fare anche questo.

Con la partita iva chiedi un mutuo per andare a vivere in un monolocale con la tua fidanzata (che è nelle tue stesse condizioni); alla fine dell’anno hai fatturato 10.000 euro, fai parte della generazione 1000 euro, precaria, la “parte peggiore” del paese secondo un ministro, però tu sei in regola, formalmente anzi sei un imprenditore.

Poi vai dal commercialista, dai tuoi 10.000 euro togli l’iva, le tasse, l’INPS, il commercialista, ti restano 3000 netti, in un anno, e hai un mutuo da 6000, cominci ad andare sotto, eppure ti dai da fare tutto il giorno, non hai vizi, non esci mai a cena, non getti un euro in gratta e vinci, non ti droghi, non vai a donne, non hai la macchina.

Prendi la bici, e vai umilmente a chiedere aiuto ai tuoi, pensionati, vai da tua sorella che ha sposato un dentista, cerchi di stare a galla, ma l’anno dopo non ce la fai, non hai i soldi per l’INPS, ti sembra un paradosso essere obbligato a versamenti previdenziali quando non hai da mangiare oggi.

Non hai i soldi, non paghi, allora Equitalia comincia a perseguitarti. Poi non riesci a pagare la rata del mutuo, e la Banca andrà a rivalersi sui tuoi.

La vergogna è troppa, ti rendi conto di aver sbagliato tutto, aveva ragione tua nonna: impara un mestiere, idraulico, panettiere!

Non hai più nemmeno la forza di guardare in faccia la tua ragazza, le dici che hai bisogno di restare solo, la molli, molli anche il monolocale, tiri avanti altri tre mesi fregandotene delle ingiunzioni di pagamento, intorno a te sembrano tutti ricchi e felici, belle ragazze e belle automobili, showroom e vernissage, tu non esisti, i tuoi problemi non interessano a nessuno, non sono contenuti interessanti da condividere su facebook, e così un bel giorno la fai finita.

Il giornale della tua città, cattolico, non racconterà questa vicenda (“Il nostro giornale non pubblica le notizie dei suicidi” si vanta il direttore Ettore Ongis) i suicidi non meritano una parola, non importa se il suicidio è la prima causa di morte giovanile dopo gli incidenti stradali, non importa se i giovani suicidi sono aumentati del 60% in tre anni, non importa se la tua città ha il record di giovani suicidi in Italia.

A nessuno interessa il tuo fallimento, ti negano perfino il funerale in chiesa (eppure da bambino facevi il chierichetto), nessuno ha una parola per te. Eri il migliore della tua generazione, volevi fare il giornalista. Chi ti ricorderà? Nessuno, forse Equitalia. Qualcuno ti renderà giustizia? Qualcuno spiegherà che il vero fallito non sei tu, ma il modello sociale in cui viviamo?

“Ogni tentativo di capire, si inceppa a motivo dei sentimenti che affiorano nel nostro cuore: sentimenti di pietà, di tenerezza e di amicizia, di delusione e di sconfitta, di tristezza e di speranza”. Sono belle parole queste, il Vescovo in persona le ha pronunciate: ma non sono per te, sono per un prete colpevole di molestie sessuali che, smascherato dalle Iene, per un genere totalmente diverso di fallimento e vergogna, ha fatto infine la tua stessa scelta.

“Il suicidio di don Recanati non è un fatto privato, è un grido di dolore e di protesta che sale fino al cielo”. Lo scrive Ettore Ongis, il direttore del giornale della tua città, lo stesso uomo che da dieci anni ignora e quindi denigra migliaia di suicidi come il tuo. È il trionfo dell’ipocrisia di regime. E tu muori due volte. E quelli come te continuano a fare la scelta di Catone.

Sono passati sei mesi, e la notizia del giorno è questa: a l’Eco di Bergamo hanno cambiato direttore.”

> sono passati tre anni, e il direttore scaricato da l’eco ritorna in carica col  post

moderati per Grillo

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moderatiGrillo

 

Non ce l’abbiamo fatta. I motivi sono diversi, ci rifletteremo con calma a mente fredda.

Così scrivono in un comunicato stampa i 5stelle Bergamo. La batosta è pesante.

Ancora nel comunicato, si legge: la nostra sfida ripartirà, con stimoli del tutto nuovi.

Ringraziamo gli attivisti, candidati e non, i cittadini che ci hanno accordato la loro preziosissima fiducia, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio senza i quali non saremmo qui».

Ecco, questo no, Grillo non direi che è da ringraziare. Quando è venuto a Bergamo non ha detto una parola sulle amministrative. Di fatto è stato come se avesse detto l’importante è votare 5stelle in Europa.

Renzi, nonostante la carica super partes, è venuto a sponsorizzare Gori; Grillo sé stesso. Questo è un fatto, e anche rilevante. Non saprei se la direzione nazionale 5stelle in questo momento preferis essere disimpegnata dalle amministrazioni locali, so che a Bergamo hanno fatto degli errori, e non serve la mente fredda, si sapevano già a caldo:

davide può abbattere golia, ma deve avere una fionda, e un sasso adeguati all’impresa.

A partire dal budget (adatto a comprare una Fiesta di terza mano) fino alla scelta dei candidati e del tono di comunicazione, i 5stelle bergamo si sono mossi sottotono, low profile, quasi fossero dei… moderati per Grillo!

Grillo ha conquistato consensi unendo alle argomentazioni il carisma, secondo il principio di bucare lo schermo, affascinare, sedurre con mimica, ginnica, vis, voce e volume,

invece il candidato sindaco Zenoni parla a bassa voce; l’architetto Pizzigoni ha la s sifula, l’editore Bramani la r moscia,  l’artista mio amico Athos prima di muoversi sta attento a non disturbare gli insetti…

persone deliziose, delicate, equilibrate, ma inadeguate ad aggredire, a mordere, non abbastanza “ignoranti” per prendere il voto emotivo, non abbastanza “paraculi” per avere l’adesione piccolo-borghese, tutto sommato dei “moderati per Grillo”,

ecco cosa significa il risultato bergamasco per i 5stelle, ecco la risposta a tutti coloro che dicono che i 5stelle dovrebbero superare l’arroganza grillesca: i moderati per Grillo, almeno in questa fase, non con-vincono,

probabilmente adatti a una fase successiva, consolidata, della presenza 5stelle nelle istituzioni, ma poco performanti su un terreno di guerra mediatica, in una fase di conquista.

La lega dei tempi d’oro, quella dei poster con le galline dalle uova d’ora, lo ha insegnato: la comunicazione aggressiva, infantile-senile, su argomenti condivisi, colpisce e rende.

Zenoni è stato scelto dalla base, ok, questa è democrazia, ma la conquista del potere, anche in democrazia, non si fa con metodi democratici, è questa la morale,

la campagna elettorale è una guerra di comunicazione, e in guerra non vince chi chiede il parere della truppa volontaria, ma chi ha strategia, armi e corpi speciali guidati da condottieri mercenari superfigli di puttana, cioè i tanto vituperati professionisti della comunicazione, a cui si affidano tutte le imprese che vogliono conquistare il mercato.

Zenoni è una persona che mi piace molto, è preparato, riflessivo, educato, intellettualmente vivace, un giorno magari faremo un libro insieme, ma sarebbe andato meglio un candidato più scenografico, istintivo e pop-seducente…

penso alla responsabile dell’organizzazione 5stelle, la Carminati, la quale, oltre a essere sveglia e super efficiente (dietro le quinte ha curato la logistica, l’organizzazione dei banchetti, delle affissioni, dei social, etc) è anche una super bionda alta magra e dotata, una bomba a immagine, con capello ondulato e fluente, e una gran bella risata solare, una che appena ti dice “ciao!” la voti,

Una valkiria in grado (senza tacchi) di guardare gori e tentorio dall’alto e… ridere!

Poteva essere la faccia-immagine vincente, la faccia del cambiamento, una donna sindaco di Bergamo!

(testo by Sean Blazer, photo: i moderati per Grillo)

la rivoluzione dei fighetti

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fighettiRev

all’indomani della vittoria elettorale (primo turno) le  cronache interne dal partito democratico segnalano forti attacchi di mal di pancia ai massimi vertici del politique bureau della berghem federation,

temevano la sberla a 5 dita gialline, e invece il ceffone è arrivato arancione, dall’interno, dai fighetti gory,

ancora una volta la rossa primavera si ritrova sbiadita, venata di bianco,

e gli equilibri di potere nella coalizione si spostano dalla grande proletaria alle avanguardie rivoluzionarie (o controrivoluzionarie) dei goryboy e delle goretti girls, dette anche le gorettine, o anche: le medju-gory.

Il partito locomotiva si scopre trascinato (in direzione opposta) dall’ultimo vagone aggiunto, che ha poco a vedere con la base, la struttura, la storia, gli interessi, la burocrazia e l’inerzia centralista, statalista,

e più rivolto alle libere o nuove professioni, a un rinnovamento trasversale, che segna la fine della mitologia penitenziale del lavoro hard in favore dei nuovi lifestyle a base di cazzeggio light, sostenibile,

alla festa in piazza dante la sera prima della chiusura della campagna elettorale, vedevi queste due situazioni che parevano metafore contrapposte, da una parte il modus operandi macchinoso del pd (la preparazione interminabile del mohito, un’ora di attesa in coda) dall’altra il brio blu lista gori, panini e birre al volo (e coca libera!),

la rivoluzione dei fighetti è una rivoluzione bobos (bohemienne-bourgeois) di quarantenni non (o non ancora) disperati ma nemmeno troppo “sistemati”, o del tutto a sistema, per usare un dialettismo,

una compagnia con un suo squilibrio, fatta di giovani orribilmente vecchi, come il carretta, e vecchi orribilmente giovani, come l’amaddeo, e lo stesso gori in jeans e zainetto,

con finti nordafricani, come il superfighetto bergamo-bene omar d’egitto, e finti sudamericani, come il gori-guru sanchez d’italia uno,

tutti assolutamente sottomessi alla finta cougar titina (madre e sposa esemplare)

tutti assolutamente consapevoli di essere il vero nuovo centro destra, in grado di governare la sinistra dall’interno:

per questo mi sbilancio a dire che sarebbero piaciuti molto al padre della politica italiana, il grande giulio.

Morale poli-cromatica: la febbre gialla del cambiamento ha perso le elezioni con i 5stelle, ma ha vinto all’interno dello schieramento vincente, con la rivoluzione dei fighetti.

Ora ci si augura che i bravi fighetti siano anche in grado di fare qualche ottima figata per la città, a cominciare dal pensionamento del buon Tentorio, che non chiede altro.

(testo by Sean Blazer, photo: i mohito-gori occupano piazza Dante)

tentorio center

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tentorioCenter

Tentorio Center è un progetto top secret

ideato dal 3T lab (Tambor Terza età x Tentorio)

con un concept di base elementare, logico e inaudito:

la vera questione non è chiudere città alta, ma aprire città bassa!

il vero errore nel restyling della piazza della stazione è non averla rasa al suolo per prolungare l’asse viario oltre la ferrovia (come gli austriaci già progettavano di fare quando nell’ottocento realizzarono il corso ferdinandeo, cioè l’attuale viale Vittorio Emanuele-viale Roma-Papa G23)

davvero insensato che l’asse cardine di Bergamo centro sia praticamente a fondo chiuso sulla stazione, mentre dovrebbe bypassarla sotto o sopra per collegarsi con autostrada, asse urbano, aeroporto e oriocenter,

e così finalmente “aprire” la città al suo naturale sbocco a sud, un bello stradone 6 corsie, più pista ciclabile, più tram leggero, per arrivare direttamente da orioport/center a bergamo centro e bergamo alta, con grande comodità per tutti, viaggiatori, cittadini, provinciali,

nell’area porta sud, un mega-parcheggio d’interscambio dove lasciare l’auto e prendere la bici, il treno o il tram,

collegamento aeroporto-stazione-città diretto, più accessibilità alla città, meno traffico nelle zone residenziali, tutto il traffico in uscita direttamente sull’asse urbano,

questa famosa porta sud, per la quale da decenni si fanno progetti faraonici che restano sulla carta, sarebbe ora di aprirla, per cominciare, spalancarla, farne il fulcro di accesso alla città,

oggi da oriocenterport vedi la città davanti a te, ma per arrivarci devi fare percorsi assurdi, contorti, quando basterebbe un unico grande boulevard,

il vero segno di apertura e accoglienza della città.

 (ph. Tentorio copie omaggio by FFE)

PS: il progetto Tentorio Center è un’idea 3T lab, ma se al ballottaggio dovesse vincere Gori, saremo lieti di affidarlo al 3G lab, e ribattezzarlo Goriocenter Project

 

veritatem dies aperit

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ROVETTA DISSOTTERRAMENTO8

veritatem dies aperit, cioè “il tempo svela la verità” (Seneca)

sulla strage di Rovetta, sul perchè sia stata compiuta, ecco le 5 risposte più accreditate, che non si escludono, ma concorrono:

1)   per imitazione/competizione con la fucilazione di Mussolini (nello stesso giorno)

2)   per vendicare Giorgio Paglia e i crimini commessi da altri militi della Tagliamento

3)   per motivi finanziari, per ottenere i “rimborsi” del SOE inglese (tot uccisi tot cash)

4)   perché tra i 43 balilla c’era un nipotino di Mussolini, figlio dellla sorella, fucilato per ultimo, costretto a guardare morire tutti i compagni (camerati)

5)   per complotto anglo-democristiano, per screditare subito i comunisti, sanguinari, inaffidabili come forza di governo (e qui bisognava chiedere a Don Spada).

Nessuna di queste motivazioni appare onorevole, sostenibile a voce alta: da qui il silenzio “omertoso” di autorità, associazione partigiane, democristiani, curia e stampa catto-comunista.

Infine, una domanda ai “Ribelli della montagna”: ma secondo voi i partigiani e gli antifascisti negli anni Quaranta si occupavano di questioni di 70 anni prima, polemizzavano sulle guerre d’indipendenza, su cose dell’Ottocento?

Perchè non vi occupate di cose del presente e del futuro? Per fare la storia, serve coraggio. Ma anche per rileggerla, e riscriverla. Chi sono i nazifascisti che oggi ci affamano? I vecchietti di Rovetta? O quelli che siedono al Quirinale?

Sapevate che Napolitano ancora nel novembre del 44 era iscritto al partito fascista e si era già infilato in una redazione di un organo di stampa di regime?

E che Elio Vittorini, prima di diventare il leader degli intellettuali di sinistra e incitare al massacro dei “figli di stronza” (“Uomini e no”, lettura obbligatoria per decenni nelle scuole di stato)  andava tutto azzimato ai congressi degli intellettuali nazisti con Goebbels?

Napolitano e Vittorini, ecco due veri servi del regime, tutti presi a far carriera mentre le leggi razziali erano già in vigore da anni, e i veri antifascisti venivano già ammazzati da anni…

e poi, da un giorno all’altro, eccoli iscritti al partito comunista, campioni dell’antifascismo, apostoli della “peste da estirpare”: e molta gente è morta a causa della cattiva coscienza di personaggi del genere, maestri del trasformismo, sempre a cavallo del potere, intolleranti verso chi è fedele a una scelta, anche nella sconfitta (cosa che invece merita rispetto).

Allora, se proprio vogliamo attaccare i “servi del potere”, i fascisti riciclati, possiamo fare il nome di Napolitano, etichettarlo come vile, o è reato? Vilipendio?

Coraggio, ribelli!

(photo: cimitero di Rovetta, dopoguerra, le mamme dei balilla dissotterrano le salme dei figli, poi inumate al cimitero del Verano di Roma)

l’eco di rovetta

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fucilatiRovetta

Cari ragazzi “ribelli della montagna”, chi vi scrive è sempre stato un ribelle, un montanaro, un antifascista duro e puro: ma su Rovetta state prendendo un granchio colossale, vi state facendo ingannare e usare da persone ed enti (come l’istituto storico della resistenza, e L’eco di Bergamo) che da 70 anni si guardano bene dal rivelare il segreto orribile dietro a questa vicenda: il vero motivo della strage.

I fatti sono indiscutibili: 43 ragazzini dai 15 ai 17 anni, gli ultimi balilla, volontari della Legione Tagliamento, che non avevano mai partecipato ad alcuna azione di guerra, arruolati da poco, dopo aver consegnato le armi in obbedienza al proclama del Comitato di Liberazione Nazionale (è fatta salva la vita a chi si arrende) vengono messi in fila davanti al muro del cimitero di Rovetta, e trucidati a sangue freddo.

Nessuno ha mai ammesso di aver sbagliato, nessuno ha mai fato un gesto di pentimento, scusa, o detto un parola di pietà, non l’associazione partigiani, non l’istituto storico della resistenza, non la curia (che pure ebbe una parte nella vicenda).

Sarebbe bastato questo, sarebbe stato necessario questo gesto. Invece, il silenzio: di Rovetta non si deve parlare, non si deve capire, non si deve ammettere.

Per anni le mamme di quei ragazzini si sono recate a Rovetta a commemorare i loro figli. E poiché nessuno ha mai avuto il coraggio di chiarire, o anche solo riconoscere quella pagina oscura di storia della resistenza, ecco che quel raduno anno dopo anno è diventato sempre più importante, e più travisato e strumentalizzato da entrambe le parti.

Fino ai giorni nostri, con parlamentari che chiedono al governo di vietare la commemorazione, e gruppi come “I ribelli della montagna” che si appellano a una legge di 60 anni fa (anticostituzionale, perchè contraddice la libertà di opinione ed espressione) per invocare il reato di apologia di fascismo,

e l’Eco di Bergamo che pubblica come oro colato un comunicato irresponsabile nel quale si falsifica la storia e si invitano i lettori a partecipare al presidio antifascista “in concomitanza con il raduno di domenica 25 maggio a Rovetta in commemorazione dei vili assassini della Legione Tagliamento”:

La legione e i suoi partecipanti sono noti per le torture, i massacri e le devastazioni compiute nei nostri paesi” scrive l’eco, e scrive una falsità mostruosa, perchè come è provato dalle carte, da testimonianze scritte dei capi partigiani, quei 43 ragazzini non erano torturatori – alcuni erano fidanzati con ragazze del posto – e tanto meno assassini, non avendo mai sparato un colpo.

E nemmeno vili, dobbiamo ammettere, dal momento che mentre tutti si imboscavano, o si nascondevano sotto le gonne della mamma, loro si erano arruolati volontari, per difendere “la patria”: puoi dirgli ingenui, traviati, illusi, ma non vili.

Il vile assassinio, invece, veramente, vile, è stato quello compiuto da chi gli ha prima promesso salva la vita e poi, una volta arresisi (grazie all’intervento del parroco) li ha messi al muro.

Ancora l’Eco scrive cose come: “cani da guardia di un potere e un sistema economico che affamano con le loro crisi e le loro ingiustizie. Antifascismo significa lottare contro ogni discriminazione e per l’uguaglianza sociale. Significa capire il ruolo di questi servi del potere e contrastarli metro per metro: è giunta l’ora di mobilitarsi per ricacciare fascisti e nazisti fuori dalle nostre Valli, come settant’anni fa!”.

Se domenica a Rovetta ci saranno incidenti, tafferugli, feriti (o peggio ancora) io fin da ora indico L’Eco di Bergamo come corresponsabile di incitamento alla violenza (oltre che di falsa informazione).

Se l’Eco avesse la coscienza pulita, e agisse cristianamente, quello che avrebbe dovuto fare su Rovetta era raccontare la verità e dunque invitare tutti a esprimere pietas, in un contesto di riconciliazione e comunque di rispetto per ragazzi a tutti gli effetti “martiri innocenti”, anche se indossavano la divisa sbagliata, vittime della storia, una storia assurda e crudele, esattamente come molti partigiani fucilati dai fascisti.

A noi interessa individuare le responsabilità, chi ha deciso, e perchè, quell’inutile massacro, e anche chi continua a usarlo (in modo a dir poco disonesto, direi) come strumento di consenso giovanile.

Allora, se sei veramente un ribelle, prima di gioire per questa inconsueta uscita “pasdaran” del nostro Eco delle curia, spendi cinque minuti, leggi questa ricostruzione (alla quale ho dedicato anni di ricerche, e una tesi e una laurea in storia che alla fine non ho preso) fai le tue ricerche, e fatti un’idea tua.

Tratto da “Il senso segreto della strage di Rovetta”, by Leone Belotti:

Ultimi giorni di Aprile del 1945, la guerra è finita. Nel fuggi fuggi generale, mentre tutti si imboscano o si travestono, al passo della Presolana, in val Seriana, tagliati fuori da tutti, ci sono 43 balilla che ancora tengono il presidio.

Li comanda un sottotenente di 22 anni, l’età media è di 17 anni, i più giovani non hanno ancora 15 anni. Studenti, si erano arruolati dopo la fuga del re, per salvare l’onore della patria. Nati e cresciuti nella retorica fascista, non c’è da stupirsi che vogliano resistere in armi contro il resto del mondo, fino alla “bella morte”.

Il Comitato di Liberazione ordina: cessare il fuoco, arrendersi, consegnare le armi, è fatta salva la vita. E’ il parroco a convincerli a scendere dai monti, a rassicurarli che la resa sarà onorevole.

Giunti a Rovetta vengono presi in consegna dai partigiani, e dopo due giorni di prigionia quasi familiare (alcuni erano fidanzati con ragazze del posto) la notte del 27 accade qualcosa di poco chiaro, compaiono figure misteriose, agenti segreti, auto lussuose: all’alba del 28 Aprile i 43 balilla vengono picchiati, spogliati e condotti dietro il cimitero, dove vengono fucilati (mitragliati), a gruppi di cinque, e sepolti sommariamente.

Questo episodio, noto (non troppo) come “la strage di Rovetta” è la prima macchia dell’Italia nata dalla Resistenza. Chi diede l’ordine di fucilare prigionieri che si erano arresi conformemente agli ordini del Comitato di Liberazione?

Per quale ragion di stato 43 ragazzini che non erano stati responsabili di violenze, come testimoniato da uno dei capi partigiani, sono stati trucidati a sangue freddo?

Un processo farsa nel dopoguerra ha chiuso la questione (l’esecuzione fu considerata come “azione di guerra”, e dunque non punibile, grazie a un apposito decreto).

Gli esecutori materiali, processati e assolti, portano i cognomi più diffusi della zona, chiunque in Val Seriana conosce un sacco di gente con quei cognomi, Savoldelli, Zanoletti, Balduzzi, Percassi, amici, clienti, soci, collaboratori, gente con cui lavori. Gli ho detto: chiedi ai tuoi, agli zii, ai nonni: dim ergot! Niente. Nessuno sa niente, nessuno dice niente. Curioso come un bergamasco possa somigliare a un calabrese, in certi silenzi. Una pagina rimossa. E che pagina! L’innesco della mattanza!

Il giorno dopo la strage, il 29 Aprile 1945,  l’Unità scriveva: “La peste fascista deve essere annientata. Con risolutezza giacobina il coltello deve essere affondato nella piaga, tutto il marcio deve essere tagliato. Non è l’ora questa di abbandonarsi a indulgenze che sarebbero tradimento della causa…”  E’ il famoso articolo Pietà l’è morta. Firmato: Giorgio Amendola, cioè uno dei  “padri della patria”.

Amendola si riferiva a piazzale Loreto, ma come non leggere in queste parole un’apologia alla pulizia etnica?

Il macello di piazzale Loreto non bastava, qualcuno ha voluto e ordinato un bagno di sangue generale, nazionale, e occorreva un esempio immediato, ecco la strage di Rovetta: l’appello de l’Unità dunque significa “fate come a Rovetta”, trucidate pure chiunque abbia una camicia nera. A rigore: almeno il 90% degi italiani.

Ma proprio nel corso di quella notte, gli italiani, ormai ginnasti esperti del consenso,  si “liberarono”, e divennero tutti antifascisti convinti, e anche assetati di sangue. Nel corso del successivo mese di Maggio, furono uccise oltre 40.000 persone a sangue freddo, senza distinzione, civili, donne, bambini, anziani, per strada, in piazza, in casa, ovunque, per lo più vendette private su persone comuni, con l’alibi di “annientare la peste fascista”, mentre i gerarchi e i servi del regime  si riciclavano in parlamento, nei ministeri, nelle aziende e nelle case editrici.

Dobbiamo capire che dietro la cornice della “Liberazione” c’è un bagno di sangue attuato per occultare la magia del gattopardo, il trasformismo delle elites (non il ricambio).

Cose che un’intera generazione ha visto ma taciuto alla generazione successiva, la mia, la nostra, per cinquant’anni, fino anni Novanta, cioè dopo il crollo del comunismo, quando  giornalisti, storici ed editori hanno preso coraggio (!) e aperto gli archivi dell’orrore.

Torniamo a Rovetta. Nella formazione partigiana responsabile della strage c’erano personaggi noti della resistenza bergamasca, e anche una figura misteriosa,  il Mohicano, che si è poi rivelato essere un agente dei servizi segreti inglesi, il cui anonimato è stato usato fino ai giorni nostri come pretesto/alibi per non dire la verità proprio da parte di coloro che erano incaricati di fare luce (L’istituto storico della resistenza).

Non ci vuole Einstein per capire che se hai un problema non puoi chiedere di risolverlo a chi ci ha basato sopra la sua esistenza (a meno che si abbia a che fare con grandi uomini, se Einstein mi permette la precisazione, a mio parere dovuta, per quanto sperimentalmente improbabile).

Oggi possiamo dire questo: se a livello nazionale ci hanno mentito per quasi 50 anni, a livello locale, sui fatti di Rovetta, siamo già a 70. Perché? Chi c’è dietro, cosa c’è sotto questo segreto di stato? Chi diede l’ordine?

Cose pesanti da digerire per chi è stato allevato nel mito della resistenza e dell’antifascismo. Alle medie ci portavano in gita scolastica a Marzabotto, alle fosse Ardeatine, sapevamo tutto di quei fatti, ma di Rovetta, dove si andava in villeggiatura, non si sapeva niente.

Ma non vorrai paragonare… Si invece, paragoniamo, la barbarie è barbarie.

Sarebbe bello e giusto che finalmente saltasse fuori qualcuno di quelli che a Rovetta (non a Kabul) da 70 anni sanno e tacciono, anche un figlio, un nipote, e ci raccontasse come è andata. A cosa mi serve un prestigioso Istituto Storico della Resistenza e un simpatico Museo Storico della Città se dopo 70 anni non mi hanno ancora spiegato il fatto storico più rilevante accaduto qui dove sono nato e cresciuto, dove vivo e lavoro?

Leggere le carte del processo, con tutti gli omissis e i non ricordo-non so, con le raffinatezze acrobatiche del diritto per assolvere tutti, mette i birividi, perché riconosci la matrice di quella lunga serie di processi farsa che caratterizzerà la storia stragista d’Italia negli anni a seguire e fino ai giorni nostri.

Una grande delusione, una grande rabbia. Aver studiato storia per vent’anni, aver creduto a quei miti, per poi scoprire verità allucinanti, armadi nascosti, scheletri su scheletri.

Il senso, la verità di Rovetta è ancora segreta. Chi diede l’ordine della strage?

Nel 1997, quando la Regina d’Inghilterra ha tolto il segreto di stato dagli archivi del SOE, il secret service inglese che agiva in italia e nei balcani a “supporto” dei partigiani, gli storici hanno iniziato a studiare i documenti, e il quadro che ne esce ci dovrebbe portare a riscrivere alcune pagine di storia della resistenza. In primis quella della strage di Rovetta. Non ho il coraggio di rendere pubblico il sospetto, la possibilità che esce da queste carte.

Mi rivolgo a chi sa. Cos’hai, cos’avete da perdere? Quale era la cifra pagata? Chi era l’eminenza grigia arrivata con un’automobile lussuosa a dare l’ordine della strage, proveniente da Bergamo?

Non è mai troppo tardi per queste cose.

Oggi non abbiamo ancora vista riconosciuta la verità, che pure si intuisce dietro questa storia analizzando con “cinismo da commercialisti” i retroscena, le direttive del SOE, i conti dei servizi segreti inglesi relativi al “teatro di guerra” italiano:

il paragrafo che ti gela il sangue è questo, e ormai lo trovi pure su wikipedia: “il SOE garantisce il suo aiuto a tutti quei gruppi – di qualsiasi ispirazione politica siano – che diano maggiori garanzie di uccidere il maggior numero di tedeschi e/o repubblichini”.

In altre parole, i gruppi partigiani erano finanziati, armati e remunerati dai servizi segreti inglesi in base alla produzione di morte: tot tedeschi/fascisti uccisi, tot finanziamenti.

Dall’analisi dei conti, risulta che i gruppi di ispirazione comunista furono quelli più sostenuti dal SOE.

Mi stai dicendo, facendo 2+2, e “pensando male”, che questo Mohicano ordinò una strage di ragazzini per aumentare il fatturato del suo gruppo, o magari anche suo personale? Dici che in guerra succedono cose del genere? E 70 anni dopo non sono ancora state rivelate?

Basterebbe, sarebbe bastato confessare la terribile verità, i 43 ragazzini uccisi per fare cassa, intascare soldi, ammettere questa pagina nera della resistenza, per evitare l’escalation, la tensione di questo appuntamento.

Invece abbiamo dei ribelli che si appellano a una vecchia legge poliziesca, e deputati di sinistra chiedono l’intervento del governo, della prefettura per vietare una riunione pubblica,

ma quando la politica chiede l’intervento delle forze dell’ordine, sta dichiarando il proprio fallimento, e dei ribelli che invocano la legge per mio conto non sono veri ribelli

Cari ragazzi, i “cani da guardia di un potere e un sistema economico che affamano con le loro ingiustizie”, sono da cercare altrove, da identificare in altri soggetti, non in quei vecchi o nuovi nostalgici che si radunano a Rovetta perchè in qualche modo sentono che a Rovetta “hanno ragione”.

Dovrebbe farvi riflettere il fatto che deputati di sinistra e giornali della chiesa vi diano queste polpette eccitanti per aizzare l’una contro l’altra le fazioni estreme, giovanili e senili, estrema sinistra ed estrema destra, su questioni di 70 anni fa.

In questo modo entrambe le fazioni vengono distratte dalla vera guerra in corso in italia e in europa, tra ricchi e poveri, tra esclusi e privilegiati.

Il rugby è stato inventato per lo steso motivo: “tenere gli energumeni lontani dalla city nei giorni di festa, e farli cozzare tra loro”

Non vi viene il sospetto che chi vi incita a “ripulire le nostre valli dai fascisti come 70 anni fa” in realtà lo faccia perchè terrorizzato all’idea che invece vi mettiate insieme, estrema destra ed estrema sinistra, “per ripulire roma dai porci, dai servi del potere, che non sono mai rossi, o neri, ma sempre grigi, eminenze grigie” e da coloro che veramente ci stanno “affamando con la crisi”?

Non andate a Rovetta, andate all’isrec a chiedere la verità, a l’eco; oppure andate a roma, a bruxelles a fare presidi no global no usa no euro,

oppure, meglio, andate a rovetta, ma non a litigare, a insultare, a menare, ma a fare qualcosa di più difficile, che richiede molto più coraggio:

io immagino questa scena, quattro uomini seduti insieme a un tavolo a parlare, due sono ottantenni, due sono ventenni,

i due veci sono un ex repubblichino “memento audere semper” e un ex partigiano della brigata Garibaldi; i due ventenni sono una testa rasata di casa pound e un rasta del pacì paciana,

bevono insieme una boccia di vino, e i due raga ascoltano i due veci che si confessano tutte le porcate che hanno fatto, o visto fare dalla propria parte, e poi magari lo stesso possono fare tra di loro i due raga, ascoltandosi il battiato di up patriots to arms: “le barricate in pazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso”.

E invece di passare un pomeriggio di stupida tensione e insensata violenza imparare la ricchezza del confronto, del dialogo con il “soldato nemico” o con il “servo del potere”, in cerca della verità, e del vero nemico di entrambi, che è un altro, ed è altrove.

Sono certo che i veri eroi della resistenza, i giorgio paglia, e i veri intellettuali di sinistra, i gramsci, uomini di statura superiore, che hanno dato la vita nella lotta al fascismo, sarebbero i primi a denunciare questa vergognosa mistificazione storica, che continua ancora oggi, come una tragica commedia ordita da vili burattinai che sull’antifascismo campano da decenni, alla faccia di chi è morto giovane per un ideale.

(photo: due dei 43 balilla fucilati a Rovetta, ancora ieri definiti “cani da spazzare via” da l’eco di bergamo)