il valzer delle mogli

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TentorioAngel

Tutti sanno che la moglie di Gori solitamente vota centrodestra.

Pochi sanno che la moglie di Zenoni solitamente vota centrosinistra.

La notizia è che la moglie di Tentorio potrebbe insolitamente votare 5stelle.

(Il fatto di cronaca: sabato scorso in via XX, ai banchetti elettorali, un 5stelle armato di volantini, voltandosi,  si trova davanti una signora elegante, e le offre il volantino “vota Zenoni”.

La signora, sorridendo: “Ma lei non sa chi sono io, sono la moglie del sindaco Tentorio!”.

Il ragazzo: “Comunque per me lei è un elettore, lo prenda lo stesso”.

La signora, prendendo il volantino: “Ma lo sa che io a volte sono d’accordo con le cose che dice Grillo?”

Ragazzo: “E allora ci dia il suo voto! Nel segreto dell’urna suo marito non la vede!”

imago: Angela Tentorio)

mensa te che storia!

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foto-4-5

ci sono cose che succedono per caso, o forse grazie a una buona stella.

Oggi, al Lazzaretto, alla tavolata mensa te!, è successo questo:

due persone che non si erano mai viste prima, chiacchierando tra un bicchere di vino e una scodella di pasta zucca e fagioli, si sono “scambiate” le rispettive storie che ipso facto sono diventate storie a lieto fine:

storia 1, donna 40 anni: vivo da sola in una casa su due piani, con una camera vuota, ho problemi di salute e bisogno di una mano in alcune circostanze. A volte penso che se trovassi qualcuno che non ha un posto dove stare… potrei offrire vitto e alloggio

storia 2, uomo, 30 anni: allora ti dico com’è veramente la mia situazione: ho perso la casa e non ho un posto dove stare, cerco ospitalità in cambio di piccoli lavori…

A me, e agli altri mensatori presenti, questo incontro è sembrato una specie di miracolo.

Trovarsi fianco a fianco, condividere il pasto, e ritrovarsi negli sguardi del prossimo al punto da decidere, dopo mezz’ora, di condividere bisogni e risorse…

per queste cose i social network non bastano, a volte una persona in carne e ossa con la quale mangi ti dà più fiducia e certezze di un ectoplasma col quale chatti da anni…

Siamo usciti dal Lazzaretto con una marcia in più. Mensa te! sarà sicuramente un’idea  assurda (morti di fame in proprio che vivono di idee in comune) ma… funziona!

(photo: lo stendardo Mensa te! cucito a mano con pezze di scarto)

se potessi mangiare un’idea

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MTok

Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione

se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione.

Mensa te! in realtà è un’idea di Giorgio Gaber, pertanto propongo i suddetti versi come pay off dell’iniziativa di condivisione pasti e progetti del neonato gruppo Mensa Te!

1 pasto x 1 idea, è questa l’idea, fare insieme una mensa popolare e una fabbrica delle idee: pagare i pasti con le idee, e pubblicare l’incasso!

nuove idee, vecchie idee, grandi idee, mezze idee, piccole idee, tutto fa brodo,

anche idee abortite, storie di progetti non realizzati (c’è sempre da imparare)

primo appuntamento 7 maggio al Lazzaretto di Bergamo h12-14

contatti e info sulla pagina fb  

https://www.facebook.com/mensate

(imago: logo ufficiale Mensa te!)

ma che calepio si fa a pasqua?

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ADCalepioNerd

Il progetto Bergamanent nasce un anno fa, in piazza S.Anna,

dall’incontro con i ragazzi di CTRL magazine, quando scopriamo di aver proposto al comune progetti simili, con grandi idee e piccoli budget, e aver ricevuto risposte simili: “bellissime idee, purtroppo non ci sono soldi” (e in quegli stessi giorni il comune stanziava 800.000 euro per consulenze e comunicazione su Bg2019 “capitale della cultura”).

Noi avevamo proposto un lavoro di rilettura e rivalutazione dei grandi personaggi storici icone della città, creando profili social-historical a partire dai quali far rivivere la storia della città con eventi musicali e teatrali, e la partecipazione di artisti, writer, ricercatori, editori, locali pubblici.

Il comune ha poi preso l’idea di partenza e l’ha realizzata in modo sciatto e a costi altissimi, tirando giù frasi fatte dai libri di storia per poi stamparle su brutti totem, e morta lì.

Nel frattempo noi siamo andati avanti, e abbiamo fatto rivivere queste icone sulle cover di CTRL magazine, cercando l’attualità, il senso di oggi di figure ricoperte dalla polvere del tempo, sconosciute ai più, ignorate dalle nuove generazioni.

E così, per un anno, invece delle rock star, abbiamo messo in copertina, come fossero nuovi divi, i grandi bergamaschi del passato, rappresentati e raccontati come personaggi di rottura, fuori dagli schemi, non ingessati e non istituzionali:

il Beltrami explorer, scopritore del Nord America;  il Che-Nullo, primo dei rivoluzionari moderni; il Colleoni dux, inventore dell’artiglieria mobile; il Natta fetish, creatore della plastica; il Locatelli no limits, pioniere dell’aria; il Quarenghi magut, costruttore di metropoli;

il Galgario gay, maestro del ritratto; il Paciana hacker, re dei banditi;

e infine il Calepio nerd, ideatore del vocabolario, in copertina questo mese, da cui prende nome questo sito e questo editore, che qui vi presento, con un augurio di buona lettura, e di buona pasqua!

Cover story per CTRL magazine n.49, imago by studio Temp, testo by Leone Belotti:

Se vuoi sapere che Calepio ha fatto e chi Calepio è, ti dico che Ambrogio da Calepio è il primo grande nerd della storia, il precursore del web, autore di un libro pazzesco, un’idea folle, che ha cambiato il mondo.

Probabilmente, prendendo in mano un vocabolario, non ci siamo mai posti la domanda: chi è quel fuori di testa che ha avuto l’idea?

Prima esistevano raccolte varie, compilazioni lessicali tematiche, indici di luoghi o gallerie di personaggi storici, ma il grande nerd ebbe il lampo di genio di fare questo lavoro scientificamente su un’intera lingua, in ordine alfabetico: e poi girarla a specchio, tra-ducta in un’altra lingua!

Ci lavorò giorno e notte per 50 anni, 500 anni fa, a Bergamo. Poi diede alle stampe. Boom. L’opera, titolata Lexicon, ribattezzata Calepino, dal nome del suo “consapevole inventore”, ebbe un effetto pari alla scoperta dell’America (che similmente prende nome da Amerigo Vespucci, e non da Colombo, che non si era reso conto).

In pochi anni, il Calepino, come internet, diventa lo strumento di lavoro indispensabile per studiosi, scrittori, scienziati, traduttori di tutto il mondo. La community subito condivide e implementa, e in breve escono decine di versioni in tutte le lingue del mondo.

Calepino alla mano, il popolino illetterato poteva finalmente capire il Latinorum usato da papi e imperatori per imporre leggi assurde con codici astrusi (il latinorum di oggi  è la pubblicità, la tecnologia, le app)

Per 300 anni insieme alla Bibbia è il libro più stampato al mondo (oggi: il catalogo Ikea) ma il suo autore, dopo la prima edizione (pubblicata a sue spese!)  non vide più un tallero: il diritto d’autore non esisteva, e tutti gli stampatori se lo ristampavano allegramente (lezione di storia: il copyleft è nato 3 secoli prima del copyright).

Poi arrivò l’Enciclopedia degli Illuministi, versione moderna del Calepino, e oggi siamo a Wikipedia. La cosa paradossale, è che se cerchi oggi in Wikipedia, su Ambrogio trovi 10 righe da sfigato.

Nato nobile nel 1435 in un castello al centro del feudo di famiglia (Castelli Calepio, in Val Calepio) il giovane conte Calepio si trasferì a studiare a Bergamo a Palazzo Calepio, in zona Fara, e passò tutta la vita nel convento di fronte a casa (S.Agostino). Probabilmente pagando, prese i voti, e il nome Ambrogio (di battesimo faceva Giacomo) con una dispensa “per motivi di studio” che lo liberava dal peso di dire messa, confessare o vedere gente.

Per tutta la vita non fece mai altro che ilfiglio di papà nerd, uscendo solo per attraversare la Fara (casa-studio) e tuffarsi nel suo lavoro titanico in S.Agostino, dove morì (1510) e fu sepolto senza nemmeno una lapide, nello stile NOLOGO degli eremitani agostiniani (seconda cappella a destra in S.Agostino).

Nell’aldilà, ha ripreso il nome di Giacomo, e passa le giornate in Purgatorio nel gruppo master nerd, molestato da fan insospettabili come gli eretici Giordano Bruno ed Erasmo da Rotterdam (che lo chiamano joker)  gli esplosivi D’Annunzio e Alfred Nobel (che lo chiamano bomba carta) e l’odioso Steve Jobs (che usa wikalepio al posto di wikipedia).

Intanto nell’aldiquà i vip del comitato cultura Bg2019 hanno blaterato per mesi e speso milionate in consulenze, totem e testimonial “lustra Berghem”, senza accorgersi che avevano in mano il jack pot della cultura, capace da solo di far saltare il banco.

E così si capisce anche perchè Calepio abbiano bocciato Bergamo capitale della cultura. Come se al Comune di Firenze, assessorato alla cultura, ti rispondessero: Dante chi?

 

 

qui mio nonno mi disse che suo nonno…

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vvvv

salendo la scala del condannato dal convento di San Francesco alla Rocca, al gradino 75/100 si prenda il cancellino a sinistra, e dopo 20 metri ci si trova qui, ai piedi della Rocca, bastione esterno nord-est:

in questo luogo, mi disse mio nonno 40 anni fa, suo nonno (cioè il mio trisavolo) insieme ad altri volontari, al comando del 25enne Gabriele Camozzi, aveva combattuto nella primavera del 1849, assediando ed espugnando la rocca,

quando, a causa della “politica” piemontese, Bergamo fu “restituita” agli austriaci, molti di quei ragazzi furono incarcerati in san francesco e in seguito fucilati in rocca,

questo fino a qualche anno fa era anche l’accesso al bosco faunistico,

scendendo a sinistra attraverso un percorso fantastico, tuttora praticabile, tra scalette di pietra e terrazze panoramiche immerse nel verde,  si raggiunge dapprima il terzo chiostro del convento, dove d’estate si bevono gli aperitivi, poi l’uscita dal convitto su via s.lorenzo, all’altezza di via tassis,

invece, il sentiero di destra conduce alla frana-voragine, che ha preso il posto del parco-bosco, che era il polmone verde di città alta, e attraverso un sentiero nel sottobosco univa la fara alla rocca,

quel giorno con mio nonno doveva essere autunno, ricordo il sentiero come un tappeto di foglie gialle e rosse,

oggi di quel sentiero restano questi venti metri, che ho pietosamente ripulito dall’immondizia prima di scattare la foto

prometti le mani

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_DSC4988

In occasione della grande mostra dedicata a Enrico Prometti, le parole di suo figlio Vania:

I viaggi, le liti, l’Africa, la pietra, le mani, il lavoro, la voce: mio padre è nelle mie viscere, come faccio a raccontarti un episodio, a parlarti di un lavoro, di un’opera?

Se comincio a parlarti di mio padre  posso andare avanti tutta la vita, posso ripeterti tutte le parole che gli ho sentito dire,  e non perché io sia un mostro di memoria,  ma perché lui diceva cose che ti restavano impresse, vere, umane, forti,

come i gesti, i segni che faceva e lasciava lavorando ogni cosa, ogni materia, con le mani, con quelle mani sempre all’opera, continuamente, tanto che nel tempo le sue mani per me, e per quelli che lo conoscevano, sono diventate un’opera a rovescio, stratificata, impressa, incredibile,

la summa delle sue opere, l’opera suprema, le sue mani.

Nelle sue mani c’era tutto il suo tempo, i suoi lavori, quarant’anni di arte contemporanea tracciata sui suoi palmi, avevano dentro colori, pigmenti, polveri, fibre, ustioni, abrasioni,

queste mani colpivano tutti, dicevano tutto, e tutti, che fossero bambini,colleghi, manovali, cameriere o stregoni, capivano cosa c’era in quelle mani.

Un suo schiaffo ti metteva a posto per sempre, e con la sua disciplina totale ti insegnava la libertà totale, ma queste cose le capivi dopo, naturalmente.

Con quelle mani “fabbrili”, a un certo punto mio padre poteva prendere a schiaffi chiunque, moralmente, socialmente, senza nemmeno fare il gesto, parlavano da sole.

Oggi, tutti quelli che hanno avuto a che fare con quelle mani, sia quelli che da mio padre le hanno prese, fisicamente, o psicologicamente, sia quelli che da lui hanno preso, idee, stimoli, sia quelli ai quali lui ha preso, che siano figli, istituzioni, amici, collezionisti, colleghi, discepoli, che lo abbiano amato, odiato, invidiato, disprezzato, umiliato, osannato, o che siano stati da lui trascurati, offesi, dimenticati, annichiliti, sbeffeggiati, tutti sono d’accordo  su un dato: la statura umana e artistica di Enrico Prometti,

tutti sono  consapevoli di aver incontrato un grande uomo e un artista vero, incarnati  nella stessa persona, un figura in estinzione, un grande maestro.

Come tutti i grandi maestri, non ha mai avuto allievi, né maestri, ma in un certo senso aveva tutti gli uomini venuti prima di lui come maestri, e tutti quelli venuti dopo come allievi.

La sua lezione non ha problemi di attualità, opportunità, successo: è una bomba caduta in giardino, pronta a esplodere, a scheggiare e contagiare di sana follia persone e ambienti malati di insano raziocinio,

inutile resistere, fingere indifferenza, Enrico Prometti ti chiama, e non al telefono, e ti dice: guarda e ascolta, crea e distruggi.

testo raccolto 2011 da Leone Belotti, ph. by Benedetto Zonca

http://enricoprometti.it/

un caffè con mia nonna

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AlessandraKaiser4

Avevo circa 8 anni, un sorriso stampato in viso e tutto intorno il mare blu.

Guardando vecchie foto, questa mi ha subito colpito: io e mia nonna su una canoa, i visi rilassati, gli occhi sorridenti, qualche segno di scottatura sulla pelle.

Mia nonna paterna mi ha sempre un po’ viziato, forse perché pensava che, essendo i miei genitori divorziati, io fossi una bambina da coccolare.

Quando andavo a trovarla, mi preparava sempre qualcosa di speciale; la cucina era una delle sue passioni, faceva i biscotti, le torte, gli gnocchi, la pizza, la pasta fresca ma anche l’arrosto, l’ossobuco, le patate al forno.

I piatti che preferivo della sua cucina, quando ero piccola, erano gli gnocchi al burro e la pizza, l’odore che meglio ricordo è quello dei biscotti tedeschi che preparava prima di Natale.

Un’altra delle sue grandi passioni era il golf; appena ne aveva occasione, andava a giocare con gli amici. Non era solo un hobby, partecipava a gare che spesso vinceva, accumulando trofei che ancora oggi non sappiamo dove mettere.

Per dare un’idea di quanti sono, uno lo uso come posacenere.

La maggior parte delle fotografie che ho di lei la vedono infatti impegnata in qualche competizione, circondata da amici; il golf, per lei, era quasi uno stile di vita.

Era una donna super attiva, sempre in giro, mai stanca; quando ero adolescente mi veniva spesso a prendere alle feste – anche all’una di notte.

Insieme siamo andate più volte in vacanza; quella a Parigi fu la mia preferita. Non solo visite a musei e monumenti ma anche shopping, una crociera sulla Senna, baguette enormi, problemi con i taxisti e la distanza tra i nostri anni non si era quasi sentita.

Parlare con lei era sempre stimolante ed era una sorta di libro di storia vivente, se le chiedevi chi era un Re del Medioevo, lei te ne raccontava vita e miracoli, se non ricordavi una data, lei la sapeva.

Leggeva il giornale tutti i giorni ed aveva sempre un libro sul comodino.

Le piacevano anche le fiction, in particolare Un posto al Sole e Centovetrine, che lei reputava delle scemate, ma che la divertivano molto.

Era una donna molto acculturata ma sapeva anche non prendersi troppo sul serio.

Aveva tante amiche ma, dopo mio nonno, non aveva più avuto un uomo.

Si era sposata giovane, aveva avuto tre figli, tutti maschi, e aveva perso l’unica figlia femmina poche ore dopo la nascita.

Mio nonno è un uomo abbastanza freddo e distaccato e lei si era forse sentita trascurata, forse aveva cercato l’affetto altrove.

Del loro divorzio non so molto; la famiglia di mio padre non ama raccontare vicende del passato ed io, per non essere invadente, non ho mai chiesto nulla.

Era una donna elegante e raffinata, aveva vestiti bellissimi ed era sempre impeccabile senza mai ostentare.

Aveva ricevuto un’istruzione severa, avendo frequentato un collegio di suore, e cercava di insegnarmi come essere composti a tavola, come comportarsi in pubblico e come essere sempre sorridenti.

Io, da adolescente ribelle quale ero, rifiutavo alcuni insegnamenti, ma ho comunque imparato che l’educazione non passa solo per le buone maniere ma soprattutto per il rispetto per gli altri.

Era anche una nonna dolcissima e sempre piena di attenzioni; ricordo che ad un San Valentino, avrò avuto 12 anni, ero triste perché non avevo ricevuto nulla dal ragazzino che mi piaceva e lei mi aveva fatto trovare un vasetto di primule con un bigliettino che recitava: “dal tuo spasimante misterioso”.

Era molto giovanile, tanto che gli sconosciuti la scambiavano spesso per mia mamma.

Dopo il liceo, iniziai l’Università a Bergamo e, dato che mia mamma viveva in Val Seriana, mi trasferii a Treviolo da mia nonna.

Vissi con lei quasi tre anni; nonostante l’età e l’educazione ricevuta, mi lasciava molto più libera di quanto facesse mia mamma.

Potevo uscire quanto volevo, tornare quando volevo e non mi ha mai rimproverato, tranne quel sabato sera che rientrai alle 6 non proprio sobria.

Qualche sera estiva facevamo l’aperitivo in giardino, con vino bianco, focaccine e salamino.

Una volta ogni tanto si concedeva un gin tonic, rigorosamente con lime fresco.

Tutte le mie amiche la adoravano e ricordano gli aperitivi e le cene che organizzava, ma soprattutto il savoir-faire che la contraddistingueva.

Era anche testarda, parlare di politica era un inferno e guai a dirle che Libero è un giornale di parte.

Non le piaceva il mio fidanzato del tempo, lo considerava un bambinone e diceva che meritavo un uomo maturo e responsabile.

Forse aveva ragione ma, al tempo, neppure io ero matura e responsabile: studiavo e superavo bene gli esami ma ero la tipica ragazza universitaria che vuole divertirsi al massimo e fare baldoria.

Lei mi ha sempre sostenuta e ha sempre fatto da intermediaria tra me e mio padre, suo figlio, dato che i rapporti tra noi erano molto difficili.

Grazie a lei mi sono riavvicinata a lui e ho imparato come gestire il rapporto con la sua seconda moglie, nonostante ancora oggi sia molto complesso.

Quando mio zio, il suo secondo figlio, si tolse la vita, io vivevo già con lei e il dolore straziante la fece ammalare.

Ho vissuto con lei durante la sua malattia e l’ho vista cambiare, da donna attiva e sempre indaffarata, a persona affaticata e stanca.

La morte di suo figlio le aveva tolto ogni gioia, non si dava pace per quel terribile gesto e, forse, se ne dava la colpa.

Aveva smesso di curare il suo aspetto, non partecipava né organizzava più cene con gli amici, anche giocare a golf stava perdendo importanza.

Io ero paralizzata dallo shock, non sapevo come affrontare il mio di dolore, quindi non ero in grado di aiutarla ad affrontare il suo.

Le stavo accanto, cercavo di distrarla, la aiutavo nelle faccende domestiche, la coinvolgevo in ciò che studiavo ma vedevo che il suo sguardo era diverso, che il suo pensiero era sempre là, a quel giorno, all’immagine di mio zio.

La malattia se la portò via.

Nei miei sogni la sua casa è ancora arredata, e dalla cucina arriva qualche buon odorino. Entro in casa e penso: nonna sei ancora qui, allora è stato solo un brutto incubo!

Ci sediamo in cucina e chiacchieriamo davanti ad un caffè, sgranocchiando quei biscottini alla cannella che le piacevano tanto.

(storia di mia nonna by Alessandra Kaiser 2014)

gamec campane a martello

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GamecDoppiaIgnoranza

da 40 anni giro per musei in tutta europa, ma anche nei piccoli musei di paese, e mai, mai in 40 anni mi ero sentito insultare come sono stato insultato alla gamec di bergamo pochi giorni fa,

appena entrato nella prima sala, come sempre faccio, mi tolgo gli occhiali, e mi avvicino a passo lento all’opera, con la mia miopia che mi permette di vederla come apparire,  e come sempre dopo questa prima impressione mi chino di lato a leggere la didascalia che l’accompagna, per sapere autore e titolo, e poi guardarla con occhi coscienti.

Stupore: invece del titolo dell’opera e del nome dell’autore, stampato bello grosso, sotto vetrofania, c’è un geroglifico umanamente illeggibile, da far leggere al proprio smartphone.

Mi guardo intorno: tutte le opere sono corredate da questo monstrum absurdum incredibile dictu. Il mio mondo va in frantumi e allo stupore subentra un senso di stupro.

Tu vai al museo per incontrare un’opera d’arte, e trovi un codice a barre!

Io frequento musei perchè sono un tipo da museo, non ho lo smartphone, ma anche l’avessi mi sentirei un idiota a doverlo usare per un insensato e deleterio capriccio altrui.

Che cosa mi stai dicendo quando da un’opera d’arte originale, che io sono venuto fisicamente a fruire con 5 sensi e 1 anima, cancelli il titolo e l’autore per impormi 1 codice a barre da fotografare con 1 smart per poi caricare 1 app e connettermi a 1 sito dove scaricare 1 file con la didascalia on line? Mi stai dicendo: asino chi legge.

Tu, gamec, mi stai dando dell’idiota, io ho pagato il biglietto e mi stai dicendo di stare a casa e guardare il museo on line,

mi stai dicendo che l’artista e l’opera e il museo stesso non hanno alcun senso né valore,  servono solo come codici per entrare nel magico mondo delle app, dei social network e dei siti porno, è chiaro.

Ma io non sono venuto qui per vedere opere d’arte usando aggeggi come un turista-fotografo.

Una rabbia battente ha cominciato a montarmi dentro verso il o i responsabili di tanto crimine.

Immaginavo questi geni dell’anti-comunicazone, lautamente pagati da noi cittadini, fare riunioni intelligenti per decidere questa arroganza tecno-anale, tecnicamente un’idiozia,

perché se al posto di suoni comprensibili emetti segni incomprensibili, linguisticamente parlando, sei un idiota, gamec, lo capisci anche tu,

capisci, potevi anche mettere il codice astruso, magari più piccolo, per ultra info: ma titolo e autore dell’opera non puoi nasconderli nella mano che li offre, come zuccherini per bambini scemi, altrimenti è un museo per bambini scemi, allestito da idioti, che usano idiotismi per incrementare il sito web, e intanto, mancandogli di rispetto, allontanano definitivamente dal museo il vero pubblico.

Una tecnologia creata per facilitare la condivisione, distorta verso la finalità esattamente opposta (complicare, occultare ed escludere) e proprio in un luogo deputato alla divulgazione, e alla “spiegazione”, all’apertura dell’opera d’arte.

Le persone non sono idiote. Violazione regole basilari, rispetto dell’utente, contesti di comunicazione, abuso di tecnologia. Ignoranza doppia, esclusiva, arrogante, nociva.

Se un qualche avvocato realmente civile mi legge, lo invito a escogitare i termini di legge per montare una causa collettiva di richiesta danni da parte dei visitatori.

Con questi pensieri, alzando lo sguardo, ho guardato quel che facevano e dicevano le altre persone, e gli assistenti di sala.

Anche loro avevano problemi, e più gravi dei miei: perchè quest’assurda app, oltretutto, non funzionava! (Dio esiste)

Con grande solidarietà, come durante una calamità, le persone si passavano orribili schede plastificate, pratiche e brutte come menu di un fast food da stazione (alla faccia dell’immagine coordinata gamec) dal quale ricevere pietosamente qualche tozzo d’informazione.

Dal grande foto-affresco a tutta parete, i notabili della città foto-montati come un’orgia di avidi spettri (quale in realtà essi sono) parevano osservare con freddo distacco.

Poi sono entrate in sala un paio di gambe femminili, cappottino nero, capelli vaporosi, fascino internazionale, padronanza upper class, un’apparizione,

l’ho vista avvicinarsi alla prima opera, osservare il geroglifico, guardarsi in giro,

la mia identica fenomenologia,

e poi la rabbia, il dietrofront, l’urgenza di uscire per non esplodere.

L’ho seguita come si segue un salvatore.

Sulle scale l’ho sentita imprecare in una lingua che non mi era mai parsa tanto nobile, e adeguata.

Per due volte, in crescendo, ha ripetuto: laùr de campane a martèll.

(photo by Postini-Reuters)

post alchemical conversation

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Mendini+KarimCP

incontriamo Alessandro Mendini nel suo atelier dietro Porta Romana,

spazio serenamente sacro pieno di oggetti immagini semplicemente presenti.

Ci riceve in una stanza-studio con un piccolo ercole come fermaporta e un don chisciotte come fermalibri,

si parla di vetro ingabbiato, vasi di vetro ingabbiato, oggetto difficile, a me sembra metafora dell’uomo social net, espositore di purho disagio, sorta di crocefisso reverso;

poi si parla di karim rashid, di mondo flou, si parla di nipotini, si parla di nipotini del Petrarca,  e si parla anche di Val Taleggio e di carattere de la rasa bergamasca,

poi ci offre un caffè su un vecchio vassoio alessi veramente vissuto.

Quello che volevamo chiedere a questo grande astronauta è lumi sull’orbita di senso del progetto alchimia-ermafrodita-banale 30 anni dopo con l’arrivo sulla terra dell’extra-terrestre karim rashid,

(e chiaramente Andrea Dotto, ad purho made in italy, nuovo brand con focus azzardato vetro di murano + design, voleva anche chiedergli: maestro, non sarebbe fantastico fare una linea purho mendini in risposta alla linea purho rashid?)

e così con coraggio ignorante e purho gli abbiamo chiesto tutto:

nessuno può immaginare, tantomeno descrivere il modo fantastico di ridere, diciamo pure di sghignazzare, del grande maestro, e poi l’affetto, l’intelligenza, l’ironia  degli occhi:

e la promessa: manderò dei disegni!

Torniamo a casa turbati (come capita quando si incontra un gigante della storia o del pensiero),

chiaramente per prima cosa andiamo su Wikipedia sulla Treccani su Domus e alla fine sul sito dell’atelier Mendini per capire cosa ci ha detto Mendini,

per me Mendini erano quelle tre robe lì, Alessi, Swatch, la poltrona Proust, il maestro del postmoderno, della mescolanza, del pezzo unico, il contrario del minimalismo, del design industriale,

bene, andiamo sul sito dell’atelier Mendini e troviamo una schermatina semplice semplice, minimalista, con le solite quattro voci, storia, progetti, scritti, contatti.

Ma se clicchi “progetti”, trovi migliaia di progetti; e se clicchi “scritti” trovi migliaia di pagine: alla faccia del minimalismo!

In purho spirito “fedele nei secoli”, come due carabinieri: Andrea, tu guarda i progetti, io mi leggo gli scritti.

Abbiamo letto circa 3000 pagine-mendini in questi dieci giorni,

di questo immenso sapere abbiamo abbiamo selezionato 1000 battute scritte nel 1984

con la pretesa di accendere in 30 secondi un Purho discorso storico

sul salone del mobile milano, con questi due estremi distanti 30 anni: Mendini 1984, Rashid 2014.

Così abbiamo creato questa conversazione post-alchemica, o dialogo a distanza generazionale, facendo reagire cose scritte da Mendini nel 1984 (in corsivo) e cose dette da Rashid l’altro giorno al telefono, per presentare la linea purho 2014.

Mendini 1984: L’uomo e la donna di oggi vivono in stato di turbolenza e di squilibrio.

Rashid 2014:  le persone sono spaventate dal colore – dio solo sa perché (lui non lo era).

Mendini 1984: Se io fossi un designer molto giovane avrei la certezza che oggi questo mestiere è molto difficile, perché gli animi delle persone sono chiusi a difendere una involuzione vischiosa che sembra accettare, ma che di fatto esclude, la diversità e la novità.

Rashid 2014: alcune delle mie creazioni migliori siano nate dalle collaborazioni con le start-up e le piccole imprese. Il designer può dare quella linfa vitale che permette ad un piccolo brand di diventare globale.

Mendini 1984: Cercherei comunque la forza (la generosità) di espormi al disagio dell’ignoto, alla ricerca (finalmente, dopo tanti anni di dominio prevalente della cultura logica) di generi di design più completi, stratificati e magici, di DESIGN EMOZIONALI.

Rashid 2014: Amo lavorare con il vetro. Lo ritengo un liquido solido, potente ma poetico, energetico ma allo stesso tempo statico, sensuale e versatile.  La luce del giorno è essenziale per un’armonia positiva e per il benessere. Cerco sempre dei modi per massimizzare la luce e i colori chiari di ciò che ci circonda, e il vetro è una risorsa frequente.

Mendini 1984: Il gruppo di Alchimia svolge il suo atto di introversione: il progetto agisce ambiguamente in uno stato di spreco, di indifferenza disciplinare, dimensionale e concettuale

Rashid 2014: Amo il ruolo che la luce gioca con il vetro, lo spessore può far cambiare i colori, e cambia il modo in cui i vetri traslucidi, opachi e trasparenti reagiscono uno con l’altro al fine di creare nuove combinazioni.

Mendini 1984: E la fantasia individuale, base della sopravvivenza del mondo, può percorrere in tutti i sensi ogni cultura e luogo, purché operi in maniera innamorata.

Rashid 2014: Faccio uso di forme organiche combinate. Definisco il mio lavoro come un minimalismo sensuale, o sensualismo, poiché non é finalizzato solo decorazione ma ha un qualcosa di più umano, una connessione più sensuale con noi.

Mendini 1984: Vorrei vivere l’esperienza del ritrovamento di un uomo ancestrale e amoroso (…) oggetti non violenti, calmi, poetici, delicati (…) un DESIGN ERRANTE per una comunicazione culturale fra gli uomini,

Rashid 2014: Io vorrei che le cose che ci circondano siano intelligenti, belle, colorate, poetiche, utili, sexy, illuminanti, ispiratrici, contemporanee, energetiche, fuggenti, e potenti e che l’ispirazione arrivi da questo mondo in cui viviamo

(imago: disegno Mendini + Rashid by Karim Rashid;

collezione purho:  http://www.purho.it/ su fb: https://www.facebook.com/purhodesign)

 

Bosatelli sei vecchio, rilassati

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la-gewiss-compie-40-anni-e-il-cav-domenico-bo-L-BhGUdq

il simpatico domenico bosatelli, boss della gewis (da lui fondata 1970 a Cenate, elettrotecnica, domotica, energia, 300ml fatturato 25 di utile 1600 dipendenti)

giunto alla terza età si mette a fare il boss dei giovani e dei laureati,

adesso è alla guida della Luberg, l’associaz. laureati bergamaschi,

e a proposito del 40% di disoccupazione giovanile su l’eco di oggi dichiara “i giovani dovranno avere particolare intraprendenza e saper inventare nuovi lavori e nuove attività d’impresa, come ha fatto la generazione degli anni Cinquanta”.

Allora, finiamola con questa bufala dei giovani e dell’intraprendenza.

L’intraprendenza del dopoguerra fino al boom economico era data dall’aver appena abbattuto un regime, avere un mondo da ricostruire e soprattutto finanziamenti a pioggia (piano marshall) e condizioni favorevoli a qualsiasi attività d’impresa (legislazione, costo lavoro, mercati, crescita),

ai tuoi tempi, bosatelli, qualsiasi attività uno aprisse praticamente funzionava da sola;

la vostra generazione è ingrassata grazie al traino dell’economia americana, mentre la nostra è affamata dalla micidiale sinergia del debito stato italiano- comunità europea;

oggi qualsiasi attività utile redditizia intelligente che in condizioni di libero mercato funzionerebbe è destinata a fallire appena apri la partita iva e cominci a entrare nei meccanismi assurdi dello stato italiano.

Ai tuoi tempi bastava prendere una roba qualsiasi, e dire “la faccio in plastica” e facevi i miliardi, anche tu hai fatto così,

oggi noi dobbiamo fare il contrario, tutto la roba di plastica tornare a farla in materiali naturali, in un paese in recessione, in mano a un esercito di vecchi di plastica.

Non parlare di intraprendenza, per favore, perchè l’intraprendenza che dovremmo avere è quella di abbattere il regime-gerontocrati,

l’intraprendenza oggi è totalmente soffocata da uno stato kafkiano, tu apri una partita iva o un negozio o una piccola società e in due anni puoi dare una tesi su kafka,

le uniche intraprendenze percorribili sono intraprendenze classiche (sposare ereditieri/e) o marginali non proprio esaltanti: ad esempio l’intraprendenza statalista-extracomunitari, specializzata in concorsi, rimborsi, sovvenzioni, etc; o l’intraprendenza notturna settore spettacolo-sesso-droghe-nuovi business,

per il resto: qualsiasi nuovo lavoro o idea d’impresa in Italia di fatto è illegale. Pensaci. Si comincia dal food, che dovrebbe essere il nostro futuro. Anche tenere tre galline è vietato, ormai. Anche produrre cibo per cani è vietato, se non sei una multinazionale.

Bisogna ribaltare il discorso, bosatelli, di fatto l’unico mercato rimasto ai giovani senza lavoro, sono proprio i molti vecchi ricchi o agiati come te, capisci,

la tua generazione è il nostro futuro, il nostro lavoro,

dobbiamo creare servizi per vecchi, case di riposo, case di vacanza senile, auto di riposo, vacanze di riposo, case editrici di riposo,

lascia perdere gli incubatori per le nuove imprese e i club per laureati,

se vuoi renderti utile aiutaci a fare il contrario, un hospice per vecchie imprese morenti, una casa di riposo per aziende decotte, un lebbrosario per enti inutili,

tutte le associazioni d’impresa, tutti i sindacati, mandiamoli al lazzaretto,

al km rosso, una grande casa di riposo per imprenditori,

insomma bosatelli, e mi rivolgo a tutta la categoria plutocrati: siete vecchi!

Avete conciato questo paese da far schifo, continuate a farlo, tenete strettissime tra le mani tutte le leve del potere, e avete pure il coraggio di dirci che non siamo intraprendenti!

Rilassatevi, mettetevi a scrivere libri, o anche blog a tempo perso come facciamo noi

(e lasciate in pace gli avvocati, che hanno già abbastanza lavoro inutile).