cosa vuol dire nylon

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cosa vuol dire nylon forse lo sai già, intendo dire proprio la parola nylon,

che è una sigla in inglese (tecnicamente: un acronimo anglofono)

che trascritta in estensione diventa “now you lose old nippon”

e tradotta vuol dire “adesso hai perso vecchio giappone”

[…]

la storia è semplice, 75 anni fa

giusto quando tuo nonno era appena nato,

l’america temeva di perdere la guerra nel pacifico,

pensava di vincere facile con invasioni di paracadutisti,

ma per fabbricare i paracadute servivano tonnellate di seta

e i giapponesi avevano chiuso la via della seta, dunque: che fare?

la guerra scatena il genio, questo accade sempre, da Leonardo

a Nobel, l’invenzione stravolgente non è mai per nobili fini,

poi le invenzioni di guerra si affermano in tempo di pace

e questo succede anche con la nuova seta artificiale

sintetizzata nei laboratori Dupont, e chiamata nylon

forse in origine NYL indicava New York + Londra,

e -ON la desinenza della fibra, come rayon, come cotton,

ma poi qualcuno, scherzando, disse: “Now You Lose Old Nippon”

da quel momento, sebbene apocrifo, quello divenne il senso

dell’acronimo di nylon, e segna l’inizio di  un nuovo mondo

di una nuova tecnologia delle fibre sintetiche artificiali

e la fine del mondo antico, elitario, della seta

[…]

c’è un solo modo per distinguere

un filo di nylon da un filo di seta: lo bruci.

Se si condensa in un pallina, è nylon;

se prende fuoco, è seta.

(photo e testi tratti dacosa vuol dire nylon – la luna e le fabbriche”

2014 by Virgilio Fidanza e Leone Belotti, ediz. fuori commercio Radici Group)

eros e tempo

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CharlotteOK

L’età non conta. Il sesso, come l’amore, non ha età.

Quando il buon Parise sostenne nel suo celebre saggio che il sesso è praticabile solo dai venti ai trent’anni, si riferiva alla ginnastica.

Qui parliamo di sesso vero, di orgasmi veri, apocalittici, di persone mortali, mosse da una concezione umanista della vita, non scimmiesca.

Le persone, i corpi delle persone, come le moto, o le case, quando sono nuove funzionano bene, ma non significano nient’alto che la propria funzione. Col tempo, con i segni del tempo, con i difetti, acquistano pregnanza, senso, carattere, umanità. Più rughe, più cicatrici, più segni sulla pelle.

Il corpo è un testo, una donna che ti guarda negli occhi mentre si sfila le mutande, quello è un libro aperto. Allora l’ansia di possesso diventa desiderio di condivisione.

Non so che farmene di una ragazzina acqua e sapone, casa e palestra. L’idea di scambiarci effusioni, kilowattora e umori circolanti non mi eccita. Io cerco la coscienza del corpo, il pudore della decadenza.

Voglio stringere decenni, non natiche sode. Voglio carezzare  seni cadenti, sudati, non mammelle rifatte, fredde, morte, da museo. Desidero entrare in altri mondi, vivere altre vite, percepire il passato altrui. Preferisco indossare camicie lise, maglie lasche, scarpe sformate, roba usata.

Non si tratta di fingere che il tempo si sia fermato, non parlo di ristrutturazioni che riportano all’antico splendore (che bestemmie ignoranti produce il nostro tempo!). Parlo del vero senso della bellezza e dell’eros, che è nel tempo incarnato, nell’edificio in rovina, nei segni profondi, che urlano d’amore, che più hanno vissuto e più bramano vita, brandelli di vita,  fotogrammi sbiaditi che valgono più di intere cineteche digitali.

In realtà la bellezza carnale, l’erotismo reale, fiorisce sul viso e nel corpo di una persona solo dopo che questa persona è consapevole di tutti i suoi anni. Gli sguardi, le parole: sto parlando del paradiso della conoscenza. L’unica zona erogena che conosco.

(dalla rubrica “Il maschio alfa” by Leone, leggi tutto su CTRL magazine. In photo: Charlotte Rampling) 

chi è Lele Mosina

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Badante4occhi

Lele Mosina è il nuovo found raising manager del project group calepio press. Appena nominato, ha dichiarato:  “sono molto fiero alla mia età, l’età della Maresana, di essere stato scelto a rappresentare il gruppo  calepio press, tra i più importanti centri d’eccellenza nella produzione di cultura d’avanguardia made in Italy”

“c.press è la dimostrazione di come  un uomo solo, totalmente disorganizzato e inaffidabile, dedicandovi un’ora al giorno e alcuni pseudonimi, senza un euro di budget, e senza nemmeno avere la linea web, caricando i post al bar o da amici, possa essere non solo più influente di vere e proprie testate giornalistiche di regime con decine di collaboratori, redazioni, e centinaia di migliaia di euro di budget,

ma anche più produttivo in termini di idee e progetti innovativi  dei  grandi centri ricerca o incubatori d’impresa, finanziati dal regime per ragioni di facciata”

“quest’uomo non è un genio o un individuo eccezionale, ma semplicemente un uomo libero, preparato e dotato di senso critico, che ha il coraggio di scrivere le verità più lampanti taciute o mistificate dai gruppi di potere che controllano l’opinione pubblica”

“sostenere quest’uomo, questo nullatenente, significa sostenere la possibilità di superare l’ipocrisia mediatica ma soprattutto significa sostenere progetti reali d’innovazione culturale come:

> Adv zero, agenzia anti pubblicitaria (già Malomodo Communications) per la riduzione dell’inquinamento semiotico da pubblicità.

> FMKTG, fantamarketing, creata nel 2010 con Pierluigi Lubrina e BambooStudio, contaminazioni paraletterarie tra fantascienza e innovazione d’impresa.

> gentedimerda.it,  da un’idea di Federico Carrara, asocial network;

> BaDante, care&writing agency, sviluppata con Isabella Gentili e Athos Mazzoleni, casa editrice di riposo, nuova letteratura senile.

> Leone XIV, antipapa latinista, nato rivoluzionario vs PapaRazzinger, divenuto reazionario vs PapaFrancisco

> Upper Dog (con Jennifer Gandossi e Benedetto Zonca): idee e ricette per produrre cibo per animali con scarti macellaio fruttivendolo e fornaio di quartiere (nomi delle ricette: porco cane, popolo bue, trota padana, pota coniglio, master polaster, interiora design)

> #pensacheignoranza, dal 2013, con Anna Bonaccorsi e Athos Mazzoleni, web institute ricerche di mercato e sondaggi d’opinione

> PWS, pub writing session, est 2014 con CTRL magazine e ELAV brewery, lo show della scrittura, storie da pub ascoltate, trascritte e pubblicate al pub

> Mensa te!, est 2014, con Matteo Cremaschi, Athos Mazzoleni, Daniele Lussana e Virginia Coletta, mensa popolare / fabbrica delle idee, 1pasto 1idea.

“cliccando sul tasto LeleMosina potrete donare qualsivoglia cifra per sostenere questi progetti, lo trovate in home page, in alto al centro con la dicitura LeleMosina/donazione”

“se cercate la home, cliccate su domus”

C.press, è l’unico sito al mondo ad avere la domus invece della home.

l’eco di rovetta

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fucilatiRovetta

Cari ragazzi “ribelli della montagna”, chi vi scrive è sempre stato un ribelle, un montanaro, un antifascista duro e puro: ma su Rovetta state prendendo un granchio colossale, vi state facendo ingannare e usare da persone ed enti (come l’istituto storico della resistenza, e L’eco di Bergamo) che da 70 anni si guardano bene dal rivelare il segreto orribile dietro a questa vicenda: il vero motivo della strage.

I fatti sono indiscutibili: 43 ragazzini dai 15 ai 17 anni, gli ultimi balilla, volontari della Legione Tagliamento, che non avevano mai partecipato ad alcuna azione di guerra, arruolati da poco, dopo aver consegnato le armi in obbedienza al proclama del Comitato di Liberazione Nazionale (è fatta salva la vita a chi si arrende) vengono messi in fila davanti al muro del cimitero di Rovetta, e trucidati a sangue freddo.

Nessuno ha mai ammesso di aver sbagliato, nessuno ha mai fato un gesto di pentimento, scusa, o detto un parola di pietà, non l’associazione partigiani, non l’istituto storico della resistenza, non la curia (che pure ebbe una parte nella vicenda).

Sarebbe bastato questo, sarebbe stato necessario questo gesto. Invece, il silenzio: di Rovetta non si deve parlare, non si deve capire, non si deve ammettere.

Per anni le mamme di quei ragazzini si sono recate a Rovetta a commemorare i loro figli. E poiché nessuno ha mai avuto il coraggio di chiarire, o anche solo riconoscere quella pagina oscura di storia della resistenza, ecco che quel raduno anno dopo anno è diventato sempre più importante, e più travisato e strumentalizzato da entrambe le parti.

Fino ai giorni nostri, con parlamentari che chiedono al governo di vietare la commemorazione, e gruppi come “I ribelli della montagna” che si appellano a una legge di 60 anni fa (anticostituzionale, perchè contraddice la libertà di opinione ed espressione) per invocare il reato di apologia di fascismo,

e l’Eco di Bergamo che pubblica come oro colato un comunicato irresponsabile nel quale si falsifica la storia e si invitano i lettori a partecipare al presidio antifascista “in concomitanza con il raduno di domenica 25 maggio a Rovetta in commemorazione dei vili assassini della Legione Tagliamento”:

La legione e i suoi partecipanti sono noti per le torture, i massacri e le devastazioni compiute nei nostri paesi” scrive l’eco, e scrive una falsità mostruosa, perchè come è provato dalle carte, da testimonianze scritte dei capi partigiani, quei 43 ragazzini non erano torturatori – alcuni erano fidanzati con ragazze del posto – e tanto meno assassini, non avendo mai sparato un colpo.

E nemmeno vili, dobbiamo ammettere, dal momento che mentre tutti si imboscavano, o si nascondevano sotto le gonne della mamma, loro si erano arruolati volontari, per difendere “la patria”: puoi dirgli ingenui, traviati, illusi, ma non vili.

Il vile assassinio, invece, veramente, vile, è stato quello compiuto da chi gli ha prima promesso salva la vita e poi, una volta arresisi (grazie all’intervento del parroco) li ha messi al muro.

Ancora l’Eco scrive cose come: “cani da guardia di un potere e un sistema economico che affamano con le loro crisi e le loro ingiustizie. Antifascismo significa lottare contro ogni discriminazione e per l’uguaglianza sociale. Significa capire il ruolo di questi servi del potere e contrastarli metro per metro: è giunta l’ora di mobilitarsi per ricacciare fascisti e nazisti fuori dalle nostre Valli, come settant’anni fa!”.

Se domenica a Rovetta ci saranno incidenti, tafferugli, feriti (o peggio ancora) io fin da ora indico L’Eco di Bergamo come corresponsabile di incitamento alla violenza (oltre che di falsa informazione).

Se l’Eco avesse la coscienza pulita, e agisse cristianamente, quello che avrebbe dovuto fare su Rovetta era raccontare la verità e dunque invitare tutti a esprimere pietas, in un contesto di riconciliazione e comunque di rispetto per ragazzi a tutti gli effetti “martiri innocenti”, anche se indossavano la divisa sbagliata, vittime della storia, una storia assurda e crudele, esattamente come molti partigiani fucilati dai fascisti.

A noi interessa individuare le responsabilità, chi ha deciso, e perchè, quell’inutile massacro, e anche chi continua a usarlo (in modo a dir poco disonesto, direi) come strumento di consenso giovanile.

Allora, se sei veramente un ribelle, prima di gioire per questa inconsueta uscita “pasdaran” del nostro Eco delle curia, spendi cinque minuti, leggi questa ricostruzione (alla quale ho dedicato anni di ricerche, e una tesi e una laurea in storia che alla fine non ho preso) fai le tue ricerche, e fatti un’idea tua.

Tratto da “Il senso segreto della strage di Rovetta”, by Leone Belotti:

Ultimi giorni di Aprile del 1945, la guerra è finita. Nel fuggi fuggi generale, mentre tutti si imboscano o si travestono, al passo della Presolana, in val Seriana, tagliati fuori da tutti, ci sono 43 balilla che ancora tengono il presidio.

Li comanda un sottotenente di 22 anni, l’età media è di 17 anni, i più giovani non hanno ancora 15 anni. Studenti, si erano arruolati dopo la fuga del re, per salvare l’onore della patria. Nati e cresciuti nella retorica fascista, non c’è da stupirsi che vogliano resistere in armi contro il resto del mondo, fino alla “bella morte”.

Il Comitato di Liberazione ordina: cessare il fuoco, arrendersi, consegnare le armi, è fatta salva la vita. E’ il parroco a convincerli a scendere dai monti, a rassicurarli che la resa sarà onorevole.

Giunti a Rovetta vengono presi in consegna dai partigiani, e dopo due giorni di prigionia quasi familiare (alcuni erano fidanzati con ragazze del posto) la notte del 27 accade qualcosa di poco chiaro, compaiono figure misteriose, agenti segreti, auto lussuose: all’alba del 28 Aprile i 43 balilla vengono picchiati, spogliati e condotti dietro il cimitero, dove vengono fucilati (mitragliati), a gruppi di cinque, e sepolti sommariamente.

Questo episodio, noto (non troppo) come “la strage di Rovetta” è la prima macchia dell’Italia nata dalla Resistenza. Chi diede l’ordine di fucilare prigionieri che si erano arresi conformemente agli ordini del Comitato di Liberazione?

Per quale ragion di stato 43 ragazzini che non erano stati responsabili di violenze, come testimoniato da uno dei capi partigiani, sono stati trucidati a sangue freddo?

Un processo farsa nel dopoguerra ha chiuso la questione (l’esecuzione fu considerata come “azione di guerra”, e dunque non punibile, grazie a un apposito decreto).

Gli esecutori materiali, processati e assolti, portano i cognomi più diffusi della zona, chiunque in Val Seriana conosce un sacco di gente con quei cognomi, Savoldelli, Zanoletti, Balduzzi, Percassi, amici, clienti, soci, collaboratori, gente con cui lavori. Gli ho detto: chiedi ai tuoi, agli zii, ai nonni: dim ergot! Niente. Nessuno sa niente, nessuno dice niente. Curioso come un bergamasco possa somigliare a un calabrese, in certi silenzi. Una pagina rimossa. E che pagina! L’innesco della mattanza!

Il giorno dopo la strage, il 29 Aprile 1945,  l’Unità scriveva: “La peste fascista deve essere annientata. Con risolutezza giacobina il coltello deve essere affondato nella piaga, tutto il marcio deve essere tagliato. Non è l’ora questa di abbandonarsi a indulgenze che sarebbero tradimento della causa…”  E’ il famoso articolo Pietà l’è morta. Firmato: Giorgio Amendola, cioè uno dei  “padri della patria”.

Amendola si riferiva a piazzale Loreto, ma come non leggere in queste parole un’apologia alla pulizia etnica?

Il macello di piazzale Loreto non bastava, qualcuno ha voluto e ordinato un bagno di sangue generale, nazionale, e occorreva un esempio immediato, ecco la strage di Rovetta: l’appello de l’Unità dunque significa “fate come a Rovetta”, trucidate pure chiunque abbia una camicia nera. A rigore: almeno il 90% degi italiani.

Ma proprio nel corso di quella notte, gli italiani, ormai ginnasti esperti del consenso,  si “liberarono”, e divennero tutti antifascisti convinti, e anche assetati di sangue. Nel corso del successivo mese di Maggio, furono uccise oltre 40.000 persone a sangue freddo, senza distinzione, civili, donne, bambini, anziani, per strada, in piazza, in casa, ovunque, per lo più vendette private su persone comuni, con l’alibi di “annientare la peste fascista”, mentre i gerarchi e i servi del regime  si riciclavano in parlamento, nei ministeri, nelle aziende e nelle case editrici.

Dobbiamo capire che dietro la cornice della “Liberazione” c’è un bagno di sangue attuato per occultare la magia del gattopardo, il trasformismo delle elites (non il ricambio).

Cose che un’intera generazione ha visto ma taciuto alla generazione successiva, la mia, la nostra, per cinquant’anni, fino anni Novanta, cioè dopo il crollo del comunismo, quando  giornalisti, storici ed editori hanno preso coraggio (!) e aperto gli archivi dell’orrore.

Torniamo a Rovetta. Nella formazione partigiana responsabile della strage c’erano personaggi noti della resistenza bergamasca, e anche una figura misteriosa,  il Mohicano, che si è poi rivelato essere un agente dei servizi segreti inglesi, il cui anonimato è stato usato fino ai giorni nostri come pretesto/alibi per non dire la verità proprio da parte di coloro che erano incaricati di fare luce (L’istituto storico della resistenza).

Non ci vuole Einstein per capire che se hai un problema non puoi chiedere di risolverlo a chi ci ha basato sopra la sua esistenza (a meno che si abbia a che fare con grandi uomini, se Einstein mi permette la precisazione, a mio parere dovuta, per quanto sperimentalmente improbabile).

Oggi possiamo dire questo: se a livello nazionale ci hanno mentito per quasi 50 anni, a livello locale, sui fatti di Rovetta, siamo già a 70. Perché? Chi c’è dietro, cosa c’è sotto questo segreto di stato? Chi diede l’ordine?

Cose pesanti da digerire per chi è stato allevato nel mito della resistenza e dell’antifascismo. Alle medie ci portavano in gita scolastica a Marzabotto, alle fosse Ardeatine, sapevamo tutto di quei fatti, ma di Rovetta, dove si andava in villeggiatura, non si sapeva niente.

Ma non vorrai paragonare… Si invece, paragoniamo, la barbarie è barbarie.

Sarebbe bello e giusto che finalmente saltasse fuori qualcuno di quelli che a Rovetta (non a Kabul) da 70 anni sanno e tacciono, anche un figlio, un nipote, e ci raccontasse come è andata. A cosa mi serve un prestigioso Istituto Storico della Resistenza e un simpatico Museo Storico della Città se dopo 70 anni non mi hanno ancora spiegato il fatto storico più rilevante accaduto qui dove sono nato e cresciuto, dove vivo e lavoro?

Leggere le carte del processo, con tutti gli omissis e i non ricordo-non so, con le raffinatezze acrobatiche del diritto per assolvere tutti, mette i birividi, perché riconosci la matrice di quella lunga serie di processi farsa che caratterizzerà la storia stragista d’Italia negli anni a seguire e fino ai giorni nostri.

Una grande delusione, una grande rabbia. Aver studiato storia per vent’anni, aver creduto a quei miti, per poi scoprire verità allucinanti, armadi nascosti, scheletri su scheletri.

Il senso, la verità di Rovetta è ancora segreta. Chi diede l’ordine della strage?

Nel 1997, quando la Regina d’Inghilterra ha tolto il segreto di stato dagli archivi del SOE, il secret service inglese che agiva in italia e nei balcani a “supporto” dei partigiani, gli storici hanno iniziato a studiare i documenti, e il quadro che ne esce ci dovrebbe portare a riscrivere alcune pagine di storia della resistenza. In primis quella della strage di Rovetta. Non ho il coraggio di rendere pubblico il sospetto, la possibilità che esce da queste carte.

Mi rivolgo a chi sa. Cos’hai, cos’avete da perdere? Quale era la cifra pagata? Chi era l’eminenza grigia arrivata con un’automobile lussuosa a dare l’ordine della strage, proveniente da Bergamo?

Non è mai troppo tardi per queste cose.

Oggi non abbiamo ancora vista riconosciuta la verità, che pure si intuisce dietro questa storia analizzando con “cinismo da commercialisti” i retroscena, le direttive del SOE, i conti dei servizi segreti inglesi relativi al “teatro di guerra” italiano:

il paragrafo che ti gela il sangue è questo, e ormai lo trovi pure su wikipedia: “il SOE garantisce il suo aiuto a tutti quei gruppi – di qualsiasi ispirazione politica siano – che diano maggiori garanzie di uccidere il maggior numero di tedeschi e/o repubblichini”.

In altre parole, i gruppi partigiani erano finanziati, armati e remunerati dai servizi segreti inglesi in base alla produzione di morte: tot tedeschi/fascisti uccisi, tot finanziamenti.

Dall’analisi dei conti, risulta che i gruppi di ispirazione comunista furono quelli più sostenuti dal SOE.

Mi stai dicendo, facendo 2+2, e “pensando male”, che questo Mohicano ordinò una strage di ragazzini per aumentare il fatturato del suo gruppo, o magari anche suo personale? Dici che in guerra succedono cose del genere? E 70 anni dopo non sono ancora state rivelate?

Basterebbe, sarebbe bastato confessare la terribile verità, i 43 ragazzini uccisi per fare cassa, intascare soldi, ammettere questa pagina nera della resistenza, per evitare l’escalation, la tensione di questo appuntamento.

Invece abbiamo dei ribelli che si appellano a una vecchia legge poliziesca, e deputati di sinistra chiedono l’intervento del governo, della prefettura per vietare una riunione pubblica,

ma quando la politica chiede l’intervento delle forze dell’ordine, sta dichiarando il proprio fallimento, e dei ribelli che invocano la legge per mio conto non sono veri ribelli

Cari ragazzi, i “cani da guardia di un potere e un sistema economico che affamano con le loro ingiustizie”, sono da cercare altrove, da identificare in altri soggetti, non in quei vecchi o nuovi nostalgici che si radunano a Rovetta perchè in qualche modo sentono che a Rovetta “hanno ragione”.

Dovrebbe farvi riflettere il fatto che deputati di sinistra e giornali della chiesa vi diano queste polpette eccitanti per aizzare l’una contro l’altra le fazioni estreme, giovanili e senili, estrema sinistra ed estrema destra, su questioni di 70 anni fa.

In questo modo entrambe le fazioni vengono distratte dalla vera guerra in corso in italia e in europa, tra ricchi e poveri, tra esclusi e privilegiati.

Il rugby è stato inventato per lo steso motivo: “tenere gli energumeni lontani dalla city nei giorni di festa, e farli cozzare tra loro”

Non vi viene il sospetto che chi vi incita a “ripulire le nostre valli dai fascisti come 70 anni fa” in realtà lo faccia perchè terrorizzato all’idea che invece vi mettiate insieme, estrema destra ed estrema sinistra, “per ripulire roma dai porci, dai servi del potere, che non sono mai rossi, o neri, ma sempre grigi, eminenze grigie” e da coloro che veramente ci stanno “affamando con la crisi”?

Non andate a Rovetta, andate all’isrec a chiedere la verità, a l’eco; oppure andate a roma, a bruxelles a fare presidi no global no usa no euro,

oppure, meglio, andate a rovetta, ma non a litigare, a insultare, a menare, ma a fare qualcosa di più difficile, che richiede molto più coraggio:

io immagino questa scena, quattro uomini seduti insieme a un tavolo a parlare, due sono ottantenni, due sono ventenni,

i due veci sono un ex repubblichino “memento audere semper” e un ex partigiano della brigata Garibaldi; i due ventenni sono una testa rasata di casa pound e un rasta del pacì paciana,

bevono insieme una boccia di vino, e i due raga ascoltano i due veci che si confessano tutte le porcate che hanno fatto, o visto fare dalla propria parte, e poi magari lo stesso possono fare tra di loro i due raga, ascoltandosi il battiato di up patriots to arms: “le barricate in pazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso”.

E invece di passare un pomeriggio di stupida tensione e insensata violenza imparare la ricchezza del confronto, del dialogo con il “soldato nemico” o con il “servo del potere”, in cerca della verità, e del vero nemico di entrambi, che è un altro, ed è altrove.

Sono certo che i veri eroi della resistenza, i giorgio paglia, e i veri intellettuali di sinistra, i gramsci, uomini di statura superiore, che hanno dato la vita nella lotta al fascismo, sarebbero i primi a denunciare questa vergognosa mistificazione storica, che continua ancora oggi, come una tragica commedia ordita da vili burattinai che sull’antifascismo campano da decenni, alla faccia di chi è morto giovane per un ideale.

(photo: due dei 43 balilla fucilati a Rovetta, ancora ieri definiti “cani da spazzare via” da l’eco di bergamo)

 

 

 

Grillo scoop esclusivo per Calepio Press e CTRL magazine

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Leone:Grillo

Dopo una rapida riflessione, il capo Grillo ha dato ieri sera il suo assenso alla proposta di accordo 5stelle-Gori formulatagli sui due piedi in piazza V.Veneto/Sentierone  dal vostro blogger.

Pur stremato da una giornata terribile, segnata dall’incontro scontro con Renzi sull’Expo, e dopo aver arringato senza risparmiarsi il popolo bergamasco, il leader 5stelle ha trovato il tempo di ascoltare e approvare il progetto Gori uomo 5 stelle.

Premessa al progetto: considerato che Tentorio è più che bollito e soffre di piaghe da decubito (siede ininterrottamente da 44 anni a Palazzo Frizzoni!) che Gori è più che depresso ed è già stanco di passare le serate in attività verbose (ed è ormai evidente che la leadership politica non è la sua vocazione) e che i 5stelle sono la formazione più adatta a governare una città 5 stelle come Bergamo (ma avrebbero bisogno del sostegno e del voto di quella “buona metà” dell’elettorato pd&soci fatto di compagni capaci e onesti che tuttora sono nei ranghi della sinistra)

ecco il progetto esposto a Grillo: Gori annuncia il suo ritiro dalla corsa a palazzo Frizzoni, e indica al popolo pd di votare compatti 5stelle, e in cambio i 5 stelle gli danno l’esclusiva per produrrre e trasmettere il nuovo reality “Palazzo Frizzoni”,

> format sperimentale di video-democracy con Consiglio Comunale e Giunta in diretta (si vota da casa con un sms, come al grande fratello) da lanciare poi in ogni città

fino ad arrivare al power reality supremo, il “Montecitorio Show”,

e dunque a una nuova forma di governo, rilanciando in forma tecnologica l’unica vera forma di democrazia, la democrazia  diretta, così come è nata nell’antica Atene, con la partecipazione quotidiana di ogni cittadino, e finalmente superare la democrazia rappresentativa, causa di quasi tutti i mali,

in questo modo Tentorio va in pensione, Gori è contento perchè fa il mestiere che sa fare (produzioni televisive) e non per bassi motivi commerciali ma per una buona causa di evoluzione civile, e Bergamo sarà la prima città a sperimentare il buon governo dei cittadini, con il coinvolgimento e la trasparenza data dalla diretta tv,

> recepita questa proposta, il capo Grillo ha sorriso e ha dichiarato testualmente: “Ma certo, Gori è un bravo ragazzo, Gori capisce”

Il sasso è lanciato, non resta che attendere la risposta di Gori e la presa di coscienza di quella “buona metà” della sinistra, oggi incredibilmente costretta a militare sotto il giogo della chiesa, della grande impresa e delle banche.

(nella foto Postini-Reuters, il capo Grillo appena sceso dal palco del comizio di Bergamo, ascolta con attenzione l’inviato del blog Calepio Press. Sulla nuca del blogger è altresì riconoscibile l’ombra del logo CTRL)

trabem in oculo tuo

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(sulla veranda di Gori, e sulla voragine della Rocca)

41 Quid autem vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, quae in oculo tuo est, non consideras? 
42 Quomodo potes dicere fratri tuo: “Frater, sine eiciam festucam, quae est in oculo tuo”, ipse in oculo tuo trabem non videns? Hypocrita, eice primum trabem de oculo tuo et tunc perspicies, ut educas festucam, quae est in oculo fratris tui.

Luca 6, 41-42

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: “Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”

La vicenda della veranda di Gori mi fa ridere, e piangere. Va bene, Gori ha messo i vetri fissi alla veranda, ha fatto 4mq  di abuso edilizio (in casa sua).

Ma uscendo dalla veranda di Gori, e camminando 4 minuti, percorrendo 100 metri nel parco Moroni, si arriva giusti giusti sulla voragine a cielo aperto in abbandono da 5 anni, doveva essere un park interrato, per farlo hanno raso al suolo il polmone verde di città alta, l’ex bosco faunistico e tagliato gli alberi della memoria (per i caduti di tutte le guerre), poi ci hanno discaricato sostanze tossiche (e siamo nella zona protetta del parco dei colli) poi hanno sigillato il cantiere…

fatto il disastro, l’hanno lasciato lì: e oltre al danno, la beffa: da cinque anni il comune, cioè noi, versiamo alla società parcheggi tutti gli incassi dei parchimetri (così era l’accordo…) come se uno dovesse pagare l’affitto o il mutuo di una casa mai costruita…

nel video “marzo 2009 – il morbo di Parkheimer” puoi vedere immagini di allora del disastro, anche allora eravamo in periodo pre-elettorale (ascolta l’autoradio in sottofondo: il governo varava la social card: oggi 5 anni dopo stanno ancora elaborando le graduatorie, e non è stato erogato 1 euro di fondi stanziati, e intanto la gente si suicida),

passati cinque anni è tutto fermo e la Rocca è sempre pericolante, la voragine sempre a cielo aperto (sono cresciuti un po’ di rovi) nessuno ha preso provvedimenti, nessuno è stato condannato, milioni pubblici al vento, area verde perduta, e a chi importa, chi ne parla?

Si parla della veranda di Gori, è questo che fa notizia, un abuso di 4 metri di giardino privato, e tutti ne parlano, in poche ore arrivano i vigili, si chiarisce la questione e chi ha sbagliato paga…

mi viene da ridere/piangere pensando a quei vigili che misurano la veranda di gori col centimetro: se si alzassero in piedi, se alzassero gli occhi potrebbero vedere un abuso-disastro di migliaia di metri cubi di parco pubblico deturpato,  e milioni di europubblici bruciati, da 5 anni sotto gli occhi di tutti, e non si fa niente, nessuno ne parla…

e nessuno che abbia chiesto ai candidati sindaci: che cosa pensate di fare con il disastro della Rocca?

(video 2009 by Benedetto Zonca e Leone Belotti per TotanoBastardo Channel)

ma che calepio si fa a pasqua?

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ADCalepioNerd

Il progetto Bergamanent nasce un anno fa, in piazza S.Anna,

dall’incontro con i ragazzi di CTRL magazine, quando scopriamo di aver proposto al comune progetti simili, con grandi idee e piccoli budget, e aver ricevuto risposte simili: “bellissime idee, purtroppo non ci sono soldi” (e in quegli stessi giorni il comune stanziava 800.000 euro per consulenze e comunicazione su Bg2019 “capitale della cultura”).

Noi avevamo proposto un lavoro di rilettura e rivalutazione dei grandi personaggi storici icone della città, creando profili social-historical a partire dai quali far rivivere la storia della città con eventi musicali e teatrali, e la partecipazione di artisti, writer, ricercatori, editori, locali pubblici.

Il comune ha poi preso l’idea di partenza e l’ha realizzata in modo sciatto e a costi altissimi, tirando giù frasi fatte dai libri di storia per poi stamparle su brutti totem, e morta lì.

Nel frattempo noi siamo andati avanti, e abbiamo fatto rivivere queste icone sulle cover di CTRL magazine, cercando l’attualità, il senso di oggi di figure ricoperte dalla polvere del tempo, sconosciute ai più, ignorate dalle nuove generazioni.

E così, per un anno, invece delle rock star, abbiamo messo in copertina, come fossero nuovi divi, i grandi bergamaschi del passato, rappresentati e raccontati come personaggi di rottura, fuori dagli schemi, non ingessati e non istituzionali:

il Beltrami explorer, scopritore del Nord America;  il Che-Nullo, primo dei rivoluzionari moderni; il Colleoni dux, inventore dell’artiglieria mobile; il Natta fetish, creatore della plastica; il Locatelli no limits, pioniere dell’aria; il Quarenghi magut, costruttore di metropoli;

il Galgario gay, maestro del ritratto; il Paciana hacker, re dei banditi;

e infine il Calepio nerd, ideatore del vocabolario, in copertina questo mese, da cui prende nome questo sito e questo editore, che qui vi presento, con un augurio di buona lettura, e di buona pasqua!

Cover story per CTRL magazine n.49, imago by studio Temp, testo by Leone Belotti:

Se vuoi sapere che Calepio ha fatto e chi Calepio è, ti dico che Ambrogio da Calepio è il primo grande nerd della storia, il precursore del web, autore di un libro pazzesco, un’idea folle, che ha cambiato il mondo.

Probabilmente, prendendo in mano un vocabolario, non ci siamo mai posti la domanda: chi è quel fuori di testa che ha avuto l’idea?

Prima esistevano raccolte varie, compilazioni lessicali tematiche, indici di luoghi o gallerie di personaggi storici, ma il grande nerd ebbe il lampo di genio di fare questo lavoro scientificamente su un’intera lingua, in ordine alfabetico: e poi girarla a specchio, tra-ducta in un’altra lingua!

Ci lavorò giorno e notte per 50 anni, 500 anni fa, a Bergamo. Poi diede alle stampe. Boom. L’opera, titolata Lexicon, ribattezzata Calepino, dal nome del suo “consapevole inventore”, ebbe un effetto pari alla scoperta dell’America (che similmente prende nome da Amerigo Vespucci, e non da Colombo, che non si era reso conto).

In pochi anni, il Calepino, come internet, diventa lo strumento di lavoro indispensabile per studiosi, scrittori, scienziati, traduttori di tutto il mondo. La community subito condivide e implementa, e in breve escono decine di versioni in tutte le lingue del mondo.

Calepino alla mano, il popolino illetterato poteva finalmente capire il Latinorum usato da papi e imperatori per imporre leggi assurde con codici astrusi (il latinorum di oggi  è la pubblicità, la tecnologia, le app)

Per 300 anni insieme alla Bibbia è il libro più stampato al mondo (oggi: il catalogo Ikea) ma il suo autore, dopo la prima edizione (pubblicata a sue spese!)  non vide più un tallero: il diritto d’autore non esisteva, e tutti gli stampatori se lo ristampavano allegramente (lezione di storia: il copyleft è nato 3 secoli prima del copyright).

Poi arrivò l’Enciclopedia degli Illuministi, versione moderna del Calepino, e oggi siamo a Wikipedia. La cosa paradossale, è che se cerchi oggi in Wikipedia, su Ambrogio trovi 10 righe da sfigato.

Nato nobile nel 1435 in un castello al centro del feudo di famiglia (Castelli Calepio, in Val Calepio) il giovane conte Calepio si trasferì a studiare a Bergamo a Palazzo Calepio, in zona Fara, e passò tutta la vita nel convento di fronte a casa (S.Agostino). Probabilmente pagando, prese i voti, e il nome Ambrogio (di battesimo faceva Giacomo) con una dispensa “per motivi di studio” che lo liberava dal peso di dire messa, confessare o vedere gente.

Per tutta la vita non fece mai altro che ilfiglio di papà nerd, uscendo solo per attraversare la Fara (casa-studio) e tuffarsi nel suo lavoro titanico in S.Agostino, dove morì (1510) e fu sepolto senza nemmeno una lapide, nello stile NOLOGO degli eremitani agostiniani (seconda cappella a destra in S.Agostino).

Nell’aldilà, ha ripreso il nome di Giacomo, e passa le giornate in Purgatorio nel gruppo master nerd, molestato da fan insospettabili come gli eretici Giordano Bruno ed Erasmo da Rotterdam (che lo chiamano joker)  gli esplosivi D’Annunzio e Alfred Nobel (che lo chiamano bomba carta) e l’odioso Steve Jobs (che usa wikalepio al posto di wikipedia).

Intanto nell’aldiquà i vip del comitato cultura Bg2019 hanno blaterato per mesi e speso milionate in consulenze, totem e testimonial “lustra Berghem”, senza accorgersi che avevano in mano il jack pot della cultura, capace da solo di far saltare il banco.

E così si capisce anche perchè Calepio abbiano bocciato Bergamo capitale della cultura. Come se al Comune di Firenze, assessorato alla cultura, ti rispondessero: Dante chi?

 

 

la giunta Galgario

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GiuntaGalgario

I soliti bergamarci sono quelli che da 300 anni hanno quella faccia da trota-squalo del maschio di soldi o di potere che si dà l’aria del nobile ma è bastardo dentro, e si vede.

Un tipo d’uomo moralmente un po’ suino, mediamente ignorante e piuttosto vanitoso, visibile per strada, nelle aziende, in società, sulle copertine patinate,  sui manifesti elettorali, identico nell’espressione ai vecchi ritratti di Fra Galgario (il frate-pittore dei vip, al secolo Vittore Ghislandi, Bergamo 1655-1743) che si possono vedere alla Carrara (ndr: no, scusate, è chiusa da 5 anni).

Secondo una ricerca #pensacheignoranza, il 69% dei bergamarci  non sa chi sia Fra Galgario, e chi lo sa, crede sia una figura minore. Sui libri di storia dell’arte è il maggior ritrattista del 700 in Europa, l’anello di congiunzione tra la pittura veneta e quella fiamminga, il maestro delle lacche.

Una storia tragicomica la sua, che si presta al gossip e all’amarezza, come i soggetti dei suoi ritratti.

Gossip: ancora ragazzo, mentre sta facendo il ritratto a una prosperosa contessa, quella, insoddisfatta, si apre il corpetto e gli sbatte in faccia il seno chiedendogli: ma perchè voi mi togliete quel che Dio m’ha dato? Il giovane Ghislandi fugge terrorizzato, scappa a Venezia, si fa frate.

Starà a Venezia 25 anni, imparando i segreti del colore dai grandi maestri. Nella Venezia barocca sarà il frate pittore amante del ritrarre orfanelli, speculare al prete-rosso Vivaldi che adorava far suonare le orfanelle.

Tornato a Bergamo, diventerà il ritrattista dei vip, lavorando fino a 90 anni, e facendo sempre e solo ritratti di 3 tipi: 1) bellissimi, di fanciulli bellissimi 2) bellissimi, di committenti orrendi 3) orrendi, di donne orrende.

Dal che derivano: 1) la fama di frate-pittore gay, con preferenze teen (il Cerighetto, il chierichetto, l’assistente più ritratto nella storia dell’arte, incarna per Zeri il modello ideale dai grandi occhioni e dalle labbra carnose e ricurve) 2) la fama di misogino 3) la vergogna-ignoranza dei bg b.got + ostracismo chiesa + iconoclastia femminista (le donne si vendicheranno).

Amarezza. Il corpus delle sue opere raccolte dal conte Carrara per la futura Pinacoteca, appena morto il conte, è smembrato e svenduto dalle nobildonne della commissione. Da lì in poi, l’oblio.

Fu il Longhi, già “scopritore” del Lotto, a spiegare il senso  di Fra Galgario ai moderni: distraendo committenti e spettatori con le magie del colore di vesti e tessuti, denudava le anime nei volti.

Pietro Citati scrive: non si rendevano conto, mentre posavano, che il loro demoniaco ritrattista penetrava dentro di loro, e frugava nelle anime, o nelle contraffazioni delle anime.

Gli aristocratici e i ricchi borghesi di Bergamo hanno gli sguardi rivolti verso sé stessi, in laghi di ansia e apprensione, forse nascondono follie; altri sono impavidi, arroganti, stolidi, immersi in tutto ciò che di equivoco e losco offre la vita. 

Un grande maestro, un minore nella sua città. Anche il Fra Galgario appeso nell’ufficio di presidenza della Ubi è stato sostituito con un’opera più glamour, optical, di un artista donna.

Tra gossip e amarezza, Fra Galgario continua ad aggirarsi inquieto tra i corridoi chiusi della Carrara (dove hanno messo i miei quadri?) e gli stanzoni dell’ex convento del Galgario dove posavano i vip, oggi dormitorio per extracomunitari dai grandi occhi e dalle labbra carnose.

(editoriale by Leone Belotti per il nuovo numero di CTRL, il magazine che “va a ruba pur essendo gratuito”, in distribuzione da oggi nei locali giusti con il titolo “i soliti bergamarci” partorito del duo Postini e Fennino, editore e direttore. L’immagine di copertina, elaborazione di un celebre ritratto doppio by Fra Galgario, è stata realizzata dai goodfellas dello Studio Temp)

animali da romanzo

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PWSimg

Shakespeare in Elav: esperienza fantastica, da raccontare.

L’occasione è stata la YULE FEST, assembramento di fine anno delle tribù dei pub/birrerie indipendenti

+ ii compagni d’avventura Matteo e Nicola (miei vicini di redazione di CTRL magazine)

+ il mitico cowboy Antonio del birrificio Elav, che alla pubblicazione del pianoB (idee vere per fare cultura, ricreare l’humus) aveva dato la sua disponibilità a ospitare iniziative di tal segno.

Idea nata da anni di esperienza, ma concretizzatasi in poche ore, con poche linee guida:

> Pub Writing Session significa ascoltare, trascrivere, mixare e pubblicare storie raccontate da sconosciuti davanti a una birra.

> il Pub Writer trasforma le storie sentite al pub in un romanzo corale,

in quanto scrittore di servizio non è un creativo, non è uno stilista, ma un artigiano anonimo, come i maestri pittori e scultori del medioevo,

l’opera che ne risulta non è d’autore, singolare, unica, ma plurale, comune, congiunta,

e dunque niente nome dello scrittore, né del “raccontatore”, ma tutta l’attenzione sulle storie, e non storie a piacere, di fantasia, letterarie, ma storie concrete, vere, capitate in questo 2013,

nello spirito della festa (YULE FEST è la festa nordica pagana di tributo al solstizio d’inverno, da cui ha origine il Natale cristiano) il tema scelto per la Pub Writing Session  “Shakesperare in Elav” è stato la fine/l’inizio: nelle 4 notti più lunghe dell’anno, si buttano fuori tutte le paure e gli incubi del vecchio anno, e si esprimono i sogni e i desideri del nuovo inizio;

perciò abbiamo fornito un “cartellone” delle storie da raccontare, 4 generi per 16 titoli proposti come una lista di birre tra cui scegliere:

> un storia da dimenticare

   una storia assurda -– sprofonderei – l’ammazzo – una pietra sopra

> una storia di sesso

   avevo bevuto – non così veloce – non può funzionare – chiamami

> una storia di soldi

 che pacco – soldi buttati – lo faccio per i soldi  – avendo i soldi

> una storia mai vista

   se rinasco – giuro lo faccio – neanche te lo immagini – una bella storia

L’unica “regola” è stata questa: storie brevi, 1000-3000 battute, cioè stampabili su un flyer e di produzione immediata (pronte in mezz’ora, tra racconto, trascrizione, edizione e distribuzione)

La Pub Writing Session ha preso vita con la collaborazione di tutta la redazione CTRL, una decina di writer coinvolti, così organizzati:

Resident Pub Writer: nella postazione-confessionale, costruita con 4 palllets, due seggiole e una panca/scrittoio, lo scrittore riceve “tet e tet” chi vuole raccontare una storia (min15-max30 minuti)

Insider Pub-Writer:  disseminati tra i tavoli, riconoscibili da un distintivo, distribuiscono le storie fresche di stampa, aiutano le persone a scrivere la propria storia, ascoltano e trascrivono sussurri e grida, mezze frasi,  storie di gruppo, conversazioni

Pub Writing Box: l’urna dove mettere la frase o la storia scritta direttamente da te

Pub Writing Editor: l’uomo alla stampante, che rapidamente riceve, rilegge, edita e stampa le storie.

Ne è uscita un’esperienza estrema, controtendenza, dal successo imprevisto.

In un contesto per nulla letterario, senza altri mezzi che qualche portatile e una stampante, abbiamo raccolto e pubblicato in 4 serate circa 150 storie “vere”,

come volevasi dimostrare, dove c’è buona birra, si trovano esemplari fantastici di maschi e femmine che in stato di grazia (non proprio sobri, ma nemmeno in ebbrezza molesta, diciamo alla seconda media) si rivelano animali da romanzo di prima scelta,

perché ti raccontano la storia così come l’hanno vissuta, il film, non le sensazioni e i ragionamenti che ti imbastiscono le o gli pseudo intellettuali da caffè letterario,

e tu rapido come una dattilografa scrivi tutto, ed è già tutto perfetto.

Alla Yule Fest vedevi in postazione il resident writer scrivere in diretta la storia di chi si sedeva davanti a lui,

la stessa cosa facevano disseminati in giro 5, 10 insider writer con portatile o notebook, mentre l’editor alla stampante sfornava le pagine di questo romanzo corale in progress,

e ovunque tra i tavoli persone intente a leggere, ed altre a scrivere a mano la propria storia sul retro, e a imbucarla nel box.

La pub writing session come spettacolo della scrittura, attrazione live, partecipata, è di fatto antica, ancestrale, cavernicola, rupestre;

evoca uno spazio protetto dove gli individui stanno raccolti attorno al fuoco, in prossimità fisica e intimità spirituale, a distanza d’alito;

nella caverna-pub la parola-voce diventa gesto-segno, incisione sulla roccia.

A mente fredda, si notano i caratteri dell’iniziativa:

> prima controtendenza: nell’epoca della creatività diffusa e del divismo di massa, tra scuole di scrittura e concorsi letterari, il pub writing è un’esperienza di scrittura non creativa, non d’autore, ma di servizio, d’ascolto e trascrizione, anonima.

> seconda controtendenza: nell’epoca del digitale e del web, il pub writing è la scrittura/lettura su carta, a voce, a mano, a distanza d’alito.

Dunque la scrittura come pratica sociale, fisica, manuale-orale, conviviale, a viva voce, frizzante, leggera, funziona,

e funziona lo scrittore come raccoglitore di brandelli di vita, e in seguito compositore di affreschi corali, texture che diventano il codice letterario di un luogo nel tempo,

e il pub il luogo deputato a pubblicare, come dice la parola.

Esperienza da replicare o testare in pub piccoli, in serate feriali, in modo stabile, continuativo, una sera la settimana, nel quadro di attività che rendono vivo l’humus culturale di una città.

La cosa che mi ha davvero stupito, oltre all’adesione del pubblico, è stata la disponibilità dei writer, liberati dalla responsabilità dell’autorialità, trasformati in un unico autore collettivo, capace di scrivere un romanzo-brogliaccio di 500 pagine in quattro notti.

Il vero lavoro editoriale adesso sarà quello di produrre una selezione delle meglio storie, per la pubblicazione rilegata, agile, in librino di 60-70 pagine,

e convincere il pub a pubblicare questo “polittico” come strumento di comunicazione, quasi a restituire ai propri clienti il distillato della grande bevuta di birra: lo “spirit”.

essere l’altro

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leo5

Uno scrittore che scrive di sé, come un cuoco che si prepara la cena, non serve a nessuno.

Una volta dicevo, provocavo, chiedevo ai miei allievi: e chi sei per parlarmi del tuo ombelico? Leopardi? Credi di essere Leopardi?

Davvero pensi che i tuoi moti interiori siano più interessanti delle variazioni del prezzo dei vitelli, o dei risultati sportivi?

Le antologie sono piene di “scrittori” che sono riusciti a scrivere e a diventare dei “grandi” nonostante non abbiano vissuto altro che una vita piccola, insignificante, penso a Petrarca, Leopardi, Kafka.

In realtà nemmeno Leopardi si contentava del proprio ombelico, e nella scrittura disperatamente cercava la possibilità di essere altro da sé, di essere Silvia, una siepe, un villaggio, una pianta, una rana, un topo.

Quando Kafka si immedesima in uno scarafaggio, che si nasconde terrorizzato dietro il divano, sta dicendo proprio questo: perfino uno scarafaggio è più interessante di me.

Al’estremo opposto del dilemma “scrivere o vivere”, abbiamo i grandi  “viveur” protagonisti di grandi avventure, imprese e conquiste erotico-militari, che oltre a vivere sono riusciti “anche” a scrivere, dico Giulio Cesare, Cervantes, Casanova, Ippolito Nievo, D’Annunzio, Bukosvky.

Entrambi questi approcci, chiamiamoli “leopardi moon” e “d’annunzio-mood”, si basano su una concezione titanica, lo scrittore come super-uomo, iper-sensibile o dotato di qualità eccezionali, fuori dalla norma, con una patente di superiorità auto-rilasciata…

Ecco allora l’aspirante writer che li prova entrambi, e dopo aver raschiato il fondo dell’anima, si decide a viaggiare, o si butta in qualche impresa assurda, pur di aver qualcosa da scrivere.

Scornato, si ritrova davanti il famoso foglio bianco di Mallarmè, e va in crisi. A questo punto arrivo io, e lo salvo.

Gli dico: esiste un altro approccio, più corretto, meno individualista,

un altro modo per fare lo scrittore che tutti possono seguire, apprendere, praticare, senza essere Leopardi o D’annunzio: è lo scrittore di servizio, una via di mezzo tra il confessore e il reporter, che raccoglie e scrive storie non sue,

è l’artigiano della mimesi, della capacità di immedesimazione,

è un demiurgo che impasta materia non sua, è il virtuoso del collage, il tecnico del montaggio,

è uno capace di viaggiare nelle esperienze altrui, e farne un grande affresco: è Omero, Dante, Shakespeare, Hemingway.

Lo scrittore vero non crea, ma trasmette: il vero senso  della scrittura è un gesto di comunicazione, fin dall’origine, un tra-scrivere.

Scrivere significa essere l’altro, scrivere le storie degli altri.

Ecco il mestiere dello scrittore, mettere su carta le storie che legge sulle labbra di chi racconta, ecco la chiave d’accesso al pieno godimento dell’esperienza di scrivere-leggere.

Oggi, nell’epoca del web, questo segreto, questo raccoglimento, questo incontro che dà origine alla scrittura, è perduto;

con il web moltissimi scrivono: in realtà la maggioranza non sta propriamente scrivendo, ma semplicemente parlando per scritto, in modo diaristico.

Ciò che da sempre si scriveva nel proprio diario, per custodirlo privatamente, oggi lo si scrive pubblicamente sul web,

e di fatto le esperienze, i ricordi vengono così dilapidati, dispersi ai quattro venti.

Pochissimi sul web sono scrittori, se intendiamo come mestiere dello scrittore scrivere le storie di chi non scrive. Di chi vive.

Dunque, uscire, andare al pub in cerca del vecchio marinaio, e delle sue ballate.

Da queste premesse, e una certa incoscienza, è nata l’idea della Pub Writing Session, e il progetto di creare la figura del Pub Writer, l’uomo che armato di penna o portatile ruba le storie nei pub,

il pub writer – come un dj – suona musica d’altri, la sua arte è la compilation, la scaletta, il remix, il coinvolgimento-riconoscimento in uno sfondo, in un tappeto sonoro, dei nodi, dei fili individuali.

la sua arte è quella di interpretare ed esprimere, cioè interpretare esprimendo ed esprimere interpretando, c’è anche una parola che indica questa prassi: ermeneutica.

Il pub writer è lo scrittore di servizio, il suo lavoro è quello di abbassarsi a far da levatrice.

(photo by Chiara Locatelli, il pub writer -scarafaggio Leone Belotti schiacciato dal tacco del potere ginecocratico)