a Natale siamo tutti Quarenghi

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Quarenghi_by_Alexander_Orlovsky_(1777-1832)

Si spengono le insegne, si svuotano le strade. Una badante russa e un muratore marocchino aspettano l’ultimo bus. Un vecchio infagottato si avvicina lentamente, con incedere elegante.

Dice: sono partito da ragazzo, con il sogno di costruire una città!

Ha l’aspetto trasognato, ed un naso gigantesco.  I due immigrati gli sorridono, e il clochard accenna un inchino alla badante: eccomi in capo al mondo, al cospetto dell’imperatrice di tutte le Russie! Vi riconosco, Maestà!

Commossa, la badante sfila una baguette dalla borsa della spesa.

Mon ami! Caterina la Grande mi porge le chiavi di San Pietroburgo per farne una grande capitale! Cento cantieri, le migliori maestranze… l’accademia delle scienze, l’istituto Smorny, la borsa, il maneggio, il teatro dell’Ermitage… la città è un’immensa pianta… e gli anni, i decenni  volano come foglie…

Poi il vecchio si interrompe, ha gli occhi lucidi. Guarda i due immigrati e legge nei loro pensieri. C’era ancora il comunismo, lei era una bellissima ragazza, laureata in chimica col massimo dei voti, piena di speranze,… adesso è solo una badante, e appena licenziata!

Il marocchino sa costruire da solo un edificio finito… ma ha un contratto da generico, a 3/4 della paga, e le dimissioni già firmate,  alla ditta basta mettere una data, una pratica diffusa.

Venite con me, avanti amici, seguitemi, nessuno vi aspetta, l’ho capito, sentite come  finisce la mia storia…

Pochi passi, e s’infila nella porticina di servizio di un palazzo nobiliare.  Sale uno scalone, scosta un tendone, si ritrovano in un salone.

Sedete, accomodatevi, ora chiamo la servitù… questa era la mia casa, qui ho spedito i miei libri, i disegni… sognavo il ritorno, lontano dalla patria mi ero ricoperto di gloria… indicibile fu la mia delusione, i miei familiari avevano disperso e venduto le mie cose, il municipio sequestrato i miei beni…

Sul tavolo compaiono piatti, bicchieri, pane e vino nel cartone. Rientrato in Russia… la sofferenza più grande… la morte di mia moglie… anche le feste, quando sei solo… una vita da emigrante… e quando mi intitolano una via, diventa la via degli immigrati…

La badante e il marocchino, barcollando dolcemente, accennano un valzer… c’è la luna sui tetti, e un gatto innamorato, che randagio se ne va, con i ricordi del passato, e un sogno mai sognato… Buon nuite, bonne nuite…

Silenziosamenteil vecchio e se ne va, dimenticando il suo cappotto… ma all’alba, da quel magico giaciglio, viene il vagito di un neonato… il marocchino ringrazia Allah, la badante gli dice di accendere il fuoco, è nata una famiglia…

si sveglia a poco a poco tutta quanta la città, arrivano i vicini, la notizia corre di bocca in bocca: miracolo di Natale in via Quarenghi! 

E si sentono tutti un po’ Quarenghi, vicini e lontani, e portano doni a quel bambino, venuto al mondo da clandestino, in una casa sfitta.

(by Leone Belotti, editoriale per CTRL magazine Dicembre 2013; thanks to Domenico Modugno; imago: caricatura di Giacomo Quarenghi by Alexander Orlovsky, 1802)

 

 

 

 

 

puro far nulla in Paris 1964

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PurhoKarim

le candele accese tutta la notte

leggendo Maigret  e fumando Gitanes,

all’alba ecco Cayenne, canarino sale e pepe,

poi in cyclette sul Tourmalet, sempre con Maigret,

e bicchierate di Perrier, fino a mezzogiorno,

alla pausa Bordeaux, con digestione Veuve Cliquot,

quindi pomeriggio Pernod, in terrazza a leggere

e serata Chartreuse, in poltrona, con pipa e Maigret:

il buon Simenon non aveva speranze, quell’estate,

lui scriveva un romanzo in sei giorni

ma io ne leggevo sei in un giorno

praticamente me lo bevevo

by Leone Belotti, imago by Karim Rashid per  http://www.purho.it/

 

Bergamo Alta parcheggiata dai barbari

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parkBgAlta

come una vecchia signora, Bergamo Alta è parcheggiata-saccheggiata dai figli ingrati,

i barbari stanno costruendo un parcheggio interrato in via Porta Dipinta, in un sito archeologico pluri-stratificato di epoca romana, longobarda, medievale, rinascimentale: praticamente un libro di storia a cielo aperto!

Mentre in tutto il mondo civile si eliminano le auto dai centri storici, nel pieno centro di  Bergamo Alta abbiamo lavori in corso per trasformare in parcheggi (per residenti lusso-seconda casa!) un parco faunistico (Fara-Rocca) e un sito archeologico (Porta Dipinta, nella foto)! Con pericolo di crolli!

E in comune le opposizioni fanno interpellanze… per far riprendere i lavori!

E volevamo fare la capitale della cultura!

Bergamo capitale della vecchiaia

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casa_del_sorriso_ingrid_thulin_marco_ferreri_006_jpg_chcn

il vero problema non è la vecchiaia ma la mentalità vecchia, che non ha età,

e ci impedisce di vedere e cogliere le opportunità del target senile,

siamo il paese più vecchio del mondo

ma essendo succubi della cultura anglo giovanilista consumista

soffriamo una carenza cronica di servizi, prodotti, idee e cultura “de senectute”,

mettiamoci nell’ottica che il mercato del futuro non sono i giovani, ma i vecchi,

parliamo dell’unica fascia di consumatori dotata di potere d’acquisto

la generazione over 70 detiene beni, case, privilegi e sicurezze

ma è stanca di viaggiare, mangiare e spendere, vorrebbe qualcosa di più,

e dunque meno centri commerciali e più servizi alla persona,

nuove figure professionali, nuove modalità di trasporto e utilizzo della città,

nuovo tipo di mobilità e di accoglienza,

rimoduliamo ogni parametro di beni e servizi, la casa, i trasporti, la cultura,

soprattutto, occorre ripensare la “casa di riposo”,

l’unico tipo di struttura ricettiva che ha sempre il tutto esaurito e code in lista di prenotazione, cominciamo a cambiare, arricchire la definizione,

pensiamo a delle cascine di riposo, dove vivere in benessere basico,

a degli agriturismo di riposo, a villaggi di riposo dove svernare,

pensiamo al vecio come risorsa, e non come peso, più “scambi” sociali intergenerazionali, più “pensionati” misti studenti/anziani con evidenti sinergie di convivenza tra studenti universitari fuori sede “ospitati” da nonni soli “resident” in cambio di service-badante,

pensiamo a case editrici di riposo, dove dedicarsi a riscrivere la propria vita come un romanzo, diffondiamo la letteratura senile come più eccitante e utile della letteratura giovanile,

non dimentichiamo i casini di riposo, perchè la vecchiaia non per tutti è pace dei sensi,

l’immagine di giovani uomini e donne dediti alla seduzione e di anziani sorridenti asessuati è superata, anche l’erotismo sta diventando roba per vecchi,

creiamo un festival-fiera della vecchiaia, con idee, prodotti, progetti in grado di andare oltre l’attuale offerta, che è inadeguata, soprattutto concettualmente.

Per diventare “capitale della cultura”, che è un concetto superato, vecchio e inutile, si sono messe in gara 20 città,

Per diventare “capitale della vecchiaia”, e creare davvero innovazione economica, sociale e culturale, nessuna.

Ho chiesto a un ex partigiano come dobbiamo relazionarci con queste vecchie amministrazioni sorde che col sorriso stampato fanno finta di promuovere la cultura per i giovani.

Risposta irripetibile per svariate ragioni, ma immaginabile.

Se pensavamo di liberarci dei vecchi, farli fuori, emarginarli, ridurli in miseria, pagargli l’ospizio, bene, abbiamo fatto fiasco,

i vecchi sono i padroni del paese, il futuro del paese è nelle loro mani,

saranno loro a ospitarci all’ospizio,

dunque cerchiamo di immaginare un mondo più gradevole per i vecchi di oggi,

e vivremo meglio  tutti.

(imago Dado Ruspoli e Ingrid Thulin, dal film “La casa dei sorrisi” di M. Ferreri, orso d’oro a Berlino 1991)

magut docet

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magut

sappiate avere torto, il mondo è pieno di gente che ha ragione, per questo marcisce

così il vecchio monsignore, citando Celine, commenta la bocciatura di Bg2019,

poi aggiunge: questa è la città dei magut, bisognava iniziare proprio da lì,

dalla parola magut, parola erroneamente ritenuta dialettale

a indicare spregiativamente la bassa manovalanza:

magut è in realtà parola latina, mag-ut, abbreviazione di “magister ut”,

“in qualità di maestro”, usata a indicare i capimastri nei registri nella fabbrica del Duomo di Milano, che erano in maggior parte bergamaschi, e quindi divenuta sinonimo di “muratore bergamasco”,

il magut  è dunque un “magister”, cioè uno che sa e fa di più (mag-),

contrapposto al “minister”, il ministro, cioè uno che deve sapere e fare il minimo (min-),

e dunque, il vero spregiativo non dovrebbe essere magut (come un maestro)

ma minut, “come un ministro”.

photo by MB/bamboostudio

 

Bg 2019/pianoB: progetto Bergomum

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arenaromanaBG

Bergomum (bergamedil)

opportunità per architetti, ingegneri, impresari edili, artigiani, archeologi: le risorse dell’imprenditoria edile per interventi di recupero e valorizzazione beni storico-architettonici.

start: le intenzioni dichiarate della lobby Bg2019 sono quelle di utilizzare l’eventuale budget/finanziamento europeo per “completare le infrastrutture per il turismo”, ovvero ancora strade e parcheggi, utilizzando così la cultura per far lavorare il settore edilizia e realizzare grandi opere assurde come il parcheggio interrato sotto la Rocca (fermo da 5 anni).

up: l’idea del pianoB ribalta la prospettiva e partendo dal valore della cultura crea lavoro per l’edilizia: non nel costruire strade e parcheggi, ma nell’abbattere ecomostri, nel recuperare aree ed edifici di valore, nell’implementazione ecologica di accessi e spazi:  basta posti auto, è il momento dei posti uomo.

Capitale della cultura “oltre le mura”  in 5 interventi:

– arena romana (respect origins ): recupero funzionale per spettacoli all’aperto dell’arena romana di piazza cittadella-seminario con parziale abbattimento del seminario e sua riconversione in ostello/artisti.

Il seminario di città alta è il vero ecomostro, costruito sopra l’Arena romana di Bergamo (cui si arrivava percorrendo via Arena) .

In una capitale della cultura l’edifico pubblico più elevato sarà dunque l’Arena, al suo fianco l’ex seminario sarà un ostello artisti-studenti-viaggiatori, mentre il nuovo seminario cattolico conformemente alle indicazioni di papa Francesco sorgerà francescanamente in una o più cascine suburbane in abbandono, da recuperare all’uopo.

– necropoli longobarda (respect ancestor): recupero della necropoli longobarda di via Porta Dipinta/Viale delle Mura e stop al park interrato (fermo da anni appunto per il ritrovamento di importanti tombe logobarde, personaggi di rango reale, protagonisti della rivoluzione “longobarda”, l’introduzione delle cuciture, sconosciuta ai romani, e dunque dei “pantaloni”, da cui il nome “longo-bardati”.

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– rocca medievale (respect heroes): stop al park interrato + ripristino parco della Rocca con annesso parco fauna orobica, inserito nel sistema faunistico “parco dei colli” e cintura verde urbana + ripiantumazione degli “alberi della memoria”,

l’idea base del colle della Rocca come acropoli della città è infatti un bosco dove ogni caduto o martire di guerra rivive in un albero per lui piantato (e li hanno abbattuti per fare posti auto per i suv dei vip col pass!)

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– mura venete (respect skyline): demoliz. ecomostro via autostrada: dopo  l’assurda e inquietante approvazione dell’edificio che taglia la vista a chi proviene dall’autostrada del profilo skyline delle mura, da sempre vera cartolina d’accoglienza della città, oggi la capitale della cultura ha stabilito i nuovi limiti  di altezza (in pratica ha chiuso la stalla dopo che i buoi sono fuggiti 18 metri oltre il piano regolatore che pure c’era).

Una vera capitale della cultura deve dare un segnale forte: e dunque abbattere, e in quell’area fare parcheggi, dove accogliere chi viene dall’autostrada, con ufficio turismo, tram leggero urbano, inizio piste ciclo-pedonali per centro città bassa e alta, etc.

– palazzo littorio (respect space): sede aperta e razionale del Comune e di tutti i servizi sociali/culturali invece dell’aristocratico/asfittico Palazzo Frizzoni.

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L’edificio ex palazzo Littorio, capolavoro dell’architettura razionalista, spazio funzionalmente perfetto, da sempre sotto o male utilizzato,

mai accettato, diversamente ad esempio dal palazzo di giustizia di Milano,

è la vera sede del Comune di Bergamo, del consiglio comunale (nell’auditorium, o d’estate all’aperto, in piazza della libertà) e degli assessorati a turismo, cultura, sport, servizi sociali.

Palazzo Frizzoni sia la sede dei capitani d’industia, dei circoli nobili, e di un museo dell’industria bg 800 e 900. L’aula consiliare sia un teatrino di culto (per cittadini e turisti)  dedicato a un genere nobile e autoctono come la commedia dialettale.

1- segue

(abstract da Bergomum, linee di progetto per la trasformazione di Bergamo in città d’arte sostenibile,

Il pianoB prevede 5 aree d’intervento/progetti/iniziative  in 5 anni:

1 Bergomum  – valoriz. opere architettura storica, mura, arena, rocca

2 Berghumus  – coltivazione artisti nel cuore e nei borghi della città

3 Bergheimat  – creazione continua nuove opere d’arte per la città

4 Bergheimer – dignità di veri monumenti per le icone della città

5 Bergomens – infrastrutture ambientali, accessibilità, cintura verde)

 

barocco freddo

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alzano

Adesso c’è questa tendenza nel design e anche nella moda, questa moda del “barocco freddo”,

e io sarei uno dei caposcuola italiani di questo “barocco freddo”, e questo “barocco freddo” sarebbe una definizione che un giornalista mi ha messo in bocca,

io volevo solo dire che il barocco, nel Seicento come oggi, da sempre, è passione pura, sentimento pieno, sangue, umore, sudore, dolore, ecco, ma per esprimere queste cose, per non cadere nell’autocompiacimento, occorre raffreddare, congelare, bloccare, marmorizzare, sì, occorre dilatare l’istante creativo nella tecnica, in una tecnica sopraffina, nel lavoro, un lavoro di anni.

Poi le opere durano millenni.

Penso a queste cose come sempre mentre sono in macchina, mentre guido, in effetti io ormai penso solo mentre guido la macchina, mentre percorro queste arterie, queste moderne vie mercatorum, e penso poco, tre quarti d’ora, un’ora di macchina al massimo, aria condizionata, comfort,

e penso all’architetto Quadrio, partito da Milano, alla fine del Seicento, su questo mio stesso itinerario, l’architetto della fabbrica del Duomo di Milano chiamato a progettare la Basilica di Alzano, per strade sterrate, a cavallo, lungo le rogge, all’ombra di platani.

Penso a quand’ero studente d’Architettura, tutti volevano fare la Rivoluzione, io sognavo di progettare una cattedrale. Già allora, quando dicevo mi piace il barocco, mi guardavano male. Il barocco non era di sinistra.

Il termine barocco è un termine filosofico medievale. Barocco è un ragionamento,  un sillogismo formalmente perfetto ma sostanzialmente debole, vuoto.

Ma io so che questa debolezza non è debolezza, è complessità, questo vuoto è voragine, è apertura, è dubbio, è possibilità, è mistero, è travaglio. Per esempio: mi piace il mio lavoro, adoro la mia famiglia, e dunque sono un uomo felice.

E invece no. Il mio lavoro è fondamentalmente insensato, la mia famiglia mi sfugge, mia moglie, le mie figlie in certi momenti mi sembrano delle estranee, poi a volte io sento quest’adesione profonda con il creato, quest’intensità, mi sento l’anima viva, ma non mi succede con la mia famiglia, mi succede da solo, davanti a una tela, davanti a un’architettura, un progetto, uno schizzo, un paesaggio, un particolare, qualcosa che io sento perfetto, anche un mobile, un bicchiere.

Così mi fermo ad Alzano, dovrei visitare l’ex Italcementi,  la cattedrale del lavoro, e invece entro nella basilica barocca di San Martino, entro, alzo gli occhi, e mi siedo subito, come stordito, inebetito, come un bambino a bocca aperta, il naso all’insù: la volta è un libro aperto, è una grande narrazione, e questa cosiddetta Bibbia dei poveri è così ricca da togliere il fiato.

Eccomi qua, architetto milanese di chiara fama con la passione del barocco, degli stucchi, dei decori, eccomi a casa mia.

Ma con calma, mi dico, con calma, lusso e voluttà, guardare e capire, tre navate, due, quattro, sei, dodici colonne abbinate per sostenere la volta a tre campate e lì, tra le colonne e il cornicione ecco la Bibbia dei poveri, un fascione di statue, altorilievi, stucchi, festoni, vedo la Scienza, vedo l’Eternità, la Sapienza, la Giustizia,

lo sguardo corre al presbiterio, piccolo, soffocato, ritorna seguendo i marmi policromi del pavimento, si insinua nelle navate laterali, cinque campate, le cappelle, gli altari e poi, l’uno di fronte all’altra, i due gioielli: il pulpito e la Cappella del Rosario.

Forme geometriche, l’esagono pieno del pulpito sulla nave destra, l’ottagono vuoto della cappella sulla nave sinistra, forze estetiche che sfondano la pianta della Basilica, la aprono, la trasformano in una croce latina.

Mi fermo davanti al Pulpito, guardo le cariatidi, i telamoni, i quattro facchini scolpiti dal Fantoni che sorreggono il calice della Sapienza, che sforzo, che resa, non sono uomini, sono muscoli, sono fatica disumana, bestiale, corpi piegati all’imponderabile.

Guardo la riquadratura, la balaustra del pulpito, riconosco i materiali, il diaspro, il verde antico, il broccatello, il pavonazzatto, i lapislazzuli, il marmo nero, il portovenere.

Guardo il capocielo, il baldacchino, al centro c’è un incudine e martello, un’iscrizione dice: intrate et excitate. Perché non lo mettono anche sulle cattedre universitarie, mi chiedo.

Attraverso la navata centrale, mi lascio investire dalla geometria della cappella del Rosario, già prima, da fuori, osservando i volumi esterni, io vedevo quest’ottagono conficcato nel corpo di fabbrica, mi dicevo: è una scommessa, un azzardo, un ribaltamento.

Dentro, quattro sezioni verticali, la prima fatta di archi, occupati da tele,  (e che tele! Tintoretto, Cavagna, Appiani, Capella); la seconda aperta su grandi finestroni, la terza a spicchi convergenti con angeli in rilievo, la quarta, la volta, affrescata dall’Orelli con Maria in Gloria.

Fuori il sole si sta abbassando, una lama di luce gioca riflessi multipli, l’ottagono diventa un caleidoscopio, e mi rendo conto che tutta la cappella è patinata da una profusione di oro zecchino.

Chiedo di visitare le sagrestie. So che sono state da poco restaurate. Mi dice il conservatore: aprivamo i cassetti, era tutta segatura, facevamo un danno incredibile. E io penso: il barocco è consunzione, è tarlo, è polvere, è memento mori.

La prima sagrestia non è scultura, non è decorazione, non è intarsio: è architettura. Armadi come edifici. Rigore, ordine, serenità, pace. Spazi, volumi, linee, direttrici. Colori. Scansioni, cromatismi, contrappunti di luce. Tutto calcolato, logico, puntuale, simmetrico, giusto, preciso.

Poi guardi davanti a te, e sei attirato da quella porta.

La seconda sagrestia fa paura, ma proprio paura, fa paura lo scorcio che ne inquadri quando ancora sei nella prima, e vedi l’altare della seconda, al di là della porta,  intuisci il sacro, il luogo sacro, il tabernacolo, il pertugio.

La seconda sagrestia è una cappella monumentale, è una sintesi, è una microbasilica, è per pochi, è grandezza di cattedrale compressa in intimità volumetrica.

Io guardo il martirio di San non so chi, una puleggia gli srotola le budella, sì, il barocco è anche questo, è l’angoscia che esce, è un districare interiora, è una forza lucida, un urlo.

Non avere paura di esagerare, non avere paura di quello che c’è da raccontare.

E poi trasformare tutto questo in armonia in stile in bellezza in levità in leggerezza.

La terza sagrestia è lineare, serena, giocosa, è il relax, scene botaniche, floreali, luce, spazio, prospettiva.

Sì, certo, il barocco è anche questo, il barocco è lo stile naturale della pioggia, della sabbia, del vento, del fuoco che brucia, dei fiori che sbocciano, il barocco è una fioritura, il barocco è perla, è marmo, è lusso, è musica, è bombardamento, turbamento di sensi che va dritto al cervello, all’anima.

Una questione di calore, uno sbalzo, uno shock, il barocco è la composizione di uno shock, è fuoco, è gelo, è il massimo del sentimento comunicato con il massimo rigore, con perfetta pulizia formale, senza sbavature senza eccessi, il barocco è un’idea, una tentazione, una scommessa, questo è il barocco, è senso della morte, è voglia di vivere, è disperazione, depressione, nausea, elevazione, infantilismo, entusiasmo

Io viaggio, studio, lavoro, osservo, cerco emozioni sentimenti passioni idee progetti, non so che cosa, ma spesso resto duro, gelido, bloccato, mi chiedo che senso ha il lavoro, l’arte, la comunicazione, tutto, mi viene una noia, una nausea.

Alla base di tutto, anche degli edifici, delle architetture, ci sono i sentimenti, c’è la vita, la morte, il dolore.

Alla fine, l’immagine che mi resta, il sentimento che ho provato – e che ha dato senso a queste madonne di marmo –  l’ho provato per caso, fuori dalla Basilica, in macchina, fermo a un semaforo, sfogliando un volume di storia locale, acquistato  nell’uscire dal Museo, tanto per lasciare un obolo.

Sotto la vecchia foto di un aitante giovane degli anni Quaranta, la didascalia dice: Giorgio Paglia, di Nese, figlio della M.O. Guido Paglia caduto in Africa, dopo aver partecipato alla resistenza ai tedeschi in Roma, tornato in famiglia, si unì ai partigiani sui colli di Sovere.

Catturato il 17 Novembre 1944, rifiutò la grazia offertagli come figlio di una Medaglia d’Oro e fu fucilato il 21 Novembre, a Costa Volpino.

Sua madre ne raccolse il corpo, lo prese tra le sue braccia, lo caricò su un camion, e lo portò alla tomba di famiglia, dove gli diede sepoltura.

(by Leone Belotti 1999, pubblicato in “Tra terra e cielo”, ediz. Sesaab 2000, imago: Italcementi Alzano)

la psiche dell’architetto

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800px-Cole_Thomas_The_Course_of_Empire_Destruction_1836

Per giorni, settimane, a volte mesi ho l’impressione di non stare facendo niente.

Gli altri non se ne accorgono, in ufficio vado tutti i giorni.

Ma io lo so, non combino niente.

Il tempo passa, le scadenze si avvicinano e sento crescere in me un coagulo di insoddisfazione, noia, nervosismo e disgusto di me stesso.

Comincio a sentirmi male, anche fisicamente, male.

Altre volte questo stesso far niente mi dà felicità e leggerezza.

Anche saggezza, equilibrio, mi viene anche il sorriso.

Avverto una specie di gradevole compostezza generale.

Passo intere giornate scarabocchiando.

Faccio e ricevo telefonate inutili o angoscianti.

E intanto ho in corso progetti e contratti pazzeschi, assurdi, superpagati.

Mi sono laureato nel 68, in architettura.

Tutti si occupavano di politica.

Io preferivo studiare e già allora davo consulenze varie, a tutto campo, per cambiare tutto.

Oggi creo le vetrine per un gigante della moda.

Disegno per un supermarchio del design.

Progetto le case dei vip.

Nel mio studio lavorano venti persone.

Sono tutti giovani capaci, intelligenti, sani.

Ma io sono completamente inadeguato al ruolo di leader, l’unica cosa che mi interessa è l’architettura, la forma, la funzione,

quasi tutto ciò che mi circonda di solito mi disgusta, sono disgustato dalle stesse cose che mi interessano, la moda, il design, l’architettura, i modi di vita dell’uomo contemporaneo…

Sono considerato un grande innovatore, un maestro della purezza, del minimal, della semplicità, dell’austerità, della pulizia, della delicatezza

faccio grandi sforzi per giungere a questi risultati, perché il mio animo in realtà è barocco, espressionista, massimalista, e quindi ho desideri estetici che non posso realizzare né proporre,

per esempio l’architettura fascista, con dentro i mobili Luigi XIV, e i casalinghi della civiltà contadina,

sottopongo il mio fisico a prove estenuanti, e poi ho dolori di ogni tipo,  non dormo per notti intere, prendo di tutto, non faccio sport, penso sempre di smettere di fumare, di mangiare sano,  ma spesso ho lo stomaco chiuso, è la feroce determinazione dei miei commensali a mangiare sano, che mi chiude lo stomaco.

Lo stomaco mi si apre improvvisamente in autogrill, mi viene una fame, una voragine, ordino tre panzerotti ipocalorici uno dopo l’altro, al terzo faccio una battuta alla ragazza,  elemosino un sorriso.

Ho la fama di creativo, di filosofo,  sono anni che non mi siedo al tavolo da disegno,  i programmi dei computer non so nemmeno cosa siano,  faccio schizzi, spiego idee continuando a fare schizzi.

I miei collaboratori si mettono all’opera, e poi io correggo, e continuo a correggere, se i miei collaboratori o i miei clienti sapessero qual è veramente la mia fonte di ispirazione creativa andrebbero in crisi.

Dico che vado dal dentista, dallo psicologo, dall’avvocato e invece comincio a girare per la città oppure prendo la macchina e vado in un’altra città oppure vado alla stazione e prendo un treno, entro nei negozi, mi fermo nei bar, vado a fare la spesa, mi metto a parlare con le persone,  nei supermercati, per strada, in treno, e con grande naturalezza divento un’altra persona,  un uomo comune, anonimo, ma socievole, aperto,  gentile con le persone anziane,

passo ore a parlare con i vecchi sulle panchine dei parchi,  mi basta mezzo bicchiere di vino per farmi puzzare l’alito,  quando si crea un po’ di confidenza mi chiedono di me,  se bevo per qualcosa che mi è successo.

I vecchi con cui parlo… mi interessano le case in cui sono nati e cresciuti,  come hanno vissuto quelle case, è così difficile vivere bene in uno spazio interno,

l’unica possibilità è che questo spazio sia già abitato, da uno spirito accogliente,  altrimenti tutto è freddo e silenzioso,  ma oggi non si fa altro che uccidere lo spirito delle cose e delle case, ingegneri, architetti, geometri, immobiliaristi, tutti insieme distruggono forme vive di architettura e le sostituiscono con forme morte, o forme vuote.

La chiamano ristrutturazione, ma è un’operazione di imbalsamazione.

Case imbalsamate per gente imbalsamata.

Una casa è come una persona.

Non può vivere in eterno.

Occorre semplicemente che viva bene, in armonia, il suo tempo.

Si può curare una casa vecchia, non stravolgerla con trapianti integrali

tenendo solo il guscio, la facciata, e per cosa? per motivi estetici!

Il loft? Un’assurdità!

Un’altra? Le case di ringhiera che diventano residences!

Il borgo storico un presepe inanimato.

Se quattro persone vivono in un ampio quadrilocale, ognuna di queste vive in un ampio quadrilocale, ma se quattro persone vivono in quattro monolocali, ognuna vive in una stanza.

Il monolocale è una cella, ci vivono i frati e i carcerati, ma sia i frati che i carcerati a differenza dei moderni singles, possono godere di grandi spazi comuni.

Se devo costruire formicai, mi devo immedesimare nella formica.

Oggi tutti riescono a immedesimarsi nell’aquila, nella pantera, nessuno riesce a immedesimarsi nella formica.

La differenza fondamentale tra le classi agiate e le altre è che queste occupano tutto il loro immaginario con lo stile di vita delle classi agiate mentre gli individui delle classi agiate non riescono nemmeno a immaginare come si possa vivere in 40 metri, con 800 euro al mese.

Riguardo alla povertà materiale, chiunque, povero o ricco, preferisce non pensarci,  e invece c’è molto da pensare, se è vero che dalle fasce più povere della popolazione io traggo le idee per far vivere meglio le fasce più ricche:

bisogna capire, sentire la miseria di un attico tutto design, tutto creato da architetti e designer; e bisogna capire, sentire la ricchezza di una stamberga tutta necessaria, tutta creata da chi ci vive.

Se parlo con colleghi, committenti, collaboratori non trovo una sola idea giusta, un solo pensiero vero;

se parlo con portinaie, pensionati, inquilini, occupanti abusivi vengo illuminato su aspetti fondamentali cui non avrei mai pensato.

Per gli oggetti, stesso discorso, se non peggio, fanno disegnare mestoli da spaghetti a gente che non ha mai servito un piatto di pasta in vita sua ed ecco il mestolo di design, un oggetto di bellezza!

La gente compra le sedie design che vede nei bar,  la gente non sa che le sedie da bar sono progettate per essere scomode, per far alzare il culo dopo mezz’ora.

Vorrei progettare sedie e tavoli per scuole, biblioteche e case di riposo invece progetto sedie e tavoli per i set dei reality show, per gli show room moda e per le agenzie viaggi last minute.

Poi i singles comprano tutto.

(copyright BaDante Care&Writing Agency -Calepio Press, testo by Leone Belotti ex intervista anni Novanta ad architetto designer italiano compasso d’oro;

titolo originale “I singles comprano tutto”, in “Riduzione Uomo” blog bambooostudio;

imago: Thomas Cole, La distruzione dell’impero romano, 1836, New York, Historical Society)

il parere dell’avvocato

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agnelliJuve

da dieci anni le autorità usano il pretesto della violenza negli stadi per trasformare (senza riuscirci) il calcio in uno spettacolo business-televisivo a beneficio di sponsor e scommettitori,

così, nel tentativo di avere solo spettatori ammaestrati, come quelli delle trasmissioni televisive, ogni coro o striscione  “offensivo” o politicamente scorretto o non approvato dal prefetto comporta provvedimenti disciplinari su singoli (divieto di entrare negli stadi) e su chiunque (chiusura dello stadio al pubblico).

Paradossale quanto accaduto in settimana: avendo i tifosi del Milan cantato il coro “Napoli colera” le autorità, con la motivazione della “discriminazione territoriale”, hanno chiuso  la curva di San Siro: ed ecco che per solidarietà i tifosi del Napoli hanno esposto a loro volta lo striscione “Napoli colera”.

Imbarazzo e disagio delle autorità e dei media. Si può punire qualcuno che insulta sé stesso? Auto-discriminazione? Reato di sarcasmo?

Di fatto la vera “discriminazione territoriale”, come hanno scritto sui loro volantini gli ultras, la fanno le autorità:

infatti oggi un cittadino italiano non può recarsi alla biglietteria ed entrare in un qualsiasi stadio italiano, ma soltanto nello stadio della provincia di residenza

(oppure, dopo una serie complicata di domande,  richieste, documenti, tessere può seguire le partite della propria squadra in trasferta,  ma deve viaggiare su treni o bus scortati dalle forze dell’ordine).

Come cittadino italiano, evidentemente, e paradossalmente, non posso che sostenere gli ultras: e con loro reclamo il diritto a viaggiare liberamente in Italia e ad entrare liberamente in ogni stadio italiano. Un diritto costituzionale!

Come uomo di diritto e di potere, squalificherei le autorità del calcio non solo per “discriminazione territoriale”, ma anche per “ignoranza storica”.

Lo stadio, e lo spettacolo, soprattutto sportivo, è stato inventato 3000 anni fa nella democratica Atene proprio per contenere-comprimere e scaricare-esprimere la violenza in una “rappresentazione” (catarsi).

Nella Roma imperiale, 2000 anni fa, i giochi circensi (e anche il pane) vengono offerti gratuitamente alla plebe, e con ciò alla funzione catartica si assomma una funzione di controllo, consenso e ordine pubblico.

Questo dovrebbe insegnare che per avere stadi pieni di spettatori condiscendenti e festanti c’è un solo modo:  dare come nell’antica Roma lo spettacolo gratuitamente, e anche qualche cosa da mangiare (“panem et circenses”).

Duemila anni dopo, ignorando che lo stadio nasce proprio allo scopo di contenerla ed esprimerla, le autorità pretendono di debellare la violenza dagli stadi,

non solo la violenza fisica, ma perfino la violenza verbale, psicologica, senza la quale non si ha catarsi.

Quando i  tifosi reclamano il diritto a insultarsi tra di  loro la domenica allo stadio, hanno tutte le ragioni, sia giuridiche (possiamo considerarlo come un diritto di una minoranza) che storico-sociali: lo stadio è precisamente il luogo pubblico deputato a “scaricare” la tensione sociale in una “rappresentazione”, cioè la violenza fisica in violenza di comunicazione.

O si preferisce che la violenza si scarichi fuori dallo stadio, per le strade, giorno e notte, come accade nel paese modello degli stadi pon-pon, gli Stati Uniti d’America?

(imago: l’avvocato scende in campo)

 

the cinderella job

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CenerentolaMAdonna

Cenerentola va al festino del principe, ma il principe è imbranato,

lei a mezzanotte deve rientrare al night,

allora va sotto il tavolo, gli fa un pompino veloce

e quando riemerge sputa nel piatto e se ne va;

al che il principe la richiama: “Cenerentola! La scarpetta!”

e lei offesa: “Va bene il pompino, ma la scarpetta no!”

(Nota: nonostante questo sia un sito di letteratura sperimentale,

con rubriche specialistiche su letteratura senile, ecologia semiotica, neo-situazionismo, e un blog in latino forse unico al mondo,

nonostante si rivolga a specialisti, addetti ai lavori, intellettuali,

nonostante sia dotato di applicazioni per limitare gli accessi mainstream,

accade questo: che il maggior numero di accessi al sito da google viene dai tag “cenerentola porno” e “fotoromanzi porno”,

per colpa della succitata “favolaccia” riportata all’interno di un post memorialistico sulla para-letteratura pornografica

Morale della favola: puoi pubblicare 200 articoli “per intellettuali” con 2000 tag “cultura”,

ma dalla rete, cioè da google, ti arrivano sempre e soltanto utenti che cercano “cenerentola porno” e “fotoromanzi porno”,

che invece di trovare “immagini porno” trovano un sito pieno di “testi per segaioli mentali”, come mi ha scritto un lettore feticista che cercava “foto di piedi femminili”!

La Cenerentola-porno mi è stata raccontata da un 84enne in una casa di riposo.

Imago: Madonna in versione Cenerentola per Dolce&Gabbana)