il caso del prefetto

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Antonio Navagero, l’ex prefetto di Bergamo ritratto dal Moroni

è un chiaro esempio di caso obliquo:

come tutti sanno, il caso è una categoria grammaticale e indica la funzione di una parola in una frase (e quindi di un fatto in un contesto, o di un prefetto in una provincia)

più precisamente, etimologicamente, il caso è una caduta, e indica  il modo in cui una parola (o un fatto, o un prefetto) cade nella frase, se in modo retto rispetto all’azione (come oggetto o soggetto della stessa) o in modo obliquo, storto, trasversale, diversivo, aggiuntivo, nei paraggi, nei dintorni, suppergiù,

i casi retti sono tre: il nominativo (è il caso del prefetto),  l’accusativo (prendi il caso del prefetto), il vocativo (oh che caso il prefetto!);

i casi  obliqui sono tre: il genitivo (parliamo del caso del prefetto)

l’ablativo (nel caso del prefetto) e il dativo (fa al caso del prefetto):

il caso del prefetto,  basta guardarlo, è un caso sicuramente dativo, con un quid in più, dato dall’imprecisione della caduta semiologica, con susseguente ambiguità semiotica, sempre fonte di senso nuovo e duraturo:

non a caso, nel nostro caso, si dà il caso che proprio da questo caso tragga origine l’usanza dei sindaci delle città di indossare di traverso la fascia tricolore, a indicare l’antica obliquità della carica.

(Il caso del prefetto ritratto dal Moroni, attualmente, dovrebbe essere in qualche scantinato  a Brera,

ma si vocifera che possa essere presto ripescato come nuovo logo della città di Albino,

che ha bandito un concorso per Albino – la città dei Moroni,

e in un futuro prossimo acquistato da Palazzo Frizzoni, se, come si dice, il prossimo sindaco di Bergamo, 500 anni dopo Navagero, ricadrà in caso obliquo)

se Telecom ha l’alzheimer

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gandhi

(mentre gli preparo la cena, Il signor Dante A., 93 anni, intende dimostrarmi la sua teoria sui disturbi della memoria come malattie di origine sociale, causate dai mass media e dall’eccesso di informazioni “cretine” che cancellano la memoria personale)

La mia vera solitudine, non è fisica, ma psicologica,

io non mi angoscio per il mio alzheimer, ma per l’alzheimer di massa,

i primi malati di alzheimer in Italia sono le grandi istituzioni e le grandi aziende,

ti ricordi il Gandhi Telecom immagina il mondo di oggi se avesse potuto comunicare così?

oggi Telecom è in crisi, lascia a casa 5000 persone in Italia, paga 2 euro l’ora gli schiavi dei call center nell’est, e per svenderla ai cinesi di vuole la banca SachsmannGold,

io ti dimostrerò che Telecom ha da anni grossi problemi di alzheimer, di memoria e coscienza storica,

già nella Telecom-Gandhi c’erano due evidentissimi sintomi di grave alzheimer mediatico.

Il primo: se oggi viviamo nel più violento dei mondi possibili, è proprio perchè si può comunicare così!  La dittatura globale, le riunioni oceaniche di folla e la loro trasmissione audio e video, come tutti sanno, non le ha inventate nè Gandhi nè la Telecom, ma Mussolini: e questo è pacifico.

Il secondo: invece di immaginare cosa avrebbe detto Gandhi, sarebbe meglio ricordare cosa disse realmente Gandhi, quando ebbe la possibilità di comunicare così, e invece del testo cucito su misura dai pubblicitari Telecom, utilizzare le dichiarazioni ufficiali rese da Gandhi alla stampa internazionale in occasione della sua visita a Roma, nel dicembre 1931,

io allora vivevo a Roma, ed ero un undicenne e fascistissimo Balilla, e quel giorno della visita di Gandhi alla Legione Caio Duilio me lo ricordo come fosse oggi, e ne conservo i ritagli di giornale. Gandhi disse esattamente:

L’attenzione ai poveri, lo sforzo per una coordinazione tra il capitale e il lavoro, l’opposizione alla superurbanizzazione.

Ciò che mi colpisce, dietro l’implacabilità, è il disegno di servire il proprio popolo.

Mussolini è un superuomo. Alla sua presenza si viene storditi.

Capisci? No, non capisci! Occorrerebbe un intero corso di storia per farti capire un solo spot, e ne vedi duecento al giorno!

La pubblicità, soprattutto quella che sembra intelligente,  giorno dopo giorno cancella la memoria storica, e al suo posto impone immagini di fantasia che alla fine ti fanno perdere il senso della realtà! Ecco cosa intendo per alzheimer di massa!  Cosa dice la tabula rasa su Gandhi, Mussolini e la Telecom?

ndr: per tabula rasa il signor Dante intende in genere i tablet, smart, iphone, etc, e considera i risultati delle ricerche web, google, wikipedia con la curiosità di oracoli, cui concedere al massimo tre minuti. 

Da una ricerca on line in 3 minuti troviamo:

1) le dichiarazioni di Gandhi su Mussolini esattamente citate dal signor Dante

2) la notizia che al tempo dello spot Gandhi-Telecom  la nipote di Gandhi sedeva nel consiglio d’amministrazione Telecom

3) una foto come quella che il signor Dante ha in cornice su un tavolino, che ritrae Gandhi insieme a un undicenne signor Dante, in divisa da Balilla

Gandhi_a_Roma

 

eros et veteros

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Pompei_erotica2

vaginalis virgo vergam in tergas capebat

et in sodomia bene et longe gaudebat

cum repente turgida capella ab ano exiit

et motu proprio imenem defloravit

ergo puella hominis capitem sibi traxiit in pubem

et furibundo cunnilingo semen a vulva sucatum fuit

quod uterque nolebat filium certo sodomitam generare

(fabula erotica pompeiana reperta in loco termae suburbanae

quam Calepinus Minor trascripsit sicut Eros et Veteros – Antologica Erotica Fragmenta

et vulgare traduxit et ivi publicat sub permissione culturale Leonis XIV pro disseminatione didattica linguae latinae – imago est cunnilingus pictus super muros termae suburbanae Pompei)

una vergine vaginale (lo) prendeva nelle terga

e nella sodomia godeva bene e a lungo

quando repentinamente la turgida cappella fuoriuscì dall’ano

e con moto proprio deflorò l’imene

perciò la fanciulla si attirò nel pube la testa dell’uomo

e il liquido seminale fu risucchiato con un furibondo leccare di vulva

poiché nessuno dei due voleva generare un figlio certamente sodomita!

(favola erotica pompeiana ritrovata presso le terme suburbane, trascritta nell’antologia di frammenti erotici pompeiani “Eros et Veteros” e tradotta in volgare dal Calepino Minore e qui pubblicata su licenza culturale di Leone XIV, per la diffusione didattica della lingua latina – immagine: rappresentazione murale di un vulvaleccaggio, terme suburbane, Pompei) 

 

quel cane morto per salvare un finestrino

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un cane il cui habitat naturale ha temperature di -20 gradi, un Labrador,

dimenticato chiuso in un’auto nera a + 40 gradi, sotto il sole, senz’aria e senz’acqua.

Il cane abbaia, attira l’attenzione, attorno all’auto arroventata le persone lo guardano, si forma un capannello, poi qualcuno dice: bisogna rintracciare il padrone!

Giusto! Allora chiedono al bar, chiedono nei negozi, il padrone non si trova, tutti vedono che il cane è disperato, e allora qualcuno dice: chiamiamo la protezione animali!

Giusto! Arriva la protezione animali, il cane ormai sta annaspando in cerca d’aria, così cominciano a buttare acqua sulla macchina, poi qualcuno dice: qui adesso bisogna chiamare i vigili!

Giusto! Arrivano i vigili, i vigili studiano la situazione, il cane ormai è  agli ultimi guaiti, non si sa cosa fare, intanto il cane sta crepando, e così qualcuno pensa: è uno scandalo, bisogna chiamare i giornali!

Giusto! Arrivano i giornalisti, prendono nota, fanno interviste, e poco alla volta prende piede l’opzione tecnico-sanitaria: chiamare un veterinario!

Giusto! Arriva il veterinario, che conferma quello che tutti vedono, il cane è in fin di vita: ed ecco che si comincia a vagliare una soluzione estrema: rompere un finestrino!

Giusto! Ma chi lo deve fare? Si tratta di danneggiare un bene di proprietà privata! Ci sarà pure qualcuno che se ne potrà incaricare a norma di legge! Ed ecco nascere una nuova voce: bisogna chiamare i pompieri!

Giusto! Così arrivano i pompieri, e con l’avallo del veterinario, coadiuvati dai vigili, supportati dal pubblico, e sotto gli occhi della stampa rompono il finestrino.

Il veterinario dichiara: il cane è ancora vivo.

La giornalista del Corriere manda in stampa il titolo “Labrador salvato dai pompieri” con tanto di lieto fine fantastico: “il cane è provato, ma è forte, e si riprenderà”.

Su L’Eco di Bergamo l’amara verità: “Il labrador non ce l’ha fatta”.

Dopo ore di agonia, è morto. Onesti cittadini, insieme a onesti vigili urbani, insieme a onesti vigili del fuoco, insieme a onesti veterinari e onesti animalisti e bravi giornalisti, messi insieme, non sono riusciti a salvare un cane, per paura di rompere un finestrino, è questo che è successo, è questo che fa rabbia.

Questa storia poteva finire in un altro modo, e io lo so bene:

sempre a Bergamo Bene, più di dieci anni fa,  il mio amico P. sentiva  un labrador abbaiare disperato chiuso in una station wagon sotto il solleone:

dopo meno di venti minuti il mio amico P. con un pugno sfondava il finestrino e salvava il cane,

dopo più di due ore di attesa, quando finalmente arrivava il padrone del cane, dal momento che invece di ringraziarlo per avergli salvato il cane, averlo dissetato e sfamato, pretendeva i danni per il vetro rotto, il mio amico P. –  che non è uno che chiami i vigili –   sferrava un secondo pugno, al padrone della macchina (e del cane)

cosa che in seguito gli sarebbe costata una denuncia e una causa,

alla fine il mio amico P. decideva di indebitarsi per risarcire “il cretino”, pretendendo di avere in cambio il cane,  cosa che “il cretino” accettò subito, amando evidentemente più i soldi del cane,

in tutto questo, la cosa bella, è che in seguito il mio amico P. e il cane per più di dieci anni sono rimasti sempre insieme,

poi il cane, diventato vecchio, non era più in grado di alzarsi sulle zampe, era ammalato, non c’era più niente da fare: così un giorno, come tutti gli ripetevano di fare,  il mio amico P. “l’ha portato a farlo sopprimere” dal veterinario, come d’obbligo di legge, ma io so che non è mai andato da nessun veterinario:

tenendolo in braccio, l’ha portato invece in certi boschi, dove insieme cane e padrone avevano trascorso innumerevoli giornate, e credo che l’abbia “soppresso” con quel coraggio che la vera pietà esige, per poi seppellirlo sotto un grande albero,

tutte procedure assolutamente illegali,

capisci il retroscena della storia: il mio amico P. – sia quando c’è stato da salvargli la vita che quando si è trattato di dargli la morte – non ha esitato ad agire in base a criteri morali e virili superiori (ma diciamo anche più semplicemente: con amore e umanità)

e per questo ha avuto una serie di guai giudiziari e finanziari;

invece, quelle cinquanta brave persone, metà delle quali in divisa, che dovendo scegliere tra sacrificare un finestrino o un cane, sono riuscite nell’impresa di sacrificare entrambi, oggi non hanno niente da rimproverarsi: come recita un comunicato riportato dalla stampa: “non c’è stata alcuna anomalia nelle procedure adottate”,

capisci, siamo a questi livelli, la iper-legalità è diventata la più orribile forma di barbarie, come scrive un lettore de L’Eco: “la gente ormai ha paura anche a fare del bene”,

e per lo più si limita a “pensare bene”, capisci la perversa im-moralità del “benpensante”, che non si sporca mai le mani, e delega sempre tutto “a chi di dovere”:

il cane morto non è solo un cane morto, è un lampo di verità che mette a nudo la falsa coscienza di cittadini e autorità benpensanti, e anche dei media a lieto fine,

e infine il “cane morto” è anche un modo di dire che forse i benpensanti non conoscono,

essere un “cane morto” significa non poter più accedere ai privilegi del benessere e della legalità, non avere più la casa, o il lavoro, o la famiglia, e non avere futuro, ma soltanto debiti, condanne, ingiunzioni, e diventare inutili, impotenti e invisibili come “un cane morto”, da sopprimere,

ultimamente anche il mio amico P, che faceva il corriere, il padroncino, era diventato “un cane morto”, che “non ci stava più dentro con Equitalia e tutto il resto”,

dopo che gli era morto il cane non sembrava più lui, non parlava più, non s’incazzava più,

sei mesi dopo l’hanno trovato chiuso nel cassone del suo furgone, il decesso da ascrivere come “infarto” in seguito all’assunzione di un “cocktail di farmaci”.

Nell’Italia Bene, non solo un Labrador, ma anche molti uomini di razza possono crepare come un cane, per mancanza d’ossigeno, in tutta legalità.

photo by http://web.stagram.com/n/bzonca/

un tot al totem

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ColleoniKep3

500 anni fa Bartolomeo Colleoni, essendo ogni via d’acqua saldamente occupata dai milanesi, fece smontare nell’Arsenale di Venezia 30 grandi navi da guerra,

quindi, utilizzando 2000 buoi, le fece trasportare via terra (passando per Rovereto) fino al Lago di Garda, dove, rimontate e rimesse in acqua le navi, sorprese e sbaragliò con un attacco simultaneo la flotta e la cavalleria nemica.

Però! Che follia! Che idea! E che Colleoni!

Ecco cosa significa “Il cuore di un leader è la sua testa”

(calco da “il cuore di un artista è la sua testa”, Oscar Wilde, Il milionario modello):

l’idea più pazza, l’impresa più folle, se ha successo,

diventa un modello di razionalità superiore, basata su creatività e coraggio.

Quella che serve anche a fare un totem:

impossibile non notare come questo totem “Colleoni commerciale” ad uso fieristico (pubblicizza un marchio di caschi per l’equitazione)

abbia molta più efficacia di comunicazione e dignità “culturale” dei totem “istituzionali” pro-cultura disseminati a Bergamo un tot al totem.

Nei totem Bergamo2019, il testimonial (figure di santi, personaggi storici, bambini e persone comuni) pronuncia la poco significativa frase “sono pincopallino, Bergamo è la mia città”,

e nel migliore dei casi ha la tipica espressione di chi sta pubblicizzando lassativi o analgesici,

ma nel peggiore, e purtroppo parliamo del patrono della città, S.Alessandro martire,

piazzato a porta s.Giacomo, nell’aiuola dei cani, tra un lampione e una pensilina,

ha tutte le sembianze e la postura inequivocabile, specie la sera, spiace dirlo, di un trans che fa le avances:

scendendo in macchina la sera da città alta, quando i fari lo illuminano, è veramente spaventoso, e ripugnante.

Per amore della città, e rispetto verso il patrono, evitiamo di postare la foto,

pubblicando invece il più dignitoso “Colleoni commerciale” per dare l’esempio di come si possa fare un totem “didattico”, seguendo semplici regole:

un totem deve essere autorevole, avere posa “totemica”, essere dotato di un messaggio autentico e unico (se ripetono tutti la stessa cosa, santi, eroi e bambini sembrano tanti pappagallini!) e soprattutto deve stare in un punto focale, non ai bordi delle strade.

Come ha spiegato qualche secolo fa il grande esploratore  – bergamasco! – Giacomo Costantino Beltrami (che è stato il primo uomo bianco a incontrare un totem autentico, dopo aver risalito da solo in canoa il Mississipi-Missuouri per 4000 km),

per dare senso a un totem, e dotarlo dello spirito giusto, in grado di riunire la tribù,

non basta un bravo marengone, ci vuole anche un bravo stregone.

Cosa che qualsiasi guru della pubblicità sottoscriverebbe con entusiasmo,

salvo poi raffreddarsi leggendo la “clausola cherokee”:

se totem non porta pioggia, tribù scotennare stregone.

(per la storia del ribelle Beltrami, che partendo da città alta, inseguito da mandati di cattura pontifici, ha scoperto “il nord-america” ed è stato autore del primo  vocabolario sioux/inglese e coautore del primo romanzo-epopea americano, “L’ultimo dei mohicani”https://calepiopress.it/2013/03/14/bel-trami/ ) 

il curriculum della Olivares

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olivares

La bella e dinamica Olivares,

è la nuova super-manager di Bergamo2019, assoldata dal Comune a 225.000 euro (secondo il Corriere della Sera) implementabili a 700.000 e oltre (secondo Il fatto quotidiano).

Docente di organizzazione eventi all’Università Cattolica di Milano,

consulente per le relazioni culturali del ministro-conte Terzi di Sant’Agata a Roma e consulente di Expo2015 a Milano-Rho,

l’affascinante e attraente Olivares,

come si apprende spulciando vecchi rotocalchi gossip (gli unici organi di stampa che in Italia tengono fede alla missione giornalistica, rivelando qualcosa)

ha anche un marito, che per la verità è il suo secondo marito:

un articolo di Amica del 2003 spiega: detta Chicca, belloccia, ex consigliere di amministrazione Rai, proprietaria delle edizioni Olivares, fondatrice del gruppo “Donne in carriera”, una passione per i tailleur pantalone giallo uovo e tacchi a spillo, due mariti.

Il primo, architetto, “era un’ottima moglie. Io viaggiavo, ero sempre negli Usa per lavoro. Lui stava in casa e faceva in modo che la mia vita funzionasse perfettamente. Poi, però, non mi bastò più sapere che, ovunque fossi la sera, lui stava facendo il minestrone. Così lo lasciai.”

Il secondo marito è Carlo Maria Ferrario, presidente della Banca  Schroder: dura da 15 anni. “Ho trovato un tipo straordinario! Non rompe, si rende utile. Ottimo.”

Su D di Repubblica del 1996 apprendiamo che col secondo marito la Chicca riscopre i piaceri della donna di casa:

appena nominata consigliere di amministrazione della Rai, Federica Olivares, ha organizzato un incontro conviviale tra il leader del Pds, Massimo D’ Alema, e alcuni tra i massimi esponenti del mondo degli affari.

La cena si è svolta nell’appartamento della coppia Ferrario-Olivares in pieno centro cittadino…

In questo quadretto d’epoca,  risulta veramente difficile immaginare che D’Alema possa aver detto “qualcosa di sinistra”.

Non è mai facile per nessuno tirare fuori a tavola il noto aforisma di Engels:  i capitalisti amano realmente la cultura, e sposano donne colte che amano realmente i soldi, diventando così dei pervertiti che  in pubblico si scambiano i ruoli, per cui i mariti, che amano la cultura,  si dedicano ai soldi, e le mogli, che amano i soldi, si danno alla cultura.

Chiaramente non alludiamo a te, Chicca, dal momento che tu, conti alla mano, ti dedichi in prima persona sia alla cultura, che ai soldi.

Come rivela un recente dossier pubblicato di Dagospia:

La casta è femmina. A colpire è la disinvoltura con cui il conte bergamasco e Cavaliere del Sacro Romano Impero, Terzi di Sant’Agata, ha elargito consulenze privilegiando l’universo femminile.

Il giorno dopo il giuramento di Monti eccolo firmare un incarico di consulenza a Pia Luisa Bianco per 40mila euro. Quindi il munifico Terzi ingaggia Cristina Di Vittorio e Manuela Giordano per 90 e 40mila euro. E dopo due settimane è la volta di Federica Olivares, alla quale Terzi destina 80mila euro per le “relazioni culturali”. E la lista potrebbe continuare…

Con questi precedenti, non deve essere stato difficile ottenere il super cachet dai laboriosi bergamaschi (Formigoni).

I compagni del Vernacoliere titolerebbero senza problemi:

la moglie ingorda del banchiere si prende nella cultura tre cachet per volta, e uno più grosso dell’altro!!!

Oltre al mega-cachet-Olivares, i laboriosi bergamaschi  rischiano di pagare anche il mega-risarcimento (300.000 euro) preteso da Bertollini, il project-manager silurato.

Che la cultura, in questo circus, abbia la parte del clown, lo si evince rileggendo oggi le parole “poco diplomatiche” del manager silurato:

«Grazie ai contributi che arrivano dallo Stato, dall’Unione europea e dagli sponsor si finanziano nuove infrastrutture, ma anche progetti già in programma. Sarà decisiva l’attività di lobby»

Traduzione: come in una commedia di Pirandello, nel nome della cultura salteranno fuori i soldi per alimentare l’esatto opposto, cioè l’edilizia ignorante, come lo sfascio della Rocca, da completare.

(traduzione di lobby,  dal dizionario di inglese Garzanti: gruppo di persone che fa manovre di corridoio per far passare un progetto di legge).

Ora ci è più chiaro cosa stiano facendo nel nome della cultura e a cosa serva la Chicca con il suo salotto (che puzza di minestrone).

Quello che i capitalisti non dicono, è che il progetto “capitale europea della cultura” prevede per il 2019 manifestazioni per costi dai 30 ai 90 milioni di euro, con capitale pubblico ipotizzato fra il 60 e il 90 per cento. Vista la torta, si sono buttati a pesce.

Non si sono nemmeno sognati di chiedere ai cittadini, o quantomeno agli operatori culturali: cosa ne pensate di presentare Bergamo come candidata capitale europea della cultura?

Non si sono minimamente preoccupati di creare partecipazione (come sta facendo Ravenna) promuovendo realmente incontri e comitati pubblici.

No. In modo autocratico, hanno svuotato le casse del Comune per ingaggiare super-manager a peso d’oro uno dopo l’altro,

quindi hanno riempito la città di ridicoli e costosissimi totem (già da buttare causa vandalismi: e ai compagni imborghesiti che hanno perso il senso critico, ricordiamo che chi offende la cultura e spreca soldi pubblici non è il ragazzino che scrive “siete degli sfigati” su questi totem da sfigati, ma la Giunta che li ha voluti e collocati)

poi hanno aperto un sito patetico-sottocosto con una pagina dove si invitano i cittadini a mandare le loro idee: peccato che non ci sia lo straccio di un accesso, una mail, un pulsante, niente. Più avanti c’è la sezione “entra nello staff” dove ti invitano a mandare il curriculum: “solo così potrai essere selezionato per lavorare come volontario”.

Infine ci sono le figurine con i personaggi storici (scelte molto, ma molto discutibili) con  4 righe ciascuno, e indegne, stile tesine “tirate giù da wikipedia”.  E questa sarebbe la vetrina di una capitale della cultura?

Cosa ci manca  per capire fino in fondo il senso della sceneggiata?

Un trafiletto pubblicato pochi mesi fa da una testata locale (La Rassegna): a Bergamo sono stati tagliati i fondi per permettere ai centri socio culturali, ossia agli avamposti culturali nei quartieri meno chic, di comprare dei libri da dare in prestito e in lettura agli abitanti. Poche centinaia di euro: mica cifre da paura. Insomma, nella capitale europea della cultura in pectore non si trovano mille euro per dare da leggere a pensionati e studenti delle periferie,

Ecco cosa c’è dietro la pagliacciata della capitale della cultura:

si tagliano 700 euro (settecento) alle biblioteche di periferia,  e si regalano 700.000 euro (settecentomila) alla moglie di un super-banchiere (e al conto si potrebbero aggiungere i 300.000 del risarcimento al suo predecessore!).

Totale: un milione di euro, e per cosa, poi, per quale ideona?

La Olivares si è presentata brillantissima con un concept basato sui dualismi forti: Città Alta e Bergamo Bassa, la pianura e le valli. (fonte: L’Eco)

Un milione di euro per sentirsi dire Berghem de sura/Berghem de sota? Ma il vero passo falso della Chicca sono state certe dichiarazione bassamente altezzose, come Bergamo è una città affascinante, ma non attraente.  Immaginiamo pure la conclusione: non si sa vendere! (al contrario di te, Chicca!)

Queste genere di vaniloquenze, Chicca, ti si rivolta contro:

per cui oggi sei tu la provinciale attraente che appena apre bocca perde tutto il fascino, capisci?

C’è una sola cosa che puoi fare a questo punto, Chicca, te lo dico da amico:

lasciati possedere fino in fondo dallo spirito dei grandi bergamaschi

ti parlo di Bartolomeo Colleoni, che ha lasciato tutto il suo patrimonio alla Repubblica Veneta;

ti parlo di Francesco Nullo e Gabriele Camozzi, che hanno prosciugato le loro aziende per finanziare la spedizione dei Mille;

ti parlo del conte Giacomo Carrara, che ha donato alla città la sua pinacoteca,

e la lista potrebbe continuare… Capisci l’antifona? Si che la capisci!

E allora, se sei veramente una donna di status superiore, entra nello spirito Colleoni, Nullo, Camozzi e Carrara, e finalmente ti sentirai realmente appagata, e non solo pagata, per cui farai un bel comunicato stampa, e restituirai il capitale alla collettività.

Poi, se davvero credi nel tuo progetto per la cultura,  sarai la benvenuta, e ti basterà fare quello che chiedi di fare a noi:

entra nello staff, manda il tuo curriculum,  

solo così potrai essere selezionata come volontaria e lavorare alla costruzione della Bergamo del futuro!

tu sei giovane non sai come la vita sia bella

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ho riferito al signor Dante A., 93 anni, del grande riscontro suscitato dal suo j’accuse alla capitale della cultura lanciato da queste colonne con  il post-intervista “Bergamo commedia dell’assurdo”,

per provocarlo, ho aggiunto: «milioni di budget, centinaia di totem, schiere di project manager e assessori, mesi di lavoro, viaggi, riunioni, comunicati stampa: tutto mandato in fumo da un pensionato che su un blog dice le cose come stanno!»

nell’occasione, il signor Dante ha emesso un grugnito;

poco dopo, la maschera incartapecorita del suo viso si è distesa quasi magicamente nei tratti di un sorriso, ed è stato quando gli ho letto un commento pubblicato da un lettore: “dietro la Capitale della Cultura imperversa la Cultura del Capitale, ma di notte, dalle mura di S.Giacomo, come ne “L’orologio”, si sente il ruggito dei Leoni”

«questo è un mio ex alunno!» ha affermato il signor Dante.

Il commento in questione  (il cui autore è risultato poi essere un noto architetto e accademico) ha ricordato  al signor Dante una sua lezione (di mezzo secolo fa) sul romanzo “L’orologio” di Carlo Levi,

libro che il signor Dante mi ha subito chiesto di prendere indicando col dito-artiglio un settore in alto a sinistra della sua gigantesca biblioteca (il signor Dante possiede più di 5000 libri, ognuno dei quali contiene una serie di foglietti-segnalibro-citazioni).

salito sulla scala pericolante, esattamente dove mi ha detto la mia guida,  tra “Cristo si è fermato ad Eboli” e il “Programma rivoluzionario di giustizia e libertà” (Levi, Lussu, Nitti, Rosselli, Salvemini) ho trovato “L’orologio” di Carlo Levi.

«Leggi l’incipit» mi ha chiesto il signor Dante.

La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni.

Un mormorio indistinto è il respiro della città, fra le sue cupole nere e i colli lontani, nell’ombra qua e là scintillante.

E poi quel suono, insieme vago e selvatico, crudele ma non privo di una strana dolcezza, il ruggito dei leoni, nel deserto notturno delle case.

«Attento!» mi ha intimato il mio duce: dalle pagine del libro aveva preso il volo un foglietto color vinaccia che infine sono riuscito ad afferrare, non senza pericolo, ritrovandomi tra le dita una una vecchia etichetta di “Amaro Strega”:

sul retro, a penna, la scritta “Roma, Ninfeo Villa Giulia, Luglio 1951”, e gli autografi di Carlo Levi, Corrado Alvaro, Domenico Rea, Alberto Moravia e Mario Soldati.

A quel punto il signor Dante ha emesso un altro grugnito, e con gesto inequivocabile ha voluto tra le mani il libro, ricercando a memoria la pagina dove quel segnalibro stava da più di 60 anni.

Dopo meno di un minuto, trovata la pagina, un secondo sorriso, rapido, ha illuminato i suoi occhi. Prima di rimettere a posto libro e segnalibro, ho naturalmente preteso di leggere la pagina de “L’orologio”  nella quale una sera d’estate romana di 62 anni prima il signor Dante aveva “lasciato il segno”:

Tu non sai, perché sei giovane, come, a mano a mano che ci si avvicina alla morte, la vita sia bella;

come si accresca, si illumini in ogni sua minima cosa, di verità e di ragione;

è come se si salisse su un monte, e l’orizzonte, a ogni passo, si allargasse sotto di noi.

A un certo momento, quando la morte è dietro le spalle, pare di camminare in un mondo fatto, da ogni parte, di infinite verità…

Forse, quando si arriva in cima, l’orizzonte sarà così vasto e lontano che si confonderà in tutto col cielo; e forse questa è la morte.

«o forse» ha chiosato il signor Dante «è l’alzheimer»

Quindi, afferrata con gesto grifagno la ruota della carrozzina, mi ha dato le spalle.

imago: bozzetti “Dante” by Fratelli Mattioli http://www.fratellimattioli.it/

nemo propheta in patria

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AmbrogioDaCalepio2

(de Ambrosii Calepinii Lexicon in patria oblitteratus / latina – italica – anglica versio)

nemo propheta in patria est in specie si mala tempora currunt

sicut Ambrosius noster conditor Calepinus a Bergomi MMXIX comitato oblitteratus

quamvis Ambrosius magnificus antenatus internet sit cum anno domine MDII primus lexicon creavit

et populus statim intelligere potuit in vulgari latinam missam et  legem Ambrosio gratias

postea multiplas editiones fecerunt in globis linguisque terrarum et omnes linguae mundi in coniunctione semiotica omnibus fuerunt

ergo Ambrosii supulchro epigramma recitat  eum loqui vel ipsa saxa docet

sed Bergomi rectores saxorum stolidiores manifesto videntur

LEONE XIV – ANNO DOMINE MMXIII DIXIT – EGO VOS SUM

nessuno è profeta in patria specie se corrono tempi cupi

è il caso del nostro fondatore Ambrogio da Calepio dimenticato dal comitato Bergamo2019

nonostante sia il magnifico precusore di internet  avendo inventato nel 1502 il primo vocabolario che permise al popolo di comprendere direttamente in volgare le parole latine delle funzioni religiose e degli editti legislativi;

in seguito il Calepino fu il primo best seller della storia, stampato in moltissime versioni e tutte le lingue del mondo  furono interconnesse per tutti;

ecco perché sulla tomba di Ambrogio da Calepio un’epigrafe recita

che Ambrogio da Calepio insegna a comunicare perfino ai sassi,

ma evidentemente i rettori di Bergamo sono più stolidi dei sassi.

LEONE XIV – proprietà letteraria 2013 – IO SONO VOI

nobody is prophet in fatherland, especially in badtimes

so our founder Ambrogio da Calepio is forgotten by Bergamo2019 committee

in spite of he is the magnificent precursor of world wide web since he created the first dictionary in 1502 so that common people could understand in italian church’s and king’s latin language;

then many editions were made all in the world and every language’s meanings were linked each others;

that’s why on Ambrogio’s tomb an epigraph says: also to stones he teaches how to communicate;

but obviously Bergamo’s leaders are stubborner than stones.

LEONE XIV – copyright  2013 – I’M YOU

imago: Ambrosius Calepinus Lexicon auctor et Calepio Pressiones conditor in MDII

quel cane del Belotti

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zoeYama

quel cane del Belotti non abbaia, ulula,

non mangia, divora, non sopporta il guinzaglio,

non obbedisce agli ordini, non fa le feste, non tollera gli altri cani,

non sta nella cuccia, non si lascia montare,

non ama i fiori, i gatti, i postini, i passanti, le biciclette, le moto, le auto,

soprattutto si infuria con la gente che parla al telefono o fa le foto

(nella foto-Ansia: l’ultima foto fatta dal povero Belotti prima che il suo cane gli   azzannasse la Canon.

Il povero Belotti, rimasto senza mezzi di sostentamento, cercava di fotografare la sua amata Yamati – motore Yamaha telaio Ducati –  allo scopo di venderla su e-bay per nutrire sé e il proprio cane, ma non aveva fatto i conti col proprio cane)

Bergamo2019 adv revolver

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BG2019revolver

ribaltando il logo Bergamo capitale della cultura

si ottiene un revolver puntato sulla cultura del capitale

premendo il grilletto si fanno saltare le cervella di media, politici e vip locali

basta un solo colpo per farli fuori tutti e tre in fila (essendo allineati)

chi voglia provare l’esperienza non deve fare altro che andare sul blog de L’eco di Bergamo (Eco lab), dove troviamo il post “Bergamo 2019: il lavoro fà cultura”:

revolverata primo impatto:  “fà cultura” con l’accento, più che cultura, fa ignoranza;

revolverata secondo impatto: nel post in questione, si leggono le seguenti dichiarazioni

“Bergamo ha una credibilità anche economico-finanziaria che nessun’altra candidata può vantare, bisogna approfittarne”.

Il sindaco Tentorio: “Abbiamo le carte in regola. Dobbiamo crederci”.

L’assessore regionale Terzi: “Vi darò una mano in regione, sperando che Mantova non ne abbia a male”.

La signora Federica Olivares, a capo del “team internazionale che lavora al dossier da presentare in Europa”:  “Bergamo oltre le Mura in un’Europa senza mura è il concept. Il programma di azione si svilupperà su dualismi forti: Città Alta e Bergamo bassa…”;

revolverata terzo impatto: il post dei “fà cultura” finisce in gloria con “gli ambasciatori” di Bergamo capitale della cultura: Atalanta e Foppapedretti, Alessio Boni e Giorgio Pasotti, Gimondi, Krizia e Trussardi, Roby Facchinetti e Gianluigi Trovesi, Vittorio Sgarbi e Vittorio Feltri,  Bruno Bozzetto e Cristina Parodi.

Il post in questione in una settimana ha ottenuto 1 mi piace.

Evidentemente i personaggi citati come ambasciatori sono i primi a vergognarsi di aver dato il loro nome e anche  i primi a non aver raccolto l’invito del sindaco.

Dunque L’Eco di Bergamo con 60.000 lettori e 14.000 follower e un bilancio in milioni ha messo in piedi un mega-blog in collaborazione con l’Università e l’Ipsos (e immaginiamo con un adeguato budget) per pubblicare un post “ecumenico” che in una settimana ottiene 1 mi piace.

Parere del vecchio monsignore: dovevano affidare il blog agli oratori, sono lì che ci sono i ragazzi social-web, non negli istituti di sondaggio e marketing.

In realtà puoi mettere in campo tutti i soldi che vuoi, le partnership, le pr, la pubblicità, ma se non hai la materia prima del pubblicare, e cioè l’informazione, il senso critico, il coraggio della verità,  sul web vieni preso a revolverate.