questa l’ho già Letta

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letta_letta

Non è vero che Gianni ed Enrico Letta sono zio e nipote: sono gemelli.

Gianni è fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore e piace persino a sinistra.

Enrico è fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore e piace persino a destra.

Gianni è stato il Richelieu di Berlusconi, Enrico è stato il Mazarino di Prodi.

Gianni ha ceduto a Enrico l’incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel 2006,quando si passò dal terzo governo Berlusconi al secondo governo Prodi,

e da Enrico la riprese nel 2008, quando si passò dal secondo governo Prodi al quarto governo Berlusconi,

una vita trascorsa a baciarsi sulle guance a ogni passaggio di consegne,

tre lustri abbondanti nel corso dei quali l’Italia ha sempre avuto un Letta al governo.

Così  scriveva su La Stampa, in una data profetica, 11-11-11, Mattia Feltri, a sua volta figlio d’arte (Vittorio Feltri).

Politici, giornalisti, avvocati, dentisti, fotografi, attori, calciatori: ormai in Italia le libere professioni, o anche solo un impiego, sono esclusivamente per figli o nipoti d’arte,

cosicché per equilibrare il sistema la libera professione per eccellenza, la disoccupazione,

è riservata quasi esclusivamente ai figli dei lavoratori,

e sempre più figli di papà trovano ingiusto non poter realizzare la propria profonda aspirazione a non lavorare.

grazie Napolitano, ma di cosa?

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giorgio-napolitano-fascista

Il giovane Napolitano rieletto Presidente della Repubblica Italiana.

Il paese più vecchio del mondo avrà il primo presidente ultranovantenne.

Ecco che le dichiarazioni a caldo dei “giovani”:

Monti: grazie a Napolitano.

Bersani: grazie a Napolitano.

Maroni: grazie a Napolitano.

Berlusconi: grazie a Napolitano.

Baracck Obama: grazie a Napolitano.

Obama possiamo capirlo. Pochi giorni fa,  l’ultimo atto del  Napolitano I era stato concedere la grazia agli agenti della CIA (quei bravi ragazzi che si erano rapiti dall’Italia un prigioniero politico come succede nei telefilm, in barba alla Repubblica Italiana stato sovrano!).

Ma gli altri, per cosa ringraziano Napolitano?

i vandali e la badante

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vescovado

storia vera

per tutto l’inverno la badante accudisce a domicilio un anziano con difficoltà di deambulazione che vive in una villetta in collina

all’interno di un complesso abbastanza esclusivo, che un tempo era un castello e residenza del vescovo, da cui il nome (Vescovado di Gavarno),

Un bel giorno di primavera finalmente la badante e l’anziano, disponendo di un’autovettura gentilmente prestata, per la prima volta escono insieme,

vanno in paese a fare la spesa, e fanno un giro nei dintorni, per osservare i cambiamenti degli ultimi anni.

Quando rientrano nel residence anche loro si sentono dei privilegiati, potendo accedere nella via privata protetta dall’impianto di video-sorveglianza

e parcheggiare nello “spazio riservato ai proprietari”.

Dopo aver accudito l’anziano, la badante come ogni sera gli augura la buonanotte e ritorna a casa,

ma questa volta non in autobus o in scooter, questa volta ha l’auto!

La piccola utilitaria che le hanno prestato fa un po’ compassione in mezzo alle grandi berline lussuose dei “proprietari”.

Quando posa la mano sulla maniglia della portiera, le resta in mano,

e con grande spavento si accorge che la maniglia è stata divelta, spezzata, e poi messa al contrario nella sua sede.

Immediatamente ha la certezza che questo atto di vandalismo sia stato commesso ai suoi danni non da un teppista, non da un balordo, non da un ladro

(impossibile che simili soggetti giungano sino al castello, tanto è “protetto”)

ma da uno dei “proprietari” benestanti, da un vicino di casa dell’anziano che lei accudisce, proprio per dissuaderla dal parcheggiare in quegli spazi.

Al centro del cortile dell’ex-castello, alza gli occhi alle finestre dei piani superiori,

e percepisce nettamente la presenza di chi ha fatto questo dietro le persiane chiuse.

Dunque, pensa la badante, i primi vandali sono loro, quelli che mettono le telecamere per difendersi dai vandali,

e non vogliono vedere in giro l’utilitaria della badante

perchè hanno il terrore di diventare vecchi, vecchi e poveri,

dal momento che hanno venduto l’anima al diavolo per la macchina nuova,

proprio come dice la pubblicità Mercedes,

e tutto il coraggio, il talento e il carisma che gli è rimasto

è quello di fare dispetti odiosi al proprio vicino.

Vorrebbe urlare, andare a suonare tutti i campanelli,

a chiedere chi ha fatto questo, perché, chi ha visto,

andare a sporgere denuncia, chiedere i filmati delle telecamere,

ma naturalmente non fa niente di tutto questo,

entra in macchina dall’altra parte, si mette alla guida,

se ne torna a casa e pensa che in fondo c’è una cosa bella

che si può fare in macchina da soli: piangere.

memorie di un vetero patentato 2

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14

> piccoli gruppi vegetali, un albero, tre arbusti, due cespugli,

che resistono per anni, tra un parcheggio e uno svincolo,

come stati cuscinetto, nella terra di nessuno, e tirano avanti insieme,

come una famiglia, anno dopo anno, inverno dopo inverno,

cercando di non farsi notare, e sono pazienti, tolleranti con uomini e animali,

che a volte li usano come privè, e anche come latrina pubblica;

> certe donne che vedi per strada le quali senza nemmeno guardarti

ti bucano carrozzeria e cristalli camminando come donne di strada,

che sono capitate sulla tua strada, per essere tue nella prossima mezz’ora,

che comincia subito, con un’inchiodata, e una sorta di panico,

perché non sei stato tu a schiacciare il pedale, non è stato il tuo piede:

è stata la bestia che hai dentro, emersa prepotente dal subconscio;

> a un certo punto, con gli anni Novanta, le auto più brutte, più povere, banali,

sono diventate desiderabili, sobrie, eleganti, quasi obbligatorie, silenziose, leggere,

discrete, come il mondo intorno, le nuove architetture, l’alluminio,

e l’amico alfista fedele ti sfotte facile, l’unica materia grigia che hai, ti dice,

è l’audi; oppure: hai l’audi, ma non sei audace;

> giornate impaginate dalla teoria infinita del guard rail autostradale,

cinquecento, ottocento chilometri in un giorno, andata e ritorno,

la Cisa, l’autostrada dei fiori, la Serravalle Scrivia, il Brennero,

i Pavesini, gli oleandri, i lavori in corso a Barberino del Mugello,

giornate intere al volante, ascoltando la radio, facendo telefonate,

fino al punto d’arrivo, il tuo unico contatto umano diretto,

il grugnito-assenso del casellante, quando non c’era il telepass;

> certe strade che hai vissuto a fondo, consumando l’asfalto,

andavi da lei a ogni ora, conoscevi ogni tombino,

era un itinerario viscerale e teologico, dell’amante verso l’amata,

e improvissamente un giorno ti è diventato estraneo, nemico,

un percorso che poi hai evitato per anni, fino a non riconoscerlo più;

> notti d’insonnia, girandoti nel letto, guardando la luna,

e poi tirar giù i piedi dal letto, infilare una tuta, le scarpe, un giaccone,

e infilarsi nella propria macchina come un ladro che la stia rubando,

e lasciar guidare il pilota automatico che hai incorporato,

e un’unica frase in testa, una risposta: “non riuscivo  dormire”;

> tramonto grigio d’autunno con pioggerellina sporca e fondo viscido,

e i pensieri che slittano in direzioni impreviste, il k-way, l’inps, le Metzeler,

tua suocera in ospedale, le nuove Volvo con i lavatergifari elettrici,

e alla fine quando parcheggi un flashback del Liceo, la vecchia prof di lettere,

che aprendo il registro ripeteva: si sta come d’inverno sugli alberi, le foglie;

fine seconda puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanzahttp://www.virgiliofidanza.it/

Unicredit? Da non credere!

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bbarzOK

sono nata nel 43 a Stalingrado durante un bombardamento,

per questo mia madre mi ha chiamato Borislava, coraggiosa in guerra,

ieri sera ho festeggiato 70 anni bevendo vodka e facendo la guerra col signor Antonio,

che ha solo due anni più di me, ma ha avuto un leggero ictus vent’anni fa, quando era impiegato statale, e da allora ha la pensione di invalido del lavoro,

io invece ho studiato balletto, architettura, tedesco e francese,

poi sono stata nove anni in un campo di lavoro in Siberia,

poi sono stata riabilitata,

poi è crollato il comunismo,

adesso parlo anche italiano, e preparo da mangiare al signor Antonio, gli faccio il bucato, le pulizie, la spesa, gli cambio il pannolone e guadagno 5€ all’ora;

la discussione è cominciata dopo cena, quando il signor Antonio ha detto:

“dai Borislava, è il tuo compleanno oggi, prendi la vodka, siediti qui a vedere la partita con me”

a me il calcio non interessa, ma la vita è una sorpresa, e come dice il signor Antonio quando guarda la televisione dieci ore al giorno: “c’è sempre da imparare”;

così ho imparato che per vedere la partita Bayern Monaco – Juventus su Sky basta schiacciare OK sul telecomando, e si pagano 10€ a Sky, proprio come 2 ore di badante;

“però tu cucini meglio” ha scherzato il signor Antonio;

durante la partita, prima e dopo, ho cercato di spiegare al signor Antonio che la musichetta della Champions League che tanto gli piace è musica sacra barocca, scritta da Johan Sebastian Bach, ma lui non mi ha creduta, pensava a uno scherzo,

“è il ritornello pubblicitario della birra Heineken” diceva lui

“è Johan Sebastian Bach, il kantor” dicevo io

“no, hai ragione, non è la Heineken, è la pubblicità della Ford”  diceva lui

Poi nell’intervallo hanno trasmesso un nuovo spot della Gazprom.

“è il nuovo main sponsor della Champions League” ha spiegato il signor Antonio,

e io “ma questo è Tchaikovsky, concerto per piano n.1!”

allora il signor Antonio è scoppiato a ridere, sicuro scherzavo,

e mi sono messa a ridere anche io, ma poi mi sono arrabbiata: “Come potete essere così ignoranti, voi uomini italiani? Vi possono dire che gli asini volano, e siccome l’hanno detto in televisione voi pensate che è vero!”

“Dai Borislava, secondo te milioni di spettatori sono tutti degli idioti, degli ignoranti da prendere in giro come vogliono?”

“Precisamente!” “E come fai a dimostrarlo, Borislava? Dai!”

In quel momento, in televisione, finita la sigla della Champions League, è apparso il nome Unicredit

e nelle nostre orecchie sono risuonate le seguenti parole: “La partita Bayern Monaco – Juventus è stata offerta da Unicredit”.

“Ha sentito signor Antonio cosa hanno appena detto?”

Sono saltata in piedi!

“Paghi 10€ presi dalla pensione per vedere la partita, e alla fine della partita sei già convinto che l’abbia offerta Unicredit! Da non credere! Se riescono a fare questo, possono fare tutto!”

“Hai ragione” mi ha detto abbattuto.

Ma io ero più abbattuta di lui, e pensavo: sono io l’ìdiota, è Borislava la più ignorante di tutti,

perchè è Borislava che paga la Champions League, con il suo lavoro, e senza nemmeno saperlo.

tu perché sei qui?

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beckett1a

All’inizio mi vergognavo, alla mia età, ottanta anni passati,

poi ho capito, qui siamo tutti sulla stessa barca,

dopo un po’ nasce la confidenza, come in galera, tu perché sei qui, cosa hai fatto: solo che a rinchiuderti non sono stati i carabinieri, ma i tuoi figli,

io sono qui perché ho un cancro all’anima, rispondo, quando qualcuno vuole saperlo, questo cancro l’ho preso in banca, e mi ha portato qui,

prima vivevo nel mio appartamento, col mio cane, la mia pensione, le mie abitudini,

poi un bel giorno in posta mi hanno spiegato che non potevano più darmi la pensione in contanti, una disposizione anti-mafia e anti-evasione,

al momento m’ero inalberato, cosa c’entra la mia pensione con la mafia o l’evasione, non ho fatto che lavorare tutta la vita, sono stato a Roma una volta per l’anno santo,

ad ogni modo mi hanno detto che non c’era da discutere, e anche io, che mi ero sempre vantato di non avere mai dato una lira alle banche, per avere la pensione dovevo fare il conto in banca,

è gratuito, assolutamente gratuito, me l’hanno messo per scritto, e va bene, e così all’alba degli ottantanni ho avuto il mio primo conto in banca,

adesso che hai il conto, mi ha spiegato mia figlia, puoi pagare le bollette direttamente, senza bisogno di andare a far le code in posta (l’unica cosa che avevo da fare),

poi hanno cominciato ad arrivarmi telefonate promozionali specializzate per noi anziani, con offerte vantaggiose per comprare prodotti di qualità, consegnati direttamente a casa, addebitati direttamente in banca, e ci sono cascato, pensavo di fare dei regali per Natale ai figli, e invece le ho sentite su da tutti,

e alla fine mia figlia mi ha convinto a togliere il telefono fisso – le uniche telefonate che ricevevo erano proprio quelle delle offerte telefoniche –  e al suo posto mi ha dato un cellulare,

e poi è successo quello che è successo:

metà Febbraio, freddo porco, e non va il riscaldamento: alla fine viene fuori che mi hanno chiuso il metano perchè non avevo pagato l’ultima bolletta,

ma non le pagava automaticamente la banca? Sì, mi hanno detto, ma se sul conto non ci sono i soldi, la banca non la paga, e la società del gas ti sospende il gas, questo è successo,

la banca non mi ha mica avvisato che non mi pagava la bolletta, e la società del gas dice che mi hanno mandato la raccomandata, ma quale raccomandata, sono mesi che non ne ricevo!

Salta fuori che le raccomandate io non le ho nemmeno viste, ero abituato ai cartoncini gialli, invece adesso le Poste ti mettono degli scontrini arrotolati che a me sembravano quei bigliettini che ti mettono nella posta per vendere qualcosa, e li buttavo via,

così ho chiamato il numero verde, che è gratuito per i telefoni fissi, ma io il fisso non l’avevo più, e dopo venti minuti ad ascoltare il centralino avevo finito il credito del cellulare,

allora ho attraversato la città, sono andato là allo sportello, e ho fatto due ore di coda per venire a sapere che per riattaccare il gas oltre a tutto l’arretrato c’era anche la spesa di riattivazione, per un importo pari a €36,50 + iva incrementabili a €160,00 + iva a seconda del distributore locale, c’è scritto proprio così nero su bianco, una roba che mi ha mandato in bestia,

come se al mercato sulle patate uno mettesse un cartello con scritto 2€ al chilo incrementabili a 18€ a seconda di chi vi serve: uno così al mercato ortofrutticolo si prenderebbe delle belle pedate nel sedere, e di santa ragione,

così me ne sono rimasto tre giorni chiuso in casa a mangiarmi il fegato e crepare di freddo senza potermi scaldare, lavare, niente, come un profugo, una roba che dal dopoguerra non mi era mai successa,

finché è arrivata mia figlia e in un attimo tutta la mia rabbia verso la banca e la società del gas e i loro meccanismi automatici si è girata in una umiliazione, una vergogna, alla fine ero io che non ero più in grado di badare a me stesso,

non si fidava più a lasciarmi da solo, non sei in grado di gestirti mi ha detto,

ecco cosa ci faccio in casa di riposo,

per tutta la vita ho tenuto la paga sotto il materasso e mai una bolletta in ritardo,

in sei mesi col conto in banca sono rimasto senza riscaldamento e sono finito all’ospizio, bell’affare

a mio nonno, a mio padre, una cosa del genere non sarebbe mai successa,

una volta non c’era neanche la pensione, ma il vecio restava in casa, moriva a casa sua,

e anche se ormai tutte le faccende erano in mano ai figli, gli restava se non la sostanza almeno una forma d’autorità,

a una certa età, quando non sei più tanto fisicamente in forma, sono importanti anche le forme, il rispetto che hanno per te,

una volta i figli si sarebbero vergognati a mandare il vecio al ricovero, adesso invece sono io che mi vergogno di essere qui, mentre loro si vantano con gli amici, mio padre è a villa xxxxxx, sai quanto pago di retta?

Ma è seguito benissimo!

Uno schifo, se ci penso.

Impossibile fumarsi una sigaretta, bersi un grappino, vogliono metterci nella bara con gli esami del sangue perfetti, pronti per fare le Olimpiadi della quarta età.

Vogliono farci crepare di cancro all’anima, che dagli esami non risulta, ma è il più incurabile che ci sia.

 

memorie di un vetero patentato

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20

andare in giro in macchina, per qualsiasi ragione,

è sempre stata la mia unica vera attività intellettuale,

un’attività ormai trentennale, d’abitacolo mobile,

sia per lavoro, di fretta, col nervoso e lo stress,

ma anche senza motivo, a zonzo, in total relax;

dopo una vita al volante, a un certo punto metti la retro, ti guardi indietro,

di tutte le cose viste, percepite, assorbite, ti resta una maglia fitta,

un archivio senza ordine, stratificato, confuso, indistinto,

soltanto rimettendoti lì, al posto di guida, per strada,

nel flusso del traffico, riprende vita il flusso di coscienza;

sempre in cerca di qualche linfa, come uno zombie,

fuori ci sarà qualcosa, fuori di me, al di là del parabrezza,

ci sarà un mondo, una strada, un incrocio, esseri umani e architetture,

tracce di vita e cose gettate fuori, che restano come punteggiatura

sui margini non transitabili della carreggiata;

il mio primo parabrezza, rimediato da una lambretta, nel garage del nonno,

montato sul manubrio della saltafoss con elogiabile spirito d’iniziativa puberale:

mi aggiravo nei dintorni dei capannoni pedalando furiosamente,

a volte si trovavano dei giornalini porno gettati da qualche camionista;

primo giorno con la patente, prima  guida da solo, primo incidente,

il curvone delle piscine preso allegro, decisamente allegro, senza paura,

per un attimo ti senti il campione del mondo Rally, su Lancia Stratos Alitalia,

l’istante dopo il mondo ti va a rovescio, l’orizzonte un’elica di biplano,

e sei un neopatentato ribaltato nella 127 color becco d’oca di tua madre;

il deflettore, insuperato capolavoro di tecnologia funzionale,

ti permetteva di fumare tenendo la sigaretta praticamente fuori dall’abitacolo,

sviluppavi un’abilità digitale particolare, con la sigaretta già accesa

dovevi premere un pulsante a molla, ruotare un maniglino e spingere convinto

per vincere la forza sigillante delle guarnizioni di una volta, e tutto in sincronia,

e con armonia, tenendo la sigaretta in asse, per non scrollare la cenere;

in certe strade secondarie, comunali, intercomunali, sconnesse,

ti ritrovi dietro a un trattore del dopoguerra, arancione, a 15km/h,

guidato  da un vecchiaccio in giacca di fustagno, pacificamente tetro,

il grosso sedere saldato al sedile spartano, in lamiera forata, arrugginito,

archetipo dello sgabello che hai in studio, scintillante di design;

anonimi fossati, che ad Aprile vedevi lussureggiare gravidi d’acqua,

e di notte, d’inverno, con la nebbia e il ghiaccio, temevi t’inghiottissero

a un certo punto, nella stagione dei lavori in corso, spariscono,

diventano marciapiedi, o posti auto riservati per i clienti dei negozi

che nel frattempo sono spuntati, dove prima spuntava il granoturco;

quei viadotti tutto cemento, sembravano usciti da un disegno di Sant’Elia,

li aggredivi a tavoletta al volante dell’Alfetta 1800, con la super 98 ottani,

e con gioia demente buttavi il pacchetto di Marlboro fuori dal finestrino:

adesso guidi una Lexus ibrida, elettrica e metano, e non superi i 50,

c’è l’autovelox,  e nemmeno la cicca delle superlight butteresti fuori,

e il viadotto è penosamente vecchio, triste, fragile, sembra più piccolo,

con le nervature d’acciaio arrugginite sotto l’intonaco sgretolato; (continua)

fine prima puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanzahttp://www.virgiliofidanza.it/

 

dulcis in fundo

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Evaristo_Baschenis_-_Boy_with_a_Basket_of_Bread_-_WGA1404

Mi hanno chiesto se navigo in internet, ho risposto che non so nemmeno nuotare,

e nel sorriso mi è venuta in mente la mia terra, i sapori, gli odori, le case di Nicosia, la mia città, nel cuore della Sicilia,

molti anni fa, decenni, lustri, ero solo un ragazzo, sedici anni, e partivo, emigravo, e del mondo non sapevo niente, se non che dovevo guadagnarmi il pane

il primo lavoro vero a Bergamo, in città alta,  aiuto cuoco da Mimmo, locale storico, famoso,

Mimmo andava a Genova a scovare i grandi chef giramondo che lavoravano sui grandi transatlantici di lusso

cuochi, e uomini, navigati, che portavano sui fornelli la cultura internazionale della cucina:

le prime parole che mi rivolse il grande Natalino La Fata, già capopartita di bordo di prima classe, furono:  ricordati, Filippo, in cucina la base di tutto, il segreto, sono le salse, i sughi.

Lo ricorderò sempre quella volta che, nel pieno del lavoro,  depose il mestolo, si tolse il cappello da cuoco, e tenendolo tra le mani, si presentò in sala, al tavolo dello sconosciuto commensale  che aveva ordinato un certo piatto, e disse: mi dispiace, non glielo posso fare.

La mia storia d’amore con la cucina è iniziata allora, una passione che poi ho sempre coltivato, sperimentato, frequentando ristoranti, e incontrando cuochi,

mentre i casi, il destino, mi portavano a nuove attività:

sono passato dalle cucine dei ristoranti degli anni Sessanta, all’apertura delle prime pizzerie negli anni Settanta e delle primissime paninoteche, negli anni Ottanta, per trovare infine quasi per caso il mio destino:

avevo una paninoteca, chiudevamo tardissimo, e al termine della notte, per piacere personale, o per nostalgia, preparavo i cannoli siciliani,

e quei cannoli, poche ore dopo, la mattina, scatenavano l’invidia delle pasticcerie, che mi facevano i dispetti, mi mandavano le ispezioni,

allora per ripicca mi sono messo davvero,in modo industriale, a fare pasticceria,  ho ceduto la paninoteca, e iniziato una nuova vita,

e sempre usando quel nome, Florian, in omaggio  a Venezia, all’arte di godere del prelibato.

Oggi distribuisco ogni mattina dodicimila croissant, ognuna di queste dodicimila brioche è importante, ogni mattina, ogni giorno, ogni persona è importante, ogni cosa che facciamo è importante

ma ogni notte, da sempre, coltivo la mia vecchia idea, la mia vera passione, l’arte della cucina notturna, in solitaria, rifacendo certi classici, il risotto alla milanese, l’ossobuco, la casseula,

anche un piatto di spaghetti al pomodoro può essere grande cucina, se fatto a regola, con la miglior pasta, il miglior pomodoro, la qualità nasce dagli ingredienti, e poi la tecnica, la curiosità, i segreti, come la grande musica classica, certi piatti della tradizione rinascono con nuove esecuzioni,

cucina classica e ricercata, cioè di ricerca e di classe, partendo dai frutti della terra a metri zero, dall’orto, dal’erbario, dal frutteto, dalle vigne, dalla selvaggina, il sapore, la semplicità, la scoperta di un olio, la prova di una rarità di norcineria, la delizia improvvisa di certe prelibatezze

e poi naturalmente la cantina, i veri vini, e infine (dulcis in fundo) i più preziosi gioielli di pasticceria,

è proprio quando tutto decade, quando un’epoca finisce, che si possono godere i risultati più alti di una civiltà, e tramandarli a futura memoria.

Filippo Trovato, intervistato da Leone Belotti per BaDante,

 immagine: Ragazzo con cesto di pane, Evaristo Baschenis, 1660, collez. privata

Bel Tramì

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Beltramì

Beltrami street, via Beltrami, con incipit in Marianna/colle aperto

e finish in S.Vigilio/Castagneta, nei primi anni Ottanta,

per noi liceali Bg-Bene aveva un senso ben preciso.

Parlo di due tempi Zundapp, Fantic, Ancillotti e Gori,

niente casco, niente specchietti, niente etilometri.

Beltrami Race era la nostra pista motard:

start da Wall Street (viale delle mura) derapage left a colle aperto,

ergo gas aperto con impennata plus  ante Marianna (niente rotonde),

inde su a cannone direzione cannoniera di San Marco, et coetera.

Poi una sera venne un tamarro da Mornico col Malanca,

quelle batoste che ti fanno crescere, stop alla Beltrami Race.

Pochi anni dopo, nel Minnesota, un’affascinante donna manager mi dice

Really you came from Bergamo, Italy, Beltrami?”.

Non può credere che io non sappia minimamente chi sia il Beltrami di via Beltrami.

The young Beltrami  dopo una giovinezza intensa dentro e fuori galera

in questa città e in questa Italia – oppressa dalla tirannia, oscurata dall’ignoranza

si innamora di una super nobile, Giulia qualcosa 3 cognomi, lo arrestano,

rischia di essere impiccato, fugge (Beltrami escaping) si fa Parigi, Londra, America.

A 42 anni prende una canoa e da solo risale 4000 km di Missisipi-Missouri

fino a scoprire le sorgenti (Beltrami explorer) scrive un dizionario sioux-inglese,

chiama Lago Giulia le sorgenti  (Il lago ha circa tre miglia di circonferenza: è fatto a forma di cuore e parla all’anima”)

ma soprattutto detta al ghost writer Fenimoor Cooper quella che sarà l’Eneide degli Americani, “L’ultimo dei mohicani” (Beltrami writer).

I monti e la contea del Minnesota prendono il suo nome (Beltrami Mountains, Beltrami County).

Lo stesso anno, in California, un ingegnere informatico indiano mi dice:

con canoa e ombrello, come software di navigazione e di protezione,

Beltrami è l’icona degli internauti.

Questo in America, quando da noi ancora il web non esisteva.

Poi una sera a Bergamo, bevendo martini con Gigi Lubrina,

giocando a titoli inediti, gli propongo un “Bel-Tramì”, eroe romantico, opera lirica tragica:

scopre nuovi mondi e antiche civiltà, ma nella sua città natale nessuno sa chi sia,

nemmeno i ragazzini che abitano nella via a lui intitolata. Una via del resto secondaria.

Tre martini dopo, il mio compagno di bevute dice:

E come vedresti un romanzo di fantascienza dal titolo

“2019: Bergamo capitale della cultura”!?

                 (testo prodotto da BaDante care&writing agency © 2013 

                  per CTRLmagazine; cover story n39 – marzo 2013,

                  in seguito alla richiesta di cui nel post: >

io sui totem ci piscio

imago: ritratto di Costantino Beltrami by Enrico Scuri, Accademia Carrara)

 

BaDante Kawasaki

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Kawasaki500

Negli anni Sessanta questa era una città importante per gli appassionati di moto.

Il fuoristrada è nato in quegli anni, nelle nostre valli, la Sei Giorni, la Cavalcata, su per mulattiere e ghiaioni, erano gare massacranti, si sudava come bestie.

Io correvo con la Gilera 175, ma si teneva duro, perché l’ultimo giorno c’era l’ora di velocità, a Monza, in pista, con le gomme tassellate, ma non come quelle ecologiche di oggi, proprio i tasselli da trattore, era tutta una derapata, facevamo già supermotard, anche se lo chiamavamo in un altro modo.

Poi sono arrivate le prime giapponesi, le prime quattro cilindri, le Honda Four, e le due tempi, le Suzuki, le Kawasaki.

Ricordo come fosse ieri, sarà stato il ’68 o il ’69, c’era la contestazione, il femminismo, non si capiva più niente, ma era primavera e io aspettavo una telefonata da Genova, dal porto, stavo tutto il giorno al bar Orobico, in viale Roma, ad aspettare questa telefonata.

Finché una sera che era già tardi, mezzanotte passata, il barista mi chiama, ti cercano al  telefono, non ci credo, è arrivata, parto subito con un amico, nell’autostrada deserta la Giulia canta che è un piacere.

Siamo a Genova prima delle tre, arriviamo a un certo molo, lei è lì, ancora imballata, la tiriamo fuori dalla cassa, montiamo il manubrio, due regolazioni, un po’ di benzina travasata dalla Giulia, e via, la prima Kasasaki 500 arrivata in Italia era già in strada, ed era la mia…

Poi bisognava fare 600 chilometri di rodaggio, bisognava educarla, addomesticarla, formargli il carattere, renderla competitiva…

Eravamo un bel gruppo, tutti con la passione, una passione totale, passavamo le giornate ad allenarci per la Sei Giorni con le moto da regolarità, anche d’inverno, mettevamo le ruote chiodate, una roba da brividi…

Poi la sera, tanto per fare qualcosa di diverso, con le moto da strada, si stava al bar fino all’ora di chiusura, poi, quando non c’era più in giro nessuno, in piena notte, su e giù dieci volte Bergamo-San Pellegrino senza soste, erano queste le gare che facevamo.

Chi perdeva, pagava il cognac, ma quello buono.

Ricordo quella sera del ’69, eravamo al solito bar in viale Roma, avevamo appena visto in televisione l’astronauta Armstrong mettere piede sulla Luna, avevamo le moto lì fuori già calde, e uno ha detto: vediamo chi arriva alla Marianna su una ruota.

Il punto critico era Porta Sant’Agostino, allora uno si è piazzato a bloccare il traffico, mentre noi si passava, lì ricordo che qualcuno è caduto, io con il Kawa mai, stava su che era un piacere, la guidavi in aria col manubrio come una vela, i piedi sulle pedane dietro, quelle del apsseggero, aveva un equilibrio fenomenale su una ruota, su due no, era un po’ ballerina, ma su una ruota diventava stabile…

La domenica si partiva in gruppo, appuntamento al bar, si prendeva l’autostrada, al bivio della Serravalle ci aspettava la banda Galtrucco, i nostri rivali milanesi, appena ci vedevano, o ci sentivano arrivare, gas, e si gareggiava come matti, come incoscienti, sdraiati su quei missili senza freni passavamo sotto le portiere delle Seicento, vedevi al volante impiegati allibiti coi bambini incollati al finestrino a guardarti, si fermavano a chiamare la polizia, ma la polizia cosa poteva fare, mica riusciva a restarci dietro…

Ricordo una domenica, ci si era detti “oggi non andiamo troppo lontano”, va bene, andiamo a mangiare a Sarnico, si parte a manetta…

un quarto d’ora e siamo arrivati, è presto per andare a mangiare, dai che arriviamo giù a Canneto, che andiamo a mangiare le rane…

poi dopo mangiato un caffè, non sono neanche le due, dai che andiamo a bere un Fernet alla Futa, altro pieno, altra gara…

e arrivati alla Futa vediamo che è la giornata è proprio bella e ancora giovane, e allora uno dice: io vado a bere l’aperitivo al belvedere Michelangelo, e qualcuno chiedeva dove fosse, a Firenze, bestia, ed eri già in sella, perché chi arrivava prima cominiciava a bere,  e gli ultimi pagavano…

Alla fine della stagione avevi fatto venti o trentamila chilometri, bisognava cambiare moto.

Oggi vedo moto con duecento cavalli, gli fanno fare si è no duemila chilometri in tutta la stagione, la usano per andare da un bar all’altro,  questo lo facevamo anche noi, solo che magari i bar dove andavamo noi erano a Viareggio, a Venezia, a Sanremo o a Cervinia…

(testimonianza raccolta nel 2006 al bar Le Iris-Bergamo dal BaDante Leone Belotti)