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certo, è stata una disgrazia, ma di quelle che vengono da lontano,
una storia come tante, l’amico che ti tradisce alle spalle, e fa finta di niente;
tu invece lo sai, ma anche tu tieni la parte, e fai finta di niente,
aspetti il momento buono per fargliela pagare con gli interessi;
intanto vi vedete sempre meno, è normale, passano gli anni, i decenni…
sono passati più di cinquant’anni…
l’amicizia tra me e Gianni è iniziata che avevamo vent’anni, era il 59, governo Fanfani,
sempre insieme, grandi progetti, grandi idee, pochi soldi, tanto entusiasmo,
abbiamo fatto cose bellissime, lavori incredibili, io introverso, incapace di comunicare, lavoravo di notte, facevo capolavori;
lui brillante, affabile, conquistava chiunque,
siamo andati avanti così per dieci anni, tra alti e bassi, i lavori li firmavamo insieme, ma era lui quello che si era fatto conoscere, io stavo dietro le quinte, anonimo, e mi andava bene così;
poi è arrivata l’occasione giusta, è arrivata a me, gennaio 1970,
e io invece di dire subito sì, ne ho parlato a Gianni,
lui ha detto dobbiamo muoverci nel modo giusto, prendi tempo,
poi, come capita con le cose importanti, è successo tutto dal mattino alla sera,
senza che nemmeno me ne rendessi conto, il mio amico Gianni, il mio migliore amico, forse l’unico che ho mai avuto, grazie al mio lavoro, alle mie idee, mi ha rubato il posto, si è preso la scrivania, il lavoro, lo stipendio, il successo, i progetti, il futuro, si è preso tutto,
allora non me ne ero reso conto con chiarezza, l’amarezza ti confonde le idee, ti rende incerto,
lui mi ripeteva la sua versione, non era come sembrava, l’aveva fatto per me, per noi, mi diceva di avere pazienza, qualche mese e mi avrebbe fatto entrare,
passa un mese, ne passano due, passa un anno,
una sera mi chiama, io penso: finalmente!
ti devo chiedere un favore, mi dice, lui a me, un’emergenza, e così, al telefono, mi chiede di coprirlo: ha detto a sua moglie che si vedeva con me, sua moglie mi conosceva, una bellissima ragazza, giovanissima, della mia parola si fidava, dovevo dirle una balla, se mi avesse chiamato, e poi avvertirlo subito…
aveva un’altra, da non credere, non gliene era mai importato niente delle donne, non era mai stato portato per gli affari cuore, ma adesso che era diventato qualcuno, ecco che aveva sentito il bisogno di farsi l’amante, e io, l’amico tradito, senza lavoro, senza soldi, senza donna, dovevo essergli complice,
non ci ho pensato molto, gli ho risposto subito: ascolta Gianni, io non ho più niente, solo il rispetto di me stesso, io le menzogne non le dico nemmeno per me, perchè dovrei dirle per te?
D’accordo, come non detto, mi fa, pensavo fossimo amici, mi ha detto, lui a me.
In quello stesso periodo, vengo a sapere da terzi che si è liberato un posto, proprio la mia mansione, allora lo chiamo, non mi risponde, lo richiamo, niente, alla fine mi richiama lui, mi dice di stare tranquillo, tu fai la domanda, mi dice, al resto penso io, ma non continuare a chiamarmi, poi pensano male, sai, le segretarie parlano, ti chiamo io appena so qualcosa,
era già diventato vicedirettore, stava bruciando le tappe,
qualche giorno dopo mi chiama, mi dice: non c’è stato niente da fare, il direttore si è imposto, ha imposto il suo cavallo, uno dieci anni più giovane di te, capace di far niente, senza curriculum, senza titoli, e adesso dovrò pure fargli da balia... era lui la vittima, alla fine,
ma io il direttore lo conoscevo per altre ragioni, un vero signorsì di pochissime parole, arrogante, ma con una sua etica, di quelli che le carognate te le fanno da nemico, alla luce del sole, non di nascosto, come gli amici,
così prendo coraggio, sapevo le abitudini, il punt e mes a mezzogiorno, lo avvicino al bar, gli dico dottore, ci contavo su quel posto, Gianni me l’aveva promesso…
non c’era nemmeno bisogno parlasse, l’espressione diceva già tutto: tanto per mettere le cose in chiaro, mi dice scostandosi, non sono io che mi sono opposto alla tua assunzione, ma qualcuno che ti conosce bene, e ti ha definito “di grande talento, ma inaffidabile”.
Inaffidabile? A me, che sono la fedeltà in persona? Poi ho capito. Mi faceva pagare il mio rifiuto a fargli da ruffiano.
Per qualche tempo ho pensato di aspettarlo per strada con una spranga, frantumargli un ginocchio. Oppure: andare a trovare sua moglie, Mara, e spiegarle alcune cose. Invece niente.
Passano gli anni, uno dietro l’altro, dieci anni.
La domenica lo vedevo arrivare a messa con la macchina nuova, il cappello Borsalino, le scarpe lucidate, la Mara in pelliccia di visone.
Soldi ne aveva fatti a palate, si era comprato la macchina, la casa, la seconda macchina, la seconda casa.
Io mi ero venduto tutto, anche l’orologio di mio padre, per tirare avanti. Passavo le giornate in ciabatte e canottiera, sulle panchine. Ero diventato un fanigott. Ma non ci pensavo più a fargliela pagare. La rabbia era passata.
Mi faceva pena, a dire il vero, con quel suo sorriso da curato di campagna. Lasciami stare, Gianni, gli dicevo quando incrociava il mio sguardo, e lui da bravo passava oltre.
Ma un’estate, era Ferragosto, 1982, l’estate in cui l’Italia vinse i Mondiali, lo incontro in piazza, aveva la moglie al mare, mi invita a mangiare con lui in trattoria, è molto agitato…
io ti ho sempre invidiato, mi confessa, fin da quando eravamo ragazzi,
io avrei sempre voluto avere il tuo talento, mi dice, la tua grazia,
usa proprio queste parole, sono parole che mi colpiscono,
ma cosa stai dicendo, gli dico, col mio talento faccio una vita da miserabile!
però sei libero! mi rinfaccia con foga, troppa foga, e lì ho capito che mentiva, faceva scena, e mi ha fatto schifo, era inutile stare lì ad ascoltarlo, ho gettato il tovagliolo sul tavolo,
sì, sono libero di sputarti in faccia, gli ho detto, e nell’uscire mi sono pure fermato a pagare il conto, tutto quello che avevo in tasca per tirare avanti una settimana,
Passano altri dieci anni. Crolla il muro di Berlino, cambia il mondo.
Ormai ero diventato un poveraccio, mi ero messo a bere, stavo con la Mery, una donna di strada, e non mi vergognavo, lei mi amava, ero la sua ragione di vita, un artista, io la stimavo, aveva una sua etica, un’onestà totale, profonda, una specie di forza virile, mai un lamento, una lacrima, niente, si teneva tutto dentro, peggio di me, anche la malattia,
sto mica tanto bene, mi dice una sera, domani vado a farmi vedere,
una volta entrata in ospedale, se ne è andata in pochi giorni,
l’avevo seppellita da una settimana, quando mi arriva un biglietto di Gianni, ma non di condoglianze, no…
mi scriveva testuale che “aveva nostalgia di quando eravamo ragazzi” e “andavamo a donne insieme”. Eravamo andati una volta in una casa chiusa, perchè poi le avrebbero chiuse, era in discussione la legge Merlin, ma non ci avevano nemmeno fatti entrare, non avevamo i ventun anni,
non eravamo mai andati a donne insieme, tu non sai nemmeno cosa siano le donne, avrei voluto dirgli, col suo biglietto tra le mani,
davvero una lettera stupida, con un finale orripilante, dove mi chiedeva per scritto di “trovargli una donna, ma verace, formosa, anche non giovanissima, al giusto prezzo”,
forse non sapeva del mio lutto? o faceva finta? uno dei suoi giochetti? cosa significava lasciarmi tra le mani quella lettera di suo pugno, avrei potuto rovinarlo mostrandola alla moglie, e anche alla ditta, perchè la ditta a queste cose ci teneva, lavoravano per la chiesa, non si poteva sgarrare sulla moralità dei dirigenti…
non riuscivo a capire, provavo solo pena, schifo, tristezza,
arriviamo all’epilogo, al processo, all’assoluzione,
alla fine le cose si sono risolte, ci ha pensato la Provvidenza,
quando l’ho visto sulla sedia a rotelle, al parco, l’ho osservato bene prima di avvicinarmi, era anche molto ingrassato, lei faceva fatica a spingerlo,
ciao Mara, le ho detto, forse non ti ricordi di me, lascia che ti dia una mano,
lei mi ha sorriso con una tristezza senza fine, non ci eravamo quasi mai parlati, ma eravamo come fratelli,
e come mi fissava lui, invece, un vegetale con gli occhi terrorizzati, riusciva a muovere solo la mano destra, emetteva dei grugniti incomprensibili, che forse incutevano pietà a chi non lo conosceva, e invece a me, e a sua moglie, facevano schifo,
è lucido, lucidissimo, capisce tutto, mi ha detto lei, e mi ha raccontato cosa era successo, davanti a lui,
capivo che aveva addosso una rabbia cattiva, quell’uomo l’aveva sempre tradita, e alla fine gli era preso un colpo, un ictus, mentre era “con un ragazzo di strada”,
le parole le uscivano affilate, controllate, avrebbe voluto urlare, ma si limitò a ripetermelo a bassa voce: “non una donna, un ragazzo!”
poi gelida mi ha detto: “potrebbe andare avanti così anche vent’anni”.
io le ho risposto: sei ancora una bella donna, Mara, quanti anni hai? sessanta? ne dimostri dieci di meno, non è giusto quel che ti è capitato, non lo meriti.
Tutti questi discorsi davanti a lui, era la nostra vendetta.
Abbiamo cominciato a vederci tutti i giorni, al parco, non c’è stato bisogno di spiegarle per filo e per segno, aveva capito anche lei cosa avevo intenzione di fare.
Così quel giorno mi ha affidato Gianni, e il furgone attrezzato per portarlo in giro, prenditi una giornata di riposo, Mara, ci penso io oggi al nostro Gianni, lo porto al lago, dove andavamo sempre da ragazzi,
in quel punto il lago è profondo 300 metri, ci facevamo il bagno d’estate fantasticando sui galeoni spagnoli affondati negli abissi del tempo,
l’ho tirato giù dal furgone, l’ho legato bene alla pesante carrozzina, in giro non c’era anima viva, è proprio triste il lago d’inverno, stava già venendo buio,
alla fine avevi ragione Gianni, sono proprio inaffidabile
non c’è stato nemmeno bisogno di spingerlo, una volta sistemata la carrozzina sullo scivolo del vecchio imbarcadero, è bastato togliere il freno,
e non ho dovuto nemmeno mentire troppo bene, raccontando della disgrazia:
tutti, dal maresciallo, al pubblico ministero, al giudice hanno capito cos’era successo, il vecchio amico impietosito gli aveva dato una mano pietosa a suicidarsi, ridotto in quello stato…
(By Leone Belotti, Luglio 2013, BaDante Care&Writing Agency; imago: Gianni Cavina e Alessandro Haber ripresi da Pupi Avati)