veritatem dies aperit

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ROVETTA DISSOTTERRAMENTO8

veritatem dies aperit, cioè “il tempo svela la verità” (Seneca)

sulla strage di Rovetta, sul perchè sia stata compiuta, ecco le 5 risposte più accreditate, che non si escludono, ma concorrono:

1)   per imitazione/competizione con la fucilazione di Mussolini (nello stesso giorno)

2)   per vendicare Giorgio Paglia e i crimini commessi da altri militi della Tagliamento

3)   per motivi finanziari, per ottenere i “rimborsi” del SOE inglese (tot uccisi tot cash)

4)   perché tra i 43 balilla c’era un nipotino di Mussolini, figlio dellla sorella, fucilato per ultimo, costretto a guardare morire tutti i compagni (camerati)

5)   per complotto anglo-democristiano, per screditare subito i comunisti, sanguinari, inaffidabili come forza di governo (e qui bisognava chiedere a Don Spada).

Nessuna di queste motivazioni appare onorevole, sostenibile a voce alta: da qui il silenzio “omertoso” di autorità, associazione partigiane, democristiani, curia e stampa catto-comunista.

Infine, una domanda ai “Ribelli della montagna”: ma secondo voi i partigiani e gli antifascisti negli anni Quaranta si occupavano di questioni di 70 anni prima, polemizzavano sulle guerre d’indipendenza, su cose dell’Ottocento?

Perchè non vi occupate di cose del presente e del futuro? Per fare la storia, serve coraggio. Ma anche per rileggerla, e riscriverla. Chi sono i nazifascisti che oggi ci affamano? I vecchietti di Rovetta? O quelli che siedono al Quirinale?

Sapevate che Napolitano ancora nel novembre del 44 era iscritto al partito fascista e si era già infilato in una redazione di un organo di stampa di regime?

E che Elio Vittorini, prima di diventare il leader degli intellettuali di sinistra e incitare al massacro dei “figli di stronza” (“Uomini e no”, lettura obbligatoria per decenni nelle scuole di stato)  andava tutto azzimato ai congressi degli intellettuali nazisti con Goebbels?

Napolitano e Vittorini, ecco due veri servi del regime, tutti presi a far carriera mentre le leggi razziali erano già in vigore da anni, e i veri antifascisti venivano già ammazzati da anni…

e poi, da un giorno all’altro, eccoli iscritti al partito comunista, campioni dell’antifascismo, apostoli della “peste da estirpare”: e molta gente è morta a causa della cattiva coscienza di personaggi del genere, maestri del trasformismo, sempre a cavallo del potere, intolleranti verso chi è fedele a una scelta, anche nella sconfitta (cosa che invece merita rispetto).

Allora, se proprio vogliamo attaccare i “servi del potere”, i fascisti riciclati, possiamo fare il nome di Napolitano, etichettarlo come vile, o è reato? Vilipendio?

Coraggio, ribelli!

(photo: cimitero di Rovetta, dopoguerra, le mamme dei balilla dissotterrano le salme dei figli, poi inumate al cimitero del Verano di Roma)

snoopy vs berghem gnorantù

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snoopy sopwith camel

oggi sono un pilota della prima guerra mondiale,

500 missioni di ricognizione in solitaria, 3 medaglie d’oro al valor militare,

il primo aviatore a sorvolare le Ande, e anche l’Atlantico,

io sono quello che guidava l’aereo e faceva le foto mentre  D’Annunzio bombardava Vienna di volantini in italiano,

io sono l’unico che durante il fascismo ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente la corruzione del regime in parlamento,

io sono l’unico che da primo cittadino ha avuto il coraggio a Bergamo di andare contro i grandi proprietari immobiliari laici e non,

io sono quello che ha creato la Rocca e il Museo delle Rimembranze,

io sono quello che ha regalato il suo aereo alla sua città

io, il più grande aviatore italiano mai esistito, sono sempre stato e sempre sarò un personaggio scomodo,

per questo alla fine mi hanno mandato in una missione suicida in Etiopia, e io ci sono andato,

doveva essere una missione di pace, invece era un tranello, mi hanno fatto a pezzi quel giorno, in Africa Orientale,

poi il regime mi ha usato come eroe nazionale, perché io ero davvero quell’eroe intrepido e integerrimo che il Duce e il Vate e tutti gli italiani sognavano di essere,

e poi  caduto il fascismo hanno ricominciato a farmi a pezzi, a darmi del porco guerrafondaio fascista, a me,

eppure tutti quelli che mi conoscevano sanno che le mie armi preferite sono sempre state la fotografia e il lapis, i miei disegni hanno ancora oggi un certo valore,

sono praticamente l’unico eroe italiano senza macchia e senza paura,

mi conoscono e ammirano in tutto il mondo, a prescindere dal periodo storico nel quale sono vissuto,

soltanto nella mia città tutti, ma proprio tutti, mi trattano come un cane appestato!

agli amici antifascisti che da sempre insozzano il mio busto e insultano la mia memoria vorrei senza acredine solo ricordare alcuni “particolari”:

1)    quando il Fascismo ha preso il potere, io ero in Himalaya a scalare l’Everest;

2)    già nel 1930 venivo “esiliato” a Bergamo dopo essermi inimicato tutti i gerarchi per aver pubblicato sul giornale antifascista stampato a Parigi  La Libertà una lettera in cui denunciavo la corruzione dell’aeronautica e del regime,

3)    nel 1936, ben prima delle leggi razziali e dell’alleanza con la Germania nazista, io ero già morto,

mentre molti che in seguito fecero carriera come antifascisti restarono servi fedeli al regime fino all’ultimo momento utile:

Elio Vittorini ancora nel 1942 andava ai convegni degli intellettuali nazisti con Goebbels;

l’attuale presidente Napolitano ancora nel 44 era iscritto al partito fascista,

e il premio nobel Dario Fo era addirittura nelle camicie nere di Salò!

Eppure questi non li insultate, anzi, li fate presidenti e gli date il Nobel!

Sappiate inoltre che io, a differenza del Barone Rosso e di altri grandi aviatori, sono nato da famiglia povera, e bambino ho iniziato a lavorare, prima di volare!

Dunque, amici, compagni, concittadini cercate altri bersagli, e abbiate un minimo di rispetto per la storia, la città, la memoria:

non abbiate paura di Antonio Locatelli! volate più alto!

e voi, amministratori pubblici e uomini di cultura, studiate la storia, e superate la vostra ignoranza e le vostre paure, e risolvete, o spiegatemi, queste assurdità che ancora oggi continuate a fare contro la mia figura e il mio nome:

1)   vi parlo come fotografo e amante dell’arte e del cinema: cari amici cinefili, che  da sempre entrate dall’ingresso laterale dell’Auditorium (ex Palazzo della Rivoluzione Fascista)

non abbiate paura del grande affresco del Santagata che mi ritrae nell’atrio con tutti gli eroi bergamaschi, un affresco gigantesco, notevolissimo, perfetto per una manifestazione cinematografica:

abbiate il coraggio di entrare in quel palazzo dall’ingresso principale, o abbattetelo!

Abbiate il coraggio di guardare quell’affresco, o strappatelo!

2)  cari amici del Comune e della Fondazione Bergamo nella Storia, rimettete a posto la Rocca, che io ho creato come acropoli della città per ricordare tutti gli eroi,

e  rimettete al suo posto l’aereo Ansaldo Balilla,  che io ho donato alla città, non al sindaco Bruni, che ha quasi fatto crollare la Rocca per fare un parcheggio per i suv dei vip,

e tra una cosa e l’altra ha sloggiato il mio aereo dalla Rocca – esemplare unico al mondo richiesto da tutti i musei del mondo – oggi “ospitato temporaneamente” (dal 2006!)  al… Museo del Falegname di Almenno !?!

(Non ce ne voglia il falegname, anzi, un grazie a lui che se ne prende cura… ma con tutto il rispetto per la falegnameria… stiamo parlando dell’aereo del più grande aviatore italiano mai esistito!)

3)    cari  presidenti di provincia e regione, Pirovano e Formigoni,  che avete pensato bene di cambiare nome all’aeroporto della mia città, che si chiamava col mio nome dal 1937, e per dargli più “appetibilità internazionale” l’avete ribattezzato “Caravaggio”,

cercate per Dio di trovare cose più sensate nelle quali spendere il vostro tempo!

Magari adesso daranno il mio nome alla Pinacoteca?

Sono uscito indenne da duelli aerei con il Barone Rosso e con Goering, per essere massacrato da oscuri posteri in giacca e cravatta!

Il verde lega  Pirovano, il bianco chiesa Formigoni, il rosso democratico Bruni,

uniti per fare a pezzi un vero, grande bergamasco, un vero, grande italiano!

Sono queste cose che ti fanno sentire veramente morto, di un’altra epoca…

L’altro giorno sono sceso planando in Purgatorio,

ho incontrato il grande Gaetano, era in preda all’angoscia,

cosa c’è Tano, gli ho chiesto,

ho  fatto un brutto sogno, mi ha detto,

ho sognato che cambiavano nome al Donizetti

e lo chiamavano Gimondi.

 

un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia

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Italia

Un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia.

L’Italia è un fantasma perché la sua storia è quella di un fantasma, una sembianza, un’apparenza. E l’apparenza inganna. L’Italia, la storia dell’Italia moderna, è un caso esemplare di un’identità costruita sull’inganno delle apparenze.

Basta rileggere senza paraocchi le 4 mitologie cruciali della storia italiana contemporanea (Risorgimento, Ventennio Fascista, Resistenza, Made in Italy) per comprendere cosa sia lo stile italiano, e quanto sia storicamente radicato.

Il Risorgimento viene impartito – già dalla parola – come fenomeno morale che si manifesta in episodi esemplari (con specifica denominazione: i “moti risorgimentali”) che fungono da “trailer” di un sentimento nazionale e popolare in realtà inesistente.

La mitologia-mitografia risorgimentale con i suoi testimonial (Ciro Menotti, Silvio Pellico, Carlo Pisacane) i suoi art director (Mazzini, Garibaldi, Cavour) e la sua grande campagna di lancio (“Spedizione dei Mille”) è un grande esempio di costruzione spettacolare di una favola che non c’è:

pochi intellettuali e rivoluzionari professionisti, in esilio, completamente staccati dalle esigenze e dai sentimenti popolari, senza alcun seguito nelle masse contadine, quindi un colpo di stato (la spedizione dei mille) finanziato o organizzato dalle grandi potenze (con l’apertura del canale di Suez, per ragioni chiaramente commerciali, diventava fondamentale avere un’Italia unita e integrata al sistema europeo), quindi trattative in alto loco (ti do la Savoia, mi dai il Veneto) e l’Italia è fatta.

Il Risorgimento, cioè l’atto di nascita del paese Italia, è una grande operazione di falsificazione e costruzione di un patriottismo idealista, strumentale, del tutto inesistente, se non nella testa di qualche aristocratico idealista e qualche sincero rivoluzionario (gli “utili idioti”).

Di fatto: sono bastati 1000 garibaldini ad annettere quasi pacificamente il Sud in due mesi, ma non sono bastati 100.000 soldati e cinque anni di repressione sanguinaria (culminata con la rivolta di Palermo – unico vero episodio di partecipazione popolare del Risorgimento, peccato che fosse anti-italiano)  che nessuno conosce, con migliaia di morti, deportazioni, villaggi incendiati, esecuzioni sommarie a sottomettere quelle popolazioni e regioni che si pretendeva di aver liberato,

e che invece si sono subito ribellate al nuovo stato, appena il nuovo stato ha tradito platealmente le promesse (distribuzione della terra ai contadini, che è invece diventata privatizzazione del demanio a beneficio dei grandi proprietari, e conseguente peggioramento delle condizioni contadine)  fino a  essere sottomesse con la forza, oltre che con la propaganda (e questo reale risorgimento e resistenza del sud italia al nuovo stato nordista viene chiamato “banditismo”,

e qualsiasi storico onesto vi dirà che questo passaggio storico è alla base della questione meridionale, cioè della non adesione del sud al paese, alle istituzioni, e della conseguente diffusione endemica di mafia, camorra, n’drangheta, etc).

Sulla “questione meridionale” hanno poi disquisito (e campato) generazioni di intellettuali e politici, senza mai andare alla radice della questione, chiaramente, perché se qualcuno (lo Stato italiano) ti paga per occuparti di un problema tu non puoi dirgli che la causa del problema è lui (lo Stato italiano).

Col Ventennio Fascista la tecnologia di costruzione dl consenso trova il suo massimo sviluppo: i mass media, l’architettura, la scenografia, lo sport, tutto diventa immagine coordinata e  diffonde in Italia e nel mondo questa nuova mitologia, lo stile italiano, cioè ordine, benessere, civiltà, modernità, ginnastica e tecnologia.

Starace, D’Annunzio, Mussolini: al di là del fascismo, sono i precursori della società dello spettacolo, della pubblicità e delle comunicazioni di massa basate sul consenso verso un sogno, una favola.

Ma la favola si interrompe di colpo, l’apparenza di un paese militarizzato si scioglie nelle nevi, in Grecia, in Russia, lo stivale italiano ha le suole di cartone, il regime costruito in vent’anni crolla in mezz’ora, il re scappa vilmente con tutta la corte (e ha sulla coscienza i martiri di Cefalonia) il paese è occupato da eserciti stranieri:

una catastrofe, una tragedia nazionale, lo stile italiano rivela tutta la sua falsità, è l’occasione per cambiare stile, mentalità, tutto, diventare un paese onesto, consapevole.

E invece cosa accade? Si inventa una nuova favola. La Resistenza!

La Resistenza, con i suoi copywriter (Vittorini, Pavese, Fenoglio) similmente al Risorgimento e al Fascismo mistifica la realtà: accade così che poche centinaia di sinceri antifascisti, e pochi episodi locali di guerriglia, diventino sui libri di storia della scuola dell’obbligo un movimento di massa protagonista di una gloriosa pagina nazionale (con specifica denominazione: “la Liberazione”) che copre la realtà storica, cioè la inenarrabile vergogna nazionale che è nei fatti storici, in certi fatti storici decisivi e davvero esemplari,

come la fuga del re e di tutto la classe dirigente, e soprattutto la guerra civile-macelleria-pulizia etnica: in un mese, maggio 1945, 40.000 morti “gratuiti”, a guerra finita, per lo più uccisioni di pura vendetta, faida, frustrazione, non una pagina onorevole, evidentemente, perché bastava essere additati come fascisti per essere ammazzati per strada, ed è chiaro che allora il 99% degli italiani avrebbe dovuto essere ammazzato per strada, a cominciare da quegli stessi “intellettuali” che questo massacro hanno giustificato e alimentato,

in primis il mostro sacro Vittorini, che dopo aver passato venti anni a far carriera come intellettuale squadrista e fascista con un colpo di spugna rinasce antifascista comunista e sanguinario: i suoi scritti incitano ad ammazzare “i fascisti” perché ci sono “uomini, e no” e i fascisti non sono uomini, sono solo “figli di stronza” .

Non solo nessuno gli rinfaccia il clamoroso voltafaccia ma tutti lo riconoscono e acclamano nuova guida morale del paese, e infatti dirigerà la più importante casa editrice italiana.

E’ l’esempio del trasformismo sfacciato dell’intellettuale italiano.

Oggi vediamo  l’ultima versione di questo tipo nella generazione dei sessantottini trasformatasi nella classe dirigente pubblicità-giornali-televisioni della società dello spettacolo.

Quindi, quando oggi celebriamo l’Unità d’Italia e il Made in Italy, stiamo celebrando questo, l’incredibile sfacciataggine e capacità  di imporre apparenze ad altissima percentuale di falsità aggiunta: e questo carattere, questo stile italiano, è costitutivo dell’identità e della storia nazionale, sia delle due grandi mitologie fondanti, Risorgimento e Resistenza, sia della mitologia “rimossa”, il Fascismo.

Il Risorgimento, propagandato e imposto come risveglio della coscienza nazionale e di valori come unità e indipendenza, nasconde la feroce repressione (brigantaggio) seguita a un colpo di stato (spedizione dei mille) finanziato dalle potenze straniere e realizzato da quelli che oggi chiameremmo terroristi o mercenari.

La Resistenza, propagandata come rinascita civile e di valori come libertà e democrazia, nasconde la vergogna del voltafaccia e della pulizia etnica per non affrontare la vergogna di un paese opportunista, codardo, vendicativo e servo del potere.

Poi cosa succede? Come si arriva al Made in Italy? Siamo nel 1945, l’Italia è un paese vinto, distrutto, occupato dagli Americani.

Succede che gli Americani hanno capito perfettamente cosa sia e a cosa serva lo stile italiano. E’ l’avanguardia di comunicazione del consumismo: diventerà il modello, l’immagine della democrazia del benessere, filoamericana.

E dunque niente sanzioni, niente punizioni, niente esame di coscienza collettiva e ricostruzione morale, ma invece: palate di dollari, ovvero: il piano Marshall, e la Thompson.

La Thompson è stata la prima agenzia pubblicitaria a lavorare sul mercato italiano, è subentrata direttamente al Minculpop: la Thompson è sbarcata a Salerno nel 43’, come ufficio stampa dell’esercito americano, poi diventata ufficio stampa del piano Marshall, poi prima e unica agenzia pubblicitaria ad operare in Italia nel momento del boom economico.

E quindi: la repubblica italiana nasce col piano Marshall, ed è fondata sulla pubblicità.

Soldi che piovono dall’alto. Un colossale investimento pubblicitario. A una condizione: niente comunisti al governo.

Ecco il paradosso, il capolavoro: proprio mentre si sventola una repubblica basata sull’antifascismo, con il più forte partito comunista di tutto l’Occidente, con intellettuali comunisti al comando nei giornali, nelle case editrici e nelle università, invisibile, reale, permane la condizione-cappio: niente comunisti al governo.

Da qui, come tutti sanno, la strategia della tensione (piazza Fontana, piazza della Loggia, treno Italicus, sequestro Moro, stazione di Bologna) cioè una serie di stragi (veri e propri avvertimenti) che arrivano puntualmente ogni qualvolta si presenta il pericolo che la sinistra vada al potere,

esattamente come accade in una classe di bambini dell’asilo cui viene promesso un premio, un premio che non arriva mai, e non per colpa della maestra, ma perché c’è sempre qualche bambino che all’ultimo momento combina un guaio, e rovina tutto.

Ecco lo stile italiano.

L’Italia contemporanea, la Repubblica, è un soggetto incerto e impotente per questo motivo, questo Economic Recovery Plan, questo “regalo”, questo “potlach” che ci ha reso succubi prima dell’economia e poi della cultura commerciale americana.

Lo stile italiano, cioè la capacità di costruire apparenze, trova la sua nuova ragione d’esistere nella moda  e nel design, e diventa in tutto il mondo il vangelo del consumismo vistoso e dello snobismo di massa.

Berlusconi, con la guerra dell’etere, porta a compimento questo tracciato, schiantando la “resistenza” cattolica e comunista: fino alla fine degli anni Settanta, per accordo catto-comunista, erano vietate le pubblicità dei beni di lusso, ed erano considerati beni di lusso tutti quelli non alla portata delle tasche proletarie.

Al Carosello vedevi il caffè, la pasta, il detersivo, non le auto di grossa cilindrata, non le pellicce.

Se non ci fosse stato prima il piano Marshall e poi Berlusconi, avremmo dovuto fondare il made in Italy sul lavoro (o sulla tecnologia vera, come ha fatto il Giappone) mentre l’abbiamo fondato sui debiti e sulla pubblicità.

Basta guardare le cifre per vedere che siamo il paese che proporzionalmente al nostro PIL è sempre il primo al mondo per spesa pubblicitaria e l’ultimo per livello d’istruzione.

L’Italia non è una repubblica fondata sul lavoro e sulla resistenza. L’Italia è una privativa basata sulle apparenze e sul trasformismo. La sua storia lo dimostra.

Per un paese che già nell’Ottocento è stato capace di vendere un colpo di stato con conseguente repressione militare (cioè: la tipica nascita di un regime) come un’epopea eroica di patriottismo e più tardi, nel secondo dopoguerra, è stato capace di vendere, in pacchetto completo, venti anni di consenziente servilismo di massa culminati in un mese di pulizia etnica come eroica resistenza antifascista, per questo paese, è stato un gioco da ragazzi vendere il Made in Italy, lo stile italiano, è chiaro:

puoi falsificare la tua storia cambiandoti d’abito, noi lo sappiamo fare, noi siamo i numeri uno, noi ti diamo gli strumenti per governare l’apparenza e creare realtà ingannevoli.

Tu sei avido, invidioso, vile, disonesto, incapace, bramoso, ridicolo, furbo, vorace, ignorante, ottuso. Ti rivolgi allo stile italiano.

Diventi sofisticato, intrigante, sensibile, elegante, colto, seducente.

Ha funzionato per trent’anni. Adesso è finita. Serve una nuova favola.

tratto da “Lo stile italiano” by Sean Blazer (alias Leone Belotti) – Calepio Press

 imago: Biennale di Venezia, padiglione Italia,