la nuova destra spiegata alla vecchia sinistra

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NuovaDX

Attenzione! Se siete di sinistra e volete “fare un giro” per capire la nuova destra,

non dovete passare dal centro dell’arco parlamentare, piuttosto da “sotto”, seguendo l’arco extra-parlamentare, che dall’estrema sinistra conduce all’estrema destra, attraverso il pensiero anarchico.

si faccia attenzione: quando parliamo di nuova destra europea, o giovanile, non ci riferiamo in alcun modo alla destra borghese, padronale, statica e miope, elettorale, irreggimentata,

non parliamo di partiti, programmi, leggi; parliamo di fermenti, consensi e repulsioni della destra popolare, massiva, silente, giovanile e senile, proletaria, neoproletaria, sottoproletaria e con frange alto intellettuali e alto borghesi, eversiva e sovversiva per reazione,

parliamo di questioni, temi, ideali, rivendicazioni storicamente bagaglio della sinistra, che la vecchia sinistra, ormai ridottasi a forza (o debolezza) di pseudo-governo, utilizza come immagini strumentali, come valori nostalgici, per finalità elettorali,

quello che sta accadendo, è molto semplice: una serie di soggetti, individui, gruppi, movimenti, tribù urbane che per origine e ideologia si credevano di sinistra, ovvero che si sono sempre dichiarate di sinistra, e tali sono sempre state credute dall’esterno,

oggi scoprono una nuova e più autentica identità nei fermenti dell’estrema destra non parlamentare:

parliamo di gay, femministe, anarchici, sovversivi/centri sociali, disoccupati, animalisti, ecologisti, anti-proibizionisti e anche immigrati;

Pazzesco? No,  semplicemente di fronte alla crisi globale (crisi sociale, finanziaria, ambientale) il pensiero di destra, l’umore, la temperie della nuova destra sembra avere più risposte, più reazioni, e anche più idee della vecchia sinistra,

ed è questo il fatto paradossale, preoccupante, significativo, per chiunque osservi con disincanto – e facendo uno sforzo di onestà intellettuale – i rivolgimenti della coscienza collettiva europea, specie giovanile,

l’analisi da fare è lunga e impegnativa, e sarebbe compito del centro studi del PD (sempre che ne abbia ancora uno, perché da fuori l’impressione è che il grande partito della vecchia sinistra abbia concentrato ogni risorsa intellettuale nel marketing politico, con risultati deprimenti)

il riscontro immediato, la realtà che incontra chiunque si addentri senza pregiudizi in queste tribù che definiamo “migranti” verso la destra, è di un’evidenza che la vecchia sinistra non può più fingere di non vedere, o liquidare con snobismo come fenomeni di populismo o grillismo;

a quel punto avrete una carrellata sulle tribù migranti dalla vecchia sinistra alla nuova destra, e sarete choccati nello scoprire che:

1) se sei ribelle, e disposto a lottare per cambiare il mondo, con una pulsione anti-americana, anti-euro, e radicalmente no-global, facilmente sei un giovane di estrema destra;

2) se sei un giovane, laureato, senza lavoro, se sei un artigiano, un anarchico, un intellettuale, un artista, oggi, in europa, l’unica strada di vero cambiamento  che vedi è la nuova destra;

3) se se gay, dichiarato o no, oggi, in europa, sei della nuova destra, dichiarato o no,

4) se sei femminista, oggi, in europa, sei della nuova destra, in modo sempre più dichiarato

5) perfino se sei un immigrato, oggi, in europa, sei “logicamente” della nuova destra,

6) se sei un vero animalista, oggi, in europa, sei della nuova destra, per reazione all’animalismo borghese fatto di orribili sentimenti di possesso e altrettanto orribili misure pubbliche di “irregimentazione” dell’animale-uomo in uomo-polpetta (tracciabile).

7) se sei equo-solidale, hai più riscontri, più identità storica  nella nuova destra, che nella vecchia sinistra, con i suoi assurdi cioccolatini equo-solidali, che proprio come la Coca Cola fanno il giro del mondo prima di essere venduti con i punti Fragola all’Esselunga.

8) se sei un “terra madre”, un “chilometro zero”, prima o poi onestamente ti scopri di nuova destra,

i discorsi sono enormi, come si vede, urgenti, necessari, eppure io vado agli incontri, seguo i dibattiti, le proposte di tutto l’arco “civile”, e trovo pochissimo;

seguo i discorsi on line,  vado nei centri sociali, ai rave party, allo stadio, nei circoli, nei pub  e ovunque trovo persone dai 20 ai 60 anni che cercano un modo di vita o non ne possono più degli unici possibili, persone che di fatto vorrebbero vivere secondo nuovi patti sociali, e immaginano mondi più ristretti ma reali e possibili, dove vivere liberi dal demone-finanziario,

dalla tribù terra madre, ad esempio, stanno nascendo tribù di neo-feudali, eco-feudali, tecno-feudali,

il pensiero, la visione della destra neorurale, a differenza della sinistra equo-solidale,  ha un modello, un input storico forte implementabile sull’ideologia del km zero, del biologico e dell’impatto zero/energie naturali;

un modello eco-feudale, che si basa su una retro-proiezione al medio evo:  la struttura curtense, concentrica,

con al centro il castello (o l’abbazia-monastero), attorniato dai borghi artigiani, dagli orti, dai pascoli, dalle cascine e dalle terre comuni,

un modello micro-territoriale chiuso, autosufficiente, comunitario,

una contea, una marca, un territorio vero, di 100-200 kmq, con 1000-2000 persone, che può fare a meno dello Stato, dell’Eni, dell’Enel e di Telecom,

equivalente a quello che oggi è un comune con il suo territorio, con sue leggi, fonti d’energia, produzione alimentare e scambi con l’esterno unicamente in forma di baratto collettivo,

un sistema di vita agro-comunitario, basato su alcuni punti fermi:

il km.zero integrale e dunque l’abolizione del denaro (per questo la dimensione comunitaria minima è  di 1000-2000 persone)

l’abolizione di ogni burocrazia (per questo la dimensione comunitaria massima è sempre di 1000-2000 persone)

in parallelo al km.zero delle merci e delle leggi,  il km1000 delle idee e della tecnica,

perché nel nuovo feudo, nella tecno-abbazia, ferve l’attività intellettuale, la ricerca, il contatto e la comunicazione web con feudi di tutti i mondi, l’incontro con studiosi e  ricercatori provenienti da altri feudi, che portano idee, sementi, tecniche sostitutive della vecchia tecnologia nemica della terra…

una nuova forma di comunità umana composta da individui-leoni (contestualmente si abbatte la società individualista degli uomini-pecore)

una visione decisamente più radicale, più social e più “ideale” del banale sogno personale cui si è fermata la vecchia sinistra: aprire un agri-turismo!

Questo è solo un accenno, ognuna delle tribù citate ha i suoi “grilli” di nuova destra per la testa, e forse bisognerebbe occuparsi positivamente di questo grillismo diffuso,

il povero “beppe” è soltanto uno dei tanti, chi non ha grilli per la testa in questo momento?

Le “prove di colpo di  stato” (sia teatrali che legali) avvenute in Grecia, il successo dei partiti di estrema destra nell’estrema europa (Norvegia, Grecia, Portogallo) dovrebbero farci fare un passo più intelligente del “Oh mio Dio, è la fine di un mondo!” che ci porta a ridurre la questione al nobile dilemma democratico se mettere fuori legge Casa Pound o Alba Dorata.

Certo che è la fine di un mondo! Adesso, come direbbe Marx, bisogna pensarne uno nuovo!

(intervento di Sean Blazer all’incontro su “la nuova destra europea” promosso da Internaz. TurboComunista; imago: lampada Drop, design by Karim Rashid, produz. Purho)

le nouvelle jacquerie

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jacquerie

(“Le nouvelle jacquerie”, by Sean Blazer, intervento al seminario “attualità dell’esproprio proletario” tenutosi a margine dell’incontro dei saggi di governo a Francavilla a Mare; imago ex scene iniziali del film cult Zombie by G.Romero.)

Nell’ancient regime, quando i signori del castello sguazzavano nell’oro senza nemmeno accorgersi che i servi della gleba già da tempo avevano iniziato a crepare di fame, improvvisamente, scoppiava una jacquerie,

cioè una rabbia e disperazione collettivamente repressa, che a una certa temperatura esplodeva in modo non organizzato, quasi per combustione spontanea,

la jacquerie contadina si risolveva solitamente in una notte, con l’assembramento della massa critica, l’assalto al castello con forconi e badili, lo sterminio dei signori, l’incendio “dei registri”, la rapina dei tesori, delle armi, del bestiame, la spartizione dell’oro, e delle scorte dei granai,

poi, nel giro di ore, di giorni, al massimo di settimane, arrivava un’armata imperiale, e ristabiliva l’ordine, con punizioni esemplari

l’equivalente della jacquerie dei servi della gleba, nell’epoca dei servi del consumo, sarà evidentemente l’assalto al centro commerciale,

assalto sino ad oggi “metaforico”, ma che prossimamente, salendo la temperatura di frustrazione nella massa oppressa, si realizzerà in assalto vero e proprio, semplicemente sposando un qualche meccanismo di contagio “social event”, quasi autogenerato dai network,

si veda l’esempio del centro commerciale “assaltato” a Palermo (si promettevano televisori a 1 euro): basterà che qualcuno dica “spesa gratis”, basterà un numero, una data, un’ora,

50.000 persone, contro qualche decina di vigilantes, che deporranno le armi, come ha quasi sempre fatto l’esigua e sottopagata guarnigione del castello (per non essere linciati, non per altro)

sarà un assalto ai beni di necessità, e dunque, oltre ai beni di necessità fisica, cibo, vestiti, anche ai beni di necessità psicologica e sociale, inerenti la comunicazione:

le tecnologie, gli abbonamenti selvaggi alle tv,

smart e tablet, non solo sfiorati col touch, ma afferrati a piene mani,

per poi magari essere gettati dopo poco, e con stizza, come noccioline che non si aprono:

e quello sarà il vero passo avanti,

cui le armate imperiali non potranno porre rimedio.

(“Cosa te ne fai, non è collegabile” dice lo Zombi1 allo Zombie2 che ha rubato una tivù,

al che lo Zombie2 risponde: “Hai ragione”, e la distrugge a mazzate)

un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia

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Italia

Un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia.

L’Italia è un fantasma perché la sua storia è quella di un fantasma, una sembianza, un’apparenza. E l’apparenza inganna. L’Italia, la storia dell’Italia moderna, è un caso esemplare di un’identità costruita sull’inganno delle apparenze.

Basta rileggere senza paraocchi le 4 mitologie cruciali della storia italiana contemporanea (Risorgimento, Ventennio Fascista, Resistenza, Made in Italy) per comprendere cosa sia lo stile italiano, e quanto sia storicamente radicato.

Il Risorgimento viene impartito – già dalla parola – come fenomeno morale che si manifesta in episodi esemplari (con specifica denominazione: i “moti risorgimentali”) che fungono da “trailer” di un sentimento nazionale e popolare in realtà inesistente.

La mitologia-mitografia risorgimentale con i suoi testimonial (Ciro Menotti, Silvio Pellico, Carlo Pisacane) i suoi art director (Mazzini, Garibaldi, Cavour) e la sua grande campagna di lancio (“Spedizione dei Mille”) è un grande esempio di costruzione spettacolare di una favola che non c’è:

pochi intellettuali e rivoluzionari professionisti, in esilio, completamente staccati dalle esigenze e dai sentimenti popolari, senza alcun seguito nelle masse contadine, quindi un colpo di stato (la spedizione dei mille) finanziato o organizzato dalle grandi potenze (con l’apertura del canale di Suez, per ragioni chiaramente commerciali, diventava fondamentale avere un’Italia unita e integrata al sistema europeo), quindi trattative in alto loco (ti do la Savoia, mi dai il Veneto) e l’Italia è fatta.

Il Risorgimento, cioè l’atto di nascita del paese Italia, è una grande operazione di falsificazione e costruzione di un patriottismo idealista, strumentale, del tutto inesistente, se non nella testa di qualche aristocratico idealista e qualche sincero rivoluzionario (gli “utili idioti”).

Di fatto: sono bastati 1000 garibaldini ad annettere quasi pacificamente il Sud in due mesi, ma non sono bastati 100.000 soldati e cinque anni di repressione sanguinaria (culminata con la rivolta di Palermo – unico vero episodio di partecipazione popolare del Risorgimento, peccato che fosse anti-italiano)  che nessuno conosce, con migliaia di morti, deportazioni, villaggi incendiati, esecuzioni sommarie a sottomettere quelle popolazioni e regioni che si pretendeva di aver liberato,

e che invece si sono subito ribellate al nuovo stato, appena il nuovo stato ha tradito platealmente le promesse (distribuzione della terra ai contadini, che è invece diventata privatizzazione del demanio a beneficio dei grandi proprietari, e conseguente peggioramento delle condizioni contadine)  fino a  essere sottomesse con la forza, oltre che con la propaganda (e questo reale risorgimento e resistenza del sud italia al nuovo stato nordista viene chiamato “banditismo”,

e qualsiasi storico onesto vi dirà che questo passaggio storico è alla base della questione meridionale, cioè della non adesione del sud al paese, alle istituzioni, e della conseguente diffusione endemica di mafia, camorra, n’drangheta, etc).

Sulla “questione meridionale” hanno poi disquisito (e campato) generazioni di intellettuali e politici, senza mai andare alla radice della questione, chiaramente, perché se qualcuno (lo Stato italiano) ti paga per occuparti di un problema tu non puoi dirgli che la causa del problema è lui (lo Stato italiano).

Col Ventennio Fascista la tecnologia di costruzione dl consenso trova il suo massimo sviluppo: i mass media, l’architettura, la scenografia, lo sport, tutto diventa immagine coordinata e  diffonde in Italia e nel mondo questa nuova mitologia, lo stile italiano, cioè ordine, benessere, civiltà, modernità, ginnastica e tecnologia.

Starace, D’Annunzio, Mussolini: al di là del fascismo, sono i precursori della società dello spettacolo, della pubblicità e delle comunicazioni di massa basate sul consenso verso un sogno, una favola.

Ma la favola si interrompe di colpo, l’apparenza di un paese militarizzato si scioglie nelle nevi, in Grecia, in Russia, lo stivale italiano ha le suole di cartone, il regime costruito in vent’anni crolla in mezz’ora, il re scappa vilmente con tutta la corte (e ha sulla coscienza i martiri di Cefalonia) il paese è occupato da eserciti stranieri:

una catastrofe, una tragedia nazionale, lo stile italiano rivela tutta la sua falsità, è l’occasione per cambiare stile, mentalità, tutto, diventare un paese onesto, consapevole.

E invece cosa accade? Si inventa una nuova favola. La Resistenza!

La Resistenza, con i suoi copywriter (Vittorini, Pavese, Fenoglio) similmente al Risorgimento e al Fascismo mistifica la realtà: accade così che poche centinaia di sinceri antifascisti, e pochi episodi locali di guerriglia, diventino sui libri di storia della scuola dell’obbligo un movimento di massa protagonista di una gloriosa pagina nazionale (con specifica denominazione: “la Liberazione”) che copre la realtà storica, cioè la inenarrabile vergogna nazionale che è nei fatti storici, in certi fatti storici decisivi e davvero esemplari,

come la fuga del re e di tutto la classe dirigente, e soprattutto la guerra civile-macelleria-pulizia etnica: in un mese, maggio 1945, 40.000 morti “gratuiti”, a guerra finita, per lo più uccisioni di pura vendetta, faida, frustrazione, non una pagina onorevole, evidentemente, perché bastava essere additati come fascisti per essere ammazzati per strada, ed è chiaro che allora il 99% degli italiani avrebbe dovuto essere ammazzato per strada, a cominciare da quegli stessi “intellettuali” che questo massacro hanno giustificato e alimentato,

in primis il mostro sacro Vittorini, che dopo aver passato venti anni a far carriera come intellettuale squadrista e fascista con un colpo di spugna rinasce antifascista comunista e sanguinario: i suoi scritti incitano ad ammazzare “i fascisti” perché ci sono “uomini, e no” e i fascisti non sono uomini, sono solo “figli di stronza” .

Non solo nessuno gli rinfaccia il clamoroso voltafaccia ma tutti lo riconoscono e acclamano nuova guida morale del paese, e infatti dirigerà la più importante casa editrice italiana.

E’ l’esempio del trasformismo sfacciato dell’intellettuale italiano.

Oggi vediamo  l’ultima versione di questo tipo nella generazione dei sessantottini trasformatasi nella classe dirigente pubblicità-giornali-televisioni della società dello spettacolo.

Quindi, quando oggi celebriamo l’Unità d’Italia e il Made in Italy, stiamo celebrando questo, l’incredibile sfacciataggine e capacità  di imporre apparenze ad altissima percentuale di falsità aggiunta: e questo carattere, questo stile italiano, è costitutivo dell’identità e della storia nazionale, sia delle due grandi mitologie fondanti, Risorgimento e Resistenza, sia della mitologia “rimossa”, il Fascismo.

Il Risorgimento, propagandato e imposto come risveglio della coscienza nazionale e di valori come unità e indipendenza, nasconde la feroce repressione (brigantaggio) seguita a un colpo di stato (spedizione dei mille) finanziato dalle potenze straniere e realizzato da quelli che oggi chiameremmo terroristi o mercenari.

La Resistenza, propagandata come rinascita civile e di valori come libertà e democrazia, nasconde la vergogna del voltafaccia e della pulizia etnica per non affrontare la vergogna di un paese opportunista, codardo, vendicativo e servo del potere.

Poi cosa succede? Come si arriva al Made in Italy? Siamo nel 1945, l’Italia è un paese vinto, distrutto, occupato dagli Americani.

Succede che gli Americani hanno capito perfettamente cosa sia e a cosa serva lo stile italiano. E’ l’avanguardia di comunicazione del consumismo: diventerà il modello, l’immagine della democrazia del benessere, filoamericana.

E dunque niente sanzioni, niente punizioni, niente esame di coscienza collettiva e ricostruzione morale, ma invece: palate di dollari, ovvero: il piano Marshall, e la Thompson.

La Thompson è stata la prima agenzia pubblicitaria a lavorare sul mercato italiano, è subentrata direttamente al Minculpop: la Thompson è sbarcata a Salerno nel 43’, come ufficio stampa dell’esercito americano, poi diventata ufficio stampa del piano Marshall, poi prima e unica agenzia pubblicitaria ad operare in Italia nel momento del boom economico.

E quindi: la repubblica italiana nasce col piano Marshall, ed è fondata sulla pubblicità.

Soldi che piovono dall’alto. Un colossale investimento pubblicitario. A una condizione: niente comunisti al governo.

Ecco il paradosso, il capolavoro: proprio mentre si sventola una repubblica basata sull’antifascismo, con il più forte partito comunista di tutto l’Occidente, con intellettuali comunisti al comando nei giornali, nelle case editrici e nelle università, invisibile, reale, permane la condizione-cappio: niente comunisti al governo.

Da qui, come tutti sanno, la strategia della tensione (piazza Fontana, piazza della Loggia, treno Italicus, sequestro Moro, stazione di Bologna) cioè una serie di stragi (veri e propri avvertimenti) che arrivano puntualmente ogni qualvolta si presenta il pericolo che la sinistra vada al potere,

esattamente come accade in una classe di bambini dell’asilo cui viene promesso un premio, un premio che non arriva mai, e non per colpa della maestra, ma perché c’è sempre qualche bambino che all’ultimo momento combina un guaio, e rovina tutto.

Ecco lo stile italiano.

L’Italia contemporanea, la Repubblica, è un soggetto incerto e impotente per questo motivo, questo Economic Recovery Plan, questo “regalo”, questo “potlach” che ci ha reso succubi prima dell’economia e poi della cultura commerciale americana.

Lo stile italiano, cioè la capacità di costruire apparenze, trova la sua nuova ragione d’esistere nella moda  e nel design, e diventa in tutto il mondo il vangelo del consumismo vistoso e dello snobismo di massa.

Berlusconi, con la guerra dell’etere, porta a compimento questo tracciato, schiantando la “resistenza” cattolica e comunista: fino alla fine degli anni Settanta, per accordo catto-comunista, erano vietate le pubblicità dei beni di lusso, ed erano considerati beni di lusso tutti quelli non alla portata delle tasche proletarie.

Al Carosello vedevi il caffè, la pasta, il detersivo, non le auto di grossa cilindrata, non le pellicce.

Se non ci fosse stato prima il piano Marshall e poi Berlusconi, avremmo dovuto fondare il made in Italy sul lavoro (o sulla tecnologia vera, come ha fatto il Giappone) mentre l’abbiamo fondato sui debiti e sulla pubblicità.

Basta guardare le cifre per vedere che siamo il paese che proporzionalmente al nostro PIL è sempre il primo al mondo per spesa pubblicitaria e l’ultimo per livello d’istruzione.

L’Italia non è una repubblica fondata sul lavoro e sulla resistenza. L’Italia è una privativa basata sulle apparenze e sul trasformismo. La sua storia lo dimostra.

Per un paese che già nell’Ottocento è stato capace di vendere un colpo di stato con conseguente repressione militare (cioè: la tipica nascita di un regime) come un’epopea eroica di patriottismo e più tardi, nel secondo dopoguerra, è stato capace di vendere, in pacchetto completo, venti anni di consenziente servilismo di massa culminati in un mese di pulizia etnica come eroica resistenza antifascista, per questo paese, è stato un gioco da ragazzi vendere il Made in Italy, lo stile italiano, è chiaro:

puoi falsificare la tua storia cambiandoti d’abito, noi lo sappiamo fare, noi siamo i numeri uno, noi ti diamo gli strumenti per governare l’apparenza e creare realtà ingannevoli.

Tu sei avido, invidioso, vile, disonesto, incapace, bramoso, ridicolo, furbo, vorace, ignorante, ottuso. Ti rivolgi allo stile italiano.

Diventi sofisticato, intrigante, sensibile, elegante, colto, seducente.

Ha funzionato per trent’anni. Adesso è finita. Serve una nuova favola.

tratto da “Lo stile italiano” by Sean Blazer (alias Leone Belotti) – Calepio Press

 imago: Biennale di Venezia, padiglione Italia, 

lo stile italiano

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7.13_Onofrio_Martinelli

Lo stile italiano si basa su un’unica, potente promessa: l’apparenza  inganna.

L’italia stessa trova la sua identità nell’inganno delle apparenze.

Lo stile italiano stesso in apparenza è autentico, unico, intelligente e suggestivo; in realtà è falso, riprodotto, stupido e freddo.

In questo, risponde esattamente al target di riferimento, il signorotto italiano, e le sue donnette.

Basta guardare una pubblicità di moda italiana per capirlo: Armani, Versace, Prada, Dolce&Gabbana, Cavalli e Diesel, insieme, non fanno che gridare “vendiamo fumo, la merce più utile in un mondo in cui l’apparenza inganna”.

Il signorotto italiano nelle sue varie configurazione (signorino, signorone, possidente, imprenditore, professionista, dirigente)

è in Italia quel che nel resto dell’occidente è il borghese, ma differisce da questo perché i valori-guida del borghese (onestà, meritocrazia, sobrietà, giustizia, libertà etc) in Italia sono semplici etichette (apparenze) che coprono i meccanismi reali, radicati da secoli, del funzionamento sociale (raccomandazioni, privilegi, corruzione, intimidazione, servilismo, nepotismo, familismo, etc).

Lo stile italiano ha origini nella storia d’italia, nella transizione dalla civiltà classica greco-romana alla civitas cristiana.

Il primo carattere di questa fusione, è il maschilismo:  non è un carattere originario, ma un portato ideologico costruito dai padri della chiesa, così come il secodo carattere, la sacralità delle scritture, e dunque della legge. Maschilista, teologico, codificato. E’ lo stile italiano.

L’italia in apparenza è un giardino con palazzi rinascimentali e borghi storici, un manto verde tra un cielo bianco e una terra rossa; con intorno un mare azzurro.

In realtà l’italia è una discarica di storia e cultura, rifiuti e veleni, un angolo morto di cielo grigio e terra bruciata, circondato da un mare nero.

i valori civili in italia sono rimasti quelli torbidi  della congiura di palazzo, che sia un condominio, o palazzo chigi, la delazione e il doppiogiochismo sono pratiche di massa, maggioritarie,

il carattere principe dell’italiano è il trasformismo, anche istantaneo:

stiamo parlando di un paese la cui maggioranza dei cittadini è capace con grande naturalezza storica di andare a letto la sera fascista a vita e svegliarsi la mattina antifascista da sempre. La vita è un sogno, l’apparenza inganna.

Al lavoratore viene offerta l’apparenza del possedere, il posto di lavoro e la casa, vincolati l’uno all’altro dal più potente strumento di sottomissione, le rate del mutuo;

all’artigiano viene offerta l’apparenza del diventare imprenditore, e la sostanza dell’annegare tra le onde del mercato e/o essere stritolato tra i tentacoli del fisco.

Il lavoratore, persa la dignità del nullatenente, e l’artigiano, persa la libertà del proprio lavoro, non hanno altra strada che quella ormai imboccata:

portare avanti la recita, ingannare se stessi, ingannare gli altri,

e dunque l’interesse del vivere si concentra sull’indossare abiti firmati, non importa se falsamente autentici o autenticamente falsi, basta che garantiscano l’apparenza (o un’apparenza d’apparenza).

Nello stile italiano  identifichiamo l’anima  della società dello spettacolo,

figura ultima del capitalismo  come sistema di sfruttamento finanziario, morale, culturale esercitato da una esigua minoranza  (l’elite) sulla stragrande maggioranza (la massa).

Circense, curtense, ecclesiale, militare, industriale, radiofonico, televisivo, telefonico, informatico: il modo d’aggregazione è il mezzo di sfruttamento, ecco il filo nero del modello storico italiano.

Le radici del modello spettacolare italiano  affondano nella Roma circense. Nerone ha inventato il reality show.

Quindi nella teatralità della liturgia cattolica e nello sfarzo esemplare delle corti rinascimentali.

Nell’età moderna, c’è un solo prodotto del genio italiano: l’opera.

Nell’opera lirica,  l’ideologia italiana è sublimata: l’apparenza  inganna, i fondali sono di cartapesta, i cantanti truccatissimi, ma quanto sono veri i sentimenti che questa apparenza produce!

L’ideologia italiana  promette di confezionare in un mondo di sogno la vita interiore.

Non la vita reale, non il lavoro, non la società civile, ma lo spettacolo, il sogno, il teatro, il gioco saranno gli ambiti nei quali l’italiano investirà sentimenti, credenze, speranze.

Lo stile italiano moderno nasce radiofonico nel ventennio fascista: nello spettacolo del regime fascista, ravvisiamo le origini della moda e del made in Italy come modello di apparenza e consenso sociale.

La matrice radiofonica-fascista dello stile moderno italiano viene travolta dalla guerra e dopo un trentennio di catto-comunismo rinasce negli anni ottanta come made in Italy grazie al mezzo televisivo – e quindi telefonico.

La moda e il design sono la sceneggiatura dello stile italiano contemporaneo,  il calciatore e la velina i suoi interpreti,  il mondo intero il pubblico pagante.

Bellezza, vigore, eleganza, unicità, igiene, tecnologia, ecologia, ironia, leggerezza, beneficenza e arte sono i valori propalati.  Ignoranza, violenza, furbizia,  scaltrezza, arroganza, familismo, possesso e usura del denaro sono i valori sottesi.

Lo stile italiano è il cardine della società dello spettacolo.

La società dello spettacolo si basa sull’immagine,  il suo senso è l’apparenza,  il suo codice la finzione, la sua prassi la recita.

E’  la tragica caricatura di una mitica società ideale platonico-epicurea, basata sul teatro, la ginnastica e le sensazioni del piacere nelle sue varie forme (dell’occhio, dell’orecchio, della gola, del naso, della pelle).

Rispetto alla sobrietà e all’etica protestante del capitalismo industriale, lo stile italiano rappresenta una società al contrario, carnevalesca, dove nulla è quello che appare e nella quale il capocomico viene fatto re (o il re si fa capocomico).

(tratto da Sean Blazer “Lo stile italiano” CalepioPress 2013, immagine: “Composizione di nudi” by Onofrio Martinelli, 1938)

adv m3

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PicciBelen

l’advertising “ménage à trois” (m3)

imperversa in tv nelle due classiche possibilità:

1) per una società di antennisti abbiamo lui, lei e l’altra

(Belen, quella che ti monta la connessione, mentre la Piccinini è quella che salta)

2) per una casa farmaceutica invece abbiamo lei, lui e l’altro

(quello che passava di lì, come il mal di testa, in capsula).

Lo spot con la Belen, per usare il linguaggio tecnico degli art director di successo,

è chiaramente “uno spot di figa”, destinato al maschio idiota,

mentre lo spot della capsula è uno “spot del cazzo”, destinato alla femmina isterica.

Insieme, il maschio idiota e la femmina isterica, per gli investitori,

rappresentano la coppia campione della società italiana,

che tira avanti a tv e pastiglie, sognando un’amante (che faccia girare la testa).

Lo spot del mal di testa è prodotto dall’agenzia Testa.

Lo spot del trio Belen ha prodotto  30.000 nuovi clienti in 3 mesi.

La domanda tragica è: un popolo ha la pubblicità che si merita?

Come abbiamo potuto ridurci a un livello di aspirazioni così basse?

La pubblicità nasce per vendere automobili (ed altro) come promessa di libertà.

Ma la libertà che viene offerta oggi in Italia insieme all’auto è agghiacciante:

“poi sei libero di restituirla” (per uscire dal tunnel delle rate).

Del resto, la rivoluzione proposta alle nuove generazione è un conto in banca,

mentre gli idoli del calcio consigliano ai ragazzini il gioco d’azzardo on line,

le grandi firme della moda esaltano fragranze che sanno di mercificazione sessuale

e i comici più irriverenti sono stati assunti dalle compagnie telefoniche

per irridere e dileggiare intellettuali, artisti e operai.

La dittatura non si costruisce, e nemmeno si abbatte, in pochi giorni.

Occorrono alcuni anni, ingenti risorse, e molti collaboratori.

                                     Sean Blazer per adv zero/Calepio Press