il progetto badante alighieri

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DanteCacciaguida

BaDante è nuova figura professionale, il badante-biografo, dotato di competenze assistenziali e spirito dantesco, in grado di accudire nel presente,  accompagnare nel passato e proiettare nel futuro l’utente-autore che abbia deciso di rivolgere la propria vita come un romanzo.

L’idea BaDante nasce dalla summa di tre esperienze:

1) da bambino ascoltavo i racconti di mio bisnonno (che da bambino vide Buffalo Bill) che mi raccontava le imprese raccontategli da suo nonno (che fu garibaldino) e da suo bisnonno (che vide Napoleone)

2) prima come operatore socio-assistenziale (disabili, anziani) quindi come night-barman (papponi, buttafuori, cubiste) e infine come copy writer settore moda/design (designer, stilisti) ho capito che la prima cosa è saper ascoltare

3)  come editor  per diversi editori e anche in proprio nella collana “I Pergamini”  by Calepio Press ho (tra)scritto decine di storie d’impresa, di fatto storie di una vita.

Da queste esperienze l’idea di mettere in sinergia assistenza ed editoria, per “curare” e valorizzare la risorsa più preziosa della terza età: il vissuto, la memoria.

Con il progetto BaDante la scrittura diventa un metodo-valore socio-assistenziale.

Parliamo di trasferimento culturale, editoria e assistenza.

Il cuore dell’ impresa BaDante è la produzione di memoria come valore aggiunto alla pratica assistenziale. Clienti-utenti-committenti-partners-sponsor sono coloro che desiderano “tramandare memorie”: privati, famiglie, case di riposo, servizi sociali, istituzioni, associazioni sindacali e di categoria, aziende.

Input1: il senex, come ha bisogno di assistenza, così ha una storia da raccontare, un sapere da tramandare.

Input2: Ogni studente/operatore nel sociale, con capacità d’ascolto e di scrittura è in cerca di occasioni di lavoro culturale.

Sinergia: Risolvere queste due esigenze/opportunità è l’idea BaDante: un lavoro culturale/assistenziale, a un costo sostenibile, con moduli di ore/pagine, e pubblicazione testi con l’utente/autore e l’operatore/co-autore.

L’incontro tra generazioni per la co-produzione di memoria storica è il carattere costitutivo del progetto BaDante.

La scrittura come summa dell’accudire, come risultato di una pratica assistenziale dotata di senso, forma nuova e antica di valorizzazione della senectus.

Obiettivo del progetto è la sinergia generazionale, il trasferimento del sapere

In un’epoca critica e incerta, il bisogno del pubblico giovanile di recuperare il sapere antico, agricolo e artigianale, sarà la chiave per la diffusione e il successo della letteratura senile.

La tecnologia editoriale/assistenziale BaDante (protocolli e metodi per la ricerca documentale, il dialogo, la digitalizzazione dei reperti, la gestione del flusso di memoria, la trasposizione dal parlato allo scritto) è scalabile e riproducibile.

Il progetto BaDante opera per la trasformazione del ceto “dimesso” dal mondo del lavoro, persone che vivono sole o in strutture “di riposo”, in protagonista attivo del valore storico-culturale del comprensorio o della città.

BaDante trasforma l’assistenza da esigenza personale a opportunità culturale.

Ogni uomo, come ha una vita da vivere,  così ha un libro da scrivere.

Le tecnologie oggi disponibili (programmi di registrazione vocale/word) aiutano la produzione di cultura come frutto di un lavoro condiviso di ricerca, stesura, lettura, editing.

BaDante offre servizi integrati assistenziali-editoriali per la produzione, la pubblicazione e la diffusione della letteratura senile attraverso:

1) la tutela e la valorizzazione, nella cura della persona (igiene, vestizione, cucina, passeggiate) del dialogo, del racconto e della memoria orale.

2) la ricerca, il recupero e la digitalizzazione dei reperti autografi e cartacei (epistolari, documenti, cartoline, fotografie).

3) l’elaborazione assistita (registrazione, trascrizione, editing) di memorie personali, professionali, familiari e opere di fantasia.

4) la pubblicazione on-line e in volume di raccolte e opere prime

Obiettivo: l’obiettivo in prospettiva ideale della diffusione territoriale delle redazioni/BaDante è la trasformazione-fusione delle case editrici locali e delle case di riposo in una nuova struttura: la casa editrice di riposo, dove il senso della terza età è la produzione culturale.

Il progetto d’impresa che ne deriva, in sintesi:

focus: 1) ogni anziano ha una vita intera da raccontare / i giovani scrittori non sanno mai cosa scrivere 2) ogni anziano ha bisogno qualche ora al giorno di aiuto nella faccende domestiche, preparazione pranzi, igiene personale, uscite / ogni scrittore/studente è sempre in cerca di un “lavoretto”

mission: implementare l’attività assistenziale (badante) in conversazione, registrazione e trascrizione della memoria orale in formato digitale-narrativo (alighieri)

business:  1 ) l’agenzia propone il servizio alle categorie potenziali utenti/clienti  2) cura la selezione e la formazione degli operatori di care/writing 3) stabilisce con l’utente un programma mensile/trimestrale/semestrale/annuale; 4) cura l’editing e la pubblicazione on line e/o in volume degli elaborati prodotti; 5) promuove la diffusione della letteratura senile  attraverso il proprio sito/blog

servizi offerti: 1) accompagnamento, assistenza igiene personale, terapie, ginnastica; 2) pulizie domestiche, guardaroba, lavanderia; 3) preparazione pasti, governo cucina; 4) conversazione, intervista, ricerca, riordino documenti di memoria  (foto, lettere); 5) trascrizione e digitalizzazione documenti di memoria  6) racconto, narrazione, romanzo per capitoli storia familiare  (nonni, genitori, infanzia, fratelli, scuole, primi lavori, fidanzamento, lavoro, matrimonio, figli) 7) edizione, pubblicazione/vendita e.book sul sito/agenzia letteraria, eventuale edizione stampa, con anziano che racconta e operatore che scrive come co-autori dell’opera.

timing > 2/4 h/die – 2/5 gg la settimana (min 4h/sett – max 20)

operatori > studenti/scrittori,  operatori socio-assistenziali, blogger. utenti > disabili, anziani, lungodegenti.

slogan > se Monet ha dipinto le Ninfee da cieco, se Beethoven ha composto la Nona da sordo, il Nonno può benissimo scrivere la storia di famiglia con l’Alzheimer

(Per info: mail to info@calepiopress.it > oggetto: baDante)

 

sweet sand fried

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rinascente1932

Alice Lewis, 101 anni, socio senior di Calepio Press dal 1921, scrittrice “rosa”, pubblicata in Italia da Mondadori (“Il sogno infranto”, biografia di Lady Diana; novelle su Confidenze 1996-2001) inizia la sua collaborazione a BaDante care&writing agency con le sue ricette di cucina poverissima ultracreativa a budget extra minimal –

Il sandwich come tutti sanno deve il nome al IV Lord di Sandwich, incallito e vizioso giocatore di carte del XVIII secolo che come ogni ludopatico non si staccava dal tavolo da gioco nemmeno per mangiare,

perciò il suo maggiordomo creò il “sandwich”, alimento rapidamente commestibile usando una mano sola, senza interrompere l’impegno al tavolo da gioco,

i sandwich non consumati, un poco induriti, venivano poi riportati in vita facendoli abbrustolire sulla piastra della stufa, e con ciò il buon maggiordomo creò il “toast”;

quando poi in Italia il Duce lanciò la campagna per la purezza della lingua e l’abolizione di ogni parola straniera, specialmente anglofona, il copy-writer ufficiale del regime, il vate Gabriel d’Annunzio,

già creatore de “La Rinascente” e della “Standa” (ex “Magazzini Standard”) con felice ispirazione creò il neologismo – di derivazione edilizia –  “tramezzino”;

ai giorni nostri, in Italia, con le orribili piastre elettriche di nuova generazione, o i tostapane a norma, e le sottilette light, è quasi impossibile avere un vero toast,

se non in qualche vecchio bar di periferia o di paese, che abbia conservato un tostapane anteriore al 1980,

solitamente questi bar espongono ancora il cartello “toast” (ma se insieme a “toast” c’è “piadine” non fidatevi).

L’unica soluzione come sempre è arrangiarsi, e sperimentare in proprio.

La mia proposta di oggi, variazione sul tema sandwich-toast, è il tostant, il toast-croissant, nome scientifico “sweet sand fried”.

Lo “sweet sand fried” è un sandwich dolce, abbrustolito-fritto, una sorta di croissant fatto in casa,

ingredienti: 2 fette di pan carrè preferibilmente avanzate e già mezze stantie; 1 noce di burro (anche rancido); 1 noce di marmellata quodlibet (qualsivoglia)

preparazione:

usando una qualsiasi padella antiaderente, o una piastra in ghisa,

fate tostare con calma e voluttà (fuoco minimo, 5 minuti) una faccia delle due fette a tostatura incipiente (quando appaiono le prime nouances rouges e un accenno di black stripes)

quindi spalmatele di burro e marmellata e chiudetela  a sandwich,

fate quindi tostare ipso modo il sandwich su entrambi i lati, girandolo una sola volta

otterrete una sorta di primitivo croissant, croccante in crosta, burroso in pasta e dal cuore dolce, di conserva,

lasciate riposare 2-3 minuti, per far riassorbire il burro sciolto nella trama della tostatura

infine addentate e mangiate in quattro morsi, partendo da uno spigolo

con un solo “sweet sand fried” avrete soddisfatto in modo sano, rapido ed economico ogni esigenza nutritiva:

25% fabbisogno calorico giornaliero; 90% fabbisogno grassi giornaliero; 30% fabbisogno proteine giornaliero; 20% fabbisogno zuccheri giornaliero

Imago: una giovanissima Alice Lewis modella per La Rinascente

eros Badante veteros

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kawavintage

(testimonianza del sig. A. 84 anni, ex bancario, raccolta dal baDante Leone Belotti, per la serie letteratura erotica senile, che comprende sia racconti di sesso hard in terza età che ricordi erotici di lontane avventure, più soft)

Estate del 1979: per tutto l’anno mia moglie in previsione della “prova bikini” era stata maniacalmente a dieta ed era andata in palestra, diventando molto simile a un asse di legno, modello signorina Silvani, la segretaria di Fantozzi,

mentre io, peggio di Fantozzi, facevo tardi in ufficio per masturbarmi con gli special mensili “boobs” e “boots” – cioè “tettone” e “culone” – di Hustler, l’insuperata rivista porno,

che tenevo nel cassetto, e compravo con i soldi dell’azienda, con l’approvazione del sindacalista, a cui per tacito accordo la passavo alla fine del mese.

Arriva agosto e come sempre prendiamo la casa al mare un mese, ma io faccio quindici giorni di ferie,  e da ferragosto a fine mese quindici giorni, e quindici notti, da solo in città.

Il momento che aspetto da un anno, dovrei vergognarmi a dirlo, anche passati trent’anni, ma è la verità.

Le prime tre o quattro sere, dopo aver parlato al telefono con la moglie, mi ero messo in macchina e avevo girato delle ore inutilmente.

Ormai la mania della magrezza stava diventando una moda di massa,

in quegli anni c’era in giro moltissima eroina e alla fine quasi tutte le ragazze che trovavi per strada erano scheletriche e stordite, con i capellli lunghi e sporchi, e lo sguardo perso, come zombies

io cercavo una cavalllona vispa, capisci, una donnona, una tettona, una bolognese, una romagnola con le zeppe, se non proprio una texana in vacheros,

ma mi sarebbe andata benissimo anche una meridionale, culona, anche pelosa, purché vivace, verace,

il contrario di mia moglie, insomma,

e quindi anche giovane, fresca, una mozzarellona, una burrata,

così, non so perchè, una sera decido di uscire con la Kawasaki gialla del mio amico, che gli tenevo in garage mentre lui era in ferie, col permesso di usarla.

Faccio il giro della città senza più pensare alle donne con il piacere dell’aprire il gas e buttare giù la moto in piega e alzarla partendo ai semafori, bastava aprire la manopola e si alzava come una bestia che ruggisce.

A mezzanotte improvvisamente la vedo con la coda dell’occhio mentre sfreccio a manetta in centro, mi giro, la inquadro con lo zoom,

una figlia dei fiori, i capelli raccolti, pantaloni-salopette fantasia stile india, un borsone in spalla, e sacchetti vari: ma due tette enormi, vere.

Inchiodo, controllo la derapata, riparto contromano, la punto senza indugio e mi fermo alla sua altezza, spengo la moto, le chiedo: ti posso offrire un passaggio?

E lei, con una punta di dispiacere, e accento d’alta valle, dice la frase magica: sto lavorando!

Benissimo! Andiamo a lavorare! Le faccio la mia proposta, accetta subito, monta in sella, mi si stringe addosso.

Al semaforo dice: poi ti posso chiedere un piacere, se hai da darmi un paio di mutande, anche da uomo.

Ma certo!

Il reggiseno non lo uso, dice, con splendida volgarità di voce, e anche di gesto, premendomi le tette sulla schiena.

Illogicamente, accelero. Avrei dovuto frenare, e sentire la sua latteria dilatarsi sulla mia schiena.

Avrà un’ottava, penso, sarà sui venticinque anni. Tanta roba.

Al semaforo successivo spinge, e poi strofina, il pube sul mio coccige.

Ha trovato le maniglie posteriori, e spinge avanti il bacino.

Io abilmente mentre è rosso stacco dal manubrio e infilo dietro la mano sinistra (la destra tiene il freno) e in 2/10 di secondo col palmo aperto sulla vulva, attraverso i pantaloni leggerissimi di seta, percepisco, misuro e palpo il suo vaginone grandi labbra, clito estroflesso e umidità equatoriale.

Lei dice: brutto porco, cosa fai che poi mi agito! Piuttosto, ce li hai da darmi un paio di pantaloni della tuta, e una maglietta? E magari uno zainetto, perchè andare in giro con i sacchetti mi sembra di essere una barbona.

Ripartiamo e alla frenata successiva lei rapidamente e con precisione mi afferra a due mani e stringe delicatamente e brevemente scroto testicoli e pene.

Dice: e se hai qualcosa da mangiare, se non ti chiedo troppo, non mangio da stamattina.

Ma è un piacere sfamare gli affamati, lo dice anche il vangelo!

Quando arriviamo, fa una una certa fatica, o scena, a scendere dalla moto.

E se li hai, dice, un disinfettante, delle bende… devo ancora medicarmi la gamba, perchè il cretino che mi ha dato un passaggio prima in motocross faceva il bullo e siamo volati fuori strada, mi sono distrutta mezza gamba, tra la ghiaia e la scottatura sulla marmitta, ho messo su dei cerotti che mi ha regalato un ambulante.

Ok, bambina, eccoci a casa, ti preparo un bagno, e mentre ti fai il bagno ti preparo tutto quello che ti serve, mutande, calzini, calzoni, zainetto, salvietta, sapone.

Sapone devo stare attenta, mi dice, mentre si sfila la maglietta e le sue enormi tette cominciano a ballare davanti ai miei occhi come grosse otri di pelle di cerva colme di latte di bufala, devo stare attenta perchè sono allergica al nichel, il nichel è in quasi tutti i saponi e bagni schiuma, anche nel marsiglia, ci vuole proprio quello con scritto “senza nichel”.

Va bene, cerchiamo il sapone giusto.

Sei proprio gentile, ma lo sai che sei anche un bell’uomo?

Sarà stata anche una bugia, ma il coraggio di dirla l’ha trovato, a differenza di mia moglie, che dopo sposato non mi ha mai più degnato di un complimento.

Ti chiedo troppo se puoi mettere su una pasta, mentre faccio il bagno?

La faccio breve: uscita dal bagno, nuda e bagnata, ma con ai piedi le scarpe con i tacchi, e senza sedersi, ma piegandosi a novanta gradi sul tavolo della cucina, si era messa a mangiare i maccheroni al ragù star direttamente dalla marmitta con  le mani,

– mia moglie comprava ragù star in quantità industriali –

mentre io, inginocchiato sotto il tavolo, diventavo matto come un cane leccandola tutta dalle caviglie ai fianchi, e tra le gambe, da ogni verso,

avevo passato mesi di prove solitarie immaginando grandi chiavate multiple, in piedi, sul divano, sul tavolo, da dietro, da sopra, da sotto,

e invece dopo pochi minuti, mentre lei faceva “la scarpetta” alla pentola, io, mentre la leccavo, schizzavo come un ragazzino, avendole sdrusciato involontariamente il pene sul polpaccio,

cosa che mi aveva fatto perdere il controllo sulla miccia del missile, acceso ed esploso a razzo, con il proiettile liquido che mi colpiva esattamente al pomo d’adamo, mentre la seconda raffica, avendo chinato di scatto il capo,  mi finiva nell’occhio.

Lei rideva da matta, una vera risata grassa, e mentre io mi facevo piccolo piccolo mi aveva detto siediti qui, sul tavolo, e con la bocca arancione, cosparsa di ragù, aveva ingoiato in un sol boccone quello che restava del mio “gigante”,

miracolosamente rianimandolo in un tempo tutto sommato brevissimo, per i miei standard del tempo, quarantenne, quasi cinquantenne, e fumatore,

quindi aveva allontanato la bocca, e sempre tenendolo per mano, con la destra, e lubrificandosi nel contempo con il pollice e il medio della sinistra, si era alzata e girata con gesto fluido, e a gambe divaricate se l’era infilato, o meglio conficcato di forza, nel culo, con gesto secco, trascinandomi dal tavolo alle sue terga, cui restavo avvinghiato a koala, per meno di tre secondi, per poi afflosciarmi a terra, ridotto a vecchio peluche flaccido,

mi hai steso, le ho detto, mentre si rivestiva e ficcava un po’ nervosamente tutta la roba in un grosso sacco nero doppio, di quelli dell’immondizia,

ce l’hai uno stuzzicadenti? le era rimasto un tocchetto di ragù tra gli incisivi, che aveva belli distanziati.

notando che non aveva segni di buchi sulle braccia né sulle gambe, le dissi: si vede che non usi eroina

fa schifo quella merda, dice, mi sono fatta per 10 anni, ma adesso vado a cocaina, tutto un altro sballo, mi lasci qualcosa per il taxi, non mi sembra il caso adesso che mi accompagni, in quello stato lì

mentre aspettavamo il taxi, lei guardando dalla finestra, mi dice: la sai la vera favola di Cenerentola?

“Cenerentola va al festino del principe, ma il principe è parecchio sfigato, lei a mezzanotte deve rientrare al night, allora va sotto il tavolo e gli fa un pompino,

poi riemergendo dalle tovaglie sputa nel vassoietto da portata, dove sono rimaste solo due fettine di brie sciolto.

Prende su e va, e il principe la rincorre gridando: “Cenerentola! La scarpetta!”

Al che Cenerentola si gira e incazzata dice: “Pota ostia, va bene il pompino, ma la scarpetta no!”

Appena finita la favola era arrivato il taxi.

Non l’ho più rivista. Quella è stata l’ultima volta che sono andato con una donna da strada, e anche l’ultima volta che ho avuto un rapporto anale, e anche l’ultimo pompino, a essere sincero.

Qualche anno dopo mia moglie è stata una delle prime a farsi fare le tette in silicone.

(titolo originale: mia moglie comprava il ragù star – copyright BaDante-Calepio Press 2013)

affamati e diffamati

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pornoriviste

20 Subvertising writer

il destino dello scrittore sovversivo

Scrivere è allo stesso tempo il gesto base dell’ordine costituito, ma anche della sovversione sociale.

Uno scrive le leggi,  poi un altro (ma anche egli stesso) scrive un manifesto illegale contro quelle leggi. Arriva un terzo (che può sempre essere il nostro) e riscrive quelle leggi, accogliendo in parte le richieste del manifesto illegale.

La dinamica è questa, in un paese democratico sarà palese e pacifica, in un regime autoritario  segreta e cruenta.

Un sovversivo, preso nel verso giusto, è un ricostituente sociale.

Si tratta solo di vedere se a breve o lungo termine,  con conversione o martirio del sovversivo.

La conversione del sovversivo può avvenire solo  in due modi, a volte sinergici: per grazia di Dio, e con ricevuta del Dio denaro.

Il martirio del sovversivo, a differenza di quel che si è portati a pensare a tutta prima, non è opera degli aguzzini dell’ordine costituito, che tendenzialmente sono portati a ignorare il sovversivo,

ma dei fan e fedeli del sovversivo, che di fatto lo spingono a immolarsi per loro, secondo il testo base, sino a che la vera vittima, il carnefice, è costretto a fare la sua parte.

Come scrisse in “Massa e potere” il mitico Canetti, il vero boia è la folla degli spettatori che si riunisce attorno al patibolo.

Questo nella società dello spettacolo è tanto più e tremendamente attuale.

La conclusione logica è che la missione base del sovversivo, e cioè rivelare le ingiustizie nascoste e smascherare i cattivi,  oggi significherebbe dire alla massa dei telespettatori, dei consumatori di comunicazione: “i cattivi siete voi, siamo noi tutti!”

Cattivi nel senso di imprigionati, sotto incantesimo, in cattività, ma anche cattivi perché mandanti morali (con la nostra acquiescenza e dunque con il nostro consenso) di ogni violenza o ingiustizia che il telegiornale ci propina cinque volte al giorno:

se noi fossimo i buoni, dovremmo alzarci in massa cinque volte al giorno dal divano, sollevarci, andare in piazza e bruciare il palazzo del governo, e quel che ne consegue in termini di impegno, rischio, et coetera,

e invece se muoviamo un dito è solo per cambiare canale, per saperne ancora di più, per “vedere le immagini”, come se le immagini fossero la verità, mentre l’unica verità è che ci comportiamo esattamente come allodole attirate dagli specchietti,

Ce ne stiamo assorti e devoti davanti alla tv a guardare scorrere il sangue come antichi maya radunati alla base della piramide dove si fanno sacrifici umani.

Siamo disposti a pagare per essere informati su avvenimenti che a bene vedere avvengono perché c’è qualcuno disposto a pagare per sapere che avvengono.

Questa è la situazione, di fatto:  in poltrona col telecomando in mano, o al massimo, non bastando le news di massa a placare “la sete di verità”, si sposta il culo sulla seggiola girevole, e si va sul web in cerca delle verità nascoste,

come Indiana Jones armati di mouse, sulle tracce dei grandi complotti giudaico-massonici, catto-fascisti e nazi-shintoisti, seguendo martiri-profeti occultati dalle polizie di regime.

L’oro nazista? In vaticano!

Lo sbarco sulla luna? Una fiction di Kubrick.

La Mucca Pazza? Una bufala!

L’AIDS? Un’idea della CIA.

La vera causa dei tumori? Il GPS.

Finché si occupa di queste cose, e spara in alto, lo scrittore sovversivo non ha problemi.

I problemi nascono quando spara ad altezza d’uomo, cioè quando  scopre e scrive che il geometra del comune ha preso la mazzetta dall’immobiliarista per il nuovo mega-supermercato,

o la squadra del cuore, in serie C, ha comprato le partite (esempi del tutto ipotetici, ogni riferimento puramente casuale).

A quel punto lo scrittore sovversivo ha migliaia di lettori, centinaia di likes e commenti ed è tentato di credersi utile, e pensa:

se questi diecimila lettori per i quali mi sono fatto gratis il culo un mese, passando le notti a far ricerche e le giornate a inseguire e intervistare testimoni, mi cacciassero dieci cent a testa, oltre a dirmi bravo, e cliccare like, potrei dedicarmi a tempo pieno a questa antica missione, il reporter senza macchia e senza paura, stile Robert Redforf in “Tutti gli uomini del presidente”.

Invece quello che succede è questo:

i personaggi pubblici, gli enti pubblici o le imprese i cui “imbrogli” tu hai così abilmente e coraggiosamente smascherato, raramente si difendono usando le stesse armi che hai usato tu, cioè dati, ipotesi, fatti, argomenti, testimonianze, dichiarazioni, dimostrazioni,  e invece più facilmente ti “fanno scrivere” dagli avvocati (plurale).

Gli avvocati ti mandano un prestampato di tre righe con scritto: “l’articolo in oggetto presenta gli estremi del reato di diffamazione aggravata, con conseguenti danni morali al nostro cliente quantificabili in milioni di euro 4 (quattro)”.

Come minimo con quelle 3 righe su carta bollata hanno già guadagnato quei 1000 o 2000 euro che tu sognavi di guadagnare con le tue 100 sudate pagine di dossier sovversivo elaborato in mesi di lavoro eroico.

Crisi.

Ti verrebbe voglia di rispondere: scusate, dal momento che il risultato è lo stesso (rimozione del post) perchè invece di pagare gli avvocati per “farmi scrivere”, dal momento che lo scrittore sono io, non pagate direttamente me, chiedendomi di cedervi l’esclusiva dell’articolo in questione?

Certamente spendereste meno che “andando per avvocati”, e saremmo tutti più contenti.

Mossa caldamente sconsigliata.

Ricevereste una seconda carta bollata, nella quale l’accusa di diffamazione sarà accompagnata, e rafforzata, da quella, più pesante, di “tentata estorsione”.

Crisi.

In una situazione del genere, può anche capitarvi, come mi è successo, di sfogarvi con un grande guru delle comunicazioni di massa, il quale, bevendo un Gin Rosa con aria assorta, vi illumina infine così:

“quando Pilato si lava le mani, esprime l’impotenza del dittatore: per quanto le lavi,  le sue mani continueranno a sporcarsi di sangue…

…nessuno pensa mai alla violenza psicologica che un’intera massa oppressa esercita su un uomo solo, il dittatore”.

Crisi.

Il vero passo avanti, in fatto di sovversione, sarebbe ribaltare i termini della questione in maniera logica:

se il reato è la “diffamazione”, chi scrive può essere considerato il mandante,

ma chi compie effettivamente il reato è chi legge,

sono i lettori il problema del potere, per non affrontare i lettori zittiscono lo scrittore, ma se i lettori alzassero la voce invocando la libertà di lettura,

dicendo “si, io leggo questa roba, e voglio avere il diritto di farlo”,

avrebbero partita vinta,

perchè di fatto il concetto di “opera aperta” che informa ogni prodotto culturale dal XX secolo in poi, prevede la partecipazione del fruitore all’opera,

e questo a livello di blog vorrebbe dire condividere la responsabilità tra chi scrive e chi legge, come soggetto unico di cogitazione,

a questo dovrebbero lavorare nuovi avvocati sovversivi, a creare clausole a tutela della “publicity” come estensione della “privacy”…

se vuoi denunciare qualcuno, arrivi tardi, perché 5000 persone si sono già auto-denunciate come lettori del tema in oggetto, reclamando il diritto alla lettura.

Un’altra soluzione, più ardita, estrema, e provocatoria sarebbe invece:

noi non ci appelliamo alla libertà di espressione dell’individuo, ma piuttosto alla libertà d’acquisto della merce-idea, è qui che li freghiamo,

noi non pretendiamo che i nostri post abbiano lo status di grandi verità, al contrario, sono banali merci di consumo con una loro nicchia di mercato, che non si possono “esibire” pubblicamente ma si possono “acquistare e visionare in privato”,

stiamo parlando della ponografia, chiaramente, ecco l’idea,

trattare i post sotto censura come materiale pornografico, per maggiorenni,

produrre un e-book “scottante”, red-hot, con firma di un’impegnativa a non divulgare, per uso privato, a pagamento (anche simbolico, 10 centesimi, ma tale da rendere quei contenuti da denuncia una semplice merce in vendita per adulti),

trasformiamo cioè, paradossalmente, la libera espressione in merce squallidamente protetta, riservata,  è questo che possiamo fare, per rivoltargli contro le loro stesse armi, e compiere la missione (fuck the power) con il culo parato,

esibendo così il vero scandalo, la nuda verità ridotta a piacere per pochi, nei postriboli, anziché trionfante nelle piazze a guida del popolo,

Finché esiste la pornografia, c’è ancora una speranza per la libertà d’espressione, è questo lo scenario della società catto-spettacolare,

l’aveva già capito Michelangelo, mentre realizzava la Cappella Sistina.

Crisi.

47 TFIC – 14 paraletteratura rossa

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 ark17

14 paraletteratura rossa

lo scrittore di storie pornografiche

Bene. Io sono arrivato al rosa per caso, passando dal rosso, cioè dal porno.

Da ragazzino, quando mi aggiravo in bicicletta in Val Calepio, ero sempre molto attento ai margini delle strade, dove spesso si trovavano dei giornaletti porno.

La gente li buttava dal finestrino, i camionisti soprattutto.

Una volta si buttava tutto con naturalezza dal finestrino, a cominciare dal pacchetto di sigarette vuoto.

Oggi il porno è morto, il porno cartaceo intendo, essendosi polverizzato e virtualizzato nel processo di migrazione dapprima al video quindi al video amatoriale e al web, per cui oggi chiunque fa un porno e lo carica in rete.

Ricordo perfettamente quel giorno di moltissimi anni fa, quando infilai un foglio nella mia Olivetti intenzionato a scrivere la sceneggiatura completa per un fotoromanzo porno da proporre alla International Press, allora il più grande editore porno italiano (testate come Caballero, Le Ore, Cronaca Italiana).

Ricordo il viaggio in moto a Milano (guidando un Caballero 50!) per consegnare il mio dattiloscritto come aspirante autore minorenne di porno-sceneggiature per lettori maggiorenni.

La sede della International Press era a Milano, tra i navigli e la Bovisa, dove spuntano tre grattacieli identici, modello America, tutto vetro a specchio.

Uno di questi grattacieli, nel quale io entrai per sbaglio, era ai tempi, forse lo è ancora, la sede della Nestlè.

Ad ogni modo, del mio porno fotoromanzo, non seppi più nulla, ma mi venne in mente quindici anni dopo, forse per motivi freudiani (la storia apparteneva al sottogenere anale), quando un’amica  di amici mi dice che ha un contatto con un editore di settimanali rosa in cerca di nuovi autori di serie b o anche c.

Crisi.

Mi metto all’opera. Ed è a questo punto che mi torna in mente il mio vecchio soggetto-sceneggiatura porno.

Lo ritrovo nel solaio dei miei e mi metto a tradurlo da porno a rosa, un lavoro soprattutto lessicale, togli “mi masturbo a cazzo gigante” e metti “ti penso con tutto il cuore”, ma mantengo struttura, senso e trama del racconto, e lo mando a questo tizio che subito mi chiama e incontro,

è un vecchio lupo del settore, già editore dell’Intrepido e del Monello,

mi dice che sta per lanciare un nuovo settimanale femminile, c’è molto da lavorare, e io ho talento, dunque mi chiede di produrgli altri racconti-sceneggiature per fotoromanzi.

Così ne scrivo due, tre, quattro, passano due settimane, tre, un mese, due mesi, e questo nuovo periodico non nasce mai, così a un certo punto mando a quel paese il tizio e mando i mie racconti ai due leader di settore, Intimità e Confidenze.

Come mi disse con cognizione di causa una pornostar, il sesso stanca, se non c’è il sentimento. – segue

Imago: architetture sospese, www.jennifergandossi.it

 

 

 

 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 8

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47tf9

8 ghost writing – scrivere nell’ombra

 Nel frattempo continuo a lavorare come copy, soprattutto come ghost copy, per architetti, imprenditori, designer, sociologi che tengono rubriche o scrivono prefazioni.

Per darti un’idea, un noto professionista che viaggiava molto teneva una rubrica su un periodico prestigioso, mi dava materiale di seconda mano dai suoi viaggi di piacere (le brochure che prendeva nei musei, senza visitarli) che io trasformavo in viaggi nella cultura, costruivo cinque cartelle di fumo, lui le leggeva, segnava degli “Ok” a margine, in base a questi “Ok” confezionavo due cartelle “Ok” e prendevo le mie duecentomila lire.

Alla fine, se le p.r. hanno lavorato bene, l’editore può pagare anche due milioni per l’articolo del noto professionista.

Ti ricordo che un collaboratore-giornalista, per queste due cartelle, in quegli anni prendeva ventimila lire.

Questo per invitarti a riflettere sulla merce-comunicazione: la stessa quantità di merce viene pagata uno al reporter, dieci al copy, cento all’imprenditore-pubblicitario-p.r.

A te le riflessioni sui reali rapporti di forza tra informazione, linguaggi creativi e finanza.

Crisi.

Il ghost writer in realtà eroga una prestazione di tipo sessuale, può essere una marchetta last minute (una prefazione, un discorso, una replica) o un rapporto di concubinaggio continuativo per mesi o anni (una tesi, un libro, una rubrica fissa, o anche un corso universitario, e diventi una specie di ultra-iulm super-tutor per docenti che non hanno tempo o non sanno scrivere).

Il cliente-patron può essere un personaggio dello spettacolo, un professionista (architetti, chirurghi, avvocati), un imprenditore, un manager, un guru.

Il contatto può essere tramite un’agenzia pubblicitaria, un intermediario, una casa editrice.

Ho scritto libri frequentendo “l’autore” in modo quasi familiare con incontri settimanali per periodi anche di sei mesi, con viaggi e vacanze di lavoro in yacht,

ma anche libri interi senza mai uscire dal mio bunker e senza aver mai parlato né conosciuto “l’autore”, ma interfacciandomi con l’agenzia, o l’editore, secondo un timing stabilito (progetto, anticipo, struttura, prima stesura, seconda tranche, stesura definitiva, revisione, saldo) nell’arco di 1-2 mesi.

Altre volte il ghost writer diventa un agente speciale che viene chiamato per le mission impossibile, riscrivere la presentazione di un progetto, un manifesto d’intenti, una proposta di legge, un codice deontologico, un cartello di sponsor, un sito istituzionale …

diciamo qualsiasi cosa che per un qualsiasi motivo richiede  un intervento anonimo, immediato, risolutivo.

Di fatto il rapporto tra il ghost e il committente, esattamente come quello tra una donna di piacere e il suo cliente, è destinato a rimanere clandestino e a interrompersi.

A un certo punto la figura del ghost diventa troppo invasiva, a livello psichico, per il cliente, che inconsciamente si sente questo nuovo cordone ombelicale da tagliare.

Anche il ghost, a un certo punto, quando ormai ha perfezionato lo stile di scrittura su misura del cliente, e si rende conto che ormai quell’autore virtuale è presente come un alien, desidera liberarsene.

Quindi difficilmente, facendo il ghost, arrivi a emanciparti da prostituta a moglie, cioè a figura dichiarata e contrattualizzata a tempo indeterminato.

Proprio come quello di una cortigiana, il menage del ghost professionista è quello di chi ha tre o quattro clienti fedeli, più qualche chiamata per prestazioni superiori.

Crisi.

 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 2

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2 paraletteratura puberale – la scoperta del fantastico

Dopo il maggio 68, d’inverno, col riflusso, passavo tutti i pomeriggi studiando l’Atlante, e già in terza elementare la maestra segnalava con preoccupazione il fatto che io sapessi a memoria tutti gli stati del mondo, superficie, capitale, n. di abitanti.

In quarta mi regalarono un Atlante storico. Dopo pochi mesi sapevo a memoria tutti i papi da S.Pietro a Paolo VI e gli imperatori romani da Augusto a Romolo Augustolo, con tanto di date.

D’estate, dopo la scuola, partivo con la saltafoss (la mountain bike degli anni settanta, sella lunga, ammortizzatori, ruote artigliate, cambio a leva sul telaio) dicevo che andavo all’oratorio e invece mi inoltravo in stradine misteriose tra campi, vigneti, boschi, canali e ferrovie.

La Val Calepio è un distretto pedecollinare tra la Val Cavallina, il lago d’Iseo e la Franciacorta, sulla via che da Bergamo porta a Brescia, città che per me, allora come oggi, rappresenta l’oriente (essendo Venezia l’estremo oriente).

Un giorno con grande eccitazione scopro un passaggio molto avventuroso: entrato clandestinamente, nella scia di un camion, nell’area del cotonificio Niggler&Kupfer in località Capriolo, avevo seguito il sentiero lungo il canale fino alla diga pedalando a rotta di collo per sfuggire al guardiano che mi inseguiva.

Mi ero così ritrovato, con l’adrenalina a mille, a imboccare e percorrere in bici la sommità del muro diga, larga meno di mezzo metro, senza possibilità di posare i piedi, con le acque gonfie e rapidissime del canale da un lato, e lo strapiombo di una decina di metri sulle basse acque ferme dell’Oglio con spuntoni rocciosi  affioranti sull’altro lato.

Arrivato sull’altra sponda dell’Oglio, le gambe mi tremavano.

Poco dopo mi ero fermato presso un rudere medioevale che un cartello indicava come l’antico Porto Calepio.

Nascosto dalla vegetazione, notai un passaggio scavato nella roccia. Lo imboccai. Con grande meraviglia sopra di me apparve un castello in piena regola, mura, merli, torrioni, ponte levatoio.

Nascosta la bici, mi intrufolo nel castello, mi ritrovo in un salone con grandi vetrate dove un comitiva di persone è tutta presa dal panorama mentre una guida racconta che “qui, il giovane Ambrogio da Calepio, immerso nei libri, fantasticava sul suo futuro..”.

Quell’estate tornai quasi ogni giorno al castello dei conti Calepio a picco sull’Oglio, inespugnabile, e immaginavo il giovane Ambrogio, e mi immedesimavo,

mi calavo nel fossato del castello con una corda per campane che avevo rubato in sagrestia a mio zio prete, quindi prendevo il ripido viottolo che scendeva al porto, e m’imbarcavo raggiungendo Venezia per via d’acqua…

Ripresa la scuola (quinta elementare) passo i pomeriggi scrivendo in bella calligrafia il mio primo romanzo d’avventura e d’amore, “L’impero del sole”,

un intero quadernetto a righe con tanto di illustrazioni dell’autore, copertina, indice, trama nel risvolto (praticamente l’Eneide in versione Val Calepio), colophon della “casa editrice Belotti”, prezzo di copertina (L.600) e biografia dell’autore che suonava così:

“Leone Belotti nacque in Valle del Fico nel 1966 d.C. ed è tuttora vivente. Questo è il suo primo romanzo e lo scrisse a undici anni”.

Ti parlo di questa prima esperienza di baby-romanziere perché si è rivelata fondamentale per farmi capire fin dall’infanzia le potenzialità dei linguaggi creativi:

ero sempre stato un bambino timido e introverso, segretamente innamorato della mia compagna di banco, Lilli, bella ed estroversa.

Prima potenzialità dei linguaggi creativi: vedere la Lilli che legge il mio romanzo con gli occhi illuminati.

Seconda potenzialità: imitare il protagonista del mio libro, e baciare la Lilli.

Terza potenzialità: mettere al lavoro la Lilli, che “copia” il romanzo in cinque copie e le vende alle sue amiche.

Stimolato dal successo, scrivo subito un secondo romanzo, ispirato al film di Hawks “Eroi dell’aria”, visto in televisione.

Un flop totale. Lilli, la mia musa, disse: “Il primo era più bello”. La mia prima stroncatura.

Crisi.

(imago: copia fotostatica tratta da “l’impero del sole” by Leone Belotti, edizioni Belotti 1977, trascritta a mano in 5 copie su quaderni Pigna a righe)

mia figlia in abiti succinti per 30 denari

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(storia di Pietro M. raccolta da Nicola Fennino)

La cosa importante è che mia figlia sia felice. Che faccia il lavoro che le piace.

Forse se mia moglie fosse ancora viva le cose sarebbero andate per un altro verso.

Non ho mai sentito nessuno parlare d’amore come mia figlia. Dice che l’amore è una forza che ti strappa la pelle di dosso, che t’incendia gli occhi.

Una forza sovversiva: per questo i preti non si sposano. Una società fondata sull’amore non può esistere, sarebbe anarchia.

“Capisci, babbo, per questo la puttana è il mestiere più antico del mondo! Serve per coprire la mancanza d’amore, capisci? È il contratto sociale”.

Ecco, mia figlia è convinta che il suo lavoro sia una sorta di sacrificio.

Lei si spoglia, la si vede perfettamente in faccia – con quegli occhi verdi di sua madre – e degli sconosciuti la baciano, la schiaffeggiano come padri preoccupati con una bambina cattiva (lei dice che fanno piano, che è tutto doppiaggio), penetrano la sua carne senza pietà, senza passione.

La sua pelle bianca si chiazza di rosso: non è finta la sua pelle, la sua pelle non ragiona come il suo cervello, soltanto si fa rossa.

Al mare, da piccola, io e mia moglie la cospargevamo di crema, ogni ora bisognava rimetterne un nuovo strato, perché i bambini giocano, entrano in acqua, si rotolano sulla sabbia, mica si può pretendere che la crema gli resti incollata addosso.

Quando le spalmavo la crema sul faccino chiudeva gli occhi, storceva un poco le labbra; le baciavo i capelli, poi lei scappava verso il bagnasciuga: c’erano i suoi amichetti che l’aspettavano.

Ieri sera è tornata più tardi del solito; deve aver bevuto un paio di bicchierini, non sa nasconderlo. Ha iniziato con la solita solfa dei greci e dei romani e che anche loro avevano i loro spazi di follia, i loro riti sessuali assurdi eppure avevano creato delle società così ordinate… l’ho interrotta perché ero stanco e non riuscivo a seguirla.

Lei mi ha guardato.

“Pensavo a Giuda, babbo. Sì, quello degli apostoli. Pensa se non ci fosse stato Giuda. Come facevano a mettere in croce Gesù Cristo? E la resurrezione? E tutto il cristianesimo?

Pensa babbo, sono tutti intorno al tavolo: Gesù non è ancora risorto, è solo una persona molto convincente, è solo un paio di occhi che splendono più della media, a volte non si capisce neanche quello che dice;

Ma è toccato a Giuda, capisci? Doveva toccare a qualcuno per il bene di tutti”.


È rimasta qualche secondo in silenzio. Ci siamo guardati. I suoi occhi erano rossi, gonfi.

Ho abbracciato la mia bambina, non ho avuto parole, e ho bestemmiato Dio, perché mia moglie è morta, e non era lì, con me e con la nostra bambina.

(titolo orginale “Pietro”, riduzione 33% – da 1200 parole a 400 – by Leone Belotti editor 

versione originale by Nicola Fennino writer, pubblicata in

http://scrittoriprecari.wordpress.com/2012/04/26/confessioni-qualunque-1/#comment-2961

imago: “in abiti succinti”, immagine di copertina dell’omonimo blog  https://www.facebook.com/pages/In-abiti-succinti/191256350930780)

la pubertà in sagrestia dell’intellettuale sovversivo

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Da bambino passavo le estati in mezzo ai vigneti, in valle del Fico,  in una vecchia e grande casa a mezza collina, in via delle Rimembranze, terra battuta, cipressi, destinazione cimitero,

era una casa tetra, buia e silenziosa, che mi faceva paura,

abitata da un orco col bastone, il bisnonno, ex podestà del paese, e da una strega con lo scialle, la zia Tina, la figlia zitella, acida e severa,

ma anche da una fatina con le ali, la nonna Lina, e da un grande mago occhialuto, lo zio Bruno, Don Bruno, il prevosto sovversivo, il mitico Don Bruno,

che durante la guerra, a Schilpario, nascondeva partigiani in sagrestia, e per poco non era stato fucilato dai todesch,

più tardi, negli anni della contestazione, già epurato dalla curia di Bergamo come prete-ribelle,  si era costruito una chiesetta in proprio, in Valle del Fico, la Madonna dei Campi, totalmente abusiva, bellissima, lavorando il sabato  e le domeniche con i muratori-vignaioli-alpini, era una festa continua, il primo acquisto la campana, usata per fare la polenta…

poi al vescovo era toccato venire a benedirla,  col geometra del comune al seguito.

Questo succedeva nel 1972, io avevo 6 anni, e nel cantiere della chiesa ho avuto le mie prime sbornie da merlot della bergamasca.

Lo zio Bruno per me bambino era come i supereroi dei cartoni animati.

Aveva il potere di rendere fantastico il mondo.

Era riuscito a trasformare questa comunità di contadini-manovali taciturni e “semper all’ostia” in un collettivo gaudente di catto-buontemponi “sempre alegher”.

Quando andavo al mercato con la nonna Lina, dal momento che l’unica parola che dicevo dai 3 ai 6 anni era “roia”, c’era sempre qualcuno che chiedeva: ma è figlio di chi, quel bambino qui?  Io dicevo: so lo scet del preost, sono il figlio del prevosto, dello zio Bruno.

Così per prima cosa lui mi prendeva a pedate nel sedere, chiamandomi “Sennacherib”,

poi mi metteva addosso una tuta da astronauta, andiamo a trovare le api, mi diceva.

Con addosso quella palandra di juta e rete, venivo ricoperto da milioni di api. Era per insegnarmi “il sangue freddo”, e anche a pregare.

D’estate mi portava in valle di Scalve, guidando pericolosamente lungo la via Mala una vecchissima Topolino senza freni, carica di bottiglioni di valcalepio rosso e grappa di foresto,

zaino in spalla, e schioppettone, ci inerpicavamo nella fitta boscaglia sopra Schilpario, la mia missione erano more e mirtilli, la sua lepri e volatili,

se ti perdi, Sennacherib, mi diceva, ci ritroviamo al passo del Vivione.

L’ultima vacanza con lui in Sardegna, in camper, avevo già quindici anni, ci presentavamo nei villaggi turistici, sacerdote con nipote chierichetto, contrattava, barattava la piazzola e il vitto con il servizio messe, due al giorno, mattina e sera, lui diceva messa, e io servivo.

Avevamo una scorta gigante di vino e ostie per la comunione, che consacrava e sconsacrava a seconda del bisogno, buonissime le ostie col patè di fegato, ma anche col gelato.

In certi orari mi diceva di sparire. Aveva da fare le confessioni. In camper.

Quando gli avevo chiesto come mai fossero sempre donne ad andare a confessarsi in camper, mi aveva risposto:

perché gli uomini, quando vogliono confessarsi, vanno a donne;

invece le donne, quando hanno pensieri peccaminosi, vengono a confessarsi.

(in memoriam di Don Bruno Belotti, pronunciata da Leone Belotti alla messa a 25 anni dalla morte, Madonna dei Campi, Valle del Fico, 22 Luglio 2013)

grande talento, ma inaffidabile

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certo, è stata una disgrazia, ma di quelle che vengono da lontano,

una storia come tante, l’amico che ti tradisce alle spalle, e fa finta di niente;

tu invece lo sai, ma anche tu tieni la parte, e fai finta di niente,

aspetti il momento buono per fargliela pagare con gli interessi;

intanto vi vedete sempre meno, è normale, passano gli anni, i decenni…

sono passati più di cinquant’anni…

l’amicizia tra me e Gianni è iniziata che avevamo vent’anni, era il 59, governo Fanfani,

sempre insieme, grandi progetti, grandi idee, pochi soldi, tanto entusiasmo,

abbiamo fatto cose bellissime, lavori incredibili, io introverso, incapace di comunicare, lavoravo di notte, facevo capolavori;

lui brillante, affabile, conquistava chiunque,

siamo andati avanti così per dieci anni, tra alti e bassi, i lavori li firmavamo insieme, ma era lui quello che si era fatto conoscere, io stavo dietro le quinte, anonimo, e mi andava bene così;

poi è arrivata l’occasione giusta, è arrivata a me, gennaio 1970,

e io invece di dire subito sì, ne ho parlato a Gianni,

lui ha detto dobbiamo muoverci nel modo giusto, prendi tempo,

poi, come capita con le cose importanti, è successo tutto dal mattino alla sera,

senza che nemmeno me ne rendessi conto, il mio amico Gianni, il mio migliore amico, forse l’unico che ho mai avuto, grazie al mio lavoro, alle mie idee, mi ha rubato il posto, si è preso la scrivania, il lavoro, lo stipendio, il successo, i progetti, il futuro, si è preso tutto,

allora non me ne ero reso conto con chiarezza, l’amarezza ti confonde le idee, ti rende incerto,

lui mi ripeteva la sua versione, non era come sembrava, l’aveva fatto per me, per noi, mi diceva di avere pazienza, qualche mese e mi avrebbe fatto entrare,

passa un mese, ne passano due, passa un anno,

una sera mi chiama, io penso: finalmente!

ti devo chiedere un favore, mi dice,  lui a me, un’emergenza, e così, al telefono, mi chiede di coprirlo: ha detto a sua moglie che si vedeva con me, sua moglie mi conosceva, una bellissima ragazza, giovanissima,  della mia parola si fidava, dovevo dirle una balla, se mi avesse chiamato, e poi avvertirlo subito…

aveva un’altra, da non credere, non gliene era mai importato niente delle donne, non era mai stato portato per gli affari cuore, ma adesso che era diventato qualcuno, ecco che aveva sentito il bisogno di farsi l’amante, e io, l’amico tradito, senza lavoro, senza soldi, senza donna, dovevo essergli complice,

non ci ho pensato molto, gli ho risposto subito: ascolta Gianni, io non ho più niente, solo il rispetto di me stesso, io le menzogne non le dico nemmeno per me, perchè dovrei dirle per te?

D’accordo, come non detto, mi fa, pensavo fossimo amici, mi ha detto, lui a me.

In quello stesso periodo, vengo a sapere da terzi che si è liberato un posto, proprio la mia mansione, allora lo chiamo, non mi risponde, lo richiamo, niente, alla fine mi richiama lui, mi dice di stare tranquillo, tu fai la domanda, mi dice, al resto penso io, ma non continuare a chiamarmi, poi pensano male, sai, le segretarie parlano, ti chiamo io appena so qualcosa,

era già diventato vicedirettore, stava bruciando le tappe,

qualche giorno dopo mi chiama, mi dice: non c’è stato niente da fare, il direttore si è imposto, ha imposto il suo cavallo, uno dieci anni più giovane di te, capace di far niente, senza curriculum, senza titoli, e adesso dovrò pure fargli da balia... era lui la vittima, alla fine,

ma io il direttore lo conoscevo per altre ragioni, un vero signorsì di pochissime parole, arrogante, ma con una sua etica, di quelli che le carognate te le fanno da nemico, alla luce del sole, non di nascosto, come gli amici,

così prendo coraggio, sapevo le abitudini, il punt e mes a mezzogiorno, lo avvicino al bar, gli dico dottore, ci contavo su quel posto, Gianni me l’aveva promesso…

non c’era nemmeno bisogno parlasse, l’espressione diceva già tutto: tanto per mettere le cose in chiaro, mi dice scostandosi, non sono io che mi sono opposto alla tua assunzione, ma qualcuno che ti conosce bene, e ti ha definito “di grande talento, ma inaffidabile”.

Inaffidabile? A me, che sono la fedeltà in persona? Poi ho capito. Mi faceva pagare il mio rifiuto a fargli da ruffiano.

Per qualche tempo ho pensato di aspettarlo per strada con una spranga, frantumargli un ginocchio. Oppure: andare a trovare sua moglie, Mara, e spiegarle alcune cose. Invece niente.

Passano gli anni, uno dietro l’altro, dieci anni.

La domenica lo vedevo arrivare a messa con la macchina nuova, il cappello Borsalino, le scarpe lucidate, la Mara in pelliccia di visone.

Soldi ne aveva fatti a palate, si era comprato la macchina, la casa, la seconda macchina, la seconda casa.

Io mi ero venduto tutto, anche l’orologio di mio padre, per tirare avanti. Passavo le giornate in ciabatte e canottiera, sulle panchine. Ero diventato un fanigott. Ma non ci pensavo più a fargliela pagare. La rabbia era passata.

Mi faceva pena, a dire il vero, con quel suo sorriso da curato di campagna. Lasciami stare, Gianni, gli dicevo quando incrociava il mio sguardo, e lui da bravo passava oltre.

Ma un’estate, era Ferragosto, 1982, l’estate in cui l’Italia vinse i Mondiali, lo incontro in piazza, aveva la moglie al mare, mi invita a mangiare con lui in trattoria, è molto agitato…

io ti ho sempre invidiato, mi confessa, fin da quando eravamo ragazzi,

io avrei sempre voluto avere il tuo talento, mi dice, la tua grazia,

usa proprio queste parole, sono parole che mi colpiscono,

ma cosa stai dicendo, gli dico, col mio talento faccio una vita da miserabile! 

però sei libero! mi rinfaccia con foga, troppa foga, e lì ho capito che mentiva, faceva scena, e mi ha fatto schifo, era inutile stare lì ad ascoltarlo, ho gettato il tovagliolo sul tavolo,

sì, sono libero di sputarti in faccia, gli ho detto, e nell’uscire mi sono pure fermato a pagare il conto, tutto quello che avevo in tasca per tirare avanti una settimana,

Passano altri dieci anni. Crolla il muro di Berlino, cambia il mondo.

Ormai ero diventato un poveraccio, mi ero messo a bere, stavo con la Mery, una donna di strada, e non mi vergognavo, lei mi amava, ero la sua ragione di vita, un artista, io la stimavo, aveva una sua etica, un’onestà totale, profonda, una specie di forza virile, mai un lamento, una lacrima, niente, si teneva tutto dentro, peggio di me, anche la malattia,

sto mica tanto bene, mi dice una sera, domani vado a farmi vedere,

una volta entrata in ospedale, se ne è andata in pochi giorni,

l’avevo seppellita da una settimana, quando mi arriva un biglietto di Gianni, ma non di condoglianze, no…

mi scriveva testuale che “aveva nostalgia di quando eravamo ragazzi” e “andavamo a donne insieme”. Eravamo andati una volta in una casa chiusa, perchè poi le avrebbero chiuse, era in discussione la legge Merlin, ma non ci avevano nemmeno fatti entrare, non avevamo i ventun anni,

non eravamo mai andati a donne insieme, tu non sai nemmeno cosa siano le donne, avrei voluto dirgli, col suo biglietto tra le mani,

davvero una lettera stupida, con un finale orripilante, dove mi chiedeva per scritto di “trovargli una donna, ma verace, formosa, anche non giovanissima, al giusto prezzo”,

forse non sapeva del mio lutto? o faceva finta? uno dei suoi giochetti? cosa significava lasciarmi tra le mani quella lettera di suo pugno, avrei potuto rovinarlo mostrandola alla moglie, e anche alla ditta, perchè la ditta a queste cose ci teneva, lavoravano per la chiesa, non si poteva sgarrare sulla moralità dei dirigenti…

non riuscivo a capire, provavo solo pena, schifo, tristezza,

arriviamo all’epilogo, al processo, all’assoluzione,

alla fine le cose si sono risolte, ci ha pensato la Provvidenza,

quando l’ho visto sulla sedia a rotelle, al parco, l’ho osservato bene prima di avvicinarmi, era anche molto ingrassato, lei faceva fatica a spingerlo,

ciao Mara, le ho detto, forse non ti ricordi di me, lascia che ti dia una mano,

lei mi ha sorriso con una tristezza senza fine, non ci eravamo quasi mai parlati, ma eravamo come fratelli,

e come mi fissava lui, invece, un vegetale con gli occhi terrorizzati, riusciva a muovere solo la mano destra, emetteva dei grugniti incomprensibili, che forse incutevano pietà a chi non lo conosceva, e invece a me, e a sua moglie, facevano schifo,

è lucido, lucidissimo, capisce tutto, mi ha detto lei, e mi ha raccontato cosa era successo, davanti a lui,

capivo che aveva addosso una rabbia cattiva, quell’uomo l’aveva  sempre tradita, e alla fine gli era preso un colpo, un ictus, mentre era “con un ragazzo di strada”,

le parole le uscivano affilate, controllate, avrebbe voluto urlare, ma si limitò a ripetermelo a bassa voce: “non una donna, un ragazzo!”

poi gelida mi ha detto: “potrebbe andare avanti così anche vent’anni”.

io le ho risposto: sei ancora una bella donna, Mara, quanti anni hai? sessanta? ne dimostri dieci di meno, non è giusto quel che ti è capitato, non lo meriti.

Tutti questi discorsi davanti a lui, era la nostra vendetta.

Abbiamo cominciato a vederci tutti i giorni, al parco, non c’è stato bisogno di spiegarle per filo e per segno, aveva capito anche lei cosa avevo intenzione di fare.

Così quel giorno mi ha affidato Gianni, e il furgone attrezzato per portarlo in giro, prenditi una giornata di riposo, Mara, ci penso io oggi al nostro Gianni, lo porto al lago, dove andavamo sempre da ragazzi,

in quel punto il lago è profondo 300 metri, ci facevamo il bagno d’estate fantasticando sui galeoni spagnoli affondati negli abissi del tempo,

l’ho tirato giù dal furgone, l’ho legato bene alla pesante carrozzina, in giro non c’era anima viva, è proprio triste il lago d’inverno, stava già venendo buio,

alla fine avevi ragione Gianni, sono proprio inaffidabile

non c’è stato nemmeno bisogno di spingerlo, una volta sistemata la carrozzina sullo scivolo del vecchio imbarcadero, è bastato togliere il freno,

e non ho dovuto nemmeno mentire troppo bene, raccontando della disgrazia:

tutti, dal maresciallo, al pubblico ministero, al giudice hanno capito cos’era successo,  il vecchio amico impietosito gli aveva dato una mano pietosa a suicidarsi, ridotto in quello stato…

(By Leone Belotti, Luglio 2013, BaDante Care&Writing Agency; imago: Gianni Cavina e Alessandro Haber ripresi da Pupi Avati)