a Natale siamo tutti Quarenghi

play this post

Quarenghi_by_Alexander_Orlovsky_(1777-1832)

Si spengono le insegne, si svuotano le strade. Una badante russa e un muratore marocchino aspettano l’ultimo bus. Un vecchio infagottato si avvicina lentamente, con incedere elegante.

Dice: sono partito da ragazzo, con il sogno di costruire una città!

Ha l’aspetto trasognato, ed un naso gigantesco.  I due immigrati gli sorridono, e il clochard accenna un inchino alla badante: eccomi in capo al mondo, al cospetto dell’imperatrice di tutte le Russie! Vi riconosco, Maestà!

Commossa, la badante sfila una baguette dalla borsa della spesa.

Mon ami! Caterina la Grande mi porge le chiavi di San Pietroburgo per farne una grande capitale! Cento cantieri, le migliori maestranze… l’accademia delle scienze, l’istituto Smorny, la borsa, il maneggio, il teatro dell’Ermitage… la città è un’immensa pianta… e gli anni, i decenni  volano come foglie…

Poi il vecchio si interrompe, ha gli occhi lucidi. Guarda i due immigrati e legge nei loro pensieri. C’era ancora il comunismo, lei era una bellissima ragazza, laureata in chimica col massimo dei voti, piena di speranze,… adesso è solo una badante, e appena licenziata!

Il marocchino sa costruire da solo un edificio finito… ma ha un contratto da generico, a 3/4 della paga, e le dimissioni già firmate,  alla ditta basta mettere una data, una pratica diffusa.

Venite con me, avanti amici, seguitemi, nessuno vi aspetta, l’ho capito, sentite come  finisce la mia storia…

Pochi passi, e s’infila nella porticina di servizio di un palazzo nobiliare.  Sale uno scalone, scosta un tendone, si ritrovano in un salone.

Sedete, accomodatevi, ora chiamo la servitù… questa era la mia casa, qui ho spedito i miei libri, i disegni… sognavo il ritorno, lontano dalla patria mi ero ricoperto di gloria… indicibile fu la mia delusione, i miei familiari avevano disperso e venduto le mie cose, il municipio sequestrato i miei beni…

Sul tavolo compaiono piatti, bicchieri, pane e vino nel cartone. Rientrato in Russia… la sofferenza più grande… la morte di mia moglie… anche le feste, quando sei solo… una vita da emigrante… e quando mi intitolano una via, diventa la via degli immigrati…

La badante e il marocchino, barcollando dolcemente, accennano un valzer… c’è la luna sui tetti, e un gatto innamorato, che randagio se ne va, con i ricordi del passato, e un sogno mai sognato… Buon nuite, bonne nuite…

Silenziosamenteil vecchio e se ne va, dimenticando il suo cappotto… ma all’alba, da quel magico giaciglio, viene il vagito di un neonato… il marocchino ringrazia Allah, la badante gli dice di accendere il fuoco, è nata una famiglia…

si sveglia a poco a poco tutta quanta la città, arrivano i vicini, la notizia corre di bocca in bocca: miracolo di Natale in via Quarenghi! 

E si sentono tutti un po’ Quarenghi, vicini e lontani, e portano doni a quel bambino, venuto al mondo da clandestino, in una casa sfitta.

(by Leone Belotti, editoriale per CTRL magazine Dicembre 2013; thanks to Domenico Modugno; imago: caricatura di Giacomo Quarenghi by Alexander Orlovsky, 1802)

 

 

 

 

 

c’era una volta uno scrittore

play this post

HicSuntLeones3

c’era una volta uno scrittore arrogante e saputello,

già da bambino lo chiamavano “garzantina”

alle medie mandava corrispondenze ai giornali,

a 20 anni pubblicava racconti sperimentali con editori prestigiosi ed era invitato a Milano Poesia

a 30 scriveva slogan pubblicità moda e design e romanzi rosa comprati da milioni di lettrici

tutto andava a meraviglia nella vita dello scrittore di successo

quando ecco che  una sera d’estate una maga a Brera gli predice il futuro: “diventerai un vero scrittore, ma prima dovrai passare le pene dell’inferno, perdere ogni bene e ogni affetto, e ridurti a chiedere l’elemosina agli estranei”.

Lo scrittore sorrise, dimenticò e continuò la sua “bella vita”:

passava le serate nei locali alla moda offrendo da bere a chiunque,

non c’era vizio che non coltivasse, andava a letto all’alba e si alzava al tramonto,

scriveva di malavoglia, facendosi pagare sempre più, ormai lavorare gli pesava,

passava sempre più tempo immerso in altri mondi, leggendo centinaia, migliaia di libri, di ogni tipo,

il virus della lettura stava spegnendo l’impulso alla scrittura,

donne importanti, uomini facoltosi si affezionavano a lui, gli dicevano sei come un figlio per me,

allora lo scrittore sentiva il dovere morale di tradirli, ferirli e denigrarli per farsi ripudiare, e tornare sulla strada,

a 40 anni si era ormai venduto e bevuto tutto, macchine moto, casa, soldi, committenti, contratti,

e una bella mattina si svegliò rinato, gli era tornata la voglia di scrivere, e il fuoco inestinguibile della bellezza e della verità,

per due anni si richiuse a scrivere il grande romanzo consumando le sue ultime risorse materiali:

quando il romanzo fu finito, lo scrittore era ridotto come un barbone, e il romanzo non gli piaceva,

ma come Ulisse, dopo un lungo viaggio, con tutti i suoi anni sulle spalle,

ora capiva davvero i suoi autori più amati,

e cosa intendevano dire Dante, Bianciardi e Landolfi (libertà, che è sì cara… a chi per lei fa vita agra… e gli tocca andar per minestra),

e andando per minestra, una sera in un bar incontrò un vecchio mago che gli rivelò i segreti dell’arte di scrivere e gli affidò l’alto compito:

“non pensare più a clienti, committenti, enti pubblici, fama, gloria, soldi,

lavora per l’umanità, per il cliente uomo, interpreta l’autentico spirito del reporter e dello scrittore, raccogli e racconta storie,

occupati degli ultimi, di chi non ha uffici stampa né sponsor, metti nelle tue storie le idee dei giovani, i ricordi dei vecchi, i guaiti dei cani,

e non disdegnare l’attualità, spiega la realtà intorno a te, la cronaca locale, che è la storia di tutti,

fai tutto questo disinteressatamente, e professionalmente”

Lo scrittore cominciò, andò a recuperare i suoi 20 anni di professionalità ai massimi livelli, e li mise sul piatto di questa nuova impresa:

diffondere nel nuovo mezzo, il web, il messaggio antico:

la libertà d’espressione, il diritto/dovere di cronaca, la verità dietro gli sponsor, la narrativa/reportage come testimone del nostro tempo,

e così lo scrittore di romanzi rosa per primo denunciò lo scandalo del parcheggio Fara/Rocca; dell’ecomostro di via Autostrada, della truffa alla cultura Bg2019…

e così facendo stabiliva record di visite, like e commenti, e riceveva moltissime lettere e attestati di stima, ma anche minacce, denunce, cartelle esattoriali,

e un drastico tracollo di committenti, clienti, incarichi.

Il prezzo della libertà d’espressione!

Allora si ricordò del consiglio del suo vecchio maestro:

“quando non avrai più di che vivere, lancia un appello, come fece Leopardi, pubblica il tuo bilancio da scrittore, troverai il tuo Colletta, e i tuoi lettori faranno il miracolo di Natale,

chi potrà, ti aiuterà, e chi non potrà mandarti soldi ti darà incoraggiamenti: anche quelli servono, e non poco!”

E così lo scrittore vinse ogni vergogna e pubblicò  il suo bilancio:

1)  produzionetotale 2013: c.ca 3000 pagine complessive di testi; 250 post pubblicati sul blog gratuito Calepio Press; 5 progetti start/up; 2 concept riconversione/innovazione; 2 romanzi inediti; 2 saggi inediti; 15 editoriali/rubriche per CTRL magazine – 1 twitter  storify (#pensacheignoranza con CTRL e A.Bonaccorsi)

2)  entrate totali 2013: € 6400 (fatturato totale Calepio Press 2013, redazione testi per conto terzi)

> donazioni-colletta: qualsiasi importo pro “leone lo scrittore in estinzione”:

conto n. 73965 Calepio Press di Leone Belotti – UBI, filiale S.Caterina, Bergamo,

ABI 05428     CAB 11102  IBAN    IT98  K054 2811 1020 0000 0073 965

> Vediamo se il vecchio mago aveva ragione: tu fai del tuo meglio, e i lettori faranno il miracolo. (photo: Leone Belotti in vetrina

(ps: un grazie a tutti gli amici, collaboratori e sostenitori, li considero “soci in pectore”, li ripagherò continuando a scrivere tutto quel che sento di dover scrivere. Un grazie speciale a Federico-Obliquid  cui si deve la piattaforma grafica, l’hosting e l’esistenza fisica del sito)

Bg2019 pianoB: progetto Bergheimat

play this post

14premioh

il vero lavoro dell’artista e dell’intellettuale

consiste nel sovvertire e ricreare il mondo

Bergheimat (Bergamart)

opportunità per scrittori, saggisti, romanzieri, poeti, pittori, scultori, fotografi, disegnatori, musicisti, compositori, videomaker, registi.

Start: per essere una città d’arte e di cultura, bisogna coltivarle, l’arte e la cultura, come piante vive, alberi da frutto, e poi anche addentare il frutto della conoscenza.

In una città d’arte occorrono artisti e intellettuali veri, capaci, potenti, in quantità, che producano cibo per la mente, idee, libri, immagini, progetti, opere, onde.

Invece a Bergamo abbiamo una società culturale statica, piramidale come una torta da cerimonia,

al vertice vecchie cariatidi di vario tipo, di rappresentanza o di potere,

poi uno strato rigido di burocrati chiesa, comune e azienda, che foraggiano una pletora di grandi leccapiedi, che danno lavoro o lavoretti a schiere di mezze seghe ammanicate di vario tipo,

tutto questo in un contesto fatto per la maggioranza di onesti depressi anche disgustati, con parecchi talenti inespressi, e con ogni probabilità anche qualche genio incompreso.

Up: il lavoro da fare consiste semplicemente nel ribaltare la piramide, cioè distribuire la torta. Per questo il pianoB.

Trovare, valorizzare i geni incompresi cominciando col far esprimere i talenti veri, con un programma, un investimento vero per avere il prodotto, produrre cultura:

questo si può fare decidendo, per esempio, di utilizzare questo budget di 200.000€/anno non già – come stanno facendo – per piazzare ogni tre mesi centinaia di incredibilmente costosi totem insulsi inutili ignoranti e inquinanti,

ma invece per finanziare ogni anno 100 artisti, o meglio produrre 100 opere,

con tematica site-specific Bergamo: spirito del luogo, carattere, storia, sia con opere nuove che proponendo concorsi tematici,

ad esempio: romanzi storici sui grandi bergheimer del passato, romanzi psicologi sulla psicologia-follia bergheimer,

reinterpretazioni contemporanee dei grandi maestri come Fra Galgario o il Moroni, in grado di ritrarre il vero volto, l’espressione, la psiche, l’anima dell’homo bergomens,

nuove esecuzioni e incisioni di capolavori “vergini” della musica barocca (Pietro Antonio Locatelli dovrebbe essere per Bergamo quel che Vivaldi è per Venezia…)

l’idea Bergheimat è ovvia e semplice: un concorso-premio d’arte multisciplinare  per la produzione (cioè sostegno pubblicazione, esecuzione, installazione, distribuzione, diffusione, promozione) delle 5  migliori opere (romanzo, saggio, opera d’arte visiva, composizione musicale, video/film)

– premio narrativa bergheimat (coinvolge autori, editori, fiera del libro, stampatori agenti, potrebbe assorbire e implementare il premio Narrativa Bergamo  come evento propositivo di nuove opere)

– premio arte bergheimat (coinvolge artisti, scuole d’arte, gamec, a.carrara, gallerie d’arte, collezionisti, deve riprendere, rilanciare la tradizione del premio d’arte Bergamo, che negli anni Trenta aveva rilevanza internazionale)

– premio musica bergheimat (coinvolge musicisti, compositori, classica, jazz, pop, organizzatori, scuole, cdpm, conservatorio Donizetti, festival pianistico, bg jazz, radio locali, etc)

– premio video bergheimat (coinvolge filmaker, registi, fotografi, attori, scenografi, sceneggiatori, produttori, rassegne, bg film meeting, sale cinematogr, tv locali)

Budget: con il “progetto ufficiale” stiamo spendendo 1 milione di euro solo per il misterioso progetto del team-lobby Olivares e per i totem-spazzatura,

con il pianoB – premio Bergheimat tra 5 anni avremo speso questo milione per avere 100 nuovi romanzi e saggi, 100 opere d’arte contemporanea, 100 prodotti musicali 100 prodotti video,

il 90% di queste opere certamente sarà e resterà nella categoria “opere minori”, ma altrettanto certamente tra 5 anni avremo creato 5-10 autori, artisti, e opere in grado di affermarsi a livello nazionale e internazionale,

e con ciò avremo avremo creato un patrimonio culturale contemporaneo radicato in città e diffuso nel mondo,

avremo persone che vengono a vedere la città che hanno visto in un film, o letto in un romanzo storico,

cosa che oggi non accade perché manca il prodotto, le opere,

ha un bel dire la Olivares che Bergamo non si sa vendere come città d’arte: peggio, non vuole, o non può, perché non ha, o non vuole avere, il prodotto vero, la cultura viva, contemporanea,

Bergamo è probabilmente l’unica città italiana che non ha nemmeno uno scrittore affermato, di livello nazionale, e non solo contemporaneo, ma in tutto il Novecento e l’Ottocento…

e non perché non siano esistiti o non esistano scrittori e opere degne, ma perché per una specie di ignoranza-arroganza-provincialismo di sistema e di carattere, non vengono riconosciute, né prodotte e valorizzate:

pare assurdo, ma oggi sta accadendo questo: la città di Bergamo per proporsi come capitale della cultura ha il coraggio di spendere 1 milione di euro in totem e team internazionali,

ma non ha il coraggio di spendere 1 euro per un libro, o un’opera d’arte, cioè il prodotto, la cultura, quella “sostanza” che non c’è, e che si pretende di promuovere spendendo 1 milione in “fumo”.

(abstract da Bergheimat, linee di progetto per la trasformazione di Bergamo in città d’arte sostenibile,

Il pianoB prevede 5 aree d’intervento/progetti/iniziative  in 5 anni:

1 Bergomum  – valoriz. opere architettura storica, mura, arena, rocca

2 Berghumus  – coltivazione artisti nel cuore e nei borghi della città

3 Bergheimat  – creazione continua nuove opere d’arte per la città

4 Bergheimer – dignità di veri monumenti per le icone della città

5 Bergomens – infrastrutture ambientali, accessibilità, cintura verde)

immagine: il Teatro Sociale di Bergamo Alta, luogo magico, di grandissima suggestione, perfetto per mostre ed eventi culturali:

con la pretesa di “riportarlo in vita”, la banale ristrutturazione ha di fatto ucciso lo spirito di questo spazio che nella sua nuda austerità disponeva di una mistica della luce ormai perduta,

in questo ex-teatro la “luce del vero” penetrava improvvisa e misteriosa dall’alto, una lama nell’ombra come un grido nel silenzio,

ti trascinava nelle danze del pulviscolo, metteva le ali ai tuoi pensieri.

 

barocco freddo

play this post

alzano

Adesso c’è questa tendenza nel design e anche nella moda, questa moda del “barocco freddo”,

e io sarei uno dei caposcuola italiani di questo “barocco freddo”, e questo “barocco freddo” sarebbe una definizione che un giornalista mi ha messo in bocca,

io volevo solo dire che il barocco, nel Seicento come oggi, da sempre, è passione pura, sentimento pieno, sangue, umore, sudore, dolore, ecco, ma per esprimere queste cose, per non cadere nell’autocompiacimento, occorre raffreddare, congelare, bloccare, marmorizzare, sì, occorre dilatare l’istante creativo nella tecnica, in una tecnica sopraffina, nel lavoro, un lavoro di anni.

Poi le opere durano millenni.

Penso a queste cose come sempre mentre sono in macchina, mentre guido, in effetti io ormai penso solo mentre guido la macchina, mentre percorro queste arterie, queste moderne vie mercatorum, e penso poco, tre quarti d’ora, un’ora di macchina al massimo, aria condizionata, comfort,

e penso all’architetto Quadrio, partito da Milano, alla fine del Seicento, su questo mio stesso itinerario, l’architetto della fabbrica del Duomo di Milano chiamato a progettare la Basilica di Alzano, per strade sterrate, a cavallo, lungo le rogge, all’ombra di platani.

Penso a quand’ero studente d’Architettura, tutti volevano fare la Rivoluzione, io sognavo di progettare una cattedrale. Già allora, quando dicevo mi piace il barocco, mi guardavano male. Il barocco non era di sinistra.

Il termine barocco è un termine filosofico medievale. Barocco è un ragionamento,  un sillogismo formalmente perfetto ma sostanzialmente debole, vuoto.

Ma io so che questa debolezza non è debolezza, è complessità, questo vuoto è voragine, è apertura, è dubbio, è possibilità, è mistero, è travaglio. Per esempio: mi piace il mio lavoro, adoro la mia famiglia, e dunque sono un uomo felice.

E invece no. Il mio lavoro è fondamentalmente insensato, la mia famiglia mi sfugge, mia moglie, le mie figlie in certi momenti mi sembrano delle estranee, poi a volte io sento quest’adesione profonda con il creato, quest’intensità, mi sento l’anima viva, ma non mi succede con la mia famiglia, mi succede da solo, davanti a una tela, davanti a un’architettura, un progetto, uno schizzo, un paesaggio, un particolare, qualcosa che io sento perfetto, anche un mobile, un bicchiere.

Così mi fermo ad Alzano, dovrei visitare l’ex Italcementi,  la cattedrale del lavoro, e invece entro nella basilica barocca di San Martino, entro, alzo gli occhi, e mi siedo subito, come stordito, inebetito, come un bambino a bocca aperta, il naso all’insù: la volta è un libro aperto, è una grande narrazione, e questa cosiddetta Bibbia dei poveri è così ricca da togliere il fiato.

Eccomi qua, architetto milanese di chiara fama con la passione del barocco, degli stucchi, dei decori, eccomi a casa mia.

Ma con calma, mi dico, con calma, lusso e voluttà, guardare e capire, tre navate, due, quattro, sei, dodici colonne abbinate per sostenere la volta a tre campate e lì, tra le colonne e il cornicione ecco la Bibbia dei poveri, un fascione di statue, altorilievi, stucchi, festoni, vedo la Scienza, vedo l’Eternità, la Sapienza, la Giustizia,

lo sguardo corre al presbiterio, piccolo, soffocato, ritorna seguendo i marmi policromi del pavimento, si insinua nelle navate laterali, cinque campate, le cappelle, gli altari e poi, l’uno di fronte all’altra, i due gioielli: il pulpito e la Cappella del Rosario.

Forme geometriche, l’esagono pieno del pulpito sulla nave destra, l’ottagono vuoto della cappella sulla nave sinistra, forze estetiche che sfondano la pianta della Basilica, la aprono, la trasformano in una croce latina.

Mi fermo davanti al Pulpito, guardo le cariatidi, i telamoni, i quattro facchini scolpiti dal Fantoni che sorreggono il calice della Sapienza, che sforzo, che resa, non sono uomini, sono muscoli, sono fatica disumana, bestiale, corpi piegati all’imponderabile.

Guardo la riquadratura, la balaustra del pulpito, riconosco i materiali, il diaspro, il verde antico, il broccatello, il pavonazzatto, i lapislazzuli, il marmo nero, il portovenere.

Guardo il capocielo, il baldacchino, al centro c’è un incudine e martello, un’iscrizione dice: intrate et excitate. Perché non lo mettono anche sulle cattedre universitarie, mi chiedo.

Attraverso la navata centrale, mi lascio investire dalla geometria della cappella del Rosario, già prima, da fuori, osservando i volumi esterni, io vedevo quest’ottagono conficcato nel corpo di fabbrica, mi dicevo: è una scommessa, un azzardo, un ribaltamento.

Dentro, quattro sezioni verticali, la prima fatta di archi, occupati da tele,  (e che tele! Tintoretto, Cavagna, Appiani, Capella); la seconda aperta su grandi finestroni, la terza a spicchi convergenti con angeli in rilievo, la quarta, la volta, affrescata dall’Orelli con Maria in Gloria.

Fuori il sole si sta abbassando, una lama di luce gioca riflessi multipli, l’ottagono diventa un caleidoscopio, e mi rendo conto che tutta la cappella è patinata da una profusione di oro zecchino.

Chiedo di visitare le sagrestie. So che sono state da poco restaurate. Mi dice il conservatore: aprivamo i cassetti, era tutta segatura, facevamo un danno incredibile. E io penso: il barocco è consunzione, è tarlo, è polvere, è memento mori.

La prima sagrestia non è scultura, non è decorazione, non è intarsio: è architettura. Armadi come edifici. Rigore, ordine, serenità, pace. Spazi, volumi, linee, direttrici. Colori. Scansioni, cromatismi, contrappunti di luce. Tutto calcolato, logico, puntuale, simmetrico, giusto, preciso.

Poi guardi davanti a te, e sei attirato da quella porta.

La seconda sagrestia fa paura, ma proprio paura, fa paura lo scorcio che ne inquadri quando ancora sei nella prima, e vedi l’altare della seconda, al di là della porta,  intuisci il sacro, il luogo sacro, il tabernacolo, il pertugio.

La seconda sagrestia è una cappella monumentale, è una sintesi, è una microbasilica, è per pochi, è grandezza di cattedrale compressa in intimità volumetrica.

Io guardo il martirio di San non so chi, una puleggia gli srotola le budella, sì, il barocco è anche questo, è l’angoscia che esce, è un districare interiora, è una forza lucida, un urlo.

Non avere paura di esagerare, non avere paura di quello che c’è da raccontare.

E poi trasformare tutto questo in armonia in stile in bellezza in levità in leggerezza.

La terza sagrestia è lineare, serena, giocosa, è il relax, scene botaniche, floreali, luce, spazio, prospettiva.

Sì, certo, il barocco è anche questo, il barocco è lo stile naturale della pioggia, della sabbia, del vento, del fuoco che brucia, dei fiori che sbocciano, il barocco è una fioritura, il barocco è perla, è marmo, è lusso, è musica, è bombardamento, turbamento di sensi che va dritto al cervello, all’anima.

Una questione di calore, uno sbalzo, uno shock, il barocco è la composizione di uno shock, è fuoco, è gelo, è il massimo del sentimento comunicato con il massimo rigore, con perfetta pulizia formale, senza sbavature senza eccessi, il barocco è un’idea, una tentazione, una scommessa, questo è il barocco, è senso della morte, è voglia di vivere, è disperazione, depressione, nausea, elevazione, infantilismo, entusiasmo

Io viaggio, studio, lavoro, osservo, cerco emozioni sentimenti passioni idee progetti, non so che cosa, ma spesso resto duro, gelido, bloccato, mi chiedo che senso ha il lavoro, l’arte, la comunicazione, tutto, mi viene una noia, una nausea.

Alla base di tutto, anche degli edifici, delle architetture, ci sono i sentimenti, c’è la vita, la morte, il dolore.

Alla fine, l’immagine che mi resta, il sentimento che ho provato – e che ha dato senso a queste madonne di marmo –  l’ho provato per caso, fuori dalla Basilica, in macchina, fermo a un semaforo, sfogliando un volume di storia locale, acquistato  nell’uscire dal Museo, tanto per lasciare un obolo.

Sotto la vecchia foto di un aitante giovane degli anni Quaranta, la didascalia dice: Giorgio Paglia, di Nese, figlio della M.O. Guido Paglia caduto in Africa, dopo aver partecipato alla resistenza ai tedeschi in Roma, tornato in famiglia, si unì ai partigiani sui colli di Sovere.

Catturato il 17 Novembre 1944, rifiutò la grazia offertagli come figlio di una Medaglia d’Oro e fu fucilato il 21 Novembre, a Costa Volpino.

Sua madre ne raccolse il corpo, lo prese tra le sue braccia, lo caricò su un camion, e lo portò alla tomba di famiglia, dove gli diede sepoltura.

(by Leone Belotti 1999, pubblicato in “Tra terra e cielo”, ediz. Sesaab 2000, imago: Italcementi Alzano)

la psiche dell’architetto

play this post

800px-Cole_Thomas_The_Course_of_Empire_Destruction_1836

Per giorni, settimane, a volte mesi ho l’impressione di non stare facendo niente.

Gli altri non se ne accorgono, in ufficio vado tutti i giorni.

Ma io lo so, non combino niente.

Il tempo passa, le scadenze si avvicinano e sento crescere in me un coagulo di insoddisfazione, noia, nervosismo e disgusto di me stesso.

Comincio a sentirmi male, anche fisicamente, male.

Altre volte questo stesso far niente mi dà felicità e leggerezza.

Anche saggezza, equilibrio, mi viene anche il sorriso.

Avverto una specie di gradevole compostezza generale.

Passo intere giornate scarabocchiando.

Faccio e ricevo telefonate inutili o angoscianti.

E intanto ho in corso progetti e contratti pazzeschi, assurdi, superpagati.

Mi sono laureato nel 68, in architettura.

Tutti si occupavano di politica.

Io preferivo studiare e già allora davo consulenze varie, a tutto campo, per cambiare tutto.

Oggi creo le vetrine per un gigante della moda.

Disegno per un supermarchio del design.

Progetto le case dei vip.

Nel mio studio lavorano venti persone.

Sono tutti giovani capaci, intelligenti, sani.

Ma io sono completamente inadeguato al ruolo di leader, l’unica cosa che mi interessa è l’architettura, la forma, la funzione,

quasi tutto ciò che mi circonda di solito mi disgusta, sono disgustato dalle stesse cose che mi interessano, la moda, il design, l’architettura, i modi di vita dell’uomo contemporaneo…

Sono considerato un grande innovatore, un maestro della purezza, del minimal, della semplicità, dell’austerità, della pulizia, della delicatezza

faccio grandi sforzi per giungere a questi risultati, perché il mio animo in realtà è barocco, espressionista, massimalista, e quindi ho desideri estetici che non posso realizzare né proporre,

per esempio l’architettura fascista, con dentro i mobili Luigi XIV, e i casalinghi della civiltà contadina,

sottopongo il mio fisico a prove estenuanti, e poi ho dolori di ogni tipo,  non dormo per notti intere, prendo di tutto, non faccio sport, penso sempre di smettere di fumare, di mangiare sano,  ma spesso ho lo stomaco chiuso, è la feroce determinazione dei miei commensali a mangiare sano, che mi chiude lo stomaco.

Lo stomaco mi si apre improvvisamente in autogrill, mi viene una fame, una voragine, ordino tre panzerotti ipocalorici uno dopo l’altro, al terzo faccio una battuta alla ragazza,  elemosino un sorriso.

Ho la fama di creativo, di filosofo,  sono anni che non mi siedo al tavolo da disegno,  i programmi dei computer non so nemmeno cosa siano,  faccio schizzi, spiego idee continuando a fare schizzi.

I miei collaboratori si mettono all’opera, e poi io correggo, e continuo a correggere, se i miei collaboratori o i miei clienti sapessero qual è veramente la mia fonte di ispirazione creativa andrebbero in crisi.

Dico che vado dal dentista, dallo psicologo, dall’avvocato e invece comincio a girare per la città oppure prendo la macchina e vado in un’altra città oppure vado alla stazione e prendo un treno, entro nei negozi, mi fermo nei bar, vado a fare la spesa, mi metto a parlare con le persone,  nei supermercati, per strada, in treno, e con grande naturalezza divento un’altra persona,  un uomo comune, anonimo, ma socievole, aperto,  gentile con le persone anziane,

passo ore a parlare con i vecchi sulle panchine dei parchi,  mi basta mezzo bicchiere di vino per farmi puzzare l’alito,  quando si crea un po’ di confidenza mi chiedono di me,  se bevo per qualcosa che mi è successo.

I vecchi con cui parlo… mi interessano le case in cui sono nati e cresciuti,  come hanno vissuto quelle case, è così difficile vivere bene in uno spazio interno,

l’unica possibilità è che questo spazio sia già abitato, da uno spirito accogliente,  altrimenti tutto è freddo e silenzioso,  ma oggi non si fa altro che uccidere lo spirito delle cose e delle case, ingegneri, architetti, geometri, immobiliaristi, tutti insieme distruggono forme vive di architettura e le sostituiscono con forme morte, o forme vuote.

La chiamano ristrutturazione, ma è un’operazione di imbalsamazione.

Case imbalsamate per gente imbalsamata.

Una casa è come una persona.

Non può vivere in eterno.

Occorre semplicemente che viva bene, in armonia, il suo tempo.

Si può curare una casa vecchia, non stravolgerla con trapianti integrali

tenendo solo il guscio, la facciata, e per cosa? per motivi estetici!

Il loft? Un’assurdità!

Un’altra? Le case di ringhiera che diventano residences!

Il borgo storico un presepe inanimato.

Se quattro persone vivono in un ampio quadrilocale, ognuna di queste vive in un ampio quadrilocale, ma se quattro persone vivono in quattro monolocali, ognuna vive in una stanza.

Il monolocale è una cella, ci vivono i frati e i carcerati, ma sia i frati che i carcerati a differenza dei moderni singles, possono godere di grandi spazi comuni.

Se devo costruire formicai, mi devo immedesimare nella formica.

Oggi tutti riescono a immedesimarsi nell’aquila, nella pantera, nessuno riesce a immedesimarsi nella formica.

La differenza fondamentale tra le classi agiate e le altre è che queste occupano tutto il loro immaginario con lo stile di vita delle classi agiate mentre gli individui delle classi agiate non riescono nemmeno a immaginare come si possa vivere in 40 metri, con 800 euro al mese.

Riguardo alla povertà materiale, chiunque, povero o ricco, preferisce non pensarci,  e invece c’è molto da pensare, se è vero che dalle fasce più povere della popolazione io traggo le idee per far vivere meglio le fasce più ricche:

bisogna capire, sentire la miseria di un attico tutto design, tutto creato da architetti e designer; e bisogna capire, sentire la ricchezza di una stamberga tutta necessaria, tutta creata da chi ci vive.

Se parlo con colleghi, committenti, collaboratori non trovo una sola idea giusta, un solo pensiero vero;

se parlo con portinaie, pensionati, inquilini, occupanti abusivi vengo illuminato su aspetti fondamentali cui non avrei mai pensato.

Per gli oggetti, stesso discorso, se non peggio, fanno disegnare mestoli da spaghetti a gente che non ha mai servito un piatto di pasta in vita sua ed ecco il mestolo di design, un oggetto di bellezza!

La gente compra le sedie design che vede nei bar,  la gente non sa che le sedie da bar sono progettate per essere scomode, per far alzare il culo dopo mezz’ora.

Vorrei progettare sedie e tavoli per scuole, biblioteche e case di riposo invece progetto sedie e tavoli per i set dei reality show, per gli show room moda e per le agenzie viaggi last minute.

Poi i singles comprano tutto.

(copyright BaDante Care&Writing Agency -Calepio Press, testo by Leone Belotti ex intervista anni Novanta ad architetto designer italiano compasso d’oro;

titolo originale “I singles comprano tutto”, in “Riduzione Uomo” blog bambooostudio;

imago: Thomas Cole, La distruzione dell’impero romano, 1836, New York, Historical Society)

manifesto turbo comunista art.1

play this post

tcFR

Manifesto TurboComunista

con contributi ExtraDemocratici e IperFascisti

1 – Uno spettro si aggira per l’Europa

è lo spettro dell’ipercapitalismo –

è la voragine del debito della finanza del petrolio –

è il panico delle catastrofi finanziarie ed ecologiche e sociali che ci travolgeranno –

la catastrofe psichica è già arrivata ––

viviamo nella società dello spettacolo, l’ultimo spettacolo –

stiamo entrando nella fase di estinzione dell’homo sapiens –

il Made in Italy era il canto del cigno –

già oggi i farmaci il sesso le droghe e lo smaltimento rifiuti unici settori sani dell’economia –

la pulizia del design non arresta la polvere –

non sappiamo che fare, compagni –

siamo in trappola, camerati –

non c’è speranza, fratelli –

anche i sensi di colpa si possono pagare a rate –

le rate sono inesorabili –

il mondo è intorno a te –

la vita ti sfugge in diagonale –

che fare?

(testo by Sean Blazer alias Leone Belotti alias CalepioPress

efffigie Int.Turbo Com by Athos Mazzoleni,

articoli del Manifesto TurboCom già pubblicati: 2-3-10-17-18

https://calepiopress.it/2013/01/25/preview-manifesto-turbo-comunista/

https://calepiopress.it/2013/03/12/contributo-iper-fascista-al-manifesto-turbo-comunista/

https://calepiopress.it/2013/03/01/la-proprieta-intellettuale-e-un-furto/

https://calepiopress.it/2013/02/15/e-ora-di-occupare-gli-spazi-pubblicitari/

 

la mossa del cavallo

play this post

NattaCTRL

Chioma selvaggia, occhi verdi, era la minorenne più erotica del campus.

Appena conosciuta ti chiedeva scopiamo? Poi dipendeva dalla risposta che davi.

I suoi avevano fatto i soldi con le cucina di formica, fin da bambina lei in fabbrica aveva respirato fumi di poliuretano-silicone, e già alle medie aveva i seni espansi.

Diceva cose come: mi fanno schifo le foglie, gli insetti, la pioggia, le lumache.

Oppure: adoro il moplen, il plexiglass e la vimpelle.

Aveva una passione insana per la plastica e la chimica, e per questo si era iscritta al Natta.

Voleva viaggiare nel futuro. Abbiamo troppa energia per limitarci a questa vita, a questo corpo.

Indimenticabile, la risposta da Mc Enroe a un Carabiniere che ci aveva fermati: mai avuto problemi con le droghe, signorina? No, mi sono sempre trovata benissimo.

L’avevo soprannominata “Natta come un cavallo”.

Aveva tutti 8 in pagella, ma era stata bocciata per il 4 in comportamento. La motivazione era questa: la stazione treni e bus era proprio davanti al polo scolastico Esperia-Natta-Galli-Geometri, ma assurdamente l’ingresso era dall’altra parte. Invece di fare 3 chilometri a piedi 2 volte al giorno, come facevano gli altri 3000 studenti, lei scavalcava muro di cinta e binari.

La mossa del cavallo, la chiamava, lo scarto creativo che scompagina l’ordine del gioco.

Questo muro serve a inculcare sottomissione nei figli dei lavoratori. L’anno prossimo lo faccio saltare.

Il sottopassaggio era in progetto dal 1963, ma ci sono voluti 50 anni, e il mitico sindaco Bruni, lo sventra-berghem, per vederlo realizzato.

Incredibilmente, dopo 30 anni che non la vedevo, qualche mese fa l’ho incontrata proprio lì, nel sottopasso della stazione.

Assomigliava a Charlotte Rampling. Tornava da un convegno vegano.

Aveva cambiato prospettive a 360°, dunque in fondo non era cambiata.

Servono idee per salvare il pianeta. Bisogna lanciare il premio Natta. Il premio Nobel ha rotto le palle.

Mi mostrò un barattolo di vetro con dentro della  muffa viola. I miei funghi mi disse.

Li nutriva con unghie, capelli, croste del naso, cerume delle orecchie, tutta roba sua. In questo modo mi riconosceranno.

Una volta cadavere, spiegò, li avrebbe indossati  e i funghi l’avrebbero bio-degradata in modo totalmente ecologico.

Sai quanto inquinano i cadaveri? E le ceneri? Abbiamo pochi anni per salvare il pianeta.

Cambiando discorso, le ho chiesto: ti ricordi il nostro primo incontro? Certo, scienziato!

Una festa in tavernetta, a Martinengo, doveva essere il 1983, lo stereo sparava i Boney M.

Io indossavo un’orribile cravatta di pelle, e  cercavo il bagno, col Martini bianco caldo in mano. Lei usciva dal bagno, strafatta.

Era la prima volta che la vedevo.

Tenendomi aperta la porta del bagno, mi aveva detto: ciao sfigato, scopiamo?

Da fighetto del Lussana, permaloso, avevo risposto: ho le mie cose.

E lei, senza scomporsi: che problema c’è scienziato? Facciamolo dietro.

(Ndr: editoriale di Leone Belotti per n.44 CTRL magazine, in occasione di Bergamo Scienza e delle iniziative  sulla figura di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica, morto a Bergamo nel 1979. L’uomo che ha inventato la plastica)

 

 

centro malessere

play this post

FMKT19

Pochi giorni fa, Mr. Benedetto Obliquid mi ha detto: “Hai visto il tizio che ha aperto un centro per sfogarsi sfasciando oggetti? Un successone! Mi ha ricordato il tuo progetto di Centro Malessere di qualche anno fa”.

L’idea del Centro Malessere in realtà è di Gigi Lubrina, e risale al 2006, poi ripresa nel 2011, all’interno del progetto di ricerca “Fantamarketing”: le “visioni”  di Pier Luigi Lubrina,  prodotte da Calepio Press in forma di “racconti” (alcuni dei quali pubblicati sul blog Bamboostudio, altri di prox pubblicazione su CTRL magazine),  contaminando il genere più immaginifico di letteratura (fantascienza) con il genere più terra-terra di relazione (business plan per nuove imprese). 

Centro Malessere fa parte di una sezione di  progetti specifici sul tema “disagio della persona”. Imago: Biennale di Architettura, un paio di edizioni fa.

CENTRO MALESSERE (Fantamarketing project n 31)

field: wellness-badness

Centro servizi psico-fisici alla persona per la fruizione, gestione, scarico del malessere.

Stanze attrezzate per:

–       stanza scarico nevrosi con lanci distruttivo di oggetti frangibili/infrangibili;

–       stanza pareti urto-assorbenti per convulsioni isteriche singole,coppie,gruppi;

–       zona depressione, luce neon, lettini di cemento (tipo celle isolamento);

–       terapia olfattiva, cantina umida maleodorante ricoperta di muffa, polvere, letame;

–       cunicolo dell’eco e torre dell’urlo;

–       docce scozzesi, idranti, bagno turco-siberiano (vapore che ghiaccia addosso);

–       stanza farmaci-psicofarmaci (con la presenza di un farmacista);

–       stanze della nutrizione selvaggia, no arredi no stoviglie, no posate, si entra nudi: 1) camera-pasticceria-gelateria- formaggi grassi;  2)  stanza macelleria “mordente” e divorazione carni crude;  3)  gabinetto con stalattiti sgocciolanti alcolici / superalcolici

–       stanza/sportello lamentele e sfoghi con impiegati-capri espiatori; camera d’espiazione,  grida, insulti;  terapia dei ceffoni e calci nel sedere attiva-passiva.

absit foeminicidium vestis

play this post

frontepierina

(“Anima Virgo- absit foeminicidium vestis”, immaginetta della Beata Pierina Morosini       by Athos Mazzoleni – sul retro preghiera latino/italiano by Leone Belotti, opera presentata a Naturalmente2013, Albino, Bergamo) 

maleficos homines timere nolite

viva voce visu alto in praetura eos nominate

coniuges patres fratresque denuntiate

animam virginem in stuprato corpore tenete

famelicas bestias timere nolite

cum verbis et ungulis malos fugate

cum rotulis et gomitis pravos colpite

cum sica et absintio feras ferite

corpus vestrum nolite timere

corporalia signa sicut naturalia audete

quinque sensa in sexto gaudete

libera mente anima et corpo amate

damnationem nostram timere nolite

mulierem libertatem proclamate

cras recte maior quam hodie iurate

gratias ferentes foeminatae ite

ITALIAN VERSION:

non abbiate paura degli uomini malvagi, fate i loro nomi in pretura a testa alta e con voce forte, denunciate mariti, padri e fratelli, tenete un’anima vergine nel corpo violato

non abbiate paura delle bestie affamate, mettetele in fuga con le grida e con le unghie, colpite i depravati con ginocchiate e gomitate, ferite le bestie feroci con il coltello e con il gas narcotico

non abbiate paura del vostro corpo, ascoltate i segni del corpo come fenomeni naturali, godete dei cinque sensi con un sesto senso, amate anima e corpo con mente libera

non abbiate paura della nostra condanna, proclamate la libertà della donna, impegnatevi ogni giorno ad aver più dignità, andate nel mondo con grazia femminile

 

copyright al km

play this post

Lamborghini Gallardo Super Trofeo al Kilometro Rosso

19 Mission Impossibile 2

operazione last minute

Altro esempio di mission impossible last minute: siamo nel 2007, si inaugura il KmRosso.

Dopo aver scritto i testi della brochure, i titoli, gli slogan per la campagna, le cartelle stampa e molte altre cose (tra le quali rivendico il suggerimento di scrivere Chilometro con la K e in forma abbreviata) pensavo di avere finito,

invece a pochi giorni dall’evento mi chiama lo staff di Luca Bombassei e mi chiede di scrivere il discorso che dovrà tenere all’inaugurazione come responsabile del team di progettazione (è lui che ha chiamato Jean Nouvel).

Ispirato (devo ammettere che l’ispirazione arriva quando ti pagano bene) gli scrivo un bel discorso e glielo mando.

Poche ore dopo mi richiama e mi dice: sai, l’ha letto lo staff di mio padre (Alberto Bombassei, boss della Brembo) e gli è piaciuto molto così vorrebbe farlo lui, il discorso che hai scritto per me, soltanto chiede se potresti togliere un po’ di architettura e mettere un po’ più di impresa. Ma certo.

Ancora più ispirato, aggiusto il discorso, e glielo rimando.

Dopo poche ore mi richiama e mi dice: sai, il discorso che hai modulato per mio padre, l’ha letto lo staff di Montezemolo, gli è piaciuto molto, e vorrebbe farlo lui, soltanto chiede se potresti togliere un po’ di impresa e mettere un po’ più di politica.

Ma certo, nessun problema.

Ispiratissimo, partorisco la versione finale, andata poi effettivamente in scena per bocca di Montezemolo.

Rileggendo oggi, salverei le ultime tre righe (non si deve “fare economia” di idee se si vuole davvero “fare economia” di aria, acqua,  terra ed energia e offrire ai nostri figli  un mondo possibile e felicemente vivibile) e le rilancerei in versione Expo2015.

Storie del genere, lavori del genere, potrei raccontarne a decine,

dal costruttore che a cantiere quasi finito si rende conto che per venderlo bisogna trovare un nome al villaggio turistico,

alla Fondazione che per una serie di ragioni che a te copy non interessano ha bisogno da un giorno all’altro di un nuovo manifesto ideologico, quei programmi dove ogni parola è soppesata, e tu immagini frutto di elaborazione complessa e condivisa, mentre il più delle volte è il parto notturno di un copy free lance.

Ad ogni modo, è crisi, viviamo nella dittatura della comunicazione, e i linguaggi creativi sono precisamente le catene che tengono la massa in schiavitù.

Fare il maniscalco che fabbrica le catene, è questo che viene chiesto oggi a un creativo.

Crisi.

Bisogna saltare il fosso del “cercare lavoro”  e lavorare per l’umanità.

Quando una massa consistente di creativi ridotta alla fame si aggregherà, superando il falso individualismo del creativo, allora tornerà di moda la necessità della  “rivoluzione culturale” in preparazione della rivoluzione vera e propria,

si comincerà occupando gli spazi pubblicitari,

e quindi si passerà ai centri commerciali.