47 TFIC – 15 paraletteratura lucrosa

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15 paraletteratura Mondadori

guadagnare milioni scrivendo a cottimo

L’editor di Confidenze mi chiama e mi dice che vuole pubblicare un racconto (l’ex porno).

Il compenso è 350.000 lire. Salto sulla mia Kawasaki e dopo 19 minuti, partendo da Bergamo,  sono nella redazione di Confidenze, a Segrate, palazzo Mondadori.

L’editor di Confidenze è una donna sui 55-60, immaginatevi Emilio Fede donna (forse era sua sorella naturale) e piacente.

Alle sue spalle una targa con una frase di Pitigrilli avvisa: “Va bene il bacio al lebbroso, ma la mano al cretino no”.

Il compenso è 350.000, mi dice. Ok.

Pseudonimo? Non ci avevo pensato.

Così scrive il mio nome e cognome, Leone Belotti, e improvvisa un anagramma: dopo pochi minuti, dal battito della Bic rossa, nasce l’immortale Iole Belnotte, destinata a diventare in breve la nuova autrice più amata del settimanale femminile più venduto (Confidenze).

Non prima di un piccolo giallo che vale la pena raccontare, perché rientra nelle cose assurde che possono capitare all’aspirante scrittore.

Succede questo: il mio primo racconto è stato appena pubblicato, è in tutte le edicole, ovviamente ne compro una copia e passo la serata a ubriacarmi nei bar, così la mattina dopo, quando mi suona il telefono prima delle 9, sono veramente rintronato e non capisco quello che mi dicono.

Mi dicono, dallo studio legale della Mondadori, che vogliono chiedermi 2 miliardi di danni. Cado dalle nuvole, e dal letto.

Crisi.

Il fatto è questo: nel numero di Grand Hotel già in edicola quando esce Confidenze, c’è un fotoromanzo che in pratica è la versione con foto, nuvolette e didascalie, tale e quale, stessi dialoghi, stessi nomi dei personaggi, del mio racconto su Confidenze.

L’assassino però non sono io, è il tizio a cui io in buona fede avevo mandato i racconti.

A me parlava come editore di una nuova iniziativa editoriale, intanto vendeva come suoi i miei racconti a Grand Hotel.

Quindi occhio alle fregature, quando mandi tua roba a gente che non conosci (ma anche a gente che conosci, dal momento che non si finisce mai di conoscere qualcuno) e soprattutto quando mandi la stessa roba a più gente, importante mettere per scritto “materiale in visione” e in seguito, trovato un acquirente, diffidare gli altri dall’uso.

Non si finisce mai di pararsi il culo.

Nel mio caso, rischiavo di essere citato per 2 miliardi, a causa di un racconto del valore di 350.000 lire.

Il danno era questo: che queste novelle vengono vendute per vere (e spesso lo sono) e dunque centinaia di lettrici leggendo la stessa storia su Grand Hotel e Confidenze hanno dedotto che queste storie sono finte e addirittura copiate, così hanno mandato lettere e telefonate di protesta, richieste di disdetta di abbonamenti, a entrambe le testate.

Un casino dal quale sono uscito fortunatamente indenne, stante il riconoscimento della mia buona fede (chiaramente il vecchio lupo si difendeva sostenendo che io gli avessi mandato quelle storie con piena disponibilità d’utilizzo, certo, intanto lui le pubblicava e vendeva a suo nome).

Superato questo shock, continuo a scrivere per Confidenze, in modo sempre più intenso. In certi numeri c’erano più novelle mie e a volte un romanzo breve staccabile.

Mi specializzo in storie ambientate nel Ventennio, frequento le case di riposo e faccio parlare le belle ottuagenarie. Le novelle e i romanzetti ambientati nel Ventennio riscuotono un grandissimo apprezzamento dalle lettrici.

Ogni tanto me le immaginavo: un milione di donne,  cioè dieci stadi di San Siro strapieni di donne che leggono la mia novella.

Dirai: il successo! Si, trecentomila copie vendute ogni settimana, forse un milione di lettrici e una montagna di lettere (indirizzate a Iole Belnotte, donne, amiche che fondamentalmente mi ringraziano per averle fatte piangere, a volte solo una parola, un complimento, quasi dei like di facebook ante litteram): non ci crederai, ma ti assicuro che non ci stavo dentro.

Questi qui, cioè la Mondadori, mi pagavano trecentomila lire per una novella con cui riempivano dieci pagine o seicentomila per un romanzetto di venticinque.

Mediamente portavo a casa un milione e mezzo al mese, a volte meno, perché cercando sempre di infilare temi pesanti nella leggerezza della storia d’amore spesso la caporedattrice mi guardava di traverso, e non pubblicava, e non pubblicando, non ti pagano.

Considera poi che tu consegni oggi una storia che va in stampa tra uno-due mesi, quando va in stampa aspetti la fine del mese, e a partire da quel momento passano tre mesi esatti prima che la grande amministrazione dia disposizione di fare il bonifico, dopodiché tra una banca e l’altra sono capaci di far passare un altro paio di settimane.

Morale: lavori oggi, prendi i soldi tra sei mesi, in banca, e se sei già in rosso non li vedi neanche.

Crisi.

Se fai i conti in pratica tu vendi per trentamila lire una pagina di sogni ed emozioni, questa pagina di prodotto a loro costa trentamila lire e gli permette di vendere a trenta milioni la pagina pubblicitaria,

e il marchio che acquista la pagina pubblicitaria accanto alla tua bella pagina diventa il vero autore dei sogni e delle emozioni che tu hai “svenduto” ai signori dell’editoria, pensando comunque di regalarle al pubblico, mentre in realtà le regali al padrone di un’azienda di creme rassodanti con la mediazione del grande editore.

A questo punto capisci di essere davvero una mosca del capitale, e della peggior specie, poi pensi anche al tuo affitto, sai che con  40 caratteri di head line o pay off o claim guadagni come 20.000 caratteri di grande letteratura popolare,

allora mandi a quel paese e il grande editore e la paraletteratura e l’intellettuale organico nazional-popolare, e fai il copy delle creme rassodanti e abbronzanti, e anche delle linee shampoo.

Crisi.

Ma ecco che una bella mattina, mentre sto prendendo il sole al lago di Garda, mi suona il telefono, è il direttore di Confidenze: nella notte Lady Diana si è schiantata come una qualunque shampista.

Bingoo! Cioè, pace all’anima sua, ci vuole un instant book, la missione è: 270 pagine in nove giorni!

Prendo tempo (!) faccio due telefonate, scopro che prima di me hanno interpellato una delle due “regine del rosa italiano” che ha chiesto tot, chiedo metà di tot, lo ottengo, mi firmo Alice Lewis, l’opera si intitola “Il sogno infranto”, è allegata a Confidenze.

Vedo Silvana Giacobini aggirarsi nei box delle redazioni di Segrate, sventola il mio capolavoro e dichiara: è la cosa migliore che ho letto quest’anno. Direi che questa è la massima soddisfazione che ho avuto come autore di paraletteratura.

Da non sottovalutare l’aspetto soldi, avendo portato a casa grazie a Lady Diana (sia lode) quel genere di cifra che ti permette la routine ideale dello scrittore, che a mio parere è questa:

in un mese nel bunker scrivi un romanzo che ti permette di vivere tre mesi,

cioè quello nel bunker e i due mesi successivi al cazzeggio integrale,

magari in qualche altra città o ambiente che ti attira per un qualche motivo,

o anche restandotene nel bunker a giocare a poker per entrare nello spirito giusto per buttare giù un sequel di “memorie del sottosuolo”,

o altro testo pro gloria imperitura o per caduco gaudio,

in attesa della prossima…

crisi.

imago: architetture sospese, 2013 by Jennifer Gandossi

www.jennifergandossi.it

 

 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 9

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9 concept writing 

creare una mitologia di marca 

Chiamo concept writing la scrittura della scheda madre di un programma commerciale, di un prodotto, una linea, un’azienda, un marchio, un’istituzione, un partito politico, una minestra, un gelato, un movimento d’opinione.

Il nome, lo slogan, l’idea su cui si basano le sinergie, le strategie, il business plan, ecco cosa intendo per concept writing, dare forma e funzione a un’idea, dargli un’anima, un’anima comune a un target psico-emotivo, prima che sociale.

Il target sociale è consequenziale, viene dopo, cioè: nella mente dell’uomo di marketing viene prima, ma viene dopo nella mente del creativo, dove nasce ciò che viene prima di ogni applicazione marketing.

In principio era il verbo.

Quindi l’immaginetta della madonna.

La pubblicità è tutta qui.

In quel verbo iniziale c’è tutto il valore e la forza evocativa del prodotto, che è sempre un prodotto psichico, anche quando è un biscotto, come ha bene spiegato Proust nella sua ricerca del tempo perduto e ha ben compreso Alberoni quando ha detto a Barilla di chiamare “Mulino Bianco” la sua linea biscotti.

Il concept writing, come ogni adv writing, è una scrittura in primo luogo mentale, una de-scrittura, una riduzione in cerca del gesto vitale primitivo, che è fatto di due parole, con dentro la pulsione, la radice dell’architettura semiotica che poi verrà progettata intorno, per stare in tema.

Ecco, il concept writing è il progetto interno al “progettato intorno”.

La mitologia originaria, il paradiso perduto, qualcosa capace di proiettare un sogno senza fine. Una frase, un nome, un’immagine, un’icona, una favola.

A volte crei un concept formidabile senza nemmeno rendertene conto.

È il destino del creativo. Immaginare mondi fantastici che poi altri costruiranno con successo.

Nella mia esperienza, il caso topico è l’ideazione della favola Pinco Pallino.

Siamo nel  1994, mi pare, quando Enrico Baleri, che sta progettando la sede di questo marchio di moda bimbo di lusso, Pinco Pallino, mi chiede una fiaba in tot battute, che in origine doveva decorare come un invito-richiamo gli esterni della fabbrica-atelier,ma una volta vista la favola hanno pensato bene di farne qualcosa di molto più pervasivo, un tipo di comunicazione nuovo,

una favola aziendale invece di una filosofia aziendale,

una favola usata come layout, logo, marchio, filosofia aziendale, immagine coordinata, parole che diventano tappezzeria, moquette, poltrone, maniglie, sacchetti, vetrine, pubblicità, tutto. Una favola-logo.

Su questa favola hanno disquisito sociologi, uomini marketing, pr.

Hanno fatto libri, corsi di comunicazione, spettacoli, galà di beneficenza.

Oggi Pinco Pallino fattura decine di milioni di euro, la mia fiaba è scritta a caratteri cubitali sui muri della sede, sulla moquette di tutti i negozi del mondo, sui sacchetti, sulle magliette, sulle etichette, sulle pubblicità, sui cataloghi, ovunque insomma, e in occasione delle sfilate invitano Lella Costa a recitarla.

Io naturalmente non ho più visto una lira.

Creare il concept base di un business gigante, e restarne escluso, nella realtà succede di frequente, e se sei un creativo indipendente hai poco da fare, loro possono permettersi avvocati e cause decennali, tu no.

Oggi molti bambini della classe dirigente di fine millennio, cresciuti a moda Pinco Pallino, sono ormai ragazzi e ragazze che studiano scienze della comunicazione, ed è ora che sappiano cosa c’è dietro le favole in cui sono cresciuti.

La vera storia della favola di Pinco Pallino, ad esempio, nessuno la conosce, nessuno l’ha mai raccontata, eppure è una storia molto indicativa, non per bambini forse, e forse un po’ triste, ma piuttosto istruttiva.

Siamo nei primi anni Novanta del secolo scorso.

L’idea viene, come dicevo, a Enrico Baleri, e l’idea in origine è: una favola per decorare gli esterni del nuovo capannone-atelier di questo marchio moda bimbi di lusso, Pinco Pallino, un marchio allora in rampa di lancio.

A quel tempo io ero uno dei tanti giovani copywriter che ronzava intorno a Milano Poesia, Salone del Mobile, e quadrilatero della moda. Baleri mi chiama e mi chiede se voglio provare, max 1500 caratteri.

La sera stessa, come tutte le sere, sono dietro il bancone del bar delle ex carceri, a Bergamo Alta. Già sul tardi entra un ragazzo che conoscevo fin da bambino, Ale, biondo, occhi azzurri, sempre stato un leader nelle bande dei ragazzini di quartiere.

Quindici anni dopo, quella sera al circolo, Ale era già da anni rovinato, tossicodipendente, alcolizzato, ma era ancora un bambino curioso, e così, quando mi chiede – che problemi hai stasera scrittore? – glielo dico, gli dico – devo inventare una favola per bambini.

E lui, guardandosi allo specchio – lo specchio della birra Tennent’s – comincia – c’era una volta un bambino con gli occhi blu.

Poco dopo, al secondo giro di birre, era arrivato il Rosso. Poi era arrivata lei, Mery, che da ragazzina andava spensieratamente con tutti, una vera bomba, diabolicamente bella, e a un certo punto, diventata donna, si era ritrovata prostituta, alcolizzata e tossicodipendente.Io spillavo birre a ruota.

La creazione della favola era diventata un lavoro d’equipe.

Chiuso il bar, alle tre di notte avevamo proseguito il brain storming sulle panchine delle mura venete, con una cassa di Ceres, sul prato dell’ultimo bastione.

C’era anche il mio collega barista, P., discendente di Simone Pianetti, detto Pacì Paciana, il brigante della Val Brembana, e anche un certo M., che chiamavamo “Ritardo”.  Ricordo che fummo anche controllati da una pattuglia dei Carabinieri.

Fu in quell’occasione che Ale, il bambino con gli occhi blu, alla domanda fendente del maresciallo “Mai avuto problemi con le droghe?” rispose con la spettacolare volèè “no, mi sono sempre trovato abbastanza bene”.

Nel frattempo Mery faceva gli occhi dolci, e cercava di prendere per mano i due Carabinieri dicendo “il verde, il colore più bello è il verde”.

Maresciallo e brigadiere si erano scambiati uno sguardo e avevano deciso che potevano anche lasciarci perdere. In fondo non stavamo facendo niente di male (a parte creare un brand nel settore lusso).

La mattina dopo, uscito dai fumi del doppio malto, avevo buttato giù la favola dei colori, l’avevo mandata a Baleri, Baleri ne era rimasto entusiasta, Imelde e Stefano Cavalleri, i titolari di Pinco Pallino, anche loro entusiasti, le pr entusiaste, la Sozzani entusiasta, tutti entusiasti.

E in breve la favola dei colori diventa una favola-brand, il manifesto dei bambini di lusso, la si ritrova in tutte le occasioni mondane, viene recitata da Lella Costa, e sfilate, eventi, mostre, iniziative, convegni, congressi, cultura, beneficenza e catering tutto di altissimo livello, e per anni leggo che Pinco Pallino realizza fatturati record e apre nuovi “negozi-favola” in tutto il mondo, mentre io, l’autore della favola, faccio il lavapiatti, e crepo di fame ignorato da tutti.

Cos’è successo? Mi hanno tagliato fuori dalla favola, un classico, il giorno prima mi amano come un figlio, il giorno dopo mi considerano un uomo morto.

Avrai fatto qualche cazzata delle tue? Beh, si, certo.

Sull’onda dell’entusiasmo  i Pinco Pallino mi avevano chiesto di scrivere la loro storia come un romanzo, e io, dopo aver inquadrato i personaggi, avevo cominciato a scrivere, ma per sbaglio gli avevo mandato la versione top secret, quella vera, che scrivevo per me, e iniziava descrivendo i due stilisti-committenti con queste parole: “E’ chiaro che lui da bambino giocava con le bambole, mentre lei torturava i gatti”.

Risultato: si offendono a morte, mi mettono sulla lista nera, e mentre la favola aziendale vola, il team creativo affonda, una storia tipica, e in questo caso anche tragica.

So che Mauro “ritardo” è finito in una comunità di mistici. Pianetti, l’ultima volta che l’ho visto, passava le notti all’Accademia del biliardo.

Ale, il bambino dagli occhi blu, se n’è andato pochi mesi dopo quella serata da favola, di overdose, come nella favole nere.

Mery, la bambina dai capelli rossi, l’ha raggiunto qualche anno dopo, di cirrosi.

Il Rosso pensava di avere l’influenza, è andato a fare degli esami, non è più uscito.

Ma non è una favola triste, per me, che li ricordo bambini correre insieme su quel prato.

C’era una volta un bambino blu innamorato del blu che aveva tutti i vestiti blu, tutti i giocattoli blu e anche gli occhi blu.

Un giorno incontrò un bambino rosso innamorato del rosso che aveva tutti i vestiti rossi, tutti i giocattoli rossi e anche i capelli rossi.

È più bello il il blu – diceva il primo bambino.

È più bello il rosso rispondeva l’altro.

Così passavano intere settimane a discutere, quasi a litigare.

È più bello il blu, è più bello il rosso, finché un bel giorno arrivò una bambina con gli occhi blu e i capelli rossi, la gonna blu e la maglietta rossa.

Qual è il colore più bello? – le chiese il bambino dai capelli rossi facendole una carezza sui capelli rossi.

Qual è il colore più bello? – le chiese il bambino dagli occhi blu guardandola negli occhi blu.

La bambina disse: venite con me.

Li prese per mano, li portò in un bellissimo prato e disse:

il colore più bello è il verde.

(Leone Belotti, copyright 1993-2013, in memoria di Ale, Mery e il Rosso).

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 3

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3 giornalismo dilettantelo scontro col potere

Nei successivi otto anni di medie e liceo non scrivo più niente e nemmeno leggo niente (prima divoravo un corsaro nero ogni due giorni) a causa di un trauma educativo occorsomi nella mia prima e unica esperienza di vacanze estive in colonia di mare, a Milano Marittima.

Invece di giocare con gli altri ragazzini, mi isolavo in pineta a leggere, quando ecco che mi ritrovo circondato da una folla inferocita di bambini e suore.

“Eccolo! E’ lui!”. Mi portano dalla madre superiora. Mi accusano del tutto assurdamente di aver spinto un bambino giù dallo scivolo (dalla parte della scaletta). Il poveretto si è rotto un braccio.

Io non c’entro per nulla, ma ben tre stronzetti testimoniano e giurano contro di me (in precedenza, a tutti e tre avevo detto, non sbagliandomi: “tua mamma è una puttana”).

Ricordo perfettamente le parole della madre superiora:

“oggi la spinta, domani il pugno, a sedici anni il coltello, a diciotto la pistola e la droga, è questo che vuoi diventare, bugiardo e assassino?”

Con entusiasmo avevo risposto: “Si!”.

Ero stato condannato a esser rinchiuso nel sottoscala a leggere Moby Dick alla luce di una lampadina.

Passai le tre settimane rimanenti nel sottoscala, senza leggere una pagina.

Dopo un mese al mare tornai a casa più pallido di com’ero partito, e traumatizzato.

Per otto anni non avrei più letto un libro né scritto una parola se non per dovere scolastico.

Alle medie e alle superiori sono uno studente modello, ottimo alle medie e 60/60 alla maturità con un tema su Juve-Liverpool, finale di coppa campioni giocata a Bruxelles e finita in tragedia per il crollo di una tribuna con un centinaio di morti.

Ricordo l’attacco ultra-retorico: “A Bruxelles è morta l’Europa…”

Nello scantinato nel Liceo Lussana, insieme al compagno Lori fondiamo la “cellula comunista” e stampiamo a ciclostile un foglio dal nome “Segnali di fumo”.

Nell’intervallo mi rivolgo a tutte le ragazzine più carine presentandomi come caporedattore di “Segnali di fumo” e chiedendo un’intervista sull’uso della pillola anticoncezionale.

In un articolo chiedo ufficialmente alla scuola di acquistare pillole e renderle disponibili gratuitamente. Come rappresentante degli studenti, faccio la stessa richiesta in consiglio d’istituto.

Dopo due numeri il preside scopre che le riunioni serali nello scantinato sono diventate un ritrovo di fumatori di hashisc (“Segnali di fumo”), e ci fa chiudere.

Ho idea di studiare matematica, vengo selezionato per la Normale, ma nel corso dell’estate riscopro il piacere della lettura: sono in vacanza con mio zio, sacerdote e cacciatore, io e lui in camper a dire messa in lande slave dimenticate da Dio, unico libro sul camper: “Paludi” di Gide. Una folgorazione.

Decido di iscrivermi a Lettere, Statale di Milano, con l’obiettivo di guadagnarmi il pane scrivendo.

Crisi.

Nel frattempo, me ne vado di casa, e mi mantengo lavorando come educatore disabili.

Creo un giornalino “In carrozza!” con resoconti comici delle disavventure quotidiane, stile “quasi amici”, organizzo corse per carrozzelle nella piazza ovale tipo “palio di siena”, e in generale azioni sovversive in luoghi pubblici, e tutto per avere qualcosa da scrivere.

Con la complicità della mamma di un disabile, faccio entrare nottetempo prostitute nel ricovero. Grande divertimento ma gli psicologi comunali non gradiscono.

Crisi.

Mi spostano sui bambini del campo estivo, ed io metto in piedi una nuova redazione di trenta bambini di 6-7 anni. Sul primo numero titolo e apertura con i lamenti dei bambini per la mancanza di fondi del campo estivo.

Quindi organizzo dei blocchi stradali nella via centrale del centro storico (oggi isola pedonale) con i bambini che chiedono una contributo agli automobilisti per un gelato collettivo.

Grande successo di pubblico e grande divertimento dei bambini, ma ancora una volta “i grandi” non gradiscono, e stavolta mi licenziano.

Crisi.

(imago by Monica Marioni)

troika erotica sovietica

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zukzukzuk

il compagno commissario Zuko aveva un problema, anzi due,

il problema del compagno commissario Zuko era una donna, anzi due,

le compagne gemelle Zuka e Zuki, che frequentava separatamente:

nei giorni pari subiva la compagna dominatrice sadica Zuka,

rossa di capelli, in abito di latex verde, labbra blu oltremare su fondotinta lillà;

nei giorni dispari sottometteva la compagna masochista schiava Zuki,

frangia d’argento su viso ceruleo,  bocca verde pistacchio e tubino fuxia.

Per non darti imbarazzo, gli avevano detto entrambe, non ci vedrai mai insieme,

ma il compagno Zuko, psico-ingegnere alla direzione strategica del kgb,

sospettava si trattasse di un’unica compagna con personalità sdoppiata,

e sagacemente organizzò un piano per smascherare l’inganno.

Dovendo partire per una missione di tre mesi a Cuba, avendo l’aereo all’una del mattino e l’agenda fittissima, e volendo dare un ultimo bacio alle sue amanti, diede appuntamento

a Zuka alle 23.55 alla Porta Est di Glasnost Kastle e a Zuki alle 00.05 alla Porta Ovest.

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Astutamente fece disporre gli specchi mobili di Glasnost Kastle come fossero telecamere in modo che potesse osservare le immagini riflesse di entrambi gli ingressi.

Ma disgraziatamente le compagne Zuka e Zuki invece di presentarsi all’appuntamento mandarono una staffetta con un messaggio congiunto:

al compagno commissario Zuko:

la tua statura morale non è degna della tua statura politica.

La staffetta chiese se c’era risposta. No, non c’era. Mestamente il compagno commissario Zuko salì sul grande Antonov militare.

Poco dopo il decollo, dalla cabina radio l’assistente marconista gli portò un messaggio proveniente da una Casa del Popolo di Mosca:

le compagne del popolo Zuka e Zuki augurano buon viaggio al compagno commissario Zuko e si augurano che il compagno Fidel Castro possa rimettergli la Zuko a posto!

Il marconista gli chiese se volesse mandare risposta. Il commissario scosse il capo.

Dentro di sé il compagno commissario Zuko pensava:

dovranno faticare lacrime e sangue per riconquistare i miei favori.

Dopo un lungo e movimentato volo senza riuscire a dormire, e un trasferimento in jeep sotto un caldo torrido, appena sistematosi nell’appartamento destinatogli, il caporale di guardia gli consegnò un telegramma proveniente dalla Segreteria del Soviet Supremo:

Buona permanenza a Cuba! Le compagne Zuka e Zuki annunciano con gioia al compagno commissario Zuko di essere state onorate dell’incarico di alleviare insieme

le notti insonni del compagno padre della patria e del popolo Josif Vissarionovic Stalin lungo tutto il rigido inverno russo!

(la “fabula erotica sovietica” è stata trovata  dall’impresa di sgombero nell’archivio del dismesso consolato sovietico di Milano, databile primi anni Cinquanta, e tradotta dal russo dal compagno Bartolomeo Terracini.  I disegni di Zuko, Zuka e Zuki e del Glasnost Kastle sono di Karim Rashid per Purho: https://www.facebook.com/purhodesign)

la giornata dello scrittore sovversivo

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01-sharon-stone-sul-set-romano-di-un-ragazzo-d-oro-di-pupi-avati

la telefonata mi arriva alle dieci di sera, mentre come al solito pensavo di suicidarmi per mancanza di soldi, lavoro, identità, etc

ciao sovversivo, io sono un uomo di potere, ho appena letto il tuo blog, sei bravo, ti voglio conoscere, ho fatto due ricerche, ho visto che abbiamo una conoscenza in comune, l’editore leninista, mi è venuta l’idea di fare un libro, vieni domani a roma, pranziamo insieme, c’è anche l’editore, gli ho appena detto di farti un bonifico per le spese di viaggio, ti aspetto al bolognese all’una e mezza, hai un posto prenotato sul frecciarossa, mi senti?

si

allora ci vediamo domani, ciao

nello stesso istante la mia casella di posta mi segnala due messaggi, uno è il biglietto pagato per il frecciarossa, l’altro della banca che mi dice una cosa che non mi diceva da mesi: bonifico avvenuto

passo la notte a bere e fumare e giocare a playstation

alla mattina alle sette mi arriva un sms che dice che il mio taxi è pronto sotto casa

alle otto sono sul frecciarossa in business, davanti a me è seduta una strafiga freschissima,

la guardo, mi guarda, le sorrido, mi sorride,  scusa dove ti ho già visto, le chiedo

probabilmente in televisione, mi dice, o al cinema, io sono Sonia Fedelbaum, il nuovo sogno erotico degli italiani,

alle dieci a bologna sale l’editore leninista ci mettiamo a parlare di quanto siano bastardi quelli di amazon e mondadori con questa presa per il culo del self publishing,

poi parliamo di cosa scriverebbe oggi Gramsci, certamente oggi Gramsci scriverebbe di social network,

poi parliamo di quanto l’abbia presa nel culo la classe operaia e di quanto siano rottinculo gli intellettuali italiani,

a mezzogiorno alla stazione termini l’editore leninista mi dice io vado all’eur a parlare con un architetto tedesco per fare un libro pagato dai cinesi, tu vai al bolognese a mangiare con l’uomo di potere, vedrai è simpatico ,

davanti al bolognese in piazza del popolo c’è ressa, paparazzi, polizia, teenager, macchine da presa, carri funebri con cavalli,

una specie di Liam Neeson invecchiato mi prende sottobraccio, mi dice ciao sovversivo andiamo a magnare,

entrando al bolognese lo pseudo Neeson dice ciao a un simpatico ottantenne rotondetto e abbronzatissimo, è un senatore a vita, ha la lacrima all’occhio, indica la chiesa a pochi metri dalla gente che beve champagne ai tavolini all’aperto, è il funerale di Cerami, dice, l’autore di un borghese piccolo piccolo,

no, interviene un altro, abbronzatissimo, phonato, sorridente, quarantenne, è un onorevole missino, che dice: è il nuovo film di Pupi Avati, sta girando la scena del funerale,

ah, dice il senatore, du piccioni co una fava,

ci sediamo, ci portano di tutto senza chiedere niente,

ciao Nicola, è Pietrangeli, il grande tennista, abbronzatissimo,

ciao ministro, com’è andato iersera il concerto di Andrea dal papa, bene, benissimo, piangevano tutti, co Bocelli la lacrima è garantita,

oh, ciao Sharon, sei bellissima (è Sharon Stone, che sta girando il film di Avati)

maronna quanta ggente che ce rompe i coioni, annamo in saletta,

allora sovversivo cosa fai tutto agosto non ti piacerebbe scrivere un libro per l’editore leninista, c’è già pronto un anticipo per buttare giù il primo capitolo, che ddici ci stai, me basta che fai si cor capoccione,

essendomi nel frattempo scolato da solo una boccia di kruger, rispondo: pota ostia certo che ci sto, ma che genere di libro?

Liam Neeson mi guarda  con affetto e compassione: un bel libro, dice con dolcezza,

ah ecco il compagno editore, sei contenta sharon, guarda che bel quadretto, editore leninista con scrittore sovversivo, due rompicoioni che ar paese tuo starebbero al gabbio, e in Italia invece me tocca  ordinargli champagne…

una cosa intelligente fatta da Berlusconi

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berlusconi-anni-70

Faccio parte di quella massa di italiani che da sempre trovano Berlusconi epidermicamente insopportabile, perfetto rappresentante di tutto ciò che è profondamente detestabile, socialmente, politicamente e culturalmente,

perciò quando settimana scorsa una maestra yoga mi ha invitato, come esercizio di spirito positivo, a trovare una buona notizia, volendo esagerare, ho rilanciato promettendo: farò di più, troverò una cosa buona, una cosa intelligente fatta da Berlusconi,

non è che mi sia venuta in mente subito, ci ho pensato per giorni, e alla fine l’ho trovata,  e in tutta onestà devo ammettere che una cosa buona, intelligente, Berlusconi in 20 anni l’ha fatta,

una cosa da niente, ma di grande valore, che interesserà pochi:

bisogna tornare indietro parecchio, fine anni Ottanta, primi anni Novanta,

in quegli anni io ero un giovane rampante-sovversivo in ambito pubblicità-letteratura, da un lato frequentavo l’intelleghenzia di sinistra, Milano Poesia, votavo Democrazia Proletaria e pubblicavo racconti con piccoli editori prestigiosi; dall’altro facevo marchette (copy e ghost writer) per l’odiata Milano da bere moda e design;

altri tempi: scrivevi la didascalia “poetica” per una sedia, tre righe, e pioveva il centomila lire; scrivevi una mezza cartella stampa per lanciare una nuova linea, e pioveva la mezza milionata; scrivevi agile un libro in 5 giorni sul marketing, un libro poi firmato da un grande manager, e piovevano dieci milioni;

un giorno sono al caffè Sant Ambroeus col mio boss (uomo craxiano, che tutti ritenevano un grande stratega pubblicitario, in realtà amava dipingere e aveva fatto i soldi come musicista componendo la sigla per l’antesignano dell’e.commerce: “con Postal Market è una festa”) quando la mia attenzione è attirata da un tizio (Silvio B.) che racconta barzellette al barista (impassibile, mentre tutti intorno si scompisciano)

quello lì è un leader carismatico, mi dice il mio boss. Allora io tiro fuori tutta la mia preparazione citando Max Weber. Lascia stare Max Weber, mi dice il boss, e tutti i marxisti: se vuoi capire come funziona davvero il capitalismo, leggi Pareto. Chi?

Vilfredo Pareto. In qualsiasi facoltà di sociologia francese, tedesca, inglese, americana Vilfredo Pareto è considerato il più importante scienziato della politica del Novecento, così come Marx lo è dell’Ottocento, Montesquieu del Settecento, Bodin del Seicento e Machiavelli del Cinquecento.

In Italia è quasi del tutto ignorato. Per quale motivo? Sarà stato un porco fascista! Macchè, insegnava  in Svizzera. Leggiamo le opere, e vediamo di capirci di più.

Il boss mi presta un mattone (il Trattato di Sociologia, del 1916) e un libello polemico (“Il mito virtuista e la letteratura immorale”, del 1911) in edizione originale.

Entrambe le letture sono delle rivelazioni. Nel libello polemico, il nostro se la prende con i moralisti, sia cattolici bigotti che atei socialisti, invitandoli, invece di pensare alle “foglie di fico” a occuparsi dei veri problemi del paese: miseria, corruzione, analfabetismo, mafia a camorra. Il pudore patologico serve a distrarre l’attenzione dai fatti economici: mentre la gente si sfoga a discorrere intorno alle foglie di fico, i furbi mangiano i fichi stessi.  Uno dei pamphlet più divertenti, dissacranti, eleganti e colti che abbia mai letto.

Nel Trattato, mi si apre un mondo. Le “scoperte” di Pareto sono numerose, e tutte fondamentali. La più nota è conosciuta come “teoria delle elites”: a differenza di Marx, che spiega la storia come scontro tra classi sociali, Pareto spiega la storia con la teoria delle elites: gli individui emergenti, anche quando dichiarano il contrario,  non vogliono sovvertire le elites, ma semplicemente farne parte, ed è interesse delle elites (ricambio delle elites) integrare questi individui capaci, ed emarginare i proprio rami secchi in attività oziose (sport, cultura, beneficenza…).

Quando un’elite non è in grado di assicurarsi sangue fresco, l’intera società va verso la sclerosi. Ne deriva, è il caso italiano, che il primo fattore di sclerosi sociale, che impedisce la circolazione delle elites, è il familismo.

Il familismo è la base dell’impresa familiare, e a livello d’impresa familiare è un fattore socioeconomico propulsivo. Non esisterebbe la piccola impresa senza un nucleo compatto e solidale di comando e lavoro come la famiglia.

Ma a livello di grande impresa, con grande responsabilità sociale, le dinamiche familiste delle elites italiane nel 90% dei casi sono un fattore recessivo: in una posizione di potere, servono individui di grande capacità, ed è improbabile (al max 10% dei casi) che i figli di uomini di grande capacità, nonostante le favorevoli condizioni in cui sono stati allevati, siano essi pure dotati di grandi capacità. Basta guardarsi in giro, per averne conferma.

E cosa fanno le elites? Come dominano? Come sfruttano i lavoratori?

Prendendoli in giro. Dandogli ragione. Dandogli dei contentini, e facendo grandi promesse. Lasciando che si uniscano in grandi masse, essendo più facile manovrare una massa (cooptandone i leader) che una moltitudine di individui. L’uomo massa, convinto dai suoi leader che l’unione fa la forza, rinuncia a ogni iniziativa individuale, e accetta come sue le scelte dei suoi leader.

Ci sarebbe da andare avanti ore. Ci sarebbe da leggersi Pareto. Dopo aver restituito le edizioni originali al mio boss, mi ero precipitato in libreria, volendo possedere testi così culturalmente importanti (il Trattato) o letterariamente esemplari (il pamphlet contro i moralisti).

Con mia grande incredulità e sorpresa scopro che esistono edizioni delle opere di Pareto in francese, in inglese, in tedesco… ma non c’è un editore in Italia che pubblichi Pareto!

E non stiamo parlando di un filosofo nazista maledetto come Julius Evola, stiamo parlando di un tranquillo liberale aperto e tollerante (forse un tantino elitario…).

Mistero. Misteri del sistema culturale italiano.

I grandi misteri del sistema culturale italiano sono l’imposizione nella scuola dell’obbligo di autori scadenti come il Manzoni, Vittorini, Moravia, gente che ti fa passare la voglia di leggere per il resto della vita, e in parallelo il mobbing editoriale/scolastico sul grande romanzo dell’Ottocento italiano, Le Confessioni di Nievo, e sul grande romanzo del Novecento italiano, l’unico di livello europeo, La Pelle di Malaparte.

Ma questo li supera tutti. Nessuno in Italia pubblica Pareto!

Pochi anni dopo, in una nota libreria di anarchici, trovo questa collana superlussuosa e costosa (tipo i Meridiani) che ha in catalogo l’opera omnia dei grandi pensatori eretici: Erasmo da Rotterdam, Giordano Bruno… e Vilfredo Pareto!

Chi è l’editore? Silvio Berlusconi Editore. Non Mondadori, Fininvest, o altre sigle del gruppo. Si chiamava proprio Silvio Berlusconi Editore. Il Pareto mi pare costasse 100.000 lire. Una collana che oggi non c’è più.

Ecco la cosa buona, intelligente fatta da Berlusconi. Pubblicare Pareto.

Meno buono, il fatto che lui, e non noi, intellettuali di sinistra, abbia letto, compreso bene e messo in pratica con successo la teoria delle elites, soprattutto il capitolo sulla predisposizione delle masse verso i comportamenti non logici…

In una villa sul lago di Como, alla scuola del partito, ci facevano leggere tutti i pallosissimi testi sacri del comunismo, il resto era sovrastruttura borghese, ma ripensandoci adesso  mi sorge il dubbio che il docente di dottrina, D’alema, si leggesse Pareto di nascosto.

il senso di Bruni per la Bergamo Bene

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mi sono innamorata di Roberto Bruni a prima vista, a un comizio, l’aplomb, il portamento, lo sguardo intelligente, sincero…

Per anni l’ho votato, sostenuto, appoggiato, difeso… ricordo l’entusiasmo di quei giorni, una giunta di sinistra a Bergamo, e con i verdi!

Per lui ho litigato con marito, amici, alunni. Apri gli occhi, mi dicevano.

Alla fine ho pianto. I fatti sono lì da vedere, sono fatti che gridano, e fanno piangere lacrime pesanti, d’amore tradito, e lasciano amarezze, e cicatrici profonde, da famiglia spezzata.

La prima ferita, il primo segnale: ruspe che sradicano gli alberi secolari del cortile dell’Accademia Carrara… un sacrificio necessario,  per sveltire i lavori di ammodernamento…

Ma la vera sorpresa è stata il progetto, che solo un giunta ecologista poteva realizzare senza trovare opposizione, di scavare un parcheggio interrato nel friabile (e sacro!) colle della Rocca, l’Acropoli della città.

Abbattuti centinaia di alberi della memoria, cancellato il parco faunistico, asportata metà collina, 2500 grossi camion avanti e indietro sulle mura venete (certo non progettate per sopportare quei pesi!).

E infine, come previsto dal geologo, il crollo, la frana, il panico (si teme il crollo della Rocca) le iniezioni di cemento armato, i lavori interrotti, il cantiere sequestrato, un bel cellophane azzurro a coprire la voragine.

Il costruttore viene arrestato (costruiva la Bre-be-mi utilizzando scorie tossiche, mentre la moglie consegnava tangenti da 100.000 al vice di Formigoni!).

E chi lo difende? L’avvocato di fiducia, l’amico di famiglia. Lui. Il sindaco Bruni.

La mattina come sindaco gli affida lavori pubblici che si rivelano un disastro (e un danno incalcolabile, e infatti nessuno l’ha mai calcolato) per la città; il pomeriggio, invece di denunciarlo e chiedergli i danni, si spoglia della fascia tricolore, indossa la toga di avvocato, e corre premurosamente a difenderlo (è un cliente! dovere professionale!).

Conflitto d’interesse? Ma cosa dite mai, quello riguarda Berlusconi!

Sono passati quattro anni, la voragine, il disastro, perfino il cellophane sono ancora lì, inguardabili, come del resto l’Accademia Carrara:

dopo cinque anni la pinacoteca, che era solo da rimodernare con allestimenti e bookshop,  è ancora chiusa, non si sa quando riaprirà, i quadri sono in giro per il mondo (gratuitamente!) e alcuni capolavori (tra i quali un Tiziano e un Bellini) sono stati danneggiati irrimediabilmente (sbriciolati) causa errate temperature e umidità delle nuove sedi espositive “temporanee” (Palazzo della Ragione). E chi se ne è accorta? La donna delle pulizie! Notizia imbarazzante, mai divulgata.

Poco dopo, un’altra mazzata: all’uscita dall’autostrada, dove da sempre abbiamo ammirato lo skyline di città alta, vero biglietto da visita della città, spunta un nuovissimo palazzone-centro commerciale (il noto “ecomostro di via autostrada”).

Si scopre che l’autorizzazione a sforare di 18 metri in altezza il piano regolatore è stata regolarmente concessa dalla giunta Bruni in fretta e furia esattamente nell’ultimo giorno di mandato…. certo, a pensare male si fa peccato…

Dunque la mia giunta, ecologista e di sinistra, e il mio sindaco, che mi faceva sognare a occhi aperti, con quell’appeal da filosofo, verranno ricordati per aver chiuso la Carrara, deturpato la Rocca e autorizzato (chissà mai per quale motivo, continuo a chiedermi) una colata di cemento che cancella il profilo di Bergamo Alta.

Tu pensi: cosa farà adesso quest’uomo, responsabile di tanto scempio?

Chiederà scusa alla città, certo si ritirerà quantomeno dalla politica, se non dalla professione forense.

Ma come niente fosse accaduto, in barba alla tanto proclamata “memoria storica”, alle ultime elezioni, ecco su L’Eco un appello titolato: “Dal mondo della cultura 42 artisti con Bruni”!

Dove testualmente si dice “non dobbiamo affidare al centrodestra la gestione del patrimonio artistico, mortificato da un utilizzo dissennato del territorio…”

Seguono i più bei nomi della cultura e dell’arte cittadina. Ho ritagliato l’articolo e l’ho appeso, a “imperitura memoria” dell’ottusità totale (in buona fede!) degli intellettuali:

evidentemente, inconsciamente, queste persone, che conosco, che stimo, non hanno visto questi tre mega-disastri ambientali/culturali (Carrara, Rocca, Autostrada) avvenuti sotto la giunta ecologista di sinistra…. esattamente come quando si trova il partner a letto nudo con un’altra persona, e ci si rifiuta di credere a quello che si vede.

Il fascino Bruni, e la fede dei suoi fan, e io lo so bene, supera ogni disastro: sorridente, vincente, viene eletto in Regione con i voti della buona cultura di sinistra. Chi non lo vota, come me, e lo dice, si ritrova isolata, accusata di qualunquismo, fascismo…

L’ultima beffa, pochi giorni fa, il Corriere titola: “Se Bruni salva Podestà”.

Il fatto in sintesi: l’avvocato Bruni con magistrale abilità ottiene la prescrizione per il reato di firme false contestato a un consigliere del Pd (firme di persone decedute) e in questo modo offre a Pecorella (l’avvocato di Berlusconi…) l’escamotage e il precedente per far assolvere Podestà, presidente della provincia di Milano, accusato dello stesso reato…

Tipico caso di eterogenesi dei fini: pensavi (in buona fede) di “fare del bene” salvando “un amico”  (che ha sbagliato per una buona causa, la sinistra!) e in questo modo invece fai un grande servizio al “nemico” (che si è macchiato dello stesso reato, ma per la destra!)

Quando Bruni si ritirerà dalla politica, sarà sempre troppo tardi.

Io non credo che Bruni sia un mostro, un ladro, un venduto, un infiltrato della destra, un pagliaccio dei palazzinari, non credo che abbia preso soldi sporchi, tangenti (che bisogno ne avrebbe? la sua dichiarazione dei redditi è talmente sostanziosa!) e nemmeno con la fantasia riesco a pensare che sia immischiato nelle losche vicende d’affari tra la ‘ndrangheta e il pd lombardo, o che agisca ricattato per debiti o turpi vizi privati tipo poker o bunga bunga, no, assolutamente, niente di tutto questo, ci metto la mano sul fuoco:

la spiegazione, il senso storico dell’operato regressivo, deleterio di Bruni, è un altro, e quasi peggio, e non riguarda lui solo, ma il cuore del suo elettorato Bergamo Bene evoluta, di centro sinistra,

disastri in buona fede, con la coscienza pulita,

il senso di Bruni per la Bergamo Bene è proprio questo: una vita, una professione nel solco di famiglia, con i valori giusti, la cultura giusta, ma senza mai chiedersi, accorgersi dell’assurdità del proprio operare, senza mai prendersi davvero la responsabilità del proprio ruolo, senza mai ammettere un errore, una colpa, senza mai fare una scelta…

una fenomenologia paradossale, generazionale… tu prendi un borghese di buona famiglia, democristiano, bigotto, con i suoi difetti, lo fai diventare laico, socialista, aperto di mentalità… ed  ecco che perde l’unica virtù che aveva, la paura di andare all’inferno, che lo costringeva all’esame di coscienza…

Io credo che Bruni abbia sempre agito onestamente e in buona fede. Ce l’ha scritto in faccia. E’ questa la banalità del male, l’inconsapevolezza delle proprie azioni, condotte in buona fede, da persone per bene,

del tutto incapaci di mettersi in discussione, e recitare il mea culpa, mea maxima culpa.

 

la palestinese scomparsa in curia

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…e si meravigliarono che stesse parlando con una donna…” Giovanni 4,27

Va bene, parliamo seriamente di femminicidio.

Il primo femminicidio l’hanno compiuto i Padri della Chiesa  qualche secolo dopo Cristo,

quando hanno stabilito quali fossero i vangeli ufficiali, da divulgare, e quali apocrifi, da censurare: ovvero tutti quelli dove si dava (troppo) risalto alle figure femminili, al libero amore (praticato dalle prime comunità cristiane) e soprattutto a Maddalena, la compagna di Gesù, puttana e santa: da quel momento il destino della donna è  puttana o santa.

Più di mille dopo, parallelamente alla rivoluzione scientifica, la Chiesa compie il grande femminicidio, la caccia alle streghe,

estirpando di fatto non solo tre generazioni di donne “emancipate” (o mai sottomesse) ma una cultura orale femminile che si era tramandata per secoli (alternativa, medicina naturale, non commerciale, non gerarchica, sessualmente libera)

in favore del monopolio maschile della medicina e della tecnica, e di una cultura scritta, gerarchica e sessuofobica.

Quello che fanno le donne è magia, alchimia, astrologia, superstizione.

Quello che fanno gli uomini è tecnologia, chimica, astronomia, scienza.

Le donne fanno l’amore (puttane), gli uomini fanno la guerra (santa).

Gli uomini diventano famosi abbattendo nemici, le donne no.

L’unica possibilità per una donna di passare nei libri di storia è il martirio (o il marito).

Cercando nella storia di Bergamo una donna da mettere in copertina per la capitale della cultura, non si trovano che donne uccise in quanto donne, e fatte sante,

un femminicidio senza fine, le donne vengono “uccise” e poi santificate dalla Chiesa,

a cominciare da Maria Maddalena, la compagna di Gesù, allontanata dai discepoli, censurata nei vangeli, scomparsa dalla storia, le reliquie trafugate, quindi portate dai Templari a Senigallia nel 1200. E poi il mistero.

Ho affrontato questo discorso con un vecchio monsignore.

Gli ho detto: in 2000 anni di storia di Bergamo non abbiamo una donna, e  la colpa è vostra.

Mi ha mandato a consultare i registri pastorali della Diocesi nella biblioteca Angelo Mai. Certe cose sono sfuggite anche a Dan Brown mi ha detto.

La scoperta filologica-scoop era esattamente dove mi ha indicato il monsignore: archivio Colleoni-Martinengo:

papa Sisto V anno Domini 1475, visita pastorale a Romano di Lombardia dove sono custodite le reliquie di S. Maria Maddalena, trafugate in Senigallia da Bartolomeo Colleoni nel 1444, e donate alla comunità bergamasca.

Alla fine l’abbiamo trovata la donna da copertina, il simbolo della femminilità rimossa.

Riposa in pace, Maddy, è bello sapere che sei sempre stata qui, nella capitale della cultura maschile.

(Leone Belotti, editoriale per CTRL magazine Luglio 2013, imago: Studio Temp, prove di copertina )

il curriculum della Olivares

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La bella e dinamica Olivares,

è la nuova super-manager di Bergamo2019, assoldata dal Comune a 225.000 euro (secondo il Corriere della Sera) implementabili a 700.000 e oltre (secondo Il fatto quotidiano).

Docente di organizzazione eventi all’Università Cattolica di Milano,

consulente per le relazioni culturali del ministro-conte Terzi di Sant’Agata a Roma e consulente di Expo2015 a Milano-Rho,

l’affascinante e attraente Olivares,

come si apprende spulciando vecchi rotocalchi gossip (gli unici organi di stampa che in Italia tengono fede alla missione giornalistica, rivelando qualcosa)

ha anche un marito, che per la verità è il suo secondo marito:

un articolo di Amica del 2003 spiega: detta Chicca, belloccia, ex consigliere di amministrazione Rai, proprietaria delle edizioni Olivares, fondatrice del gruppo “Donne in carriera”, una passione per i tailleur pantalone giallo uovo e tacchi a spillo, due mariti.

Il primo, architetto, “era un’ottima moglie. Io viaggiavo, ero sempre negli Usa per lavoro. Lui stava in casa e faceva in modo che la mia vita funzionasse perfettamente. Poi, però, non mi bastò più sapere che, ovunque fossi la sera, lui stava facendo il minestrone. Così lo lasciai.”

Il secondo marito è Carlo Maria Ferrario, presidente della Banca  Schroder: dura da 15 anni. “Ho trovato un tipo straordinario! Non rompe, si rende utile. Ottimo.”

Su D di Repubblica del 1996 apprendiamo che col secondo marito la Chicca riscopre i piaceri della donna di casa:

appena nominata consigliere di amministrazione della Rai, Federica Olivares, ha organizzato un incontro conviviale tra il leader del Pds, Massimo D’ Alema, e alcuni tra i massimi esponenti del mondo degli affari.

La cena si è svolta nell’appartamento della coppia Ferrario-Olivares in pieno centro cittadino…

In questo quadretto d’epoca,  risulta veramente difficile immaginare che D’Alema possa aver detto “qualcosa di sinistra”.

Non è mai facile per nessuno tirare fuori a tavola il noto aforisma di Engels:  i capitalisti amano realmente la cultura, e sposano donne colte che amano realmente i soldi, diventando così dei pervertiti che  in pubblico si scambiano i ruoli, per cui i mariti, che amano la cultura,  si dedicano ai soldi, e le mogli, che amano i soldi, si danno alla cultura.

Chiaramente non alludiamo a te, Chicca, dal momento che tu, conti alla mano, ti dedichi in prima persona sia alla cultura, che ai soldi.

Come rivela un recente dossier pubblicato di Dagospia:

La casta è femmina. A colpire è la disinvoltura con cui il conte bergamasco e Cavaliere del Sacro Romano Impero, Terzi di Sant’Agata, ha elargito consulenze privilegiando l’universo femminile.

Il giorno dopo il giuramento di Monti eccolo firmare un incarico di consulenza a Pia Luisa Bianco per 40mila euro. Quindi il munifico Terzi ingaggia Cristina Di Vittorio e Manuela Giordano per 90 e 40mila euro. E dopo due settimane è la volta di Federica Olivares, alla quale Terzi destina 80mila euro per le “relazioni culturali”. E la lista potrebbe continuare…

Con questi precedenti, non deve essere stato difficile ottenere il super cachet dai laboriosi bergamaschi (Formigoni).

I compagni del Vernacoliere titolerebbero senza problemi:

la moglie ingorda del banchiere si prende nella cultura tre cachet per volta, e uno più grosso dell’altro!!!

Oltre al mega-cachet-Olivares, i laboriosi bergamaschi  rischiano di pagare anche il mega-risarcimento (300.000 euro) preteso da Bertollini, il project-manager silurato.

Che la cultura, in questo circus, abbia la parte del clown, lo si evince rileggendo oggi le parole “poco diplomatiche” del manager silurato:

«Grazie ai contributi che arrivano dallo Stato, dall’Unione europea e dagli sponsor si finanziano nuove infrastrutture, ma anche progetti già in programma. Sarà decisiva l’attività di lobby»

Traduzione: come in una commedia di Pirandello, nel nome della cultura salteranno fuori i soldi per alimentare l’esatto opposto, cioè l’edilizia ignorante, come lo sfascio della Rocca, da completare.

(traduzione di lobby,  dal dizionario di inglese Garzanti: gruppo di persone che fa manovre di corridoio per far passare un progetto di legge).

Ora ci è più chiaro cosa stiano facendo nel nome della cultura e a cosa serva la Chicca con il suo salotto (che puzza di minestrone).

Quello che i capitalisti non dicono, è che il progetto “capitale europea della cultura” prevede per il 2019 manifestazioni per costi dai 30 ai 90 milioni di euro, con capitale pubblico ipotizzato fra il 60 e il 90 per cento. Vista la torta, si sono buttati a pesce.

Non si sono nemmeno sognati di chiedere ai cittadini, o quantomeno agli operatori culturali: cosa ne pensate di presentare Bergamo come candidata capitale europea della cultura?

Non si sono minimamente preoccupati di creare partecipazione (come sta facendo Ravenna) promuovendo realmente incontri e comitati pubblici.

No. In modo autocratico, hanno svuotato le casse del Comune per ingaggiare super-manager a peso d’oro uno dopo l’altro,

quindi hanno riempito la città di ridicoli e costosissimi totem (già da buttare causa vandalismi: e ai compagni imborghesiti che hanno perso il senso critico, ricordiamo che chi offende la cultura e spreca soldi pubblici non è il ragazzino che scrive “siete degli sfigati” su questi totem da sfigati, ma la Giunta che li ha voluti e collocati)

poi hanno aperto un sito patetico-sottocosto con una pagina dove si invitano i cittadini a mandare le loro idee: peccato che non ci sia lo straccio di un accesso, una mail, un pulsante, niente. Più avanti c’è la sezione “entra nello staff” dove ti invitano a mandare il curriculum: “solo così potrai essere selezionato per lavorare come volontario”.

Infine ci sono le figurine con i personaggi storici (scelte molto, ma molto discutibili) con  4 righe ciascuno, e indegne, stile tesine “tirate giù da wikipedia”.  E questa sarebbe la vetrina di una capitale della cultura?

Cosa ci manca  per capire fino in fondo il senso della sceneggiata?

Un trafiletto pubblicato pochi mesi fa da una testata locale (La Rassegna): a Bergamo sono stati tagliati i fondi per permettere ai centri socio culturali, ossia agli avamposti culturali nei quartieri meno chic, di comprare dei libri da dare in prestito e in lettura agli abitanti. Poche centinaia di euro: mica cifre da paura. Insomma, nella capitale europea della cultura in pectore non si trovano mille euro per dare da leggere a pensionati e studenti delle periferie,

Ecco cosa c’è dietro la pagliacciata della capitale della cultura:

si tagliano 700 euro (settecento) alle biblioteche di periferia,  e si regalano 700.000 euro (settecentomila) alla moglie di un super-banchiere (e al conto si potrebbero aggiungere i 300.000 del risarcimento al suo predecessore!).

Totale: un milione di euro, e per cosa, poi, per quale ideona?

La Olivares si è presentata brillantissima con un concept basato sui dualismi forti: Città Alta e Bergamo Bassa, la pianura e le valli. (fonte: L’Eco)

Un milione di euro per sentirsi dire Berghem de sura/Berghem de sota? Ma il vero passo falso della Chicca sono state certe dichiarazione bassamente altezzose, come Bergamo è una città affascinante, ma non attraente.  Immaginiamo pure la conclusione: non si sa vendere! (al contrario di te, Chicca!)

Queste genere di vaniloquenze, Chicca, ti si rivolta contro:

per cui oggi sei tu la provinciale attraente che appena apre bocca perde tutto il fascino, capisci?

C’è una sola cosa che puoi fare a questo punto, Chicca, te lo dico da amico:

lasciati possedere fino in fondo dallo spirito dei grandi bergamaschi

ti parlo di Bartolomeo Colleoni, che ha lasciato tutto il suo patrimonio alla Repubblica Veneta;

ti parlo di Francesco Nullo e Gabriele Camozzi, che hanno prosciugato le loro aziende per finanziare la spedizione dei Mille;

ti parlo del conte Giacomo Carrara, che ha donato alla città la sua pinacoteca,

e la lista potrebbe continuare… Capisci l’antifona? Si che la capisci!

E allora, se sei veramente una donna di status superiore, entra nello spirito Colleoni, Nullo, Camozzi e Carrara, e finalmente ti sentirai realmente appagata, e non solo pagata, per cui farai un bel comunicato stampa, e restituirai il capitale alla collettività.

Poi, se davvero credi nel tuo progetto per la cultura,  sarai la benvenuta, e ti basterà fare quello che chiedi di fare a noi:

entra nello staff, manda il tuo curriculum,  

solo così potrai essere selezionata come volontaria e lavorare alla costruzione della Bergamo del futuro!

l’arena romana sotto il seminario di Bergamo

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Riguardo all’archeo-scoop divulgato dal signor Dante A. nel post “Bergamo commedia dell’assurdo” (l’arena romana sotto il seminario) da una prima ricerca abbiamo trovato le seguenti fonti:

> Giovan Battista Rota, “Dell’origine e della storia antica di Bergamo”

pubblicato da Vincenzo Antoine a Bergamo nel 1804,

(disponbile in pdf scaricabile gratuitamente dal sito dell’Università dell’Illinois – USA)

capV – dell’antico anfiteatro di Bergamo:

“Che Bergamo avesse l’anfiteatro, non è da dubitarne.

Il luogo in cui esso era situato anche oggidì si chiama Arena.

Dell’uso di spargere d’arena il campo, affinché assorbisse il sangue, e vi si potesse combattere con piè sicuro, derivò all’anfiteatro il nome di arena.

Sappiamo di certo che alcune città d’Italia e d’oltremonti, Nimes, Arles, Milano, Bergamo, Verona ebbero anfiteatro stabile, cioè di muro.

Si poté costruire in Bergamo un ampio e magnifico anfiteatro, senza far venire di lontano i materiali, trovandosi nel suo distretto cave di pietra e marmo.

Nell’anfiteatro di Nimes, di cui gran parte ancora sussiste, si veggono due mezzi tori sostenenti un architrave a guida di mensole.

Ora vi è da notare che nel luogo medesimo ove era situato l’anfiteatro di Bergamo si sono scoperti tre mezzi tori di marmo, che si conosce essere stati messi in opera a sostenere qualche architrave,

ed è verosimile che molti altri marmi di questa fatta rimangano tuttavia colà sepolti, ove furono guasti o ridotti ad altro uso, ovvero gettati ne’ fondamenta delle moderne fabbriche”

>  dal sito del Museo Archeologico Bergamasco:

“La presenza dell’ anfiteatro è suggerita dal toponimo “Arena”, che conduce ai piedi del colle di S. Giovanni, dove attualmente sorge il Seminario.

È altresì documentata dall’andamento curvilineo di alcuni muri della Cittadella e da alcuni elementi architettonici rinvenuti ai piedi del colle che trovano confronti in elementi simili dell’anfiteatro di Nimes”

> da Lorenzo Quilici “Architettura e pianificazione urbanistica nell’Italia antica” pubblicazione CNR, Roma 1997 , pag.206 :

“… danni ingentissimi ha causato l’erezione del Seminario, vero e proprio caso di brutalità edilizia che ha portato alla distruzione di tutti i resti venuti in luce durante i lavori”

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