suicidarsi a scuola

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controvento

sul pensiero del suicidio e sul suicidio si è sempre dibattuto e discusso, e da parte di tutti e senza eccezioni si è anche continuamente taciuto, 

so di parecchi esequie nel corso delle quali questi allievi – e cioè esseri umani tredicenni o quattordicenni o quindicenni o sedicenni, ammazzati dal loro ambiente – sono stati sotterrati, ma non sepolti, perché in questa città rigidamente cattolica questi giovani suicidi, com’è naturale, non sono stati sepolti, bensì soltanto sotterrati nelle circostanze più deprimenti, più umanamente degradanti.

Un sacerdote non ha nulla da cercare alle esequie di un suicida in una città come questa, totalmente abbandonata all’ottusità del cattolicesimo e totalmente soggiogata da questa cattolica ottusità.

I più esposti al suicidio sono i giovani, gli adolescenti lasciati soli dai loro genitori e dagli altri educatori. Ciascuno di noi avrebbe potuto commettere suicidio, in alcuni si era sempre letto in faccia con chiarezza anche prima, in altri no.

Quando qualcuno preso da improvvisa debolezza non riusciva più a sopportare  né il terribile peso del suo mondo interiore, né quello del mondo intorno a lui, poichè aveva perso l’equilibrio tra questi due pesi che entrambi lo opprimevano senza posa,  e quando poi d’improvviso, da un certo momento in poi, tutto in lui e nel suo aspetto alludeva al suicidio, e la sua decisione di compiere suicidio si poteva notare  e ben presto desumere con spaventosa chiarezza da tutto il suo essere, sempre noi eravamo preparati e mai sorpresi di fronte all’orrore che diventava realtà, di fronte al suicidio che veniva coerentemente attuato dal nostro compagno,

mentre il direttore con i suoi aiutanti non si è mai neanche in un solo caso accorto di una simile fase di preparazione al suicidio, e sempre anzi è stato sgradevolmente sorpreso, e ogni volta inorridito e al tempo stesso ha dato a credere di sentirsi raggirato da colui che altri non era se non un infelice, come se questi fosse invece un impudente truffatore, ed è sempre stato spietato nella sua reazione, disgustosa, di fronte al suicidio dell’allievo, freddo e pronto ad accusare un colpevole che com’è ovvio era innocente, perché la colpa non è mai del suicida ma sempre dell’ambiente, in questo caso dell’ambiente cattolico che aveva schiacciato questo essere umano istigandolo al suicidio.

(brani tratti da: Thomas Bernhardt – L’origine – 1975)

photo by Alessandra Beltrame

 

Bergamo chiama Bergoglio

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01 Bergamo Alta tar le mura venete

All’epoca in cui si è “rinchiusa” nelle mura, nel 1550, Bergamo Alta aveva 40.000 abitanti. Nel 1950 ne aveva 8000. Oggi ne ha 2000. Come città, è praticamente morta. Come città d’arte, non sta benissimo.

Le città d’arte che pensano di poter vivere facilmente di turismo, molto facilmente poi ne muoiono, vuoi per eccesso, o per carenza:

la bulimia turistica è conclamata quando in un dato luogo esistono solo attività turistiche e di fatto l’unica cosa autentica da vedere è la massa stessa dei turisti;

ne sono colpiti i grandi centri storici come Roma o Venezia, ma anche cittadine d’arte come San Gimignano, Gubbio, Orvieto, Volterra,

l’anoressia turistica, all’opposto, uccide tutti quei centri pur ricchissimi di arte, storia, architettura, e autenticità, ma poverissimi di notorietà, spirito e strutture d’accoglienza.

Bergamo Alta è sia bulimica che anoressica, a zone,

soffre di bulimia la nervatura urbana centrale, l’asse “corsarola” via colleoni/via gombito che collega la cittadella a piazza vecchia e al mercato delle scarpe, ingozzata di turisti, negozi, bar, boutique;

soffrono invece di anoressia, spopolate, totalmente prive di negozi, bar, persone, le direttrici laterali: sia la “dorsale” via boccola, vagine, tassis, solata, rocca, che la “ventrale” via arena, donizetti, s.giacomo; con le piazze angelini, lavatoio, rosate ridotte a parcheggi, cioè dormitori per mezzi meccanici;

ma anche il settore occidentale, che è zona preti (seminario, curia) e il quartiere orientale, presidiato dalle suore (conventi in zona rocca, fara, arena e donizetti) è città morta, chiusa, piena di case vuote, di spazi chiusi, di edifici e stanze disabitate.

Questo a causa di proprietari seconde case assenteisti, come a venezia, ma in gran parte per la presenza del grande immobiliarista, la curia:

parliamo tanto di città alta come di una questione civica, ci si scontra tra destra e sinistra, tra residenti e non residenti, tra commercianti e intellettuali, e così facendo facciamo finta tutti insieme di non vedere, di non sapere, che il senso, la crisi di città alta è una questione cattolica, di civiltà cattolica, di proprietà cattolica,

evidentemente ogni apertura e rinnovamento di Bergamo Alta deve coinvolgere riguardare sovvertire in primo luogo queste aree, questi soggetti (preti, suore, curia) queste strutture (seminari, conventi) che per numero, estensione, qualità e potenzialità ricettiva valgono nell’insieme 10 volte le strutture d’accoglienza laiche (alberghi, pensioni e b&b).

Occorre un grande terremoto dello spirito per riportare alla vita le risorse della città morta, del cattolicesimo possidente, bigotto, tetro,

c’è un solo soggetto, un solo uomo che oggi con un solo gesto può fare il miracolo di liberare la città dalla cappa cattolica e aprirla ai nuovi fermenti, ed è il papa,

questo gesto esemplare chiaramente sarà quello di aprire per sempre, abbattere, il cancello del Seminario in via Arena,

e riaprire la pubblica via e restituire alla comunità tutta l’enorme area della città proibita, e le sue connessioni su colle aperto, cittadella, mascheroni e salvecchio.

La zona più elevata della città tornerà ad essere il quartiere pubblico per eccellenza, come era in origine, quando via arena portava all’arena romana, distrutta nell’800 proprio dalla curia per costruirci sopra il seminario,

e questo mastodontico seminario, oggi vuoto e sterile, se aperto e convertito in ostello internazionale, potrà accogliere studenti, artisti, musicisti, viaggiatori, ed essere l’avamposto della riqualificazione della città come vera città d’arte e cultura,

in questo modo, aprendosi, condividendo e ospitando, la chiesa, la curia potrà dire di svolgere il suo vero ruolo, ecumenico, d’accoglienza,

e la parola “cattolico” riprenderà il suo significato autentico, originario, di “universale, aperto a tutti, accogliente”.

A quel punto non sarebbe più così vergognosa l’etichetta di città cattolica.

Se il clero apre le sue case, esce dal suo isolamento, tutta la città si apre ed esce dal suo isolamento. Una rivoluzione, uno scenario impensabile per la curia bergamasca.

Ma non per quella romana.

ma quale expo

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expoImage

A pagina 1 del faldone-masterplan presentato 3 anni fa dall’Italia al BIE (Bureau International d’Exposition) per candidarsi a ospitare Expo 2015 è scritto:

L’obiettivo principale di Expo Milano 2015 è dimostrare che è possibile – oggi, in questo mondo – garantire la sicurezza e la qualità alimentare e lo sviluppo sostenibile per l’intera umanità.

Ma se oggi vai sul sito di Expo quello che trovi in home page è:

Un’occasione unica per il tuo business! Partecipa alle gare, diventa Partner, Sponsor…

Le news sono: l’Indonesia ha firmato il contratto! Il sultanato di Brunei ha firmato il contratto per avere un padiglione in esclusiva!

Nessuna traccia dell’obiettivo principale, nutrire il pianeta, e nessuna traccia della guerra culturale e quindi economica che quell’obiettivo, se preso sul serio, dovrebbe scatenare, e cioè lo scontro tra culture, tra tecnologie: da una parte la transgenetica e le multinazionali, che promettono polpette facili, dall’altra gli eco-equo, che promettono un mondo sostenibile, naturale, solidale.

Sembra quasi che il “big problem” sia stato superato dalla “big solution”: il made in Italy!

La soluzione italiana come sempre è geniale, e trasforma il peggio del peggio nel meglio del meglio: con un tocco di magia, il food industriale sarà spacciato per naturale, buono, divino grazie alla firma “made in Italy”.

Nei fatti: i falchi della gdo, il falchi della grande industria, il falchi del sistema media/pubblicità, i falchi-burocrati di stato e di categoria, tutti questi falchi si sono fatti un sol boccone delle colombe del bio, del sostenibile, del km0, della democrazia alimentare,

e a questo punto cercano di mettere in scena un sistema omogeneo e virtuoso, come un super spot, come una riproposizione sistemica della mitologia barilla del mulino bianco,

che è la tipica operazione made in italy di valore aggiunto,

e di fatto una mistificazione integrale, per cui il biscotto ti viene proposto come fosse quello della nonna, cotto nel camino, con farina del proprio sacco, del proprio campo, mentre sappiamo benissimo che è prodotto in fabbriche dislocate ovunque da macchinari infernali manovrati da computer e alimentati automaticamente con ingredienti provenienti da tutto il mondo in container caricati su navi diesel e poi caricati su tir diesel e quindi scaricati in silos di plastica e poi di nuovo su tir diesel e infine, dopo essere stati confezionati sottovuoto, di nuovo su tir diesel fino al supermercato dove tu li compri, perchè ti ricordano tua nonna.

Questo è giocare sporco.

Mi viene da ridere quando qualcuno strilla alla pubblicità ingannevole. La pubblicità è ingannevole per definizione. Più è corretta, più è ingannevole.

Expo oggi svela palesemente le reali intenzioni e aspettative: rilancio del made in italy, puntando sul food. Una cosa che deve fare paura.

Nel settore moda, il made in Italy in 30 anni ha perfezionato la morte del settore tessile, della produzione artigiana, delle capacità sartoriali. Prima del made in italy, avevamo un esercito di sartine. Dopo il made in Italy, ci ritroviamo con un esercito di pr (un esercito sconfitto, tra l’altro).

Lo stesso sta per avvenire nel food. Prima dei dop, prima della gdo, prima del packaging, quando tutto era sfuso e non esistevano né marchi né marche, avevamo un esercito di panettieri, pasticceri, eccetera eccetera: oggi abbiamo solo un esercito di aspiranti master chef. Le zone coltivate si sono ridotte, non siamo nemmeno autosufficienti: e annunciamo di voler nutrire il pianeta!

In realtà, non ci ha mai creduto nessuno, a quella dichiarazione d’intenti.

Questo abbassamento dell’afflato, della mission, dal poetico “nutrire il mondo” al più prosaico “conquistare il mercato”, lo vedi soprattutto nella vicenda expo-bergamo,

la pre-annunciata expo-tech da tenersi al KmRosso, iniziativa in questi giorni messa in forse dalla mancanza di fondi, e con ogni probabilità destinata a non svolgersi.

L’expo-Bg al KmRosso avrebbe come tema le tecnologie industriali, macchine per la conservazione, il congelamento, la pressurizzazione dei prodotti alimentari, e il loro confezionamento in polistirolo, cellophane, plastica.

Tutte queste tecnologie sono pensate esclusivamente in una logica di profitto da grande distribuzione: proporle in un ambito “expo-nutrire il pianeta” significherebbe svelare la mistificazione in corso,

difficile improvvisare questa favola per cui la tecnologia dell’industria alimentare dei paesi sviluppati potrebbe risolvere il problema della fame dei paesi poveri, molto più facilmente potrebbe invece diffondersi la verità, e cioè che l’industria alimentare di fatto affama i paesi poveri a partire dalla base di ogni tecnologia, le sementi, la terra e l’acqua.

Questo è il messaggio, il dibattito che le colombe dovrebbero diffondere all’expo, ma il problema delle colombe, tragicamente, è nel loro essere colombe (vuoi fare la guerra alle multinazionali, e sei pacifista?!)

Mentre noi non abbiamo il coraggio di combattere questa guerra di idee, nel sud del mondo scoppiano guerre di ogni tipo.

Insieme al dossier-masterplan Expo2015, 3 anni fa, ti presentavano il dossier sulla fame nel mondo, con la lista dei 100 paesi in guerra con il problema della fame (che sono tutti paesi dell’africa, dell’asia o del sud america):

al n.100 il paese che se la passa peggio, il Congo,

ma la cosa inquietante è leggere oggi il nome del paese al n.1 del ranking, l’unico ad aver risolto il problema della fame: la Siria. 

Kafka in via Pignolo

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BiciPiss

Un’isola pedonale, chiusa al traffico motorizzato, dovrebbe essere la parte più viva della città, dove ci si riappropria del piacere di girare tra le botteghe senza auto, clacson e fumi di scarico, e si ricostituisce il legame tra il centro e i borghi.

Sabato scorso a Bergamo mi è successo questo: prendo una bicicletta pubblica in piazza S.Anna, risalgo Borgo Palazzo, e accedo all’isola pedonale di Pignolo, dove un amico ha aperto una bottega. L’isola pedonale di via Pignolo bassa-piazzetta S.Spirito è da 10 anni una zona morta. Dovrebbe essere lo snodo ciclo-pedonale del “passante verde” sentierone-accademia carrara. Il comune da anni favorisce l’apertura delle botteghe pagandogli l’affitto per un anno, e puntualmente dopo un anno le botteghe chiudono.

Giunto quasi alla piazzetta, ecco un’automobile dei vigili urbani in mezzo alla via. Mi intimano di fermarmi. Mi intimano di tornare indietro, o proseguire a piedi.

Sei contromano, mi dicono. Mi viene da ridere: ma è un’isola pedonale!

Si, ma ha comunque un senso di marcia!

Situazione kafkiana, e umiliante, per me, e anche per i vigili, che entrano e si piazzano  in un’isola pedonale in macchina per fermare i ciclo-cittadini.

Così, per andare da un borgo all’altro (Palazzo e Pignolo) sono costretto a raddoppiare la distanza e a percorrere via Camozzi o Frizzoni, 4 corsie killer e niente pista ciclabile.

Io non credo che quella pattuglia fosse lì di sua iniziativa a fermare le bici, penso invece che fosse lì in seguito a un preciso ordine di servizio.

L’amico della bottega poi mi conferma che non si tratta di un fatto estemporaneo, ma di una vera e propria operazione di polizia in corso da qualche settimana (da quando “Scelta Civica” ha bocciato in Parlamento il provvedimento che avrebbe reso possibile “il contromano” alle biciclette nei centro storici, come già avviene in via sperimentale in moltissime città italiane e in modo stabile in tutte le città europee più progredite).

Vai a Ferrara, Mantova, Bologna, Parma, e ti fai un’idea di com’è viva la città senza auto. Vai a Siviglia e capisci come è cambiata la qualità della vita urbana in seguito a un progetto lungimirante. Questo progetto di vita urbana, che nelle città emiliane fa parte della storia cittadina (mentre a Siviglia è stato implementato con successo dall’amministrazione) si basa su una scelta strategica elementare, civica, che si chiama bicicletta.

La bicicletta è il vero strumento di realizzazione dell’isola pedonale, del borgo vivace, del centro vissuto. Con la bicicletta devi poter partire da casa tua e andare in centro senza rischiare la vita sulle strade dove sfrecciano gli auto-pazzi. Finché non favorisci l’uso della bicicletta in città, le tue isole pedonali resteranno sempre zone morte.

Questa giunta è guidata da un sindaco che in campagna elettorale, dopo essere stato beccato più volte con il suv in aree riservate o vietate, si è dato un’immagine di ciclista urbano.   Evidentemente si trattava giusto di un’immagine elettorale.

Pattugliata dai vigili, l’isola pedonale Bergamo style risulta di fatto un’area privatizzata dei residenti, che devono poter sgommare sui loro suv senza intralcio di pedoni e biciclette.

Lo si capisce anche dagli assurdi, brutti, troppi paletti anti-parcheggio, uno ogni metro, che riducono il marciapiede a una corsia singola, e impediscono di camminare in due come sarebbe naturale se stai passeggiando in compagnia. L’intera carreggiata è vuota, ma deve stare a disposizione delle auto di residenti e forze dell’ordine.  I pedoni devono camminare sul marciapiede, e in fila indiana!

Capisci perchè Pignolo è morta? Un’area dove le bici non possono entrare, e i pedoni devono andare in fila indiana per non disturbare la libera circolazione delle auto dei residenti agiati e delle forze dell’ordine. Più che un’isola pedonale, è l’immagine di un’amministrazione che ragiona con i piedi.

Caro Giorgio, ti consiglio 3 semplici iniziative: 1) fai tirar via i paletti che impediscono di camminare civilmente 2) delimita una porzione di carreggiata a pista ciclabile 3) ma soprattutto, in centro, manda in giro i vigili in bicicletta.

Vedrai che magicamente in pochi mesi Pignolo rifiorirà come una pianta quando la bagni.  Inutile spendere soldi per rendere expo-rtabile a suon di marketing una città morta. Meglio provare a rianimarla con interventi semplici, logici, come da promesse elettorali.

 

liberi tutti

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mondilainascondino

a 10 anni

da bambini si giocava a nascondino,

il nostro campo di gioco era un isolato suburbano

con due grandi condomini, un piccolo parco mezzo abbandonato,

una fabbrica-laboratorio abbandonata, un parcheggio di camion,

e un tratto di seriola, che divideva il territorio in due nazioni,

la svizzera e l’africa.

a 20 anni

poi crescendo i bambini di quei due condomini, quelle due nazioni,

cominciano a nascondersi socialmente, negli anni della formazione,

bambini svizzeri condividono stanze, sogni, economie africane,

e bambini africani frequentano posti, ambienti e svaghi svizzeri,

si sta molto attenti a non farsi stanare, si nasconde l’estrazione sociale,

il figlio del magnate nei centri sociali, il figlio di nessuno nei club chic,

si nasconde l’identità, per cambiarla

a 30 anni

dopo qualche anno, o anche decennio, si scopre con amarezza

che era solo un gioco, un periodo giovanile, finito il quale

si deve accettare la verità nascosta, il predominio della famiglia,

il destino segnato dalla casta di appartenenza, come degli indù,

questo riguarda la grande maggioranza,

i bambini svizzeri tornano in svizzera, e sposano

professioni e donne svizzere, e così i bambini dell’africa.

Ci si relaziona molto sui social ma in realtà non ci si parla più.

a 40 anni

ormai consapevoli dei meccanismi nascosti, dei poteri nascosti,

delle ricchezze nascoste, delle gerarchie nascoste,

succede agli svizzeri di esibire amici, lavori, viaggi,

case, macchine, scarpe, e scoprirsi malinconici;

mentre gli africani diventano cinici, e nascondono

passioni, problemi, ansie, intenzioni, aspettative.

Alla fine si tiene nascosto qualsiasi tipo di sentimento.

a 50 anni

ci si rende conto che lo sport più praticato è il nascondino,

e che ormai da decenni viviamo in una dimensione di realtà nascosta,

economia sommersa, relazioni clandestine, taciti accordi, discariche abusive,

evasione fiscale, ipocrisia sociale, inganni istituzionali, truffe legalizzate,

anche noi diamo il nostro contributo alla visibilità della mediocrità,

anche noi abbiamo tenuto nascosti i nostri i talenti

a 60 anni

doppia vita, doppia morale, doppia identità,

in famiglia, sul lavoro, nella sfera erotica,

ci si nasconde per convenienza, comodità, codardia,

ma anche per sopravvivenza, fuga, ribellione, sovversione intima, oblio.

ci si nasconde anche davanti allo specchio, o guardando un calendario,

e qualcuno a un certo punto getta la maschera.

a 70 anni

si torna a giocare a nascondino, con i nipotini.

e si capisce che il senso del nascondino è diabolico,

doversi nascondere, per potersi poi liberare,

è questo che abbiamo fatto per anni,

per una vita intera.

sono questi i pensieri, le cose che mi vengono in mente

quando il vecchio Postini, all’assemblea degli editori del cetaceo-cartaceo,

mi informa che sabato 30 agosto in località Brembo beach,

nell’isola bergamasca, tra l’adda e il brembo, tra il serio e il faceto,

si svolgerà la quinta edizione del campionato mondiale di nascondino,

lo sport più praticato in Italia dai 10 ai 70 anni, è questo che penso,

è proprio un’idea giusta,

nell’Italia del carnevale permanente,

la vera giornata del ribaltamento è questa,

andare a nascondersi per gioco, semel in anno,

alla ricerca dell’emozione perduta, il tempo del gioco.

Sarebbe bello che poi il gioco contagiasse, ribaltasse la realtà,

e i talenti nascosti saltassero fuori prepotentemente a cambiare il paese

affiancati da  orde di possidenti allucinati che corrono in banca  gridando “liberi tutti”.

 

magenta destra ciano sinistra

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puma-players-tricks

per capire il senso della nuova moda lanciata da Puma al Mondiale con testimonial Balotelli e altri, scarpe di due colori diversi, sinistra ciano, destra magenta,

abbiamo chiesto un parere a Sean Blazer, il grande antropologo esperto di moda, il quale ha detto: basta chiedere a un immigrato extracomunitario, marocchino o algerino, che vi racconterà quanto segue:

in origine chiaramente mettere due scarpe diverse era una soluzione creativa da poveri, avendo magari una scarpa bucata e l’altra no, ci si arrangiava così, scambiandole, anche i nostri nonni lo facevano,

poi, sarà stato 10 anni fa, in Marocco e Algeria è scoppiata la moda delle scarpe bicolori, nike nuove molto costose e introvabili,  facendo il verso ai poveri per significare di essere talmente ricchi da avere non un paio, ma addirittura due di nike nuove;

subito dopo è diventata usanza scambiarsi le scarpe con un amico che avesse lo stesso numero, così da far intendere di averne due paia;

in seguito sono arrivate le nike contraffatte, vendute a ¼ del prezzo ufficiale, già vendute in versione bicolore, e a quel punto la moda bicolore è finita, perché ormai era una cosa da poveri;

a questo punto tutta la storia era pronta per diventare una moda ufficiale, e la Puma ha lanciato la linea bicolore, e tutti i bambini ricchi ora metteranno le Puma bicolore,

questo ti fa capire come funzionano le mode, nascono creative per necessità dalla miseria,  poi diventano esibizione di lusso per insultare i poveri, e infine prodotto ufficiale per tutto il mondo, indossato dai campioni

e comprato in tutto il mondo, senza alcun senso, o forse sempre con lo stesso senso di ogni moda: avere addosso qualcosa che in origine aveva un senso, una storia, senza nemmeno saperlo.

berghem vintage adventures

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saltafoss vetrofania 2

certo che puoi parlare dei segreti della città! i sotterranei delle mura, le rogge coperte, i ricordi sepolti…  

quando ancora non esistevano le Nottole, eravamo noi i padroni unici

delle cannoniere, dei sotterranei delle mura e dei mille cunicoli misteriosi

se ti racconto le adventures che facevamo da ragazzini negli anni Settanta

mentre i nostri genitori impegnati si drogavano e facevano sesso libero

i vari gardaland e parchi divertimento ti sembrano ben misere cose

ci si trovava alla Fara con le nostre Saltafoss arancioni e poi

da S.Agostino ci calavamo sotto le mura a corda doppia

noi e le Saltafoss, e c’era la prima prova speciale,

bike-rafting sul letto del Morla fino al Putt di S.Caterina,

poi tappa di trasferimento navigli pitentino –galgario, oggi coperti,

e seconda prova speciale, lasciando le bici, e indossando stivali di gomma

esplorazione panico e pantegane della Morla sotterranea da borgo palazzo a via mai-via david e poi sotto la ferrovia per uscire in via gavazzeni luridi

e  felici, sotto gli occhi allibiti dei pretini internati alla casa del giovane

tutto il pomeriggio, tutta l’estate era un’attività in cerca di pericoli

e prove di coraggio più cretine dei reality di oggi, come il lasciarsi

risucchiare dalle sabbie mobili rosse al gres della Potranga, con idee

perverse su chi, come e quando avrebbe lanciato la corda di salvataggio

o la corsa sui binari a boccaleone  con la littorina marron in arrivo da dietro

e la produzione dei 50Lire doblonati, piatti e larghi come antichi medaglioni

ci voleva un treno merci, per farle, lento e pesante, e un adesivo tondo,

tipo Goggi Sport o Cominelli, col quale incollare il 50Lire sul binario

poi il treno passandoci sopra le faceva diventare enormi

lì sperimentavamo cosa vuol dire ricerca e sviluppo

cosa vuol dire tecnologia e segreto industriale,

in primo luogo esplorare

i cortili, i palazzi, i parchi, le strade,

e le vie ferrate, le vie d’acqua, gli specchi d’acqua,

poi diventati più grandi si cominciava a poter stare fuori la sera

e naturalmente il nostro Bergamo-sport era entrare la sera in posti vietati,

la Rocca, le piscine Italcementi, oppure fare il bagno nelle fontane,

alle Poste, alla Stazione, tutte cose oggi impossibili

oggi c’è la telesorveglianza, e non ci sono più guardiani, portinai,

il portinaio era il vero spauracchio, il vero nemico,

il rappresentante del mondo degli adulti,

delle regole e dei divieti.

chi è Lele Mosina

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Badante4occhi

Lele Mosina è il nuovo found raising manager del project group calepio press. Appena nominato, ha dichiarato:  “sono molto fiero alla mia età, l’età della Maresana, di essere stato scelto a rappresentare il gruppo  calepio press, tra i più importanti centri d’eccellenza nella produzione di cultura d’avanguardia made in Italy”

“c.press è la dimostrazione di come  un uomo solo, totalmente disorganizzato e inaffidabile, dedicandovi un’ora al giorno e alcuni pseudonimi, senza un euro di budget, e senza nemmeno avere la linea web, caricando i post al bar o da amici, possa essere non solo più influente di vere e proprie testate giornalistiche di regime con decine di collaboratori, redazioni, e centinaia di migliaia di euro di budget,

ma anche più produttivo in termini di idee e progetti innovativi  dei  grandi centri ricerca o incubatori d’impresa, finanziati dal regime per ragioni di facciata”

“quest’uomo non è un genio o un individuo eccezionale, ma semplicemente un uomo libero, preparato e dotato di senso critico, che ha il coraggio di scrivere le verità più lampanti taciute o mistificate dai gruppi di potere che controllano l’opinione pubblica”

“sostenere quest’uomo, questo nullatenente, significa sostenere la possibilità di superare l’ipocrisia mediatica ma soprattutto significa sostenere progetti reali d’innovazione culturale come:

> Adv zero, agenzia anti pubblicitaria (già Malomodo Communications) per la riduzione dell’inquinamento semiotico da pubblicità.

> FMKTG, fantamarketing, creata nel 2010 con Pierluigi Lubrina e BambooStudio, contaminazioni paraletterarie tra fantascienza e innovazione d’impresa.

> gentedimerda.it,  da un’idea di Federico Carrara, asocial network;

> BaDante, care&writing agency, sviluppata con Isabella Gentili e Athos Mazzoleni, casa editrice di riposo, nuova letteratura senile.

> Leone XIV, antipapa latinista, nato rivoluzionario vs PapaRazzinger, divenuto reazionario vs PapaFrancisco

> Upper Dog (con Jennifer Gandossi e Benedetto Zonca): idee e ricette per produrre cibo per animali con scarti macellaio fruttivendolo e fornaio di quartiere (nomi delle ricette: porco cane, popolo bue, trota padana, pota coniglio, master polaster, interiora design)

> #pensacheignoranza, dal 2013, con Anna Bonaccorsi e Athos Mazzoleni, web institute ricerche di mercato e sondaggi d’opinione

> PWS, pub writing session, est 2014 con CTRL magazine e ELAV brewery, lo show della scrittura, storie da pub ascoltate, trascritte e pubblicate al pub

> Mensa te!, est 2014, con Matteo Cremaschi, Athos Mazzoleni, Daniele Lussana e Virginia Coletta, mensa popolare / fabbrica delle idee, 1pasto 1idea.

“cliccando sul tasto LeleMosina potrete donare qualsivoglia cifra per sostenere questi progetti, lo trovate in home page, in alto al centro con la dicitura LeleMosina/donazione”

“se cercate la home, cliccate su domus”

C.press, è l’unico sito al mondo ad avere la domus invece della home.

atalantae veritas non deferentia sed differentia exit

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AtalantaSpad

Oggi tutti parlano di Percassi che rilancia 50,60 milioni per seat-pagine gialle, e noi invece parleremo di dea-compagine nerazzurra, in stile BgPost, più approfondimento che attualità, a partire dall’attualità.

Dobbiamo farlo noi perchè i media glocali sull’argomento dea sono molto deferenti, dal primo all’ultimo (solo BergamoNews, e il mitico Passirani, hanno osato sollevare dubbi e critiche sull’atalanta percassi style).

Per il resto, l’unica differenza tra l’EcoBg e il BgPost ultimo arrivato è questa: come l’eco non ti dirà mai la verità sugli affari della curia e del vescovo, così il BgPost  non ti dirà mai la verità sull’atalanta e percassi, il padrone della testata,

non farà mai luce su quelle zone d’ombra della presidenza percassi, di cui tifosi e addetti ai lavori parlano sottovoce, da anni, diffusamente e ovunque, tranne che sui media,

esattamente come si fa con le zone d’ombra che riguardano la curia.

Citerò tre zone d’ombra, tre “misteri” atalantini degli ultimi anni, con l’invito ad andare oltre la mentalità poliziesca che deduce il mandante del delitto dalle prove associandole probabilisticamente ai moventi a partire dall’interpretazione delle coincidenze: la prima è sospetta, la seconda un indizio, la terza una prova.

In realtà, come vedremo, la spiegazione profonda dei luoghi oscuri atalantini non viene dalla giustizia sportiva, ma dall’interpretazione psicanalitica.

Primo luogo oscuro: al tempo in cui il presidente Ruggeri cadde in coma, si cominciò a vociferare di Percassi come acquirente della società, si parlò di una o più cene Percassi-Doni o Percassi e senatori, e si sparlò in seguito dello scarso rendimento della squadra nel finale di campionato, con la retrocessione in serie b, che a parere di tutti poteva essere evitata.

(Movente: l’atalanta in serie a sarebbe costata a Percassi 20milioni di euro. Pochi mesi dopo, retrocessa in b, Percassi la pagò la metà, 10 milioni).

Sospetto: i calciatori, in accordo con la futura proprietà, hanno portato la squadra in b per svalutarla.

Secondo luogo oscuro: lo scandalo,  l’anno successivo, delle partite truccate da Doni e soci, per il quale l’intera tifoseria si mobilitò come a difendere un martire ingiustamente accusato, fino a essere smentiti dalla confessione finale di Doni, che si assunse ogni responsabilità (scagionando in tal modo la società) e meritandosi così 3 anni di squalifica (… e 3 anni a stipendio pieno, e parliamo di milioni di euro).

Movente: fosse stata dimostrato il coinvolgimento della società nella truffa sportiva (come è successo in passato a diverse squadre anche più blasonate della dea) l’atalanta come minimo sarebbe stata retrocessa in terza serie (e parliamo di un danno, in questo caso,  di decine di milioni di euro…)

Sospetto: Doni ha coperto la società, che gli ha pagato il silenzio.

Terzo luogo oscuro: oltre a Doni, in questi anni l’atalanta ha sempre tenuto a stipendio anche l’altro illustre lungo-squalificato, Masiello (già capitano del Bari, e da un punto di vista etico-tifoso ancor più colpevole di Doni, che faceva gol “organizzati”: Masiello fece il celebre autogol “pagato”, nel derby Bari-Lecce).

Ai tempi dello scandalo, dopo la confessione di Doni e Masiello (venuta dopo il carcere)  Percassi annunciò di volersi rivalere su questi “dipendenti fraudolenti” e anzi allo scopo avrebbe istituito un codice etico. Passati due anni, scaduti (e onorati) i contratti di Doni e Masiello, è arrivato nelle scorse settimane il codice etico (non retroattivo…).

Nel codice etico si condanna fermamente ogni forma di comportamento sportivamente scorretto e si vieta a ogni dipendente non solo qualsiasi pratica di scommessa sportiva, slot o gioco d’azzardo, ma anche la partecipazione a iniziative sovversive, reati contro l’ambiente, attentati terroristici,

e addirittura è vietata  “la pratica di mutilazioni degli organi genitali femminili” (sconcertante. non resta che deridere. articolo che interpretato estensivamente porterebbe al divieto di fidanzate con labbra e seno rifatto, considerando la chirurgia estetica una pratica primitiva di  deformazione degli organi genitali eseguita in sudditanza di credenze superstiziose…).

Ebbene, incredibilmente il giorno dopo la pubblicazione a mezzo stampa di questo codice iper-etico (e di fatto quasi comico) nato da due anni di riflessioni sul tema dell’etica “a tutto campo”, la società atalanta ha la faccia tosta di rinnovare il contratto a Masiello, per altri due anni. Come a dire: il vizio dell’autogol.

Vaga giustificazione addotta dai commentatori: Masiello ha pagato i suoi errori, può essere reintegrato.

Allora, allargando il quadro, la morale che esce dallo scandalo calcio scommesse è chiara: chi viene beccato e condannato e squalificato, non viene estromesso dalle squadre, ma anzi sostenuto “nella pena” e prontamente ripreso nella famiglia (come anche il caso del capitano della Lazio, e altri)

l’inquietante parallelismo è quello con i mafiosi in carcere: se non parlano e non si pentono,  limitandosi ad ammettere le proprie responsabilità, sono uomini d’onore; se  parlano e diventano collaboratori di giustizia sono infami, e vengono ostracizzati per sempre,

(come il caso dell’unico calciatore italiano che ingenuamente raccolse l’appello del presidente della federcalcio a tutti i calciatori a denunciare le truffe sportive di cui si era a conoscenza… chiamato addirittura a fare una comparsata in nazionale come esempio etico, l’anno dopo non trovò nessuna squadra disposta a ingaggiarlo, nemmeno in serie b o c, ed emigrò a giocare all’estero)

ampliando la prospettiva, guardando in casa d’altri, si vede che i luoghi oscuri atalantini sono simili ai luoghi oscuri di quasi tutto il calcio italiano,

quella che risulta unica ed esemplare è la sfacciataggine, l’enormità dell’ipocrisia per cui oggi promulghi un codice etico che il giorno dopo sei il primo a calpestare rinnovando il contratto a un calciatore simbolo della frode sportiva (l’autogol nel derby!)

due news che s’ammazzano a vicenda,  che probabilmente un grande club, con uffici stampa e comunicazione più sgamati, avrebbe evitato di esibire o far coincidere.

Lo psicanalista non ha dubbi: quest’ultimo caso non è da considerare come un luogo oscuro, ma piuttosto un mettersi a nudo, una palese autodenuncia di chi in realtà inconsciamente desidera essere smascherato, non reggendo più l’ipocrisia cui è costretto.

E così conclude l’amico psicanalista: ogni menzogna ne richiede ulteriori, alla fine intorno a un peccato originario sorge un castello di menzogne, nel quale si resta imprigionati, o dal quale si esce pazzi, secondo la sindrome del grande dittatore.

Al di là di quello che si pubblica sui media, quello che tutti pensano realmente è evidente.

“Secondo te” mi ha detto un vecchio magut, ex commandos “se Percassi becca un dipendente a rubare rame nei cantieri, lo lascia a casa a stipendio pieno?

Tutte cose che un vero giornalista dovrebbe sapere, e un vero giornale pubblicare.

Sarà molto difficile anche per il BgPost spiegare perchè l’atalanta abbia pagato per tre anni un attaccante squalificato per i suoi “gol facilitati” da avversari prepagati, invece di chiedergli i danni!

E ancora più difficile spiegare perchè il giorno dopo la promulgazione fanfarata del codice etico la società abbia rinnovato il contratto a un difensore squalificato due anni per aver fatto “autogol” su commissione, come da accordi con gli scommettitori!

A rigore, la società stessa dovrebbe licenziare sè stessa per non aver rispettato il suo stesso codice etico.

Molti avrebbero preferito un codice etico non fatto di parole, ma di fatti che parlano: e dunque non vedere Doni stipendiato, e nemmeno il contratto di Masiello rinnovato.

E c’è anche chi – un genere superiore di uomo d’onore, quello che veramente vive nel primato dell’etica – avrebbe preferito che la società si prendesse comunque ogni responsabilità, come facevano i grandi condottieri, i samurai, e le dee-amazzoni,

e dunque andare in serie c, e rinunciare ai milioni della serie a, ma non alla dignità, che non ha prezzo.

 

 

the gori job

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S/W Ver: 99.21.08R

carte, gori, maratona, scopa, ora sappiamo cosa faceva Gori in quella veranda:

svelato the gori job, the gori revolution: trascinare il paese fuori dal debito-depression della ludopatia, dalla tristezza senza fine del gioco d’azzardo, con un’operazione di sano neo-realitysmo: no Lottomatica, no Sisal, no slot, no poker on line, si Masenghini, si Dal Negro, si briscola, si scopa!

e dunque legalizzazione della scopa e della briscola (oggi vietate nei luoghi pubblici) e contagio del pubblico giovanile attraverso tornei televisivi spettacolari,

una grande operazione culturale, politica ed economica, per riscoprire il piacere stupefacente/narcotico dei giochi autoctoni delle carte, soggettivamente più appaganti e socialmente più sostenibili, come sanno bene i nostri nonni:

quarti di vino, porconi, sigarette, battute volgari, risate, nei circoli dopolavoro, nelle case del popolo, nelle acli i nostri nonni non giocavano responsabilmente, ma come pazzi, facendo follie, rischiando insulti e scherni per fare una scopa, e chi perdeva pagava le consumazioni,

il partito comunista e le parrocchie erano i padroni di queste sale gioco, dove di fatto si cementava una comunità,

poi diventando una società moderna abbiamo vietato il gioco delle carte nei locali pubblici, in quanto “gioco d’azzardo”, e successivamente con totale ipocrisia giuridica di stato abbiamo riempito i luoghi pubblici di slot machine, e pubblicità del gioco on line,

e le10 società finanziarie (Sisal, Lottomatica, etc) che hanno in gestione il gioco in Italia (gratta e vinci, lotto, poker on line, slot, scommesse sportive), sono ormai la prima azienda del paese per fatturato: un fatturato che non ha alcun senso economico se non il dilapidare “direttamente dai cittadini alle multinazionali finanziarie” risorse, risparmi, redditi e rendite che altrimenti investite in imprese o semplicemente spese in consumi sarebbero ossigeno per tutto il sistema-paese (parliamo di un 10% del Pil!)

E inoltre: 7 di queste società hanno sede in Lussemburgo. E inoltre: diversi leader di ogni colore politico, compresi molti del partito democratico, come l’attuale primo ministro Renzi, e il suo predecessore Letta, sono membri della Fondazione Vedrò, il “laboratorio politico” finanziato dalle suddette società. E inoltre: i provvedimenti antislot (come i 1000 euro di bonus fiscale all’esercente che toglie una slot) vengono ridicolizzati da “modifiche unilaterali del contratto come previsto dal contratto” (l’esercito che toglierà una slot dovrà pagare 6000 euro di penalità) apportate 24h ore dopo…

C’è qualcosa di arcaico in un popolo che sacrifica ogni suo bene ammassandolo ai piedi di un dio-tiranno fagocitatore, vorace e crudele, segnala la regressione, il ritorno a quello che in un vecchio trattato di’antropologia è definito come il tipo primitivo, cavernicolo, pre homo sapiens, di società superstiziosa, anteriore non solo alla scrittura, ma alla parola stessa, in grado di emettere solo suoni gutturali associati a gesti elementari, indicativi, induttivi, incapace d’intendere e di volere, totalmente soggiogata da stregoni capaci di spacciare semplici fenomeni naturali come pratiche magiche.

Oltre ogni ipocrisia, il ritorno al gioco vero, a km0, associato alla unica vera forma di finanza etica, il risparmio egoistico (nel progetto si prevede questa doppia terapia: da un lato il piacere del gioco puramente ludico, dall’altro l’eccitazione del risparmio, con versamenti quotidiani sul proprio conto delle somme che oggi si bruciano nell’azzardo)

sarà il cardine di comunicazione di un neo-realitysmo virtuoso:

partendo da Bergamo, questo promo-reality, più scopa meno slot, sarà il modello per la diffusione nazionale del gioco sportivo/spettacolare e della nuova finanza ego-etica;

decisiva sarà la campagna pubblicitaria e d’opinione per la liberalizzazione del gioco delle carte nei locali pubblici, sostenuta da marchi storici di produttori di carte come Masenghini-Bergamo e Dal Negro-Treviso.

Ecco la super-mission di Giorgio Gori, ecco la tv-revolution, il neo-realitysmo etico e autoctono, per scardinare dall’interno la lobby pd-lottomatica e riportare gli italiani a credere in se stessi, godendo del vero spirito del gioco:

“vivi in modo responsabile, gioca liberamente”.