manifesto turbo comunista art.1

play this post

tcFR

Manifesto TurboComunista

con contributi ExtraDemocratici e IperFascisti

1 – Uno spettro si aggira per l’Europa

è lo spettro dell’ipercapitalismo –

è la voragine del debito della finanza del petrolio –

è il panico delle catastrofi finanziarie ed ecologiche e sociali che ci travolgeranno –

la catastrofe psichica è già arrivata ––

viviamo nella società dello spettacolo, l’ultimo spettacolo –

stiamo entrando nella fase di estinzione dell’homo sapiens –

il Made in Italy era il canto del cigno –

già oggi i farmaci il sesso le droghe e lo smaltimento rifiuti unici settori sani dell’economia –

la pulizia del design non arresta la polvere –

non sappiamo che fare, compagni –

siamo in trappola, camerati –

non c’è speranza, fratelli –

anche i sensi di colpa si possono pagare a rate –

le rate sono inesorabili –

il mondo è intorno a te –

la vita ti sfugge in diagonale –

che fare?

(testo by Sean Blazer alias Leone Belotti alias CalepioPress

efffigie Int.Turbo Com by Athos Mazzoleni,

articoli del Manifesto TurboCom già pubblicati: 2-3-10-17-18

https://calepiopress.it/2013/01/25/preview-manifesto-turbo-comunista/

https://calepiopress.it/2013/03/12/contributo-iper-fascista-al-manifesto-turbo-comunista/

https://calepiopress.it/2013/03/01/la-proprieta-intellettuale-e-un-furto/

https://calepiopress.it/2013/02/15/e-ora-di-occupare-gli-spazi-pubblicitari/

 

un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia

play this post

Italia

Un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia.

L’Italia è un fantasma perché la sua storia è quella di un fantasma, una sembianza, un’apparenza. E l’apparenza inganna. L’Italia, la storia dell’Italia moderna, è un caso esemplare di un’identità costruita sull’inganno delle apparenze.

Basta rileggere senza paraocchi le 4 mitologie cruciali della storia italiana contemporanea (Risorgimento, Ventennio Fascista, Resistenza, Made in Italy) per comprendere cosa sia lo stile italiano, e quanto sia storicamente radicato.

Il Risorgimento viene impartito – già dalla parola – come fenomeno morale che si manifesta in episodi esemplari (con specifica denominazione: i “moti risorgimentali”) che fungono da “trailer” di un sentimento nazionale e popolare in realtà inesistente.

La mitologia-mitografia risorgimentale con i suoi testimonial (Ciro Menotti, Silvio Pellico, Carlo Pisacane) i suoi art director (Mazzini, Garibaldi, Cavour) e la sua grande campagna di lancio (“Spedizione dei Mille”) è un grande esempio di costruzione spettacolare di una favola che non c’è:

pochi intellettuali e rivoluzionari professionisti, in esilio, completamente staccati dalle esigenze e dai sentimenti popolari, senza alcun seguito nelle masse contadine, quindi un colpo di stato (la spedizione dei mille) finanziato o organizzato dalle grandi potenze (con l’apertura del canale di Suez, per ragioni chiaramente commerciali, diventava fondamentale avere un’Italia unita e integrata al sistema europeo), quindi trattative in alto loco (ti do la Savoia, mi dai il Veneto) e l’Italia è fatta.

Il Risorgimento, cioè l’atto di nascita del paese Italia, è una grande operazione di falsificazione e costruzione di un patriottismo idealista, strumentale, del tutto inesistente, se non nella testa di qualche aristocratico idealista e qualche sincero rivoluzionario (gli “utili idioti”).

Di fatto: sono bastati 1000 garibaldini ad annettere quasi pacificamente il Sud in due mesi, ma non sono bastati 100.000 soldati e cinque anni di repressione sanguinaria (culminata con la rivolta di Palermo – unico vero episodio di partecipazione popolare del Risorgimento, peccato che fosse anti-italiano)  che nessuno conosce, con migliaia di morti, deportazioni, villaggi incendiati, esecuzioni sommarie a sottomettere quelle popolazioni e regioni che si pretendeva di aver liberato,

e che invece si sono subito ribellate al nuovo stato, appena il nuovo stato ha tradito platealmente le promesse (distribuzione della terra ai contadini, che è invece diventata privatizzazione del demanio a beneficio dei grandi proprietari, e conseguente peggioramento delle condizioni contadine)  fino a  essere sottomesse con la forza, oltre che con la propaganda (e questo reale risorgimento e resistenza del sud italia al nuovo stato nordista viene chiamato “banditismo”,

e qualsiasi storico onesto vi dirà che questo passaggio storico è alla base della questione meridionale, cioè della non adesione del sud al paese, alle istituzioni, e della conseguente diffusione endemica di mafia, camorra, n’drangheta, etc).

Sulla “questione meridionale” hanno poi disquisito (e campato) generazioni di intellettuali e politici, senza mai andare alla radice della questione, chiaramente, perché se qualcuno (lo Stato italiano) ti paga per occuparti di un problema tu non puoi dirgli che la causa del problema è lui (lo Stato italiano).

Col Ventennio Fascista la tecnologia di costruzione dl consenso trova il suo massimo sviluppo: i mass media, l’architettura, la scenografia, lo sport, tutto diventa immagine coordinata e  diffonde in Italia e nel mondo questa nuova mitologia, lo stile italiano, cioè ordine, benessere, civiltà, modernità, ginnastica e tecnologia.

Starace, D’Annunzio, Mussolini: al di là del fascismo, sono i precursori della società dello spettacolo, della pubblicità e delle comunicazioni di massa basate sul consenso verso un sogno, una favola.

Ma la favola si interrompe di colpo, l’apparenza di un paese militarizzato si scioglie nelle nevi, in Grecia, in Russia, lo stivale italiano ha le suole di cartone, il regime costruito in vent’anni crolla in mezz’ora, il re scappa vilmente con tutta la corte (e ha sulla coscienza i martiri di Cefalonia) il paese è occupato da eserciti stranieri:

una catastrofe, una tragedia nazionale, lo stile italiano rivela tutta la sua falsità, è l’occasione per cambiare stile, mentalità, tutto, diventare un paese onesto, consapevole.

E invece cosa accade? Si inventa una nuova favola. La Resistenza!

La Resistenza, con i suoi copywriter (Vittorini, Pavese, Fenoglio) similmente al Risorgimento e al Fascismo mistifica la realtà: accade così che poche centinaia di sinceri antifascisti, e pochi episodi locali di guerriglia, diventino sui libri di storia della scuola dell’obbligo un movimento di massa protagonista di una gloriosa pagina nazionale (con specifica denominazione: “la Liberazione”) che copre la realtà storica, cioè la inenarrabile vergogna nazionale che è nei fatti storici, in certi fatti storici decisivi e davvero esemplari,

come la fuga del re e di tutto la classe dirigente, e soprattutto la guerra civile-macelleria-pulizia etnica: in un mese, maggio 1945, 40.000 morti “gratuiti”, a guerra finita, per lo più uccisioni di pura vendetta, faida, frustrazione, non una pagina onorevole, evidentemente, perché bastava essere additati come fascisti per essere ammazzati per strada, ed è chiaro che allora il 99% degli italiani avrebbe dovuto essere ammazzato per strada, a cominciare da quegli stessi “intellettuali” che questo massacro hanno giustificato e alimentato,

in primis il mostro sacro Vittorini, che dopo aver passato venti anni a far carriera come intellettuale squadrista e fascista con un colpo di spugna rinasce antifascista comunista e sanguinario: i suoi scritti incitano ad ammazzare “i fascisti” perché ci sono “uomini, e no” e i fascisti non sono uomini, sono solo “figli di stronza” .

Non solo nessuno gli rinfaccia il clamoroso voltafaccia ma tutti lo riconoscono e acclamano nuova guida morale del paese, e infatti dirigerà la più importante casa editrice italiana.

E’ l’esempio del trasformismo sfacciato dell’intellettuale italiano.

Oggi vediamo  l’ultima versione di questo tipo nella generazione dei sessantottini trasformatasi nella classe dirigente pubblicità-giornali-televisioni della società dello spettacolo.

Quindi, quando oggi celebriamo l’Unità d’Italia e il Made in Italy, stiamo celebrando questo, l’incredibile sfacciataggine e capacità  di imporre apparenze ad altissima percentuale di falsità aggiunta: e questo carattere, questo stile italiano, è costitutivo dell’identità e della storia nazionale, sia delle due grandi mitologie fondanti, Risorgimento e Resistenza, sia della mitologia “rimossa”, il Fascismo.

Il Risorgimento, propagandato e imposto come risveglio della coscienza nazionale e di valori come unità e indipendenza, nasconde la feroce repressione (brigantaggio) seguita a un colpo di stato (spedizione dei mille) finanziato dalle potenze straniere e realizzato da quelli che oggi chiameremmo terroristi o mercenari.

La Resistenza, propagandata come rinascita civile e di valori come libertà e democrazia, nasconde la vergogna del voltafaccia e della pulizia etnica per non affrontare la vergogna di un paese opportunista, codardo, vendicativo e servo del potere.

Poi cosa succede? Come si arriva al Made in Italy? Siamo nel 1945, l’Italia è un paese vinto, distrutto, occupato dagli Americani.

Succede che gli Americani hanno capito perfettamente cosa sia e a cosa serva lo stile italiano. E’ l’avanguardia di comunicazione del consumismo: diventerà il modello, l’immagine della democrazia del benessere, filoamericana.

E dunque niente sanzioni, niente punizioni, niente esame di coscienza collettiva e ricostruzione morale, ma invece: palate di dollari, ovvero: il piano Marshall, e la Thompson.

La Thompson è stata la prima agenzia pubblicitaria a lavorare sul mercato italiano, è subentrata direttamente al Minculpop: la Thompson è sbarcata a Salerno nel 43’, come ufficio stampa dell’esercito americano, poi diventata ufficio stampa del piano Marshall, poi prima e unica agenzia pubblicitaria ad operare in Italia nel momento del boom economico.

E quindi: la repubblica italiana nasce col piano Marshall, ed è fondata sulla pubblicità.

Soldi che piovono dall’alto. Un colossale investimento pubblicitario. A una condizione: niente comunisti al governo.

Ecco il paradosso, il capolavoro: proprio mentre si sventola una repubblica basata sull’antifascismo, con il più forte partito comunista di tutto l’Occidente, con intellettuali comunisti al comando nei giornali, nelle case editrici e nelle università, invisibile, reale, permane la condizione-cappio: niente comunisti al governo.

Da qui, come tutti sanno, la strategia della tensione (piazza Fontana, piazza della Loggia, treno Italicus, sequestro Moro, stazione di Bologna) cioè una serie di stragi (veri e propri avvertimenti) che arrivano puntualmente ogni qualvolta si presenta il pericolo che la sinistra vada al potere,

esattamente come accade in una classe di bambini dell’asilo cui viene promesso un premio, un premio che non arriva mai, e non per colpa della maestra, ma perché c’è sempre qualche bambino che all’ultimo momento combina un guaio, e rovina tutto.

Ecco lo stile italiano.

L’Italia contemporanea, la Repubblica, è un soggetto incerto e impotente per questo motivo, questo Economic Recovery Plan, questo “regalo”, questo “potlach” che ci ha reso succubi prima dell’economia e poi della cultura commerciale americana.

Lo stile italiano, cioè la capacità di costruire apparenze, trova la sua nuova ragione d’esistere nella moda  e nel design, e diventa in tutto il mondo il vangelo del consumismo vistoso e dello snobismo di massa.

Berlusconi, con la guerra dell’etere, porta a compimento questo tracciato, schiantando la “resistenza” cattolica e comunista: fino alla fine degli anni Settanta, per accordo catto-comunista, erano vietate le pubblicità dei beni di lusso, ed erano considerati beni di lusso tutti quelli non alla portata delle tasche proletarie.

Al Carosello vedevi il caffè, la pasta, il detersivo, non le auto di grossa cilindrata, non le pellicce.

Se non ci fosse stato prima il piano Marshall e poi Berlusconi, avremmo dovuto fondare il made in Italy sul lavoro (o sulla tecnologia vera, come ha fatto il Giappone) mentre l’abbiamo fondato sui debiti e sulla pubblicità.

Basta guardare le cifre per vedere che siamo il paese che proporzionalmente al nostro PIL è sempre il primo al mondo per spesa pubblicitaria e l’ultimo per livello d’istruzione.

L’Italia non è una repubblica fondata sul lavoro e sulla resistenza. L’Italia è una privativa basata sulle apparenze e sul trasformismo. La sua storia lo dimostra.

Per un paese che già nell’Ottocento è stato capace di vendere un colpo di stato con conseguente repressione militare (cioè: la tipica nascita di un regime) come un’epopea eroica di patriottismo e più tardi, nel secondo dopoguerra, è stato capace di vendere, in pacchetto completo, venti anni di consenziente servilismo di massa culminati in un mese di pulizia etnica come eroica resistenza antifascista, per questo paese, è stato un gioco da ragazzi vendere il Made in Italy, lo stile italiano, è chiaro:

puoi falsificare la tua storia cambiandoti d’abito, noi lo sappiamo fare, noi siamo i numeri uno, noi ti diamo gli strumenti per governare l’apparenza e creare realtà ingannevoli.

Tu sei avido, invidioso, vile, disonesto, incapace, bramoso, ridicolo, furbo, vorace, ignorante, ottuso. Ti rivolgi allo stile italiano.

Diventi sofisticato, intrigante, sensibile, elegante, colto, seducente.

Ha funzionato per trent’anni. Adesso è finita. Serve una nuova favola.

tratto da “Lo stile italiano” by Sean Blazer (alias Leone Belotti) – Calepio Press

 imago: Biennale di Venezia, padiglione Italia, 

la conversazione è morta

play this post

fiume fabbrica 2 copia

(Guy Debord, Internazionale Situazionista, commentari alla SdS, 1988, par.X, dove il maestro prefigura l’esito del web quando ancora non esisteva) 

Nel realizzare la distruzione della logica, in base ai suoi interessi fondamentali, il nuovo sistema di dominio si è servito di vari mezzi che si sono sempre sostenuti l’un l’altro.

Molti di questi riguardano la strumentazione tecnica che lo spettacolo ha sperimentato e reso popo­lare, ma alcuni sono legati piuttosto alla psicologia di massa della sottomissione.

A livello tecnico quando l’immagine costruita e scelta da qualcun altro diventa il principale rapporto dell’indi­viduo con quel mondo che prima, dovunque andasse, guardava da sé, allora è innegabile che l’immagine reg­gerà tutto,

perché all’interno di una stessa immagine si può giustapporre senza contraddizione qualunque cosa.

Il flusso delle immagini trascina tutto con sé ed è sem­pre qualcun altro che governa a suo piacimento questo riassunto semplificato del mondo, scegliendo dove indi­rizzare la corrente e anche il ritmo di ciò che dovrà mani­festarsi, come perpetua sorpresa arbitraria, non volendo lasciare tempo alla riflessione, prescindendo del tutto da ciò che lo spettatore può capire o pensare.

In que­sta esperienza concreta della permanente sudditanza va individuata la radice psicologica dell’adesione così gene­rale a ciò che è lì in quel momento, riconoscendogli ipso facto un valore sufficiente.

Il discorso spettacolare tace evidentemente non solo su quanto è segreto, ma anche su ciò che non gli conviene, per questo motivo ciò che mostra è sempre avulso dal contesto, dal passato, dalle intenzioni e dalle conseguenze, quindi è completamente illogico.

Poiché nessuno lo può contraddire, lo spettaco­lo ha il diritto di contraddire se stesso e di correggere il proprio passato.

I suoi servitori, quando devono far co­noscere una versione nuova, ancora più falsa, magari, di alcuni avvenimenti, correggono l’ignoranza e le interpre­tazioni scorrette attribuite al loro pubblico con atteggia­mento sprezzante,

quando proprio loro il giorno prima si erano affrettati a diffondere quell’errore con la solita sicumera.

In tal modo l’insegnamento dello spettacolo e l’ignoranza degli spettatori sono ritenuti, indebitamente, antagonisti, quando in realtà derivano l’uno dall’altro.

Il linguaggio binario del computer è anch’esso un’incita­zione irresistibile ad accettare in ogni momento, senza alcuna riserva, ciò che è stato programmato così come ha voluto qualcun altro ma che viene fatto passare come l’origine atemporale di una logica superiore, imparziale e totale.

Non sorprende quindi che fin dall’infanzia gli scolari vengano iniziati facilmente e con entusiasmo al Sapere Assoluto dell’informatica, mentre ignorano sempre più la lettura che esige un vero giudizio a ogni riga, e che è anche la sola che può dare accesso alla vasta esperienza umana anti-spettacolare.

Perché la conversazione è morta e ben presto lo saranno anche molti che sapevano parlare.

Guy Debord, Commentari alla società dello spettacolo, 1988, par.X;

edito da Fausto Lupetti Editore

http://www.faustolupettieditore.it/catalogo.asp?id=206) 

imago by Virgilio Fidanza per FaustoLupetti/CalepioPress

http://www.virgiliofidanza.it/

la proprietà intellettuale è un furto

play this post

nestle

17 – dobbiamo sfasciare la proprietà intellettuale, 

la proprietà privata delle idee delle immagini delle parole dei simboli

ovvero la proprietà intellettuale

se la proprietà è un furto, la proprietà intellettuale è un furto all’infinito

dobbiamo sfasciare la civiltà dell’automobile e dei trasporti motorizzati su ruota una volta per tutte in modo deciso e convinto

dobbiamo sfasciare la civiltà del packaging e la civiltà dell’import-export ovvero la civiltà della GDO, la grande distribuzione organizzata che ha creato questo GIT,  giganteso inquinamento terrestre

dobbiamo tornare al minuto al dettaglio

il grande visionario F.Alberoni da molti ritenuto un servo del potere in realtà con la sua visione di Mulino Bianco indicava già decenni orsono la strada d una nuova vita semplice frugale familiare

bisogna tornare ad avere un legame con la terra come sostiene Sua Santità il Papa

proprio seguendo la visione e l’indirizzo di Alberoni e del Papa dobbiamo radere al suolo la Barilla e il Vaticano

liberare la terra dalle industrie alimentari che la uccidono nonchè da tutti gli spacciatori di regni dei cieli che impediscono all’uomo di stare con i piedi per terra –

(Internazionale Turbo Comunista – Manifesto Turbo Comunista –  art.17) 

è ora di occupare gli spazi pubblicitari

play this post

heineken_logo

(bozza art18 Manifesto Turbo Comunista al vaglio della costituente permanente dell’Internazionale Turbo Comunista – sez. Italia) 

18 – è ora di occupare gli spazi pubblicitari

– è chiaro, come una volta si occupavano le fabbriche, oggi bisogna occupare gli spazi pubblicitari, socializzarli

– vogliamo realizzare la comune pubblicitaria collettivizzare tutti gli spazi pubblicitari e realizzare l’ideale della città della comunicazione autogestita nella quale ogni cittadino ha diritto ad utilizzare lo spazio di comunicazione per rendere pubblica la propria angoscia esistenziale

– bisogna fomentare la rivolta delle masse televisive

– porre fine allo sfruttamento dell’immaginario collettivo da parte delle elites corrotte

– non c’è libertà d’espressione di parola di pensiero finchè vige la proprietà intellettuale la proprietà privata dei mezzi di comunicazione

–  il vero debito pubblico riguarda la perdita di valore della memoria collettiva, del territorio, della cultura – tutto svenduto in cambio di perline di vetro

–  uscire dalle riserve, disotterrare l’ascia di guerra, guerra di comunicazione, terrorismo mediatico, sabotaggio culturale

– produrre slogan per il cliente uomo – diffondere loghi per l’azienda uomo

– creare stili di vita di marca umana

– si invitano i consumatori, i creativi, i giovani a crearsi da sé il proprio valore culturale e simbolico aggiunto

– crearsi una o più marche proprie e relativi stili di vita e a sovrapporre queste marche a ogni merce consumo feticcio piatto apparecchio o aggeggio in uso e consumo.