grande talento, ma inaffidabile

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certo, è stata una disgrazia, ma di quelle che vengono da lontano,

una storia come tante, l’amico che ti tradisce alle spalle, e fa finta di niente;

tu invece lo sai, ma anche tu tieni la parte, e fai finta di niente,

aspetti il momento buono per fargliela pagare con gli interessi;

intanto vi vedete sempre meno, è normale, passano gli anni, i decenni…

sono passati più di cinquant’anni…

l’amicizia tra me e Gianni è iniziata che avevamo vent’anni, era il 59, governo Fanfani,

sempre insieme, grandi progetti, grandi idee, pochi soldi, tanto entusiasmo,

abbiamo fatto cose bellissime, lavori incredibili, io introverso, incapace di comunicare, lavoravo di notte, facevo capolavori;

lui brillante, affabile, conquistava chiunque,

siamo andati avanti così per dieci anni, tra alti e bassi, i lavori li firmavamo insieme, ma era lui quello che si era fatto conoscere, io stavo dietro le quinte, anonimo, e mi andava bene così;

poi è arrivata l’occasione giusta, è arrivata a me, gennaio 1970,

e io invece di dire subito sì, ne ho parlato a Gianni,

lui ha detto dobbiamo muoverci nel modo giusto, prendi tempo,

poi, come capita con le cose importanti, è successo tutto dal mattino alla sera,

senza che nemmeno me ne rendessi conto, il mio amico Gianni, il mio migliore amico, forse l’unico che ho mai avuto, grazie al mio lavoro, alle mie idee, mi ha rubato il posto, si è preso la scrivania, il lavoro, lo stipendio, il successo, i progetti, il futuro, si è preso tutto,

allora non me ne ero reso conto con chiarezza, l’amarezza ti confonde le idee, ti rende incerto,

lui mi ripeteva la sua versione, non era come sembrava, l’aveva fatto per me, per noi, mi diceva di avere pazienza, qualche mese e mi avrebbe fatto entrare,

passa un mese, ne passano due, passa un anno,

una sera mi chiama, io penso: finalmente!

ti devo chiedere un favore, mi dice,  lui a me, un’emergenza, e così, al telefono, mi chiede di coprirlo: ha detto a sua moglie che si vedeva con me, sua moglie mi conosceva, una bellissima ragazza, giovanissima,  della mia parola si fidava, dovevo dirle una balla, se mi avesse chiamato, e poi avvertirlo subito…

aveva un’altra, da non credere, non gliene era mai importato niente delle donne, non era mai stato portato per gli affari cuore, ma adesso che era diventato qualcuno, ecco che aveva sentito il bisogno di farsi l’amante, e io, l’amico tradito, senza lavoro, senza soldi, senza donna, dovevo essergli complice,

non ci ho pensato molto, gli ho risposto subito: ascolta Gianni, io non ho più niente, solo il rispetto di me stesso, io le menzogne non le dico nemmeno per me, perchè dovrei dirle per te?

D’accordo, come non detto, mi fa, pensavo fossimo amici, mi ha detto, lui a me.

In quello stesso periodo, vengo a sapere da terzi che si è liberato un posto, proprio la mia mansione, allora lo chiamo, non mi risponde, lo richiamo, niente, alla fine mi richiama lui, mi dice di stare tranquillo, tu fai la domanda, mi dice, al resto penso io, ma non continuare a chiamarmi, poi pensano male, sai, le segretarie parlano, ti chiamo io appena so qualcosa,

era già diventato vicedirettore, stava bruciando le tappe,

qualche giorno dopo mi chiama, mi dice: non c’è stato niente da fare, il direttore si è imposto, ha imposto il suo cavallo, uno dieci anni più giovane di te, capace di far niente, senza curriculum, senza titoli, e adesso dovrò pure fargli da balia... era lui la vittima, alla fine,

ma io il direttore lo conoscevo per altre ragioni, un vero signorsì di pochissime parole, arrogante, ma con una sua etica, di quelli che le carognate te le fanno da nemico, alla luce del sole, non di nascosto, come gli amici,

così prendo coraggio, sapevo le abitudini, il punt e mes a mezzogiorno, lo avvicino al bar, gli dico dottore, ci contavo su quel posto, Gianni me l’aveva promesso…

non c’era nemmeno bisogno parlasse, l’espressione diceva già tutto: tanto per mettere le cose in chiaro, mi dice scostandosi, non sono io che mi sono opposto alla tua assunzione, ma qualcuno che ti conosce bene, e ti ha definito “di grande talento, ma inaffidabile”.

Inaffidabile? A me, che sono la fedeltà in persona? Poi ho capito. Mi faceva pagare il mio rifiuto a fargli da ruffiano.

Per qualche tempo ho pensato di aspettarlo per strada con una spranga, frantumargli un ginocchio. Oppure: andare a trovare sua moglie, Mara, e spiegarle alcune cose. Invece niente.

Passano gli anni, uno dietro l’altro, dieci anni.

La domenica lo vedevo arrivare a messa con la macchina nuova, il cappello Borsalino, le scarpe lucidate, la Mara in pelliccia di visone.

Soldi ne aveva fatti a palate, si era comprato la macchina, la casa, la seconda macchina, la seconda casa.

Io mi ero venduto tutto, anche l’orologio di mio padre, per tirare avanti. Passavo le giornate in ciabatte e canottiera, sulle panchine. Ero diventato un fanigott. Ma non ci pensavo più a fargliela pagare. La rabbia era passata.

Mi faceva pena, a dire il vero, con quel suo sorriso da curato di campagna. Lasciami stare, Gianni, gli dicevo quando incrociava il mio sguardo, e lui da bravo passava oltre.

Ma un’estate, era Ferragosto, 1982, l’estate in cui l’Italia vinse i Mondiali, lo incontro in piazza, aveva la moglie al mare, mi invita a mangiare con lui in trattoria, è molto agitato…

io ti ho sempre invidiato, mi confessa, fin da quando eravamo ragazzi,

io avrei sempre voluto avere il tuo talento, mi dice, la tua grazia,

usa proprio queste parole, sono parole che mi colpiscono,

ma cosa stai dicendo, gli dico, col mio talento faccio una vita da miserabile! 

però sei libero! mi rinfaccia con foga, troppa foga, e lì ho capito che mentiva, faceva scena, e mi ha fatto schifo, era inutile stare lì ad ascoltarlo, ho gettato il tovagliolo sul tavolo,

sì, sono libero di sputarti in faccia, gli ho detto, e nell’uscire mi sono pure fermato a pagare il conto, tutto quello che avevo in tasca per tirare avanti una settimana,

Passano altri dieci anni. Crolla il muro di Berlino, cambia il mondo.

Ormai ero diventato un poveraccio, mi ero messo a bere, stavo con la Mery, una donna di strada, e non mi vergognavo, lei mi amava, ero la sua ragione di vita, un artista, io la stimavo, aveva una sua etica, un’onestà totale, profonda, una specie di forza virile, mai un lamento, una lacrima, niente, si teneva tutto dentro, peggio di me, anche la malattia,

sto mica tanto bene, mi dice una sera, domani vado a farmi vedere,

una volta entrata in ospedale, se ne è andata in pochi giorni,

l’avevo seppellita da una settimana, quando mi arriva un biglietto di Gianni, ma non di condoglianze, no…

mi scriveva testuale che “aveva nostalgia di quando eravamo ragazzi” e “andavamo a donne insieme”. Eravamo andati una volta in una casa chiusa, perchè poi le avrebbero chiuse, era in discussione la legge Merlin, ma non ci avevano nemmeno fatti entrare, non avevamo i ventun anni,

non eravamo mai andati a donne insieme, tu non sai nemmeno cosa siano le donne, avrei voluto dirgli, col suo biglietto tra le mani,

davvero una lettera stupida, con un finale orripilante, dove mi chiedeva per scritto di “trovargli una donna, ma verace, formosa, anche non giovanissima, al giusto prezzo”,

forse non sapeva del mio lutto? o faceva finta? uno dei suoi giochetti? cosa significava lasciarmi tra le mani quella lettera di suo pugno, avrei potuto rovinarlo mostrandola alla moglie, e anche alla ditta, perchè la ditta a queste cose ci teneva, lavoravano per la chiesa, non si poteva sgarrare sulla moralità dei dirigenti…

non riuscivo a capire, provavo solo pena, schifo, tristezza,

arriviamo all’epilogo, al processo, all’assoluzione,

alla fine le cose si sono risolte, ci ha pensato la Provvidenza,

quando l’ho visto sulla sedia a rotelle, al parco, l’ho osservato bene prima di avvicinarmi, era anche molto ingrassato, lei faceva fatica a spingerlo,

ciao Mara, le ho detto, forse non ti ricordi di me, lascia che ti dia una mano,

lei mi ha sorriso con una tristezza senza fine, non ci eravamo quasi mai parlati, ma eravamo come fratelli,

e come mi fissava lui, invece, un vegetale con gli occhi terrorizzati, riusciva a muovere solo la mano destra, emetteva dei grugniti incomprensibili, che forse incutevano pietà a chi non lo conosceva, e invece a me, e a sua moglie, facevano schifo,

è lucido, lucidissimo, capisce tutto, mi ha detto lei, e mi ha raccontato cosa era successo, davanti a lui,

capivo che aveva addosso una rabbia cattiva, quell’uomo l’aveva  sempre tradita, e alla fine gli era preso un colpo, un ictus, mentre era “con un ragazzo di strada”,

le parole le uscivano affilate, controllate, avrebbe voluto urlare, ma si limitò a ripetermelo a bassa voce: “non una donna, un ragazzo!”

poi gelida mi ha detto: “potrebbe andare avanti così anche vent’anni”.

io le ho risposto: sei ancora una bella donna, Mara, quanti anni hai? sessanta? ne dimostri dieci di meno, non è giusto quel che ti è capitato, non lo meriti.

Tutti questi discorsi davanti a lui, era la nostra vendetta.

Abbiamo cominciato a vederci tutti i giorni, al parco, non c’è stato bisogno di spiegarle per filo e per segno, aveva capito anche lei cosa avevo intenzione di fare.

Così quel giorno mi ha affidato Gianni, e il furgone attrezzato per portarlo in giro, prenditi una giornata di riposo, Mara, ci penso io oggi al nostro Gianni, lo porto al lago, dove andavamo sempre da ragazzi,

in quel punto il lago è profondo 300 metri, ci facevamo il bagno d’estate fantasticando sui galeoni spagnoli affondati negli abissi del tempo,

l’ho tirato giù dal furgone, l’ho legato bene alla pesante carrozzina, in giro non c’era anima viva, è proprio triste il lago d’inverno, stava già venendo buio,

alla fine avevi ragione Gianni, sono proprio inaffidabile

non c’è stato nemmeno bisogno di spingerlo, una volta sistemata la carrozzina sullo scivolo del vecchio imbarcadero, è bastato togliere il freno,

e non ho dovuto nemmeno mentire troppo bene, raccontando della disgrazia:

tutti, dal maresciallo, al pubblico ministero, al giudice hanno capito cos’era successo,  il vecchio amico impietosito gli aveva dato una mano pietosa a suicidarsi, ridotto in quello stato…

(By Leone Belotti, Luglio 2013, BaDante Care&Writing Agency; imago: Gianni Cavina e Alessandro Haber ripresi da Pupi Avati)

questa l’ho già Letta

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Non è vero che Gianni ed Enrico Letta sono zio e nipote: sono gemelli.

Gianni è fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore e piace persino a sinistra.

Enrico è fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore e piace persino a destra.

Gianni è stato il Richelieu di Berlusconi, Enrico è stato il Mazarino di Prodi.

Gianni ha ceduto a Enrico l’incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel 2006,quando si passò dal terzo governo Berlusconi al secondo governo Prodi,

e da Enrico la riprese nel 2008, quando si passò dal secondo governo Prodi al quarto governo Berlusconi,

una vita trascorsa a baciarsi sulle guance a ogni passaggio di consegne,

tre lustri abbondanti nel corso dei quali l’Italia ha sempre avuto un Letta al governo.

Così  scriveva su La Stampa, in una data profetica, 11-11-11, Mattia Feltri, a sua volta figlio d’arte (Vittorio Feltri).

Politici, giornalisti, avvocati, dentisti, fotografi, attori, calciatori: ormai in Italia le libere professioni, o anche solo un impiego, sono esclusivamente per figli o nipoti d’arte,

cosicché per equilibrare il sistema la libera professione per eccellenza, la disoccupazione,

è riservata quasi esclusivamente ai figli dei lavoratori,

e sempre più figli di papà trovano ingiusto non poter realizzare la propria profonda aspirazione a non lavorare.

grazie Napolitano, ma di cosa?

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giorgio-napolitano-fascista

Il giovane Napolitano rieletto Presidente della Repubblica Italiana.

Il paese più vecchio del mondo avrà il primo presidente ultranovantenne.

Ecco che le dichiarazioni a caldo dei “giovani”:

Monti: grazie a Napolitano.

Bersani: grazie a Napolitano.

Maroni: grazie a Napolitano.

Berlusconi: grazie a Napolitano.

Baracck Obama: grazie a Napolitano.

Obama possiamo capirlo. Pochi giorni fa,  l’ultimo atto del  Napolitano I era stato concedere la grazia agli agenti della CIA (quei bravi ragazzi che si erano rapiti dall’Italia un prigioniero politico come succede nei telefilm, in barba alla Repubblica Italiana stato sovrano!).

Ma gli altri, per cosa ringraziano Napolitano?

Unicredit? Da non credere!

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bbarzOK

sono nata nel 43 a Stalingrado durante un bombardamento,

per questo mia madre mi ha chiamato Borislava, coraggiosa in guerra,

ieri sera ho festeggiato 70 anni bevendo vodka e facendo la guerra col signor Antonio,

che ha solo due anni più di me, ma ha avuto un leggero ictus vent’anni fa, quando era impiegato statale, e da allora ha la pensione di invalido del lavoro,

io invece ho studiato balletto, architettura, tedesco e francese,

poi sono stata nove anni in un campo di lavoro in Siberia,

poi sono stata riabilitata,

poi è crollato il comunismo,

adesso parlo anche italiano, e preparo da mangiare al signor Antonio, gli faccio il bucato, le pulizie, la spesa, gli cambio il pannolone e guadagno 5€ all’ora;

la discussione è cominciata dopo cena, quando il signor Antonio ha detto:

“dai Borislava, è il tuo compleanno oggi, prendi la vodka, siediti qui a vedere la partita con me”

a me il calcio non interessa, ma la vita è una sorpresa, e come dice il signor Antonio quando guarda la televisione dieci ore al giorno: “c’è sempre da imparare”;

così ho imparato che per vedere la partita Bayern Monaco – Juventus su Sky basta schiacciare OK sul telecomando, e si pagano 10€ a Sky, proprio come 2 ore di badante;

“però tu cucini meglio” ha scherzato il signor Antonio;

durante la partita, prima e dopo, ho cercato di spiegare al signor Antonio che la musichetta della Champions League che tanto gli piace è musica sacra barocca, scritta da Johan Sebastian Bach, ma lui non mi ha creduta, pensava a uno scherzo,

“è il ritornello pubblicitario della birra Heineken” diceva lui

“è Johan Sebastian Bach, il kantor” dicevo io

“no, hai ragione, non è la Heineken, è la pubblicità della Ford”  diceva lui

Poi nell’intervallo hanno trasmesso un nuovo spot della Gazprom.

“è il nuovo main sponsor della Champions League” ha spiegato il signor Antonio,

e io “ma questo è Tchaikovsky, concerto per piano n.1!”

allora il signor Antonio è scoppiato a ridere, sicuro scherzavo,

e mi sono messa a ridere anche io, ma poi mi sono arrabbiata: “Come potete essere così ignoranti, voi uomini italiani? Vi possono dire che gli asini volano, e siccome l’hanno detto in televisione voi pensate che è vero!”

“Dai Borislava, secondo te milioni di spettatori sono tutti degli idioti, degli ignoranti da prendere in giro come vogliono?”

“Precisamente!” “E come fai a dimostrarlo, Borislava? Dai!”

In quel momento, in televisione, finita la sigla della Champions League, è apparso il nome Unicredit

e nelle nostre orecchie sono risuonate le seguenti parole: “La partita Bayern Monaco – Juventus è stata offerta da Unicredit”.

“Ha sentito signor Antonio cosa hanno appena detto?”

Sono saltata in piedi!

“Paghi 10€ presi dalla pensione per vedere la partita, e alla fine della partita sei già convinto che l’abbia offerta Unicredit! Da non credere! Se riescono a fare questo, possono fare tutto!”

“Hai ragione” mi ha detto abbattuto.

Ma io ero più abbattuta di lui, e pensavo: sono io l’ìdiota, è Borislava la più ignorante di tutti,

perchè è Borislava che paga la Champions League, con il suo lavoro, e senza nemmeno saperlo.

tu perché sei qui?

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beckett1a

All’inizio mi vergognavo, alla mia età, ottanta anni passati,

poi ho capito, qui siamo tutti sulla stessa barca,

dopo un po’ nasce la confidenza, come in galera, tu perché sei qui, cosa hai fatto: solo che a rinchiuderti non sono stati i carabinieri, ma i tuoi figli,

io sono qui perché ho un cancro all’anima, rispondo, quando qualcuno vuole saperlo, questo cancro l’ho preso in banca, e mi ha portato qui,

prima vivevo nel mio appartamento, col mio cane, la mia pensione, le mie abitudini,

poi un bel giorno in posta mi hanno spiegato che non potevano più darmi la pensione in contanti, una disposizione anti-mafia e anti-evasione,

al momento m’ero inalberato, cosa c’entra la mia pensione con la mafia o l’evasione, non ho fatto che lavorare tutta la vita, sono stato a Roma una volta per l’anno santo,

ad ogni modo mi hanno detto che non c’era da discutere, e anche io, che mi ero sempre vantato di non avere mai dato una lira alle banche, per avere la pensione dovevo fare il conto in banca,

è gratuito, assolutamente gratuito, me l’hanno messo per scritto, e va bene, e così all’alba degli ottantanni ho avuto il mio primo conto in banca,

adesso che hai il conto, mi ha spiegato mia figlia, puoi pagare le bollette direttamente, senza bisogno di andare a far le code in posta (l’unica cosa che avevo da fare),

poi hanno cominciato ad arrivarmi telefonate promozionali specializzate per noi anziani, con offerte vantaggiose per comprare prodotti di qualità, consegnati direttamente a casa, addebitati direttamente in banca, e ci sono cascato, pensavo di fare dei regali per Natale ai figli, e invece le ho sentite su da tutti,

e alla fine mia figlia mi ha convinto a togliere il telefono fisso – le uniche telefonate che ricevevo erano proprio quelle delle offerte telefoniche –  e al suo posto mi ha dato un cellulare,

e poi è successo quello che è successo:

metà Febbraio, freddo porco, e non va il riscaldamento: alla fine viene fuori che mi hanno chiuso il metano perchè non avevo pagato l’ultima bolletta,

ma non le pagava automaticamente la banca? Sì, mi hanno detto, ma se sul conto non ci sono i soldi, la banca non la paga, e la società del gas ti sospende il gas, questo è successo,

la banca non mi ha mica avvisato che non mi pagava la bolletta, e la società del gas dice che mi hanno mandato la raccomandata, ma quale raccomandata, sono mesi che non ne ricevo!

Salta fuori che le raccomandate io non le ho nemmeno viste, ero abituato ai cartoncini gialli, invece adesso le Poste ti mettono degli scontrini arrotolati che a me sembravano quei bigliettini che ti mettono nella posta per vendere qualcosa, e li buttavo via,

così ho chiamato il numero verde, che è gratuito per i telefoni fissi, ma io il fisso non l’avevo più, e dopo venti minuti ad ascoltare il centralino avevo finito il credito del cellulare,

allora ho attraversato la città, sono andato là allo sportello, e ho fatto due ore di coda per venire a sapere che per riattaccare il gas oltre a tutto l’arretrato c’era anche la spesa di riattivazione, per un importo pari a €36,50 + iva incrementabili a €160,00 + iva a seconda del distributore locale, c’è scritto proprio così nero su bianco, una roba che mi ha mandato in bestia,

come se al mercato sulle patate uno mettesse un cartello con scritto 2€ al chilo incrementabili a 18€ a seconda di chi vi serve: uno così al mercato ortofrutticolo si prenderebbe delle belle pedate nel sedere, e di santa ragione,

così me ne sono rimasto tre giorni chiuso in casa a mangiarmi il fegato e crepare di freddo senza potermi scaldare, lavare, niente, come un profugo, una roba che dal dopoguerra non mi era mai successa,

finché è arrivata mia figlia e in un attimo tutta la mia rabbia verso la banca e la società del gas e i loro meccanismi automatici si è girata in una umiliazione, una vergogna, alla fine ero io che non ero più in grado di badare a me stesso,

non si fidava più a lasciarmi da solo, non sei in grado di gestirti mi ha detto,

ecco cosa ci faccio in casa di riposo,

per tutta la vita ho tenuto la paga sotto il materasso e mai una bolletta in ritardo,

in sei mesi col conto in banca sono rimasto senza riscaldamento e sono finito all’ospizio, bell’affare

a mio nonno, a mio padre, una cosa del genere non sarebbe mai successa,

una volta non c’era neanche la pensione, ma il vecio restava in casa, moriva a casa sua,

e anche se ormai tutte le faccende erano in mano ai figli, gli restava se non la sostanza almeno una forma d’autorità,

a una certa età, quando non sei più tanto fisicamente in forma, sono importanti anche le forme, il rispetto che hanno per te,

una volta i figli si sarebbero vergognati a mandare il vecio al ricovero, adesso invece sono io che mi vergogno di essere qui, mentre loro si vantano con gli amici, mio padre è a villa xxxxxx, sai quanto pago di retta?

Ma è seguito benissimo!

Uno schifo, se ci penso.

Impossibile fumarsi una sigaretta, bersi un grappino, vogliono metterci nella bara con gli esami del sangue perfetti, pronti per fare le Olimpiadi della quarta età.

Vogliono farci crepare di cancro all’anima, che dagli esami non risulta, ma è il più incurabile che ci sia.

 

memorie di un vetero patentato

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20

andare in giro in macchina, per qualsiasi ragione,

è sempre stata la mia unica vera attività intellettuale,

un’attività ormai trentennale, d’abitacolo mobile,

sia per lavoro, di fretta, col nervoso e lo stress,

ma anche senza motivo, a zonzo, in total relax;

dopo una vita al volante, a un certo punto metti la retro, ti guardi indietro,

di tutte le cose viste, percepite, assorbite, ti resta una maglia fitta,

un archivio senza ordine, stratificato, confuso, indistinto,

soltanto rimettendoti lì, al posto di guida, per strada,

nel flusso del traffico, riprende vita il flusso di coscienza;

sempre in cerca di qualche linfa, come uno zombie,

fuori ci sarà qualcosa, fuori di me, al di là del parabrezza,

ci sarà un mondo, una strada, un incrocio, esseri umani e architetture,

tracce di vita e cose gettate fuori, che restano come punteggiatura

sui margini non transitabili della carreggiata;

il mio primo parabrezza, rimediato da una lambretta, nel garage del nonno,

montato sul manubrio della saltafoss con elogiabile spirito d’iniziativa puberale:

mi aggiravo nei dintorni dei capannoni pedalando furiosamente,

a volte si trovavano dei giornalini porno gettati da qualche camionista;

primo giorno con la patente, prima  guida da solo, primo incidente,

il curvone delle piscine preso allegro, decisamente allegro, senza paura,

per un attimo ti senti il campione del mondo Rally, su Lancia Stratos Alitalia,

l’istante dopo il mondo ti va a rovescio, l’orizzonte un’elica di biplano,

e sei un neopatentato ribaltato nella 127 color becco d’oca di tua madre;

il deflettore, insuperato capolavoro di tecnologia funzionale,

ti permetteva di fumare tenendo la sigaretta praticamente fuori dall’abitacolo,

sviluppavi un’abilità digitale particolare, con la sigaretta già accesa

dovevi premere un pulsante a molla, ruotare un maniglino e spingere convinto

per vincere la forza sigillante delle guarnizioni di una volta, e tutto in sincronia,

e con armonia, tenendo la sigaretta in asse, per non scrollare la cenere;

in certe strade secondarie, comunali, intercomunali, sconnesse,

ti ritrovi dietro a un trattore del dopoguerra, arancione, a 15km/h,

guidato  da un vecchiaccio in giacca di fustagno, pacificamente tetro,

il grosso sedere saldato al sedile spartano, in lamiera forata, arrugginito,

archetipo dello sgabello che hai in studio, scintillante di design;

anonimi fossati, che ad Aprile vedevi lussureggiare gravidi d’acqua,

e di notte, d’inverno, con la nebbia e il ghiaccio, temevi t’inghiottissero

a un certo punto, nella stagione dei lavori in corso, spariscono,

diventano marciapiedi, o posti auto riservati per i clienti dei negozi

che nel frattempo sono spuntati, dove prima spuntava il granoturco;

quei viadotti tutto cemento, sembravano usciti da un disegno di Sant’Elia,

li aggredivi a tavoletta al volante dell’Alfetta 1800, con la super 98 ottani,

e con gioia demente buttavi il pacchetto di Marlboro fuori dal finestrino:

adesso guidi una Lexus ibrida, elettrica e metano, e non superi i 50,

c’è l’autovelox,  e nemmeno la cicca delle superlight butteresti fuori,

e il viadotto è penosamente vecchio, triste, fragile, sembra più piccolo,

con le nervature d’acciaio arrugginite sotto l’intonaco sgretolato; (continua)

fine prima puntata, tratto da “Andare in giro in macchina è sempre stata la mia unica attività intellettuale” by Leone Belotti per BaDante/CalepioPress 2013; immagine by Virgilio Fidanzahttp://www.virgiliofidanza.it/

 

BaDante Kawasaki

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Kawasaki500

Negli anni Sessanta questa era una città importante per gli appassionati di moto.

Il fuoristrada è nato in quegli anni, nelle nostre valli, la Sei Giorni, la Cavalcata, su per mulattiere e ghiaioni, erano gare massacranti, si sudava come bestie.

Io correvo con la Gilera 175, ma si teneva duro, perché l’ultimo giorno c’era l’ora di velocità, a Monza, in pista, con le gomme tassellate, ma non come quelle ecologiche di oggi, proprio i tasselli da trattore, era tutta una derapata, facevamo già supermotard, anche se lo chiamavamo in un altro modo.

Poi sono arrivate le prime giapponesi, le prime quattro cilindri, le Honda Four, e le due tempi, le Suzuki, le Kawasaki.

Ricordo come fosse ieri, sarà stato il ’68 o il ’69, c’era la contestazione, il femminismo, non si capiva più niente, ma era primavera e io aspettavo una telefonata da Genova, dal porto, stavo tutto il giorno al bar Orobico, in viale Roma, ad aspettare questa telefonata.

Finché una sera che era già tardi, mezzanotte passata, il barista mi chiama, ti cercano al  telefono, non ci credo, è arrivata, parto subito con un amico, nell’autostrada deserta la Giulia canta che è un piacere.

Siamo a Genova prima delle tre, arriviamo a un certo molo, lei è lì, ancora imballata, la tiriamo fuori dalla cassa, montiamo il manubrio, due regolazioni, un po’ di benzina travasata dalla Giulia, e via, la prima Kasasaki 500 arrivata in Italia era già in strada, ed era la mia…

Poi bisognava fare 600 chilometri di rodaggio, bisognava educarla, addomesticarla, formargli il carattere, renderla competitiva…

Eravamo un bel gruppo, tutti con la passione, una passione totale, passavamo le giornate ad allenarci per la Sei Giorni con le moto da regolarità, anche d’inverno, mettevamo le ruote chiodate, una roba da brividi…

Poi la sera, tanto per fare qualcosa di diverso, con le moto da strada, si stava al bar fino all’ora di chiusura, poi, quando non c’era più in giro nessuno, in piena notte, su e giù dieci volte Bergamo-San Pellegrino senza soste, erano queste le gare che facevamo.

Chi perdeva, pagava il cognac, ma quello buono.

Ricordo quella sera del ’69, eravamo al solito bar in viale Roma, avevamo appena visto in televisione l’astronauta Armstrong mettere piede sulla Luna, avevamo le moto lì fuori già calde, e uno ha detto: vediamo chi arriva alla Marianna su una ruota.

Il punto critico era Porta Sant’Agostino, allora uno si è piazzato a bloccare il traffico, mentre noi si passava, lì ricordo che qualcuno è caduto, io con il Kawa mai, stava su che era un piacere, la guidavi in aria col manubrio come una vela, i piedi sulle pedane dietro, quelle del apsseggero, aveva un equilibrio fenomenale su una ruota, su due no, era un po’ ballerina, ma su una ruota diventava stabile…

La domenica si partiva in gruppo, appuntamento al bar, si prendeva l’autostrada, al bivio della Serravalle ci aspettava la banda Galtrucco, i nostri rivali milanesi, appena ci vedevano, o ci sentivano arrivare, gas, e si gareggiava come matti, come incoscienti, sdraiati su quei missili senza freni passavamo sotto le portiere delle Seicento, vedevi al volante impiegati allibiti coi bambini incollati al finestrino a guardarti, si fermavano a chiamare la polizia, ma la polizia cosa poteva fare, mica riusciva a restarci dietro…

Ricordo una domenica, ci si era detti “oggi non andiamo troppo lontano”, va bene, andiamo a mangiare a Sarnico, si parte a manetta…

un quarto d’ora e siamo arrivati, è presto per andare a mangiare, dai che arriviamo giù a Canneto, che andiamo a mangiare le rane…

poi dopo mangiato un caffè, non sono neanche le due, dai che andiamo a bere un Fernet alla Futa, altro pieno, altra gara…

e arrivati alla Futa vediamo che è la giornata è proprio bella e ancora giovane, e allora uno dice: io vado a bere l’aperitivo al belvedere Michelangelo, e qualcuno chiedeva dove fosse, a Firenze, bestia, ed eri già in sella, perché chi arrivava prima cominiciava a bere,  e gli ultimi pagavano…

Alla fine della stagione avevi fatto venti o trentamila chilometri, bisognava cambiare moto.

Oggi vedo moto con duecento cavalli, gli fanno fare si è no duemila chilometri in tutta la stagione, la usano per andare da un bar all’altro,  questo lo facevamo anche noi, solo che magari i bar dove andavamo noi erano a Viareggio, a Venezia, a Sanremo o a Cervinia…

(testimonianza raccolta nel 2006 al bar Le Iris-Bergamo dal BaDante Leone Belotti)

BaDante e CacciaGuida

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DanteCacciaguida

La prima regola del BaDante viene dal canto XVI del Paradiso, dove Dante incontra Cacciaguida, suo avo e concittadino, e così gli si rivolge: “ditemi dunque, cara mia primizia, quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che vi segnaro in vostra puerizia”.

Cacciaguida, commosso, rievoca la Firenze dei suoi tempi, parla dei suoi genitori, dei suoi amici d’infanzia. E’ la chiave per iniziare a rivolgere la propria vita come un romanzo.

Come Dante con Cacciaguida, il BaDante, questa nuova  e antica figura professionale, il badante-biografo, arriva alla scrittura in seguito a una pratica e un metodo socio-assistenziale, fatto di ascolto, memoria, ricerca.

Il BaDante naturale, diffuso, dovrebbe essere il nipote, o il pronipote con aspirazioni letterarie.

Gli strumenti e le tecniche per aiutare i vecchi ricordi ad emergere in forma di racconto sono semplici e preziosi:

le vecchie foto di famiglia, i giornali dell’epoca in oggetto, le vecchie cartoline dei luoghi, e naturalmente, ove possibile, le passeggiate spazio-temporali.

Le passeggiate nel tempo consistono nel recarsi in un luogo importante per la persona che racconta, un luogo oggi probabilmente irriconoscibile, e oltrepassare insieme le barriere materiali.

All’inizio pare impossibile, la persona dice “non ricordo niente, è tutto cambiato”.

Poi si apre uno spiraglio. Lì c’era un calzolaio. Qui c’era il pavè.

Poco per volta, girandoci intorno, si rintraccia la topografia, lo spirito, la luce, i rumori, gli odori di quel giorno di molti anni fa, quando la vicenda che oggi vogliamo raccontare ebbe luogo.

Chiaramente, bisogna dare tempo al tempo. Con la pazienza, si fanno miracoli.

Nell’immagine, Cacciaguida mostra a Dante e Beatrice la Firenze dei suoi tempi, miniatura, Padova, Biblioteca del Seminario.

 

 

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La letteratura giovanile invecchia come la moda. La letteratura senile è il vero terreno di formazione per un aspirante scrittore. Fatti raccontare dal nonno la sua vita, trascrivi le sue parole, fanne un romanzo.  Ogni uomo, come ha vissuto una vita, ha una storia da raccontare.   Impara a raccontare le storie degli altri, le storie vere, se vuoi fare lo scrittore. Ecco l’idea. La scrittura come valore socio-assistenziale.

BaDante è nuova figura professionale, il badante-biografo, dotato di competenze assistenziali e spirito dantesco, in grado di accudire nel presente,  accompagnare nel passato e proiettare nel futuro l’utente-autore che abbia deciso di rivolgere la propria vita come un romanzo.

BaDante offre servizi integrati assistenziali-editoriali per la produzione, la pubblicazione e la diffusione della letteratura senile attraverso:

1) la tutela e la valorizzazione, nella cura della persona (igiene, vestizione, cucina, passeggiate) del dialogo, del racconto e della memoria orale.

2) la ricerca, il recupero e la digitalizzazione dei reperti autografi e cartacei (epistolari, documenti, cartoline, fotografie).

3) l’elaborazione assistita (registrazione, trascrizione, editing) di memorie personali, professionali, familiari e opere di fantasia.

4) la pubblicazione on-line e in volume di raccolte e opere prime.

Il/la baDante-ghost writer, e il senex autore, diventano co-autori, insieme salvano e trasmettono il più importante patrimonio: la memoria. Anche e soprattutto se questa memoria è danneggiata. Monet ha dipinto le Ninfee da cieco . Beethoven ha composto la Nona da sordo. E il nonno può benissimo scrivere la storia di famiglia con l’Alzheimer.

O qualcuno ha  paura di quello che potrebbe scrivere?

Pare che la prima preoccupazione riguardo agli anziani sia quella di imbottirli di medicinali per avere esami del sangue perfetti, non bere, non fumare, non mangiare, non prendere freddo, non strapazzarsi, non agitarsi, quasi che un integralismo salutista sia la risposta alle prospettive della vecchiaia, di modo che siano pronti a partecipare alle Olimpiadi, al momento della dipartita.  Dare un senso al proprio tempo, lasciare un segno del proprio passaggio, una storia per i nipoti, questo mi pare meglio di giornate scandite dagli antibiotici, che, come dice la parola, sono contro la vita, a differenza della biografia, che la trasmette ai posteri.