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Lamborghini Gallardo Super Trofeo al Kilometro Rosso

19 Mission Impossibile 2

operazione last minute

Altro esempio di mission impossible last minute: siamo nel 2007, si inaugura il KmRosso.

Dopo aver scritto i testi della brochure, i titoli, gli slogan per la campagna, le cartelle stampa e molte altre cose (tra le quali rivendico il suggerimento di scrivere Chilometro con la K e in forma abbreviata) pensavo di avere finito,

invece a pochi giorni dall’evento mi chiama lo staff di Luca Bombassei e mi chiede di scrivere il discorso che dovrà tenere all’inaugurazione come responsabile del team di progettazione (è lui che ha chiamato Jean Nouvel).

Ispirato (devo ammettere che l’ispirazione arriva quando ti pagano bene) gli scrivo un bel discorso e glielo mando.

Poche ore dopo mi richiama e mi dice: sai, l’ha letto lo staff di mio padre (Alberto Bombassei, boss della Brembo) e gli è piaciuto molto così vorrebbe farlo lui, il discorso che hai scritto per me, soltanto chiede se potresti togliere un po’ di architettura e mettere un po’ più di impresa. Ma certo.

Ancora più ispirato, aggiusto il discorso, e glielo rimando.

Dopo poche ore mi richiama e mi dice: sai, il discorso che hai modulato per mio padre, l’ha letto lo staff di Montezemolo, gli è piaciuto molto, e vorrebbe farlo lui, soltanto chiede se potresti togliere un po’ di impresa e mettere un po’ più di politica.

Ma certo, nessun problema.

Ispiratissimo, partorisco la versione finale, andata poi effettivamente in scena per bocca di Montezemolo.

Rileggendo oggi, salverei le ultime tre righe (non si deve “fare economia” di idee se si vuole davvero “fare economia” di aria, acqua,  terra ed energia e offrire ai nostri figli  un mondo possibile e felicemente vivibile) e le rilancerei in versione Expo2015.

Storie del genere, lavori del genere, potrei raccontarne a decine,

dal costruttore che a cantiere quasi finito si rende conto che per venderlo bisogna trovare un nome al villaggio turistico,

alla Fondazione che per una serie di ragioni che a te copy non interessano ha bisogno da un giorno all’altro di un nuovo manifesto ideologico, quei programmi dove ogni parola è soppesata, e tu immagini frutto di elaborazione complessa e condivisa, mentre il più delle volte è il parto notturno di un copy free lance.

Ad ogni modo, è crisi, viviamo nella dittatura della comunicazione, e i linguaggi creativi sono precisamente le catene che tengono la massa in schiavitù.

Fare il maniscalco che fabbrica le catene, è questo che viene chiesto oggi a un creativo.

Crisi.

Bisogna saltare il fosso del “cercare lavoro”  e lavorare per l’umanità.

Quando una massa consistente di creativi ridotta alla fame si aggregherà, superando il falso individualismo del creativo, allora tornerà di moda la necessità della  “rivoluzione culturale” in preparazione della rivoluzione vera e propria,

si comincerà occupando gli spazi pubblicitari,

e quindi si passerà ai centri commerciali.

47 TFIC – 13 paraletteratura rosa

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13 paraletteratura rosa

far piangere milioni di donne 

Scrivere rosa, far piangere le signorine, le loro mamme e anche le nonne, è sempre stata la via maestra per la carriera di scrittore, la prima palestra, l’esercizio di stile formativo, una lunga tradizione, tutti i grandi romanzieri ci si sono misurati, dai romanzoni-feuilleton francesi di fine ottocento, alla scuola italiana con lo sviluppo dei sotto-generi.

Ad autori come Liala, Salgari, Guido da Verona, Pitigrilli si deve l’esplosione della narrativa popolare in un arcobaleno di sfumature dal rosa al giallo al nero all’erotico, e l’invenzione di format nuovi, il fumetto, il fotoromanzo,

un periodo che va dagli anni Trenta agli anni Sessanta-Settanta, quando la televisione uccide tutti i generi, e la scuola italiana  presenta l’ultimo maestro, il grande Scerbanenco, oggi autore di culto, idolo dei nuovi giallisti e ristampato in Adelphi, ma ai suoi tempi autore di novelle e romanzi rosa  per i settimanali femminili.

Ancora oggi ti capita di trovare su bancarelle o in librerie remainders prime edizioni di romanzi di Scerbanenco a 2 euro, con illustrazioni “rosa” in copertina, mentre in libreria lo stesso romanzetto viene proposto nella linea “alta cultura” a un prezzo dieci volte superiore con copertina design (lo stesso accade ai gialli di Simenon-Maigret), tale che mai uno si immaginerebbe che quel testo sia stato originariamente pubblicato a puntate su Intimità o Confidenze.

Scrivere novelle rosa vuol dire confrontarsi col grande pubblico.

Al grande pubblico non interessa minimamente chi tu sia e quanto sia bravo a scrivere, cioè a immaginare e fingere.

Il grande pubblico, nel caso del rosa, vuole divorare compulsivamente, sognare, emozionarsi, piangere per la storia in sé, come fosse vera, come fosse propria, la lettrice compulsiva capisce subito se stai menando il can per l’aia,  dunque non va sottovalutata la sincerità emotiva della storia, devi davvero tirarti fuori il cuore, o tirarlo fuori alle tue fonti.

L’approccio alla scrittura popolare, bassa, richiede più impegno, più dotazione psichica, più attenzione, più lavoro e responsabilità dello scrivere alto, “letterario”, artistico.

Se un tuo racconto letterario viene pubblicato su una rivista di poesia snob, sarà diffusa in qualche centinaio di case dove sarà letta da qualche decina di persone.

Poche ne vendono, e ancor meno vengono lette.

Se la tua novella rosa viene pubblicata su Confidenze sarà venduta in 300.000 copie e letta da un milione di persone, perché in ogni casa, da ogni parrucchiera, estetista, quella copia viene letta da 2,3,5, 10 persone.

E possiamo presumere che tu venga anche pagato.

Eppure su 1000 aspiranti scrittori forse 2 si misurano davvero con la narrativa di genere, popolare, il rosa, il giallo vero

(non quello di moda: qualsiasi romanzo strampalato con dentro un morto ti viene propinato come un giallo, magari con un aggettivo intrigante, tipo “un giallo gastronomico”, e io immagino le segrete vicende di un tuorlo d’uovo andato a male).

Il giallo vero, come il rosa e qualsiasi altro genere, ha delle regole, che tu puoi anche cambiare, infrangere, ma devi sapere che esistono, che sono nella mente dei lettori, che per questo ti comprano.

Ci sono regole, o meglio programmi, riguardo al lessico, ai tempi verbali, alla struttura narrativa, il meccanismo del climax, del flash-back, del flash-on, la doppia linea narrativa, armonia e melodia, la scansione dei movimenti-capitoli, adagio-allegro-andante, il patto con il lettore, il narratore interno o esterno.

Oltre a tutto questo, occorre la storia, una storia vera, con l’anima, la passione, il mistero, che catturi completamente i lettori come persone che pendono dalle tue labbra (pagine).

Le lettrici di rosa non sono lettrici annoiate, sono fameliche, e se gli dai il brodino allungato te lo sputano il faccia.

La prima cosa che mi ha detto l’editor di Harmony è stata:

per fare lo scrittore di seria A possono bastare le raccomandazioni, per fare lo scrittore di serie B devi essere davvero capace”. – segue

imago: architetture sospese, by J.Gandossi 

www.jennifergandossi.it

 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 7

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7 paraletteratura giallo-nera – il mito del concorso letterario

 Conversione alla para-letteratura: abbandono le lezioni di Brioschi per quelle di Spinazzola, in un paio d’anni leggo qualche centinaio di romanzi, l’opera omnia di Ed Mc Bain (quasi cento titoli), Nero Wolfe, Donald Westlake/Richard Starck, Simenon, Scerbanenco, Highsmith, Follet, Cussler, Smith e altri.

Nel 1993 mi lego alla sedia come l’Alfieri e in un mese scrivo un romanzo giallo: è la storia movimentata di un sequestro di animale a scopo d’estorsione, protagonista è il barboncino di Liz Taylor, sottratto a  Zeffirelli che lo portava all’aiuola da due sequestratori-motociclisti. Lo mando al premio Tedeschi-Mondadori per il miglior giallo inedito dell’anno.

Vincitore risulta Carlo Lucarelli (allora semisconosicuto) ma “la giuria segnala inoltre”, e c’è il mio nome, e quattro righe di elogio al mio romanzo.

Scrivo al direttore del Giallo Mondadori: “Siete il più grande editore italiano, mi state dicendo “Bravo” perché ho scritto uno dei due migliori gialli italiani dell’anno e non mi fate vedere nemmeno una caramella?” Nessuna risposta.

Crisi.

Vedo per strada Oreste del Buono, lo fermo, gli rifilo il mio giallo, lo seguo, scopro dove abita, dopo una settimana di appostamenti sotto casa sua lo rivedo, gli chiedo, è molto cordiale, mi dice che l’ha letto, gli è piaciuto, e dunque ha passato il mio libro a suo nipote, e chi è suo nipote? E’ l’editore Baldini&Castoldi. Telefono a Baldini&Castoldi, chiedo del nipote di OdB. Dopo varie chiamate mi rispondono con una certa malagrazia di non molestare gli anziani.

Crisi.

L’unico risultato della partecipazione al concorso del Giallo Mondadori è quello di essere finito in so quale mailing list, sta di fatto che mi arrivano nella posta inviti a partecipare a concorsi letterari vari, città di Cattolica, città di Cefalù, città di Vattelapesca, insomma concorsi per autori di racconti o di gialli o di neri o di qualsiasi altra cosa. E chi presiede la giuria di questi concorsi? Carlo Lucarelli.

Crisi.

Non mi scoraggio, e l’anno seguente partecipo nuovamente, con un nuovo giallo, d’intonazione comica, alla maniera di Westlake, che devi mandare in cinque copie a tue spese, ricevuta di ritorno,  mesi di attesa, finché un bel giorno vedo in edicola un giallo Mondadori con la fascetta “vincitore del premio miglior giallo italiano”, all’interno trovo il comunicato della giuria, con in calce la dicitura: “la giuria segnala inoltre quale secondo classificato il romanzo di Leone Belotti…” . Non ci credo. Deja vu. Secondo classificato per il secondo anno di fila.

Crisi.

Non mi scoraggio, peggio, impazzisco: partecipo per la terza volta, e dal momento che si può concorrere con più opere, gliene mando cinque, nuovi, scritti di getto al ritmo di uno al mese, in cinque copi l’uno, venticinque tomi, anche una certa spesa in copisteria. Risultato: nessuna menzione. In totale 7 gialli in 3 anni, centinaia, forse migliaia di fotocopie, in cambio di 2 menzioni.

Crisi.

Consolati, mi dice un amico, c’è chi passa la vita a fare fotocopie, e nessuno lo menziona.

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 1

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1  illuminazione infantile il potere della parola

Concepito per un errore di calcolo (metodo ogino-knaus) quando ancora non c’erano la pillola né l’aborto legale,

nato col forcipe  (una tenaglia con la quale il medico ti estrae dalla matrice afferrandoti per le tempie e tirando con forza, con i danni e l’imprinting che possiamo immaginare,

tanto più nel mio caso: ricordo perfettamente la puzza di vino dell’alito del doc)

e svezzato con il latte in polvere industriale

(che a quei tempi pareva il massimo dell’innovazione e in seguito divenne la strategia base per risolvere il problema della mortalità infantile in Africa, in un verso o nell’altro)

dopo pochi mesi di vita passati senza mai dormire e in stato di dissenteria continuata

(confondendo le cause con i rimedi, mi davano sempre più latte in polvere)

ero ormai considerato spacciato.

Appena nato, dunque, ero già in crisi.

Morto per morto, fui destinato (immagino in cambio di soldi) alla sperimentazione scientifica, cioè al veterinario del paese vicino (radiato dall’ordine dei medici)

il quale provò una cura inedita già testata con successo sul suo gatto: basta latte in polvere, per tre mesi diamogli solo una purea di carote.

La dissenteria cessò, ma iniziai a vomitare giorno e notte.

Ad ogni modo l’esperimento funzionò, o per meglio dire il bambino sopravvisse anche a questo, pur con qualche controindicazione (divenne color carota).

Crisi epidermica.

Da queste prime dure prove, maturai un’istintiva sfiducia, oltre che verso la figura genitoriale, verso la classe medica

(soltanto due decenni dopo, studente di filosofia, quest’avversione viscerale divenne consapevolezza critica con la lettura del capolavoro di Husserl,  “La crisi delle scienze europee”).

Giunto miracolosamente all’età di due anni, mi presentavo piccolo, gracile, poco dinamico, e soprattutto muto,

con l’incarnato cangiante (tra il madreperla e l’arancione) come unica forma d’espressione vitale.

Perché non parla? Visite specialistiche appurarono la normalità dell’apparato vocale. Il problema non può che essere neurologico.

Familiari, vicini e coetanei cominciarono a guardarmi come si guarda il brutto anatroccolo.

Crisi dell’età evolutiva.

I fatti successivi confermarono i timori di problemi a livello della psiche: quando cominciai a parlare (nel 1969, davanti a tutta la famiglia allargata riunita davanti alla tv in occasione dello sbarco sulla luna), la prima parola che dissi, e che continuai a ripetere per un anno, non fu “mamma”, bensì, con grande costernazione dei parenti tutti, “puttana”.

Con ciò rispondevo anche alla domanda che mio padre si ripeteva ogni volta che mi guardava (di chi sarà figlio questo?).

Crisi d’identità, precoce.

All’età di quattro anni pensarono di mandarmi all’asilo.

Chiaramente mi rivolgevo alla suora usando l’unica parola del mio vocabolario.

Inutilmente la buona donna cercava di farmi ripetere “ave maria piena di grazia”.

Io rispondevo “puttana, puttana, puttana”.

Dopo pochi giorni la maggior parte dei bambini dell’asilo non faceva che ripetere: puttana, puttana, puttana.

Chiamarono mia madre, le dissero di riportarmi a casa.

Inconsapevolmente, sperimentavo il potere della pubblicità, e l’isolamento del creativo.

Crisi.

(47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – autobiografia di Leone Belotti – copyright/left 2013 Calepio Press – imago tratta da Rebus by Monica Marioni www.monicamarioni.com)

che razza di Colleoni

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ColleoniCTRL

(tutte le folli imprese di Bartolomeo Colleoni in meno di 500 parole by Leone Belotti per CTRL-magazine Agosto 2013- imago by Studio Tempt)

Hai 9 anni. Tuo padre ti dice: stanotte vieni con noi.

Con gli zii e i cugini in favor di tenebra arrivate al castello di Trezzo. Mentre i grandi trucidano la guarnigione, tu ti arrampichi free climbing a strapiombo sull’Adda per taggare il mastio col vessillo dei 3 Collioni. Bravo!

Tutto suo padre!  Sbagliato. A quindici anni sei già più grosso e più intelligente di lui. Vorresti ammazzarlo.

Ci pensa lo zio, che lo sgozza davanti a te. Libero!  Come in un film, afferri le redini di un cavallo, e quelle  del tuo destino (Il destino di un cavaliere).

Mercenario e gigolò, trafiggi cuori a raffica, ai tuoi piedi cadono nemici uccisi e donne innamorate. A Napoli il colpo grosso: la regina Giovanna è pazza d’amore. Le rubi i gioielli, e via.

Sulla tua strada trovi l’invincibile Braccio di Montone, un gigante sanguinario. Lo stendi al primo assalto (Indiana Jones).

Torni a casa,  e sposi Tisbe Martinengo, nobildonna fascino e cultura. Non ricca: di più. Hai tre castelli e decine di servitori. Ti annoi (Barry Lyndon).

I milanesi ti sono antipatici. Hanno occupato Bergamo, Brescia, il Garda e il Po con navi da guerra. Ma tu hai un’idea.

All’Arsenale di Venezia fai smontare 30 navi, le fai caricare su 2000 buoi e trasportare via terra (Fitzcarraldo) a Torbole, dove le fai rimontare, e all’alba sorprendi, sbaragli e affondi la flotta ducale.

A una festa a Mantova, riferendosi ai 100.000 ducati d’oro del tuo ingaggio con Venezia, un Visconti ti dà del venduto. E tu, alludendo al ducato di Milano: sarebbe più onorevole vendersi per un ducato di latta?

Ti nominano Capitano Generale della Serenissima, e in un paio di decenni, con la cavalleria e le armi da fuoco, rivoluzioni, velocizzi, l’arte della guerra.

Lanci la moderna carica di cavalleria (“tutta la forza in una sola carica travolgente”) e con 3000 soldatacci fai a pezzi 18.000 francesi, catturi il grasso delfino, e lo restituisci a peso d’oro (Braveheart).

Crei la scuola dei Bombardieri, fai montare bombarde rotanti su carri completamente corazzati, buoi compresi: hai creato un mostro di grande avvenire, il carro armato (Patton).

Nessuno osa più sfidarti.

Con la pace, ti dedichi alla  wellness: costruisci orfanatrofi, terme, aziende agricole, canali navigabili.

Hai potere assoluto, possedimenti enormi e fortune incalcolabili: ma la tua figlia prediletta, Medea, quattordicenne, muore di difterite.

Per lei, per starle vicino, fai costruire una cappella  fantastica.

Poi prendi carta e penna e lasci tutto il tuo patrimonio (la terraferma) alla Repubblica.

Sei l’uomo più duro del mondo, e te ne vai di crepacuore.

Venezia ti dedica la “più impressionante statua equestre mai realizzata”.

Apparentemente scazzato, e profondamente incazzato, sei l’icona immortale di una specie in via d’estinzione: il maschio antico, il maschio dominante.

Gambe larghe, spalle larghe, vedute larghe.

E i collioni  pieni.

 ColleoniDavinci  

> sulla vera storia della statua del Colleoni a Venezia, vedi lo scoop dell’upperdog sulla paternità dell’opera Verrocchio/Leonardo e sul dna Colleoni/Percassi 6palle 2gay 3verità:

https://calepiopress.it/2013/07/08/6-palle-2-gay-3-verita/

 

j’accuse

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login_poker

> per la morte del diciannovenne di Ischia che si è buttato nel vuoto lasciando un biglietto nel quale chiedeva scusa a mamma e papà per aver bruciato i magri risparmi di famiglia nel gioco d’azzardo on line, io indico come responsabile il capo del governo, Enrico Letta,

> per la rovinosa liberalizzazione attualmente in corso del gioco d’azzardo, a totale ed esclusivo vantaggio delle 10 grandi società finanziarie private che hanno in gestione i giochi in Italia, le 10 sorelle (Sisal e Lottomatica, più altre otto  società non italiane, la maggior parte delle quali ha sede in Lussemburgo) e a totale rovina, economica e umana, di milioni (milioni! un suicidio collettivo!) di cittadini comuni, che a causa del gioco d’azzardo legale in brevissimo tempo hanno rovinato sé stessi, le loro famiglie, attività, imprese, io indico come responsabile il capo del governo, Enrico Letta,

> per la gestione criminale dei monopoli di stato e dell’erario, che oggi ricava dal gioco d’azzardo la stessa cifra di dieci anni fa, 7mld di euro, a fronte di incassi quadruplicati (da 20 a 80mld di euro l’anno) con utili stratosferici per le 10 sorelle, io indico come responsabile il capo del governo, Enrico Letta,

> per la metamorfosi orribile, rapida, cui assistiamo giorno dopo giorno, di quello che era il bene pubblico supremo, lo stato, la res-publica fondata sul lavoro, in una privativa fondata sul gioco d’azzardo, che è un furto legalizzato, io indico come responsabile il capo del governo, Enrico Letta,

> per la morte indotta, bi-partisan, sia della libertà d’impresa che dello stato sociale, per l’assoluta mancanza di opportunità, sostegno, incentivi a chi è in cerca di lavoro, e per le condizioni insostenibili cui è costretto chi oggi in proprio o in società produce beni e servizi utili, possibili, competitivi, innovativi, oppresso e perseguitato con metodo da decine di agenzie, uffici, ufficiali pubblici, e migliaia di disposizioni, norme, spese, tasse, contribuiti, divieti, controlli; e  all’opposto per la facilità, la rapidità, il favore con cui viene accolto e trattato dallo stato chi decide di giocare e dilapidare, invece di lavorare e produrre, con sollecitazioni ovunque, per strada, in tivu, on line, e con incentivi, bonus, di 500, 1000, 1500 euro, equivalenti a uno stipendio: per questa politica criminale, che da un lato perseguita e mortifica artigiani, lavoratori e  disoccupati, e dall’altro blandisce, facilita e gratifica chi sceglie di giocare; io indico come responsabile il capo del governo, Enrico Letta,

Perchè indico il capo del governo come responsabile di tutto questo?

Perchè il capo di questo governo, Enrico Letta, e sei ministri di questo governo bi-partisan,

nascono ed esistono e provengono  da una fondazione (di nome VeDrò),

la quale fondazione nasce ed esiste in quanto finanziata dalle due più grandi società di gioco d’azzardo, Sisal e Lottomatica.

Voi cosa credete che farà il capo del governo, al di là di raccontare una marea di cazzate su questioni in realtà secondarie, cosa credete che farà a proposito di questo curioso paradosso, per cui il gioco d’azzardo, ovvero l’attività con il peggior rapporto benefici/danno sociale mai esistita, di fatto la prima causa di spreco e di perdita di risorse, è allo stesso tempo anche la prima azienda italiana per fatturato?

Cosa farà Enrico Letta: deciderà di mandare a fare in culo Sisal e Lottomatica (e le altre otto società anonime che controllano il mercato italiano dell’azzardo)  per rimettere in piedi l’Italia che lavora, come farebbe un grande statista,

o continuerà a fare quello per cui è stato messo lì, e cioè mandare in merda tutti quanti, ma proprio tutti quanti, con l’unico vantaggio di accrescere gli utili delle 10 sorelle, che sono società private, di cui magari è socio (visto che scemo scemo non sembra)?

Eh? Cosa mi dite?

poscritto

Cosa mi dite di questo governo, voi giovani di sinistra, che ogni giorno spedite 10 curriculum sudatissimi e in cambio ricevete 10 proposte di lavoro frizzantissime che cominciano con “cerchiamo persone disposte a guadagnare 5000 euro al mese lavorando da casa- bonus di 1500 euro immediato – registrazione pay-pall immediata –scarica e gioca, comincia subito a guadagnare”?

Cosa credete, cosa pensate quando la grande azienda seria, dopo dodici colloqui, tre lauree, sette master vi propone di lavorare gratis, come stagista? Oppure vi chiede di aprire la partita iva, offrendovi una specie di anticipo mensile sulle provvigioni, e dopo un anno che lavorate vi ritrovate ad esservi indebitati fino al collo col vostro datore di lavoro, cosa pensate a quel punto, provate a scaricare il bonus Welcome Sisal?

Che cosa pensate quando a trent’anni compiuti, dopo aver passato la settimana a fare colloqui e volontariato, dovete chiedere il 100 euro a vostro padre, un perfetto idiota che alla vostra età, trent’anni fa,  con un impiego qualsiasi e inutile (ufficio, cravatta, andare a bere un caffè, battere qualcosa a macchina, fare due telefonate, andare a bere l’aperitivo) manteneva moglie, tre figli, due macchine, vacanze al mare, in montagna, tredicesima, quattordicesima, assicurazione medica, tre televisioni, e andare a mangiare il pesce?

Cosa dice vostra madre, arzilla ultrasettantenne ecologista che è sempre stata iscritta alla CGIL, e prende la pensione da quando aveva 35 anni, avendo lavorato in totale 7 anni nella sua vita (+3 maternità +5 anni di università, passati a fare assemblee)?

Le piace Enrico Letta, no? 

E cosa dice la zia interista, che però ha sempre votato Berlusconi, e non ha nessuno con cui parlare da quando è rimasta vedova, e un cazzo da fare tutto il giorno, e le figlie sposate bene, e la casa di proprietà, più le altre due messe a reddito, e una bella pensione di reversibilità sicura come il giorno e la notte, tutti beni da dilapidare gioiosamente alle slot machines in un paio d’anni?

I pensionati con problemi di sciatica, come lei, non avrebbero diritto ad avere la slot in casa? Sarebbe mica una bella comodità?

Non è penoso vederli arrancare da un tabaccaio all’altro?

Chi li manterrà questi nuovi tossici che hanno lavorato trent’anni e adesso si fanno fuori la pensione in tre giorni? I figli disoccupati, quelli che dovevano guadagnare 5000 euro al mese lavorando da casa, on line, vincendo facile col metodo Fibonacci? Finita la pensione, finiti i risparmi, pignorata la casa, cosa si fa, se la cosa riguarda 3-5-8-13-21 milioni di persone tra 5 anni? Dai Letta, datti una mossa, i conti li sai fare.

Per un diciannovenne che si suicida oggi, bisogna fare saltare dieci pensionati domani.

Cosa dice il pensatoio VeDrò-Sisal-Lottomatica? Un nuovo gioco, una nuova slot?

Qui ci vuole il Black Jackpot. Tre teschi neri, e via! Risolvi anche la grana-eutanasia, win for death, e funerale pagato bipartisan, da Lottomatica e INPS.

Non si preoccupi, dottor Letta, anche la cosa più assurda, con la pubblicità giusta, risulta accettabile. Tutto dipenderà dalla pubblicità, dal testimonial giusto.

Come dice? Bisio? Si, Bisio sarebbe perfetto per win for death! Sarebbe capace, no? Ha già lavorato con noi, e con ottimi risultati mi pare.

10elotto_bisio 

adv family

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una-grande-famiglia-cast

“Una grande famiglia” è la storia di una famiglia borghese mandata in rovina dal cambio generazionale, contenitore ideale di spot sul tema “crisi, diventare poveri”,

la fiction è in onda la domenica sera su RaiUno, ma al primo intervallo pubblicitario ecco lo spot Sky: niente fighetti o belle ragazze, ma una famiglia di routine proletaria, con casa modesta, ma il bello di arrivare a casa, è che c’è Sky, messaggio chiarissimo;

subito dopo, una scena mai vista: una lussuosa Audi nera entra nel parcheggio del discount-sottocosto Lidl: non cambiare stile di vita, cambia supermercato!

dopo l’interruzione pubblicitaria, la fiction riprende con la didascalia nel programma sono presenti inserimenti di prodotti a fini promozionali, a segnalare che la pubblicità continua, sotto diversa forma;

una volta la si definiva occulta, oggi basta dichiararla, e in questo modo stuzzichi anche l’attenzione, vediamo se riconoscete gli inserimenti,

questi inserimenti possono essere a livello visivo, di screen (evidenti primi piani tipo spot sulle vetture Fiat) verbali, di script (il prodotto viene “detto”: …adoro guidare la mia Lancia…) o di sceneggiatura, di plot (il prodotto è protagonista della fiction o di una scena),

segnalo tre inserimenti particolarmente infelici:

screen: mountain bike Oldrati nella cameretta del bambino, ma la bici è enorme, e il bambino avrà 4 o 5 anni;

script: ristorante Taverna Colleoni, la protagonista dice al figlio: siamo qui, nel ristorante più buono della città… (e il figlio vorrebbe suicidarsi)

plot: la mamma con bambini alla guida della family car Fiat: prima si perde (ma non c’è il navigatore?) poi addirittura s’ingolfa e s’inchioda come l’auto di Paperino, in panne. Il problema? Finita la benzina! (Colpa della protagonista? No, colpa della Fiat: era rotta la spia! come negli anni Ottanta!),

complimenti al Gruppo Fiat (che compare come partner anche nei titoli finali)

la Fiat non solo paga la pubblicità auto-denigratoria (chi comprerà mai un’auto di famiglia che non ti porta a casa e che ti lascia a piedi per i soliti problemi di fusibili?)

ma addirittura paga la pubblicità perfetta ad Audi: il vero figo della puntata,  dopo essere stato presentato come ricchissimo e potentissmo, nonché serio e onesto, appare a bordo di una mega Audi nera scintillante, che attraversa silenziosa il traffico una spanna sopra gli altri…

viene in mente la celebre definizione dell’acronimo Fiat data negli anni Ottanta da Lee Iacocca, boss italoamericano della Chrisler: Fiat means Fix It Again Tony!

morale della serata adv-family: RaiUno pubblicizza Sky, Fiat pubblicizza Audi, Audi pubblicizza Lidl,

nell’insieme, riceviamo la sensazione di un mondo che si sta rovesciando: il discount? roba da ricchi! Sky? Roba da poveri! il buco finanziario delle famiglie italiane? Colpa delle nuove generazioni!  In questo mondo a rovescio, l’unica certezza… è ancora la cara vecchia Fiat, con i suoi problemi alla centralina…marketing.

ecoadv budget euro 2500

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ECoadivi

4 considerazioni comparate e 1 nota finale su come fare eco-pubblicità a basso costo:

1) 10 miliardi di volantini stampati (e gettati) ogni anno in Italia,

ovvero 40.000 tir sulle strade e 4 milioni di alberi tagliati ogni anno;

2) fatalmente, per ironia semiotica, ricercando pubblicità ecologica, eco-pubblicità, si finisce sui volantini/pubblicità-eco di bg, che attraverso adivì, offre stampa e distribuzione di 50.000 volantini a 2500 euro;

3) digitando su google  “costo stampa + distribuzione 50.000 volantini” scopri che altri ti fanno spendere meno della metà;

4) infine arrivi su Calepio Press-ADVzero, pubblicità ecologica,  che per la stessa cifra, 2500 euro, ti scrive un libro ad hoc di 50 pagine e te lo stampa in 1000 copie. In totale fanno sempre 50.000 fogli. Però riciclati, non plastificati, e soprattutto: che non verranno buttata via! Lo stesso dicasi dei tuoi 2500 euro di budget. Meglio la stima di 1000 lettori che il fastidio di 50.000 non lettori.

Nota finale: si, questo è un post pubblicitario, dedicato a tutti gli amici che da anni mi ripetono “facile limitarsi a criticare sempre gli altri, senza mai proporre soluzioni alternative”

Qui sotto, un esempio di “libretto da visita”, o Pergamino, realizzato e pubblicato da Calepio Press/ ADVzero:

copPaganiI5

pubblicità ingannevole

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VIAGGIARE GRANDE

ecco una tipica pubblicità apparentemente innocua, che certo non pone alcun problema al garante che vigila sulle pubblicità ingannevoli:

è ritenuta ingannevole una pancera dimagrante che promette di togliere 5 centimetri alla mia pancia, qualora si possa dimostrare che me ne toglie solo 3 o 4,

non è ingannevole un aeroporto che con disinvoltura promette “la libertà” al popolo, nella certezza, tipica di tutti i regimi, che “la libertà” sia un bene astratto, e dunque non misurabile,

in realtà, lo slogan aeroporto-libertà, è cento volte più ingannevole delle pancere dimagranti, perché dice il falso su qualcosa che è cento, mille volte più importante della mia pancia,

che l’aeroporto-libertà sia una falsa promessa lo capiscono tutti, ma non importa a nessuno, tranne agli uomini liberi, che si rivoltano nella tomba,

e sono una folla pronta a testimoniare: la libertà non è un volo a basso costo, dicono, la libertà è un’altra cosa, la libertà è volare alto, e a carissimo prezzo,

mi limito a citarne due indiscutibilmente autorevoli:

la libertà non è il volo di un moscone, libertà è partecipazione (Gaber)

libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Dante)

a questo punto il garante, e il lettore, sorriderà: è vero, la libertà è qualcosa di più di un aeroporto, ma non per questo possiamo vietare all’aeroporto di vantare la propria libertà, dal momento che c’è… la libertà d’espressione!

e qui casca l’asino, e anche il jumbo, perchè la libertà d’espressione oggi è questo:

se un’azienda, come ad esempio la Sacbo-aeroporto,  pagando sia chi scrive che chi pubblica, utilizza in maniera “falsa e ingannevole” per motivi volgarmente commerciali parole sacre, di proprietà pubblica, come “libertà”, non compie alcun tipo di reato, non danneggia nessuno, non deve risarcire nessuno;

invece io, che a titolo gratuito e personale, senza altra finalità che quella di esprimere liberamente un’opinione su una questione d’interesse pubblico, scrivo che “Sacbo dice il falso, e fa pubblicità ingannevole”

vengo facilmente denunciato per diffamazione (specie se sono un giornalista!) e facilmente condannato a risarcire il “danno d’immagine” (specie se il loro avvocato vale – e costa! –  100 volte il mio);

è così che funziona, e intanto il vero danno d’immagine, il buco nero prodotto nell’immaginario, nella coscienza collettiva da queste “pubblicità facili”, non viene mai riconosciuto, né risarcito.

un tot al totem

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ColleoniKep3

500 anni fa Bartolomeo Colleoni, essendo ogni via d’acqua saldamente occupata dai milanesi, fece smontare nell’Arsenale di Venezia 30 grandi navi da guerra,

quindi, utilizzando 2000 buoi, le fece trasportare via terra (passando per Rovereto) fino al Lago di Garda, dove, rimontate e rimesse in acqua le navi, sorprese e sbaragliò con un attacco simultaneo la flotta e la cavalleria nemica.

Però! Che follia! Che idea! E che Colleoni!

Ecco cosa significa “Il cuore di un leader è la sua testa”

(calco da “il cuore di un artista è la sua testa”, Oscar Wilde, Il milionario modello):

l’idea più pazza, l’impresa più folle, se ha successo,

diventa un modello di razionalità superiore, basata su creatività e coraggio.

Quella che serve anche a fare un totem:

impossibile non notare come questo totem “Colleoni commerciale” ad uso fieristico (pubblicizza un marchio di caschi per l’equitazione)

abbia molta più efficacia di comunicazione e dignità “culturale” dei totem “istituzionali” pro-cultura disseminati a Bergamo un tot al totem.

Nei totem Bergamo2019, il testimonial (figure di santi, personaggi storici, bambini e persone comuni) pronuncia la poco significativa frase “sono pincopallino, Bergamo è la mia città”,

e nel migliore dei casi ha la tipica espressione di chi sta pubblicizzando lassativi o analgesici,

ma nel peggiore, e purtroppo parliamo del patrono della città, S.Alessandro martire,

piazzato a porta s.Giacomo, nell’aiuola dei cani, tra un lampione e una pensilina,

ha tutte le sembianze e la postura inequivocabile, specie la sera, spiace dirlo, di un trans che fa le avances:

scendendo in macchina la sera da città alta, quando i fari lo illuminano, è veramente spaventoso, e ripugnante.

Per amore della città, e rispetto verso il patrono, evitiamo di postare la foto,

pubblicando invece il più dignitoso “Colleoni commerciale” per dare l’esempio di come si possa fare un totem “didattico”, seguendo semplici regole:

un totem deve essere autorevole, avere posa “totemica”, essere dotato di un messaggio autentico e unico (se ripetono tutti la stessa cosa, santi, eroi e bambini sembrano tanti pappagallini!) e soprattutto deve stare in un punto focale, non ai bordi delle strade.

Come ha spiegato qualche secolo fa il grande esploratore  – bergamasco! – Giacomo Costantino Beltrami (che è stato il primo uomo bianco a incontrare un totem autentico, dopo aver risalito da solo in canoa il Mississipi-Missuouri per 4000 km),

per dare senso a un totem, e dotarlo dello spirito giusto, in grado di riunire la tribù,

non basta un bravo marengone, ci vuole anche un bravo stregone.

Cosa che qualsiasi guru della pubblicità sottoscriverebbe con entusiasmo,

salvo poi raffreddarsi leggendo la “clausola cherokee”:

se totem non porta pioggia, tribù scotennare stregone.

(per la storia del ribelle Beltrami, che partendo da città alta, inseguito da mandati di cattura pontifici, ha scoperto “il nord-america” ed è stato autore del primo  vocabolario sioux/inglese e coautore del primo romanzo-epopea americano, “L’ultimo dei mohicani”https://calepiopress.it/2013/03/14/bel-trami/ )