47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 8

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8 ghost writing – scrivere nell’ombra

 Nel frattempo continuo a lavorare come copy, soprattutto come ghost copy, per architetti, imprenditori, designer, sociologi che tengono rubriche o scrivono prefazioni.

Per darti un’idea, un noto professionista che viaggiava molto teneva una rubrica su un periodico prestigioso, mi dava materiale di seconda mano dai suoi viaggi di piacere (le brochure che prendeva nei musei, senza visitarli) che io trasformavo in viaggi nella cultura, costruivo cinque cartelle di fumo, lui le leggeva, segnava degli “Ok” a margine, in base a questi “Ok” confezionavo due cartelle “Ok” e prendevo le mie duecentomila lire.

Alla fine, se le p.r. hanno lavorato bene, l’editore può pagare anche due milioni per l’articolo del noto professionista.

Ti ricordo che un collaboratore-giornalista, per queste due cartelle, in quegli anni prendeva ventimila lire.

Questo per invitarti a riflettere sulla merce-comunicazione: la stessa quantità di merce viene pagata uno al reporter, dieci al copy, cento all’imprenditore-pubblicitario-p.r.

A te le riflessioni sui reali rapporti di forza tra informazione, linguaggi creativi e finanza.

Crisi.

Il ghost writer in realtà eroga una prestazione di tipo sessuale, può essere una marchetta last minute (una prefazione, un discorso, una replica) o un rapporto di concubinaggio continuativo per mesi o anni (una tesi, un libro, una rubrica fissa, o anche un corso universitario, e diventi una specie di ultra-iulm super-tutor per docenti che non hanno tempo o non sanno scrivere).

Il cliente-patron può essere un personaggio dello spettacolo, un professionista (architetti, chirurghi, avvocati), un imprenditore, un manager, un guru.

Il contatto può essere tramite un’agenzia pubblicitaria, un intermediario, una casa editrice.

Ho scritto libri frequentendo “l’autore” in modo quasi familiare con incontri settimanali per periodi anche di sei mesi, con viaggi e vacanze di lavoro in yacht,

ma anche libri interi senza mai uscire dal mio bunker e senza aver mai parlato né conosciuto “l’autore”, ma interfacciandomi con l’agenzia, o l’editore, secondo un timing stabilito (progetto, anticipo, struttura, prima stesura, seconda tranche, stesura definitiva, revisione, saldo) nell’arco di 1-2 mesi.

Altre volte il ghost writer diventa un agente speciale che viene chiamato per le mission impossibile, riscrivere la presentazione di un progetto, un manifesto d’intenti, una proposta di legge, un codice deontologico, un cartello di sponsor, un sito istituzionale …

diciamo qualsiasi cosa che per un qualsiasi motivo richiede  un intervento anonimo, immediato, risolutivo.

Di fatto il rapporto tra il ghost e il committente, esattamente come quello tra una donna di piacere e il suo cliente, è destinato a rimanere clandestino e a interrompersi.

A un certo punto la figura del ghost diventa troppo invasiva, a livello psichico, per il cliente, che inconsciamente si sente questo nuovo cordone ombelicale da tagliare.

Anche il ghost, a un certo punto, quando ormai ha perfezionato lo stile di scrittura su misura del cliente, e si rende conto che ormai quell’autore virtuale è presente come un alien, desidera liberarsene.

Quindi difficilmente, facendo il ghost, arrivi a emanciparti da prostituta a moglie, cioè a figura dichiarata e contrattualizzata a tempo indeterminato.

Proprio come quello di una cortigiana, il menage del ghost professionista è quello di chi ha tre o quattro clienti fedeli, più qualche chiamata per prestazioni superiori.

Crisi.

 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 6

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6 paraletteratura misticai misteri del ghost writing 

Per caso, rispondendo a un annuncio, entro in contatto con una maga-veggente alta, bionda, mezzo croata e mezzo tedesca, e di mezza età, di stanza alla libreria esoterica di Milano, dove si ritrovano tutti i mistici e i new age.

Questa signora mi trascina in giro per Milano continuando a parlare, e mi chiede di scrivere il suo libro mistico con promesse di fama e denaro.

Mi metto all’opera, poi non vedendo soldi comincio a pressarla, allora lei mi dirotta sulla figlia che è la sua amministratrice.

La figlia mi riceve in un superattico del centro, più bionda più alta e naturalmente più giovane della madre, davvero una bomba, accessori lusso ovunque.

Io nella mia ingenuità non mi rendo conto che sto parlando con una squillo d’alto bordo che parla col linguaggio del corpo, tengo duro e alla fine la  puledra s’imbizzarrisce e scalpitando per l’attico tira fuori dal bovindo un portagioie, e dal portagioie una mazzetta arrotolata di banconote. Dollari.

Mi chiede se so quanto è il cambio, in un battito di ciglia sputo la cifra, lei mi dà di più e mi sbatte fuori.

Convinto siano finti vado subito al botteghino del cambio che una volta era in corso Vittorio Emanuele a Milano. Erano veri.

Quando qualche settimana dopo vado a cercare la maga per consegnarle il libro finito, non la trovo, è sparita.

Così torno dalla figlia, sparita anche lei, sparito anche l’attico (era un residences in affitto settimanale).

Affido il manoscritto alla libreria esoterica.

Con mia grande sorpresa qualche mese dopo ripassando vedo il libro in vetrina, vedo anche la maga, la seguo, la fermo, ma incredibilmente lei finge di non conoscermi, e io apprendo la dura lezione del ghost writer:

finito il lavoro, non sei mai esistito.

Crisi.

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 4

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4 copy writing junior le parole come merce

Vedo il film “Cocktail” con Tom Cruise, mi identifico, lascio i disabili e faccio il barman.

Sfruttando nuove doti che non sapevo di avere  (come in seguito mi disse un vecchio art director: “avere la lingua lunga aiuta a leccare il culo”) mi agito nella Milano da bere finché una minorenne maggiorata mi invita a casa sua dove mi presenta i suoi, una coppia di architetti-imprenditori.

Nella loro villa con parco potevi incontrare gente con la barba che ti sembrava mandata dai servizi sociali, invece erano grandi architetti internazionali o designer in procinto di diventare grandi star, come Philippe Starck.

Vengo invitato, a suon di bigliettoni da centomila, a scrivere testi poetici relativi agli schizzi dei barboni. Questi schizzi raffigurano sedie e tavoli.

Inizia la mia carriera di copy writer nel settore design. Nel giro di un paio d’anni il barbone con la pancia, Philippe Starck, è miliardario. Il copy no. Ma ormai il seme è gettato.

Crisi.

Il mio ruolo è copy junior, passo due giorni alla settimana in questa agenzia-studio, ultimo piano palazzo liberty Milano centro, una decina di stra-fighe (receptionist, pr, grafiche) il boss fighissimo e il suo braccio destro gay, l’art director, che di fatto è il mio capo.

Un bel giorno a una tavolata snob di vip vari (con stilisti gay) si parla di diete, il mio capo mi provoca dicendo che anche io dovrei tirar giù un paio di chili di pancetta, io da perfetto idiota nel gelo generale rispondo “lascio questi problemi al sesso debole”. Licenziato.

Crisi.

 

47 tentativi fallimentari d’impresa culturale – 3

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3 giornalismo dilettantelo scontro col potere

Nei successivi otto anni di medie e liceo non scrivo più niente e nemmeno leggo niente (prima divoravo un corsaro nero ogni due giorni) a causa di un trauma educativo occorsomi nella mia prima e unica esperienza di vacanze estive in colonia di mare, a Milano Marittima.

Invece di giocare con gli altri ragazzini, mi isolavo in pineta a leggere, quando ecco che mi ritrovo circondato da una folla inferocita di bambini e suore.

“Eccolo! E’ lui!”. Mi portano dalla madre superiora. Mi accusano del tutto assurdamente di aver spinto un bambino giù dallo scivolo (dalla parte della scaletta). Il poveretto si è rotto un braccio.

Io non c’entro per nulla, ma ben tre stronzetti testimoniano e giurano contro di me (in precedenza, a tutti e tre avevo detto, non sbagliandomi: “tua mamma è una puttana”).

Ricordo perfettamente le parole della madre superiora:

“oggi la spinta, domani il pugno, a sedici anni il coltello, a diciotto la pistola e la droga, è questo che vuoi diventare, bugiardo e assassino?”

Con entusiasmo avevo risposto: “Si!”.

Ero stato condannato a esser rinchiuso nel sottoscala a leggere Moby Dick alla luce di una lampadina.

Passai le tre settimane rimanenti nel sottoscala, senza leggere una pagina.

Dopo un mese al mare tornai a casa più pallido di com’ero partito, e traumatizzato.

Per otto anni non avrei più letto un libro né scritto una parola se non per dovere scolastico.

Alle medie e alle superiori sono uno studente modello, ottimo alle medie e 60/60 alla maturità con un tema su Juve-Liverpool, finale di coppa campioni giocata a Bruxelles e finita in tragedia per il crollo di una tribuna con un centinaio di morti.

Ricordo l’attacco ultra-retorico: “A Bruxelles è morta l’Europa…”

Nello scantinato nel Liceo Lussana, insieme al compagno Lori fondiamo la “cellula comunista” e stampiamo a ciclostile un foglio dal nome “Segnali di fumo”.

Nell’intervallo mi rivolgo a tutte le ragazzine più carine presentandomi come caporedattore di “Segnali di fumo” e chiedendo un’intervista sull’uso della pillola anticoncezionale.

In un articolo chiedo ufficialmente alla scuola di acquistare pillole e renderle disponibili gratuitamente. Come rappresentante degli studenti, faccio la stessa richiesta in consiglio d’istituto.

Dopo due numeri il preside scopre che le riunioni serali nello scantinato sono diventate un ritrovo di fumatori di hashisc (“Segnali di fumo”), e ci fa chiudere.

Ho idea di studiare matematica, vengo selezionato per la Normale, ma nel corso dell’estate riscopro il piacere della lettura: sono in vacanza con mio zio, sacerdote e cacciatore, io e lui in camper a dire messa in lande slave dimenticate da Dio, unico libro sul camper: “Paludi” di Gide. Una folgorazione.

Decido di iscrivermi a Lettere, Statale di Milano, con l’obiettivo di guadagnarmi il pane scrivendo.

Crisi.

Nel frattempo, me ne vado di casa, e mi mantengo lavorando come educatore disabili.

Creo un giornalino “In carrozza!” con resoconti comici delle disavventure quotidiane, stile “quasi amici”, organizzo corse per carrozzelle nella piazza ovale tipo “palio di siena”, e in generale azioni sovversive in luoghi pubblici, e tutto per avere qualcosa da scrivere.

Con la complicità della mamma di un disabile, faccio entrare nottetempo prostitute nel ricovero. Grande divertimento ma gli psicologi comunali non gradiscono.

Crisi.

Mi spostano sui bambini del campo estivo, ed io metto in piedi una nuova redazione di trenta bambini di 6-7 anni. Sul primo numero titolo e apertura con i lamenti dei bambini per la mancanza di fondi del campo estivo.

Quindi organizzo dei blocchi stradali nella via centrale del centro storico (oggi isola pedonale) con i bambini che chiedono una contributo agli automobilisti per un gelato collettivo.

Grande successo di pubblico e grande divertimento dei bambini, ma ancora una volta “i grandi” non gradiscono, e stavolta mi licenziano.

Crisi.

(imago by Monica Marioni)

ecoadv budget euro 2500

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ECoadivi

4 considerazioni comparate e 1 nota finale su come fare eco-pubblicità a basso costo:

1) 10 miliardi di volantini stampati (e gettati) ogni anno in Italia,

ovvero 40.000 tir sulle strade e 4 milioni di alberi tagliati ogni anno;

2) fatalmente, per ironia semiotica, ricercando pubblicità ecologica, eco-pubblicità, si finisce sui volantini/pubblicità-eco di bg, che attraverso adivì, offre stampa e distribuzione di 50.000 volantini a 2500 euro;

3) digitando su google  “costo stampa + distribuzione 50.000 volantini” scopri che altri ti fanno spendere meno della metà;

4) infine arrivi su Calepio Press-ADVzero, pubblicità ecologica,  che per la stessa cifra, 2500 euro, ti scrive un libro ad hoc di 50 pagine e te lo stampa in 1000 copie. In totale fanno sempre 50.000 fogli. Però riciclati, non plastificati, e soprattutto: che non verranno buttata via! Lo stesso dicasi dei tuoi 2500 euro di budget. Meglio la stima di 1000 lettori che il fastidio di 50.000 non lettori.

Nota finale: si, questo è un post pubblicitario, dedicato a tutti gli amici che da anni mi ripetono “facile limitarsi a criticare sempre gli altri, senza mai proporre soluzioni alternative”

Qui sotto, un esempio di “libretto da visita”, o Pergamino, realizzato e pubblicato da Calepio Press/ ADVzero:

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eros et veteros

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Pompei_erotica2

vaginalis virgo vergam in tergas capebat

et in sodomia bene et longe gaudebat

cum repente turgida capella ab ano exiit

et motu proprio imenem defloravit

ergo puella hominis capitem sibi traxiit in pubem

et furibundo cunnilingo semen a vulva sucatum fuit

quod uterque nolebat filium certo sodomitam generare

(fabula erotica pompeiana reperta in loco termae suburbanae

quam Calepinus Minor trascripsit sicut Eros et Veteros – Antologica Erotica Fragmenta

et vulgare traduxit et ivi publicat sub permissione culturale Leonis XIV pro disseminatione didattica linguae latinae – imago est cunnilingus pictus super muros termae suburbanae Pompei)

una vergine vaginale (lo) prendeva nelle terga

e nella sodomia godeva bene e a lungo

quando repentinamente la turgida cappella fuoriuscì dall’ano

e con moto proprio deflorò l’imene

perciò la fanciulla si attirò nel pube la testa dell’uomo

e il liquido seminale fu risucchiato con un furibondo leccare di vulva

poiché nessuno dei due voleva generare un figlio certamente sodomita!

(favola erotica pompeiana ritrovata presso le terme suburbane, trascritta nell’antologia di frammenti erotici pompeiani “Eros et Veteros” e tradotta in volgare dal Calepino Minore e qui pubblicata su licenza culturale di Leone XIV, per la diffusione didattica della lingua latina – immagine: rappresentazione murale di un vulvaleccaggio, terme suburbane, Pompei) 

 

nemo propheta in patria

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AmbrogioDaCalepio2

(de Ambrosii Calepinii Lexicon in patria oblitteratus / latina – italica – anglica versio)

nemo propheta in patria est in specie si mala tempora currunt

sicut Ambrosius noster conditor Calepinus a Bergomi MMXIX comitato oblitteratus

quamvis Ambrosius magnificus antenatus internet sit cum anno domine MDII primus lexicon creavit

et populus statim intelligere potuit in vulgari latinam missam et  legem Ambrosio gratias

postea multiplas editiones fecerunt in globis linguisque terrarum et omnes linguae mundi in coniunctione semiotica omnibus fuerunt

ergo Ambrosii supulchro epigramma recitat  eum loqui vel ipsa saxa docet

sed Bergomi rectores saxorum stolidiores manifesto videntur

LEONE XIV – ANNO DOMINE MMXIII DIXIT – EGO VOS SUM

nessuno è profeta in patria specie se corrono tempi cupi

è il caso del nostro fondatore Ambrogio da Calepio dimenticato dal comitato Bergamo2019

nonostante sia il magnifico precusore di internet  avendo inventato nel 1502 il primo vocabolario che permise al popolo di comprendere direttamente in volgare le parole latine delle funzioni religiose e degli editti legislativi;

in seguito il Calepino fu il primo best seller della storia, stampato in moltissime versioni e tutte le lingue del mondo  furono interconnesse per tutti;

ecco perché sulla tomba di Ambrogio da Calepio un’epigrafe recita

che Ambrogio da Calepio insegna a comunicare perfino ai sassi,

ma evidentemente i rettori di Bergamo sono più stolidi dei sassi.

LEONE XIV – proprietà letteraria 2013 – IO SONO VOI

nobody is prophet in fatherland, especially in badtimes

so our founder Ambrogio da Calepio is forgotten by Bergamo2019 committee

in spite of he is the magnificent precursor of world wide web since he created the first dictionary in 1502 so that common people could understand in italian church’s and king’s latin language;

then many editions were made all in the world and every language’s meanings were linked each others;

that’s why on Ambrogio’s tomb an epigraph says: also to stones he teaches how to communicate;

but obviously Bergamo’s leaders are stubborner than stones.

LEONE XIV – copyright  2013 – I’M YOU

imago: Ambrosius Calepinus Lexicon auctor et Calepio Pressiones conditor in MDII

Bergamo commedia dell’assurdo

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DanteMart

BaDante Care&Writing Agency raccoglie l’invito del comitato Bergamo2019 a formulare idee per Bergamo capitale della cultura: ecco i punti indicati dal signor Dante A., 93 anni, ex insegnante di latino, dall’alto delle Mura Venete, nel corso dell’intervista-tour  S.Agostino-Colle Aperto-Piazza Vecchia- Corsarola (in sedia a rotelle, con l’intervistatore che spinge l’intervistato):

dal baluardo di S.Agostino indicando oltre il Pitentino:

il fatto che da anni gli extracomunitari debbano stare ore e ore accalcati sotto il sole o sottozero in coda fuori dalla Questura, sul marciapiede, è indegno di una capitale della cultura;

da porta S.Agostino, indicando la scaletta della Noca:

la più preziosa risorsa culturale della città, la Pinacoteca dell’Accademia Carrara, chiusa da sei anni per volgari beghe di potere, non può accadere in una città civile;

dal baluardo di S.Michele, indicando oltre l’area verde del parco Suardi:

la più grande area pubblica di città bassa, la Caserma Montelungo, luogo ideale per ogni attività sociale (asili, centro anziani, orti urbani) in abbandono da decenni, non è un segno di cultura urbana;

dalla piattaforma di S.Andrea, indicando la zona pedecollinare della Val Seriana :

avere alle porte della città la più grande e pericolosa industria chimica d’Italia, mi fa paura;

da porta S.Giacomo sollevando il palmo al vicino orizzonte:

avere in città la sede del più grande cementificio d’Italia, mi fa capire molte cose;

dal baluardo di S.Giacomo, levando ad alzo zero l’artiglio con gittata 3000 metri

avere il più trafficato e inquinante aeroporto da turismo-shopping d’Italia annesso al più grande centro commerciale d’Italia, mi deprime;

dalla piattaforma di S.Grata, dando le spalle al panorama, indicando il convento di S.Grata:

avere la città con la più alta percentuale di proprietà immobiliare ecclesiastica nel mondo dopo il Vaticano, è più consono a una capitale religiosa;

dal baluardo di S.Giovanni, indicando la conca d’oro:

la zona più salubre e scenografica della città, l’ex Ospedale Maggiore, luogo ideale per un vero campus universitario, oggetto di speculazione immobiliare,  in degrado e abbandono precoce, mi fa tristezza;

dal baluardo di S.Alessandro indicando il muraglione del Seminario:

Il fatto che le anime belle si dilettino nel passegiare in via Arena, la via “più poetica della città”, senza mai chiedersi perchè si chiami così, mi fa venire voglia di rivelarlo:

perché portava all’Arena Romana di Bergamo Alta, d’impianto simile a quelle di Verona e Arles, sopra il quale  hanno costruito l’ecomostro-Seminario vescovile intitolandolo al Papa Buono:

il fatto che nessuno lo sappia, che nessuno lo dica da 150 anni, mi fa specie;

da via Colleoni (corsarola) indicando il Teatro Sociale:

il più significativo luogo espositivo della città, il Teatro Sociale, sempre stato un luogo magico per mostre, ristrutturato e imbellettato e riportato in vita “così com’era”, mi fa ribrezzo;

entrando in Piazza Vecchia:

l’idea di spostare i libri dalla biblioteca Angelo Mai per usare i saloni per banchetti di nozze, mi fa venire il voltastomaco;

da Piazza Vecchia, dalla fontana del Contarini:

anche solo il fatto che abbiano avuto l’idea di piazzare Mc Donald in Piazza Vecchia al posto dell’Università, mi dà l’ulcera;

da via Gombito, davanti al negozio Kiko:

avere i negozi delle grandi catene commerciali nel cuore di città alta al posto delle botteghe degli artigiani e dei negozi storici, mi fa una pena immensa;

da Piazza Angelini:

il fatto che artisti, musicisti, scrittori di riconosciuto valore internazionale, crepino di fame, o si suicidino, o cambino mestiere, o città, mentre intere genealogie di nuovi e vecchi ricchi  ingrassano nell’ignoranza a dismisura, mi spaventa;

da via alla Rocca: 

la più rappresentativa area storica della città, l’Acropoli, la Rocca con il Parco delle Rimembranze, fatta franare dalla giunta pazza che intendeva scavarci dentro un parcheggio per vip, e abbandonata in stato pericolante da 5 anni, mi fa una rabbia indicibile;

da piazza Mercato delle Scarpe:

il fatto che per loro investire in cultura significhi mettere in piedi una lobby per comprarsi a Roma il titolo di capitale europea, per poi avere da Bruxelles  qualche sbadilata di milioni da convertire in cemento armato e asfalto  per i costruttori amici per fare strade e ancora strade con la scusa delle infrastrutture per il turismo, è un’offesa, un insulto alla cultura;

il turismo per questa gente è l’unico scopo della cultura, capisci,

d’altra parte il sesso è l’unica forma di conoscenza e d’amore che praticano,

nonostante il Papa Buono, Bergamo è oggi una moderna capitale dei vizi dell’ignoranza e dell’arroganza, il gioco d’azzardo, il lusso vistoso, la prostituzione e il suo indotto;

nei condomini in città, nei residences nelle valli, nelle strade della bassa, nei bilocali, nei locali, nei loft

la gente spende 1 per leggere libri, ascoltare concerti, vedere opere d’arte, monumenti storici o musei

e spende 100 per fare sesso a pagamento, consumare droghe, acquistare beni di lusso, vacanze esotiche, giocare a slot machines e gratta e vinci,

capisci, anche un bergamasco come me o come te, se in buona fede, deve ammettere che fare Bergamo capitale della cultura effettivamente è un’operazione culturale,

si, una commedia dell’assurdo.

 

 

un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia

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Italia

Un fantasma si aggira per l’Europa: l’Italia.

L’Italia è un fantasma perché la sua storia è quella di un fantasma, una sembianza, un’apparenza. E l’apparenza inganna. L’Italia, la storia dell’Italia moderna, è un caso esemplare di un’identità costruita sull’inganno delle apparenze.

Basta rileggere senza paraocchi le 4 mitologie cruciali della storia italiana contemporanea (Risorgimento, Ventennio Fascista, Resistenza, Made in Italy) per comprendere cosa sia lo stile italiano, e quanto sia storicamente radicato.

Il Risorgimento viene impartito – già dalla parola – come fenomeno morale che si manifesta in episodi esemplari (con specifica denominazione: i “moti risorgimentali”) che fungono da “trailer” di un sentimento nazionale e popolare in realtà inesistente.

La mitologia-mitografia risorgimentale con i suoi testimonial (Ciro Menotti, Silvio Pellico, Carlo Pisacane) i suoi art director (Mazzini, Garibaldi, Cavour) e la sua grande campagna di lancio (“Spedizione dei Mille”) è un grande esempio di costruzione spettacolare di una favola che non c’è:

pochi intellettuali e rivoluzionari professionisti, in esilio, completamente staccati dalle esigenze e dai sentimenti popolari, senza alcun seguito nelle masse contadine, quindi un colpo di stato (la spedizione dei mille) finanziato o organizzato dalle grandi potenze (con l’apertura del canale di Suez, per ragioni chiaramente commerciali, diventava fondamentale avere un’Italia unita e integrata al sistema europeo), quindi trattative in alto loco (ti do la Savoia, mi dai il Veneto) e l’Italia è fatta.

Il Risorgimento, cioè l’atto di nascita del paese Italia, è una grande operazione di falsificazione e costruzione di un patriottismo idealista, strumentale, del tutto inesistente, se non nella testa di qualche aristocratico idealista e qualche sincero rivoluzionario (gli “utili idioti”).

Di fatto: sono bastati 1000 garibaldini ad annettere quasi pacificamente il Sud in due mesi, ma non sono bastati 100.000 soldati e cinque anni di repressione sanguinaria (culminata con la rivolta di Palermo – unico vero episodio di partecipazione popolare del Risorgimento, peccato che fosse anti-italiano)  che nessuno conosce, con migliaia di morti, deportazioni, villaggi incendiati, esecuzioni sommarie a sottomettere quelle popolazioni e regioni che si pretendeva di aver liberato,

e che invece si sono subito ribellate al nuovo stato, appena il nuovo stato ha tradito platealmente le promesse (distribuzione della terra ai contadini, che è invece diventata privatizzazione del demanio a beneficio dei grandi proprietari, e conseguente peggioramento delle condizioni contadine)  fino a  essere sottomesse con la forza, oltre che con la propaganda (e questo reale risorgimento e resistenza del sud italia al nuovo stato nordista viene chiamato “banditismo”,

e qualsiasi storico onesto vi dirà che questo passaggio storico è alla base della questione meridionale, cioè della non adesione del sud al paese, alle istituzioni, e della conseguente diffusione endemica di mafia, camorra, n’drangheta, etc).

Sulla “questione meridionale” hanno poi disquisito (e campato) generazioni di intellettuali e politici, senza mai andare alla radice della questione, chiaramente, perché se qualcuno (lo Stato italiano) ti paga per occuparti di un problema tu non puoi dirgli che la causa del problema è lui (lo Stato italiano).

Col Ventennio Fascista la tecnologia di costruzione dl consenso trova il suo massimo sviluppo: i mass media, l’architettura, la scenografia, lo sport, tutto diventa immagine coordinata e  diffonde in Italia e nel mondo questa nuova mitologia, lo stile italiano, cioè ordine, benessere, civiltà, modernità, ginnastica e tecnologia.

Starace, D’Annunzio, Mussolini: al di là del fascismo, sono i precursori della società dello spettacolo, della pubblicità e delle comunicazioni di massa basate sul consenso verso un sogno, una favola.

Ma la favola si interrompe di colpo, l’apparenza di un paese militarizzato si scioglie nelle nevi, in Grecia, in Russia, lo stivale italiano ha le suole di cartone, il regime costruito in vent’anni crolla in mezz’ora, il re scappa vilmente con tutta la corte (e ha sulla coscienza i martiri di Cefalonia) il paese è occupato da eserciti stranieri:

una catastrofe, una tragedia nazionale, lo stile italiano rivela tutta la sua falsità, è l’occasione per cambiare stile, mentalità, tutto, diventare un paese onesto, consapevole.

E invece cosa accade? Si inventa una nuova favola. La Resistenza!

La Resistenza, con i suoi copywriter (Vittorini, Pavese, Fenoglio) similmente al Risorgimento e al Fascismo mistifica la realtà: accade così che poche centinaia di sinceri antifascisti, e pochi episodi locali di guerriglia, diventino sui libri di storia della scuola dell’obbligo un movimento di massa protagonista di una gloriosa pagina nazionale (con specifica denominazione: “la Liberazione”) che copre la realtà storica, cioè la inenarrabile vergogna nazionale che è nei fatti storici, in certi fatti storici decisivi e davvero esemplari,

come la fuga del re e di tutto la classe dirigente, e soprattutto la guerra civile-macelleria-pulizia etnica: in un mese, maggio 1945, 40.000 morti “gratuiti”, a guerra finita, per lo più uccisioni di pura vendetta, faida, frustrazione, non una pagina onorevole, evidentemente, perché bastava essere additati come fascisti per essere ammazzati per strada, ed è chiaro che allora il 99% degli italiani avrebbe dovuto essere ammazzato per strada, a cominciare da quegli stessi “intellettuali” che questo massacro hanno giustificato e alimentato,

in primis il mostro sacro Vittorini, che dopo aver passato venti anni a far carriera come intellettuale squadrista e fascista con un colpo di spugna rinasce antifascista comunista e sanguinario: i suoi scritti incitano ad ammazzare “i fascisti” perché ci sono “uomini, e no” e i fascisti non sono uomini, sono solo “figli di stronza” .

Non solo nessuno gli rinfaccia il clamoroso voltafaccia ma tutti lo riconoscono e acclamano nuova guida morale del paese, e infatti dirigerà la più importante casa editrice italiana.

E’ l’esempio del trasformismo sfacciato dell’intellettuale italiano.

Oggi vediamo  l’ultima versione di questo tipo nella generazione dei sessantottini trasformatasi nella classe dirigente pubblicità-giornali-televisioni della società dello spettacolo.

Quindi, quando oggi celebriamo l’Unità d’Italia e il Made in Italy, stiamo celebrando questo, l’incredibile sfacciataggine e capacità  di imporre apparenze ad altissima percentuale di falsità aggiunta: e questo carattere, questo stile italiano, è costitutivo dell’identità e della storia nazionale, sia delle due grandi mitologie fondanti, Risorgimento e Resistenza, sia della mitologia “rimossa”, il Fascismo.

Il Risorgimento, propagandato e imposto come risveglio della coscienza nazionale e di valori come unità e indipendenza, nasconde la feroce repressione (brigantaggio) seguita a un colpo di stato (spedizione dei mille) finanziato dalle potenze straniere e realizzato da quelli che oggi chiameremmo terroristi o mercenari.

La Resistenza, propagandata come rinascita civile e di valori come libertà e democrazia, nasconde la vergogna del voltafaccia e della pulizia etnica per non affrontare la vergogna di un paese opportunista, codardo, vendicativo e servo del potere.

Poi cosa succede? Come si arriva al Made in Italy? Siamo nel 1945, l’Italia è un paese vinto, distrutto, occupato dagli Americani.

Succede che gli Americani hanno capito perfettamente cosa sia e a cosa serva lo stile italiano. E’ l’avanguardia di comunicazione del consumismo: diventerà il modello, l’immagine della democrazia del benessere, filoamericana.

E dunque niente sanzioni, niente punizioni, niente esame di coscienza collettiva e ricostruzione morale, ma invece: palate di dollari, ovvero: il piano Marshall, e la Thompson.

La Thompson è stata la prima agenzia pubblicitaria a lavorare sul mercato italiano, è subentrata direttamente al Minculpop: la Thompson è sbarcata a Salerno nel 43’, come ufficio stampa dell’esercito americano, poi diventata ufficio stampa del piano Marshall, poi prima e unica agenzia pubblicitaria ad operare in Italia nel momento del boom economico.

E quindi: la repubblica italiana nasce col piano Marshall, ed è fondata sulla pubblicità.

Soldi che piovono dall’alto. Un colossale investimento pubblicitario. A una condizione: niente comunisti al governo.

Ecco il paradosso, il capolavoro: proprio mentre si sventola una repubblica basata sull’antifascismo, con il più forte partito comunista di tutto l’Occidente, con intellettuali comunisti al comando nei giornali, nelle case editrici e nelle università, invisibile, reale, permane la condizione-cappio: niente comunisti al governo.

Da qui, come tutti sanno, la strategia della tensione (piazza Fontana, piazza della Loggia, treno Italicus, sequestro Moro, stazione di Bologna) cioè una serie di stragi (veri e propri avvertimenti) che arrivano puntualmente ogni qualvolta si presenta il pericolo che la sinistra vada al potere,

esattamente come accade in una classe di bambini dell’asilo cui viene promesso un premio, un premio che non arriva mai, e non per colpa della maestra, ma perché c’è sempre qualche bambino che all’ultimo momento combina un guaio, e rovina tutto.

Ecco lo stile italiano.

L’Italia contemporanea, la Repubblica, è un soggetto incerto e impotente per questo motivo, questo Economic Recovery Plan, questo “regalo”, questo “potlach” che ci ha reso succubi prima dell’economia e poi della cultura commerciale americana.

Lo stile italiano, cioè la capacità di costruire apparenze, trova la sua nuova ragione d’esistere nella moda  e nel design, e diventa in tutto il mondo il vangelo del consumismo vistoso e dello snobismo di massa.

Berlusconi, con la guerra dell’etere, porta a compimento questo tracciato, schiantando la “resistenza” cattolica e comunista: fino alla fine degli anni Settanta, per accordo catto-comunista, erano vietate le pubblicità dei beni di lusso, ed erano considerati beni di lusso tutti quelli non alla portata delle tasche proletarie.

Al Carosello vedevi il caffè, la pasta, il detersivo, non le auto di grossa cilindrata, non le pellicce.

Se non ci fosse stato prima il piano Marshall e poi Berlusconi, avremmo dovuto fondare il made in Italy sul lavoro (o sulla tecnologia vera, come ha fatto il Giappone) mentre l’abbiamo fondato sui debiti e sulla pubblicità.

Basta guardare le cifre per vedere che siamo il paese che proporzionalmente al nostro PIL è sempre il primo al mondo per spesa pubblicitaria e l’ultimo per livello d’istruzione.

L’Italia non è una repubblica fondata sul lavoro e sulla resistenza. L’Italia è una privativa basata sulle apparenze e sul trasformismo. La sua storia lo dimostra.

Per un paese che già nell’Ottocento è stato capace di vendere un colpo di stato con conseguente repressione militare (cioè: la tipica nascita di un regime) come un’epopea eroica di patriottismo e più tardi, nel secondo dopoguerra, è stato capace di vendere, in pacchetto completo, venti anni di consenziente servilismo di massa culminati in un mese di pulizia etnica come eroica resistenza antifascista, per questo paese, è stato un gioco da ragazzi vendere il Made in Italy, lo stile italiano, è chiaro:

puoi falsificare la tua storia cambiandoti d’abito, noi lo sappiamo fare, noi siamo i numeri uno, noi ti diamo gli strumenti per governare l’apparenza e creare realtà ingannevoli.

Tu sei avido, invidioso, vile, disonesto, incapace, bramoso, ridicolo, furbo, vorace, ignorante, ottuso. Ti rivolgi allo stile italiano.

Diventi sofisticato, intrigante, sensibile, elegante, colto, seducente.

Ha funzionato per trent’anni. Adesso è finita. Serve una nuova favola.

tratto da “Lo stile italiano” by Sean Blazer (alias Leone Belotti) – Calepio Press

 imago: Biennale di Venezia, padiglione Italia, 

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prima o poi succede, e ti senti un idiota,

e ti viene l’ansia, e non capisci più niente, non ti ricordi le strade,

sbagli tutto, ti confondi, e intanto preghi, e speri, e finalmente la vedi,

e allora capisci anche quella canzonetta sentita per anni,

la felicità che danno le insegne illuminate, quando siamo in cerca di benzina;

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le grandi arterie stradali pompano il fluxus dell’uomo-merce,

nastri trasportatori, ribbon development, che modificano il paesaggio,

innescano il ciclo delle architetture effimere, prefabbricate,

capannoni, aziende, centri commerciali, stazioni ecologiche,

se guardi bene, e registri tutto, in due chilometri qualsiasi riesci a leggere

vent’anni di continui cambiamenti, per lo più inutili, spesso dannosi;

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nutrite di cemento sintetico da mandrie di autobetoniere transumanti,

le nuove unità d’abitazione spuntano come funghi nella giungla urbana,

le fondamenta affondate nelle fogne, le gronde protese a catturare lo smog,

e i prezzi alle stelle: perchè hanno la certificazione energetica, e doppi box;

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le piazze dei paesi, con la chiesa, il comune, e il monumento ai caduti,

sono rimaste senz’anima, senza vita, con l’arredo urbano immacolato,

qualche negozio in agonia, e le ultime nonne che vanno ai vespri,

e intanto alla rotonda, tra l’out-let, il discount e la kebab house, pulsa la vita,

senza alcun monumento ai caduti che la civiltà dell’automobile esige,

le vittime della strada, che si sono sacrificate per noi,

perchè avremmo potuto esserci noi, al loro posto;

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il traffico, mi spiegava l’ingegnere con cui viaggiavo, è come il colesterolo,

intasa le arterie, ti rallenta, causa tamponamenti fisiologici, come fossero ictus:

quello che l’ingegnere non poteva immaginare, mentre eravamo fermi in coda,

è che più avanti c’era stato un incidente, causato da un furgone,

il cui conducente, mentre era alla guida, era  stato colpito da un ictus;

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megascreen luminosi a caratteri cubitali sospesi sulla carreggiata,

“se sei stanco fermati a riposare”  e tu pensi: perchè non ho mai visto

un cartello del genere in fabbrica, in linea di montaggio?

Poco dopo: “se hai bevuto, lascia guidare il tuo amico”

e tu pensi: che razza di amico era, se ti ha lasciato bere da solo?

(tratto da “Memorie di un vetero patentato”, photo-graphic-novel  by Virgilio Fidanza, Claudio Spini, Leone Belotti; next publishing by Calepio Press – Lubrina)