play this post
ormai quando sento qualcuno parlare di cultura, di promuovere la cultura, mi parte automatico il warning “ipocrisia!”, lo stesso che scatta con “io non sono razzista”;
chi dice di voler fare cultura, solitamente è solo in cerca di un abito per coprire la propria scandalosa ignoranza, inadeguata alla ricchezza materiale,
vuole cioè comprare cultura, l’etichetta di cultura, non fare, produrre cultura;
un dispendio virtuoso, gratificante, per lavarsi la coscienza, e forse nemmeno per lavarsela, ma per imbellettarla, profumarla, deodorarla, perchè questa etichetta di cultura da sempre serve benissimo anche come copertura strumentale di altri traffici politici, commerciali, edilizi,
per rilanciare l’economia, vogliono sostenere il turismo, e per sostenere il turismo, oltre al food (e siamo alla frutta) occorrono le bandierine della cultura (dessert): gli eventi culturali, e gli spazi culturali, come se la cultura fosse qualcosa da rinchiudere in uno spazio!
in realtà la cultura è una scusa per costruire strade, aprire cantieri: per questo si è tramato per ottenere il titolo di capitale della cultura, per mettere le mani sui finanziamenti europei – 90 milioni di euro – da destinare a infrastrutture ricettive, cioè strade e parcheggi;
ma quasi peggio dei “profittatori” della cultura, sono gli “amanti” della cultura, che si lasciano abbindolare dai profittatori, e a loro servono come “utili idioti”,
gli “amanti” della cultura in realtà spesso sono dei necrofili, e l’unica forma di cultura che sono capaci di concepire è la cultura morta, codificata, e soprattutto il suo tempio, il cimitero, il mausoleo della cultura: il museo, dove la cultura riposa in pace,
così per l’arte (ristrutturiamo la pinacoteca!), così per le lettere (ristrutturiamo la biblioteca!) così per la musica (ristrutturiamo il teatro!) e in tutto questo ristrutturare – e spendere soldi pubblici – chiaramente chi lavora sono le imprese edili, e chi mangia sono i burocrati, non certo gli operai della cultura, gli artisti, o il pubblico, e alla fine della spesa infatti non abbiamo creato cultura, non abbiamo realizzato un solo prodotto culturale, ma solo degli edifici vuoti, con scritto sopra “cultura”; vuoti, o frequentati per esibizionismo sociale.
Parlare di milioni di euro in cultura da salotto, in cultura morta, in un’epoca di fame, nella quale i veri artisti sono per strada, o totalmente asserviti, mi fa diventare ignorante.
Chi fa davvero cultura, non se ne riempie la bocca, e meno ancora la pancia,
chi fa cultura passa le giornate, le notti, la giovinezza, gli anni, la vita inseguendo un progetto, producendo opere, ricerche, libri, quadri, composizioni musicali; e quasi mai viene interpellato, coinvolto, sostenuto da chi proclama di voler far cultura;
e se riesce a campare di quello che fa, l’artista in questa città, è grazie a commesse che arrivano da fuori, da operatori nazionali, o internazionali,
nella propria città, e specialmente in questa città, chi fa cultura è quasi sempre ignorato, ostacolato, calunniato, per poi essere usato da morto, 20 o 200 anni dopo il fatto, da quegli stessi bottegai e affaristi che l’hanno lasciato crepare di fame, o di solitudine;
soltanto dopo che tutto il mondo ha riconosciuto un talento, un artista, arriva il titolo su l’Eco di Bergamo: e non per riconoscerlo come artista, ma per rivendicarlo come bergamasco!
dei grandi bergamaschi del passato, oggi mostruosamente esibiti per fare turismo, compositori, pittori, architetti, Donizetti, Fra Galgario, Quarenghi, Beltrami, non ce n’è uno che in vita abbia lavorato o sia stato riconosciuto a Bergamo, ma tutti hanno sempre dovuto fuggire da Bergamo;
questa mancanza di consapevolezza culturale “in tempo reale”, la vedi soprattutto in un dato che dovrebbe far riflettere:
abbiamo avuto e abbiamo molti grandi pittori, architetti, musicisti, scienziati, ma nella storia della letteratura italiana dell’800 e del 900 non esiste un solo grande scrittore bergamasco, e nemmeno medio, e nemmeno minore,
dammi una città qualsiasi, Parma, Ferrara, Como, Pescara, e ti farò dei nomi: ogni città, ogni provincia italiana tra 800 e 900 ha espresso narratori in grado di produrre opere entrate nel “repertorio” nazionale o anche internazionale, narratori della propria città, della propria gente, romanzieri del territorio, se così si può dire,
e invece non esiste e non è mai esistito uno solo scrittore di Bergamo o della provincia di Bergamo, è questa la verità,
è questo su cui si deve riflettere, quando ancora ci si chiede come mai non siamo riusciti a ottenere il titolo di capitale della cultura:
come mai non c’è, non c’è mai stato uno scrittore di Bergamo, che sia stato capace di scrivere un romanzo decente su questa città, su questo tipo umano che è il bergamasco?
forse mancanza di talenti, di genio? O piuttosto mancanza di humus, di terreno sul quale attecchire, cioè di lettori, di mecenati, di intellighenzia nelle elite socio-culturali?
non parlatemi di cultura quando spendete 10 o 20 milioni in edilizia, o in altre manovre:
tu oggi mi spendi 10 o 20 milioni di euro per strani lavori decennali di ristrutturazione di musei e teatri, e tra 10 anni la cultura, il patrimonio culturale, e il valore culturale della città nel mondo non sarà cresciuto di una pagina;
parlatemi di cultura quando fate un vero premio artistico, un vero premio letterario, o musicale, o d’arte, e mi viene in mente chiaramente il premio Bergamo, che ai suoi tempi ha prodotto opere e artisti di valore internazionale (per la serie… “il fascismo ha fatto anche tante belle cose”)
fatemi un premio letterario per un romanzo intitolato “Bergamo”, e non con la pubblicazione come premio, ma con 50.000 euro in premio, e altrettanti in marketing editoriale, e in questo modo stai investendo in cultura, in un autore e in un’opera.
Ti scandalizzano i 50.000 euro? Per un calciatore, o un avvocato, o anche per un’automobile andrebbero bene, ma per uno scrittore, per un romanzo…
Tu vai avanti a fare premi-elemosina, e avrai i pittori della domenica, e gli scrittori del giovedì. Tu metti soldi veri, e avrai gli scrittori veri, e i romanzi veri. Volgare, banale, reale.
Tu metti un premio da 50.000 euro e ti garantisco che i 100 migliori writers bergamaschi si mettono a lavorare con grande carica, e altrettanti writer vengono da ogni parte del mondo, e si trasferiscono a vivere a Bergamo a loro spese: e già così aumenti, crei il valore, l’appeal, l’ambiente, la koine, il fermento culturale della città.
Entro dieci anni, nel corso di dieci edizioni, su mille romanzi prodotti dal premio ne potrebbe uscire uno che ti ripaga di tutto: e intanto hai prodotto almeno 10 buoni romanzi, e lanciato 10 buoni scrittori, alcuni dei quali ripagheranno l’investimento, sia con le vendite, che portando turisti. E hai speso 1 milione in 10 anni. In cultura.
Parlo di un premio letterario, perchè è il mio interesse, io sono uno scrittore, ma la stessa proposta te la faccio sul premio d’arte contemporanea, sul film, sull’opera musicale.
Se quelli che dovrebbero, vorrebbero, potrebbero essere i mecenati della città, invece di pensare alla cultura come a una spesa inutile, di prestigio, la concepissero come una qualsiasi altra industria, produzione-distribuzione-vendita, a quel punto, nel loro affarismo, potrebbero anche “arrivarci su”, e capire che un bel romanzo di successo, tradotto e letto in tutto il mondo, è il miglior investimento pubblicitario che una città possa fare.
Come puoi pensare seriamente di proporti come città d’arte, di cultura, se non esiste un solo libro, un solo romanzo che faccia di questa città un luogo letterario, degno di stare nell’immaginario collettivo? Ma nemmeno una guida turistica ben fatta, esiste, a pensarci bene.